07 gennaio 2015

ADELAIDE

Il lungofiume, l’acqua verde scuro trattenuta da una chiusa sulla quale galleggiano i cigni neri, gli edifici di recente riqualificazione, i ciclisti si muovono sulla pista che corre lungo gli argini, vegetazione, cielo plumbeo, il caldo è spossante, un ponte pedonale flesso ad arco si illumina sullo sfondo di questa skyline potenziale dove gli edifici dalle volumetrie complesse ci appaiono insignificanti come il tessuto urbano di questa città che non decolla. La Toyota, l’appartamento al Majestic Old Lyon dalle grandi finestre protette dalle foglie di verdi aiuole, privacy. Vecchi appunti ritrovati nelle poche pagine bianche di una guida, sono i suggerimenti raccolti in uno scambio di parole che conducono alla MACLAREN VALE, la zona vinicola poco più a Sud che dà lustro alla città, quella che fa probabilmente dire agli australiani che Adelaide è una bella città. PARRI ESTATE, SAMUEL’S GORGE, PENNY’S HILL sono le vinery in elenco. Degustiamo accanto ai filari di vigne coperte da una rete molle e candida, un velo che nasconde senza coprire i vitigni e che ricade ampia a terra come sui mobili di una casa non più abitata. L’appunto termina con una chicca che riscatta le giornate trascorse in città, PORT WILLUNGA e le sue ampie spiagge dai colori sfumati nelle tonalità dei rosa e dei gialli come l’alta falesia che le contiene spingendole verso il mare piatto. Sulla sua sommità il ristorante “Star of Greece” e’ una scatola di lamiera blu in bilico sul mare la cui veranda bianca inquadra i colori ed il movimento della collina sullo sfondo ed il cielo azzurro che tocca il mare. La luce naturale che entra riempie il bianco ed esalta I colori degli abiti che spiccano sul fondo creando una sorta di sofisticata pala, irreale come un dipinto iperrealista.

10 gennaio 2015

FLINDERS RANGES NATIONAL PARK

Piove. Fin dalla nostra partenza da ADELAIDE e poi da PORT AUGUSTA, il cielo si è appesantito di nuvole bianche che rendono invisibile tutto ciò che si alza oltre i trenta metri, figuriamoci i mille delle FLINDERS RANGES! Un capolavoro, uno dei panorami più spettacolari dell’Outback australiano, la catena montuosa che si stacca dalla pianura disegnando un ampio pittoresco semi anello che chissà quando potremo vedere anche solo dal basso. Intanto ci alleniamo facendo qualche ora di trekking lungo i sentieri che partendo dal Wilpena Lodge terminano in punti panoramici …. tutti i giorni in vista del momento in cui le nuvole si alzeranno, e prima o poi lo faranno. E’ un piacere passeggiare tra questi boschi di eucalipto le cui sfumature verdi virano all’azzurro così come i tronchi grigiastri degli alberi le cui cortecce si sfogliano in strati colorati dagli avorio ai ruggine come fogli umidi di cartelloni strappati disordinatamente mentre il loro profumo delicato si sprigiona vaporizzato nell’aria ad ogni alito di vento. Canguri, pappagallini bianchi o azzurro flash, conigli e capre. Nel tempo libero occupiamo con piacere la nostra tenda safari isolata nel parco. E’ a pianta quadrata con alti teli perimetrali color beige apribili in ampie zanzariere che inquadrano la vegetazione sui tre lati. Calda e rilassante è il luogo più comodo dal quale osservare il bosco ed ascoltare la piccola cascata spuntata all’improvviso dopo il temporale sulla roccia più alta del rilievo di fronte a noi. Eravamo da poco rientrati al lodge, appena in tempo dal rimanere impantanati con l’auto sul Geological trail, la pista sinuosa a tratti già al limite della percorribilità che si snoda tra le propaggini più basse della catena delle Flinders offrendo scorci panoramici per i quali valeva la pena rischiare. Ampie prospettive sulle dorsali che vanno sfuocando all’orizzonte, in primo piano la vegetazione che trova spazio sulle alture rocciose e la pista chiara che ne asseconda il movimento. Domani si parte essendo la prospettiva del bel tempo sempre più remota.

14 gennaio 2015

KIMBA – CEDUNA

Charlie è un simpatico signore di Port Lincoln, capelli bianchi, sovrappeso e un bel sorriso. Lo incontriamo nel ristorante dell’unico motel-hotel di KIMBA accanto al Post Office, caro e insapore come il cibo consumato in quello che sembra piuttosto un locale dove bere una birra al banco prima di andare al casinò adiacente. Interpellato da Vanni per sapere se la lunga Eyre Highway che percorreremo nei prossimi giorni è ben servita da stazioni di servizio, si ferma volentieri a fare due chiacchiere con l’entusiasmo di chi pur non avendo risposte da dare ha voglia di raccontare la sua fetta di continente, soprattutto quelle stranezze che essendo prerogativa di un paese enorme e vario è sicuro che ci stupiranno. Ci racconta per esempio che il confine Sud del Queensland e del North Australia è delimitato da una rete alta tre metri per evitare che i cani selvatici tra cui i bellissimi Dingo invadano i loro territori, con grande dispendio di denaro anche solo per la manutenzione….. Oppure l’estremo rimedio messo in atto dal Western Australia per difendersi dalla migrazione dei piccoli uccelli che arrivano dal South Australia e che nutrendosi di frutta possono comprometterne il raccolto? … fucili puntati verso il cielo per sterminarli e posto di blocco con sequestro di frutta e verdure miele ed altro sul confine per scongiurare l’ingresso di insetti o di larve…. E che dire degli indiani? Bravi commercianti e disonesti come i cinesi, il fatto è che parlando loro l’inglese possono più facilmente degli altri ritagliarsi una bella fetta di mercato. KIMBA è un piccolo paese ordinato e orgoglioso del suo museo di antichità recenti, una scacchiera di quattro strade dove troviamo le poche cose che ci servono nel piccolo supermercato, al distributore, nelle due ferramenta ed infine dal demolitore. Lo lasciamo nella tarda mattinata per proseguire sulla Eyre Highway, 2038 km di numeri civici che arrivano oggi al 45000 come a voler sottolineare la grandezza del continente anche nei dettagli e l’originalità dei suoi abitanti per la realizzazione delle bizzarre buche delle lettere sulle quali sono scritti realizzate con l’impiego di materiale di recupero. Dai semplici bidoni alle sculture complesse che riproducono per esempio figure umane o animali per finire con gli originalissimi frigoriferi talvolta dipinti, sicuri contro la pioggia, il vento ed i serpenti. Poi le immense distese di grano già tagliato in superfici flesse come le onde lunghe di un grande mare dai confini invisibili che ci seguono per centinaia di chilometri colorate nelle tonalità dei gialli a seconda del tempo passato dalla mietitura. Ogni tanto la vista inciampa negli alti granai bianchi e nei tipici mulini a vento a fitte pale metalliche o negli autotreni la cui lunghezza, fino ai cinquanta metri, sembra proporzionale a quella dell’ Highway. Procediamo cauti per abbassare il rischio di travolgere i canguri che potrebbero uscire saltando dai cespugli di eucalipto e dai bassi alberi che creano profondi bordi strada, i cadaveri che ogni tanto vediamo spalmati sull’asfalto rappresentano un efficace monito … e soprattutto, senza fretta, ci abbandoniamo alla bellezza ed al senso di libertà che questi cieli azzurri e gli spazi infiniti danno, il termine inglese “Huge” rende bene l’idea. CEDUNA è l’ultimo centro abitato prima di NORSEMAN a 1248 km di distanza, arriviamo al Foreshore Hotel nel tardo pomeriggio, entriamo nel parcheggio blindato, lasciamo i bagagli in camera ed usciamo per due passi sul lungomare e sul lungo pontile. In giro solo gruppi di aborigeni ubriachi e schiamazzanti, i bianchi invece sono tutti al bar- bistro- ristorante del nostro grandissimo hotel che in pratica si sovrappone al centro abitato, una sorta di oasi che si “difende”.

15 gennaio 2015

CEDUNA – NULLARBOR hotel- motel

Incontriamo Janette e John a FOWLERS BAY, il luogo perfetto per un Jump sulle bianche dune di sabbia del parco che si trovano a ridosso del mare, poco dopo il lago salato ormai prosciugatosi e la distesa di erica fiorita. Sono così alte da essere viste a venti chilometri di distanza dalla Eyre highway. Arrivati da Melbourne per una breve vacanza hanno subito accettato di accompagnarci con la loro aggressivissima Nissan. John è un pilota esemplare, abbiamo condiviso l’avventura di perderci nel labirinto di piste sabbiose, ritagliate fra i rovi di una bassa vegetazione senz’acqua e di raggiungere la spiaggia nella scogliera dove stravaccate otarie stese in fila prendevano il sole o allattavano i baby, tutte a disposizione del grosso nero maschio dominante. Ci salutiamo scambiandoci due baci, due indirizzi mail e l’unica bottiglia di buon vino acquistato nella Maclaren valley di Adelaide. Andando oltre ci fermiamo per osservare la suggestiva e ventosa HEAD OF BIGHT, la lunga alta e frastagliata scogliera del GREAT AUSTRALIAN BIGHT MARINE NATIONAL PARK, il secondo inaspettato bel regalo di oggi. Il NULLARBOR hotel motel è il nostro punto di arrivo, la nostra prima tappa dopo 380 dei 1248 km totali, non un centro abitato ma solo un punto servizi articolato in due bassi e trasandati edifici color sabbia spalmati su una piccola superficie di questo deserto senza alberi, chiamarla oasi sarebbe una ingiusta forzatura dato che il suo fascino risiede proprio nella sua polverosa desolazione, piuttosto una zattera alla deriva in un mare di bassi cespugli riarsi dal sole e dal caldo torrido di questa estate piena. Tra i pochi colori un cartello giallo indica i tre animali che si potrebbero incontrare da queste parti, i dromedari che furono importati nell’’800 dal Pakistan come animali da soma per il trasporto di materiale sterminati di recente per ridurne il numero da 10.000 a 3.000, gli immancabili canguri il cui numero sembra superare quello degli australiani che sono invece sterminati in modo casuale dalle automobili seppur rare che circolano lungo le strade e poi i piccoli possum che saranno decimati dai loro antagonisti della catena alimentare. Un lungo tir carico di enormi pneumatici spicca nel piazzale oltre il distributore ed il rumore del suo motore acceso riempie l’aria, le due ragazze che si occupano del bar, ristorante, emporio e reception compensano il vuoto con i loro cortesi sinceri sorrisi, poi altri tir si fermano e ripartono, una coppia di coraggiosi ciclisti ed altri viaggiatori come noi si fermano invece per la notte, quando il vento forte scompiglia gli abiti ed arriva la fredda sera stellata. Non si vedono aborigeni qui, ma il tratto di strada che attraversa la vicina riserva YALATA ABORIGINAL LAND è pieno dei rifiuti lanciati dagli automobilisti in corsa, non li sopportano proprio.


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