16 febbraio 2015

WARAKURNA – AYERS ROCK

L’avvicinamento ai Monti Olgas ha resettato la fatica degli ultimi 220 km di strada piuttosto scomoda che hanno segnato l’ingresso nei Northern Territory. Belli e suggestivi quanto il loro nome in lingua aborigena, KATA TJUTA, li abbiamo visti spuntare da lontano come una sfuocata nuvola scura e li abbiamo infine raggiunti dopo averne assaporato la sequenza di slide in avvicinamento. “È il luogo per il quale vale la pena visitare l’Australia” ho pensato, ed in effetti conquistano le 28 cupole di granito rosso addossate e premute che si ergono dalla piatta cespugliosa distesa di sabbia dello stesso colore. Ci fermiamo per osservarle da vicino, per fissare il perfetto groviglio di rocce levigate diventate l’inconsapevole obiettivo del lungo viaggio sulla Great Central Road, il capolavoro che si sovrappone al più popolare AYERS ROCK fino a farlo scivolare fuori dalle nostre priorità. Ed anzi lo osserviamo perplessi come un deja vu che confonde quando dopo 50 km lo sfioriamo per raggiungere il Sails in the Desert Hotel la cui 182 ci incanta. E’ appartata e silenziosa, la parete vetrata sul fondo si apre su un giardinetto di sassi arrotondati ed il design minimale dell’interno è ammorbidito con decise colorate connotazioni di arte aborigena. Sulla moquette color panna per esempio un disegno percorre tutta la stanza come una saetta, i pigmenti sono quelli delle terre e la figura è la rappresentazione bidimensionale del terreno visto dal cielo. Appesa alla parete c’è la riproduzione di un dipinto di Pamela Tukurla nel quale i punti e le linee disegnano la vegetazione del deserto, i cerchi concentrici collegati da linee rappresentano invece le pozze, i corsi d’acqua ed i viaggi degli antenati durante la creazione. Questa stanza introduce alla cultura aborigena Anangu ed al grande monolite che abitavano e che ora vediamo ammirandone senza riserve la complessità della superficie e la sua intrinseca magia.

17 febbraio 2015

AYERS ROCK

La passeggiata al tramonto attorno ad ULURU, il grande monolite, ce ne ha fatto scoprire la complessa morfologia evidenziata ora da un articolato chiaroscuro, ci sono onde, solchi profondi come ferite, catene di polle che scendono digradando scavate dall’acqua che scende in cascatelle durante le abbondanti piogge monsoniche, una pozza d’acqua rettangolare, scalfitture a macchia che creano grandi disegni, in realtà Ayers Rock è un libro pieno di immagini. I luoghi sacri agli aborigeni sono semplici ma potenti, senza immagini evidenti, ma appena accennate a rilievo sulla superficie curva di grandi onde di pietra scavate naturalmente nella roccia e sembrano essere sempre esistite, modellate dalla natura piuttosto che dall’uomo… Due di queste mi hanno particolarmente emozionata forse perché essendo sola ho potuto sentire tutta l’energia e la complicità di quei due corpi che ho immaginato femminili. Il primo emerge chiaro dalla roccia grigia con sfumature azzurre, i suoi volumi in rilievo sono così delicati da risultare impercettibili, immaginati piuttosto che reali. Il secondo invece è collocato in posizione centrale dentro una nicchia meno ampia, il suo corpo è imponente e poco definito, quasi un sarcofago in posizione verticale, le colature bianche che partono dalla testa sembrano di caolino, un liquido che viene utilizzato anche in alcuni paesi del Nord Africa dai feticheur durante i riti religiosi. L’empatia era fortissima, avrei voluto rimanere a lungo e condividere quell’energia al femminile con chi quelle immagini le ha sentite con la stessa intensità…. per esempio una donna aborigena. Sono tante le leggende legate ad Ayers Rock, una di queste è che raccogliere e portare con se’ anche solo una piccola scheggia della sua roccia porti una grande sfortuna, tanto che chi lo ha fatto l’ha poi spedita indietro. Questo pensiero ha accompagnato ogni mio scatto sapendo che non avrei mai potuto cancellare quelle immagini.. e mi si sono drizzati i capelli quando ho visto Vanni uscire dal percorso segnato e addirittura fare pile con le pietre di questi luoghi sacri la’ dove non avrebbe dovuto nemmeno appoggiare un piede… Certo è che l’obiettivo impazzito che si è allungato all’esterno in un profondo zoom subito dopo aver oltrepassato il cartello del divieto di fotografare fa pensare….

18 febbraio 2015

KINGS CANYON

Lasciare Uluru e Kata Tjuta senza averli visti dall’alto avrebbe significato perdere una parte della loro magia, quindi dedichiamo ancora un po’ di tempo al volo in elicottero che ci mostra questa volta il miracolo della loro esistenza nel piatto desolato deserto dal quale emergono solitari ed imponenti sulla sabbia rossa che li accoglierà definitivamente tra qualche milione di anni. È già il primo pomeriggio quando deviando sulla Lasseter Hwy per raggiungere il Kings Canyon vediamo il profilo sfuocato del MONTE CONNER, un’ ampia bellissima mesa solitaria meno nota non perché meno interessante …. a questo punto manca solo il KINGS CANYON per chiudere il cerchio delle più belle formazioni rocciose del Northern Territory, quindi andiamo. Luritja Road corre parallela alla spettacolare catena montuosa George Gill Range, le cui falangi terminano come artigli che affossano nella terra del Watarrka National Park. La percorriamo facendo qualche sosta per ammirarne il profilo piatto come un basso tavolato mosso dalle propaggini che degradano verso la rigogliosa vegetazione sottostante … Poi arriviamo alla 232 del Kings Canyon Resort che essendo l’unico in zona si propone a prezzi folli … ma in camera ci sono una bottiglia di bianco frizzante ed una vasca idromassaggio con parete vetrata che valgono la spesa. Bollicine da tutte le parti accompagnano quindi il tramonto e la notte stellata. Meraviglioso!

19 febbraio 2015

ALICE SPRINGS

Gli elementi più suggestivi del Canyon sono le due pareti rocciose che si fronteggiano lisce e perfettamente verticali ed i toni caldi della roccia in luce che brilla sotto il sole di questa mattina. Avventurarcisi non è facile perché l’unica pista accessibile non si spinge a sufficienza dentro il canyon e le due più impegnative chiudono alle 9.00 del mattino per il caldo eccessivo, quindi alle 9.30 siamo già sulla Stuart Hwy in viaggio verso Alice Springs. Ne conosciamo ogni sfumatura da mesi, sappiamo quando, perché è stata realizzata ed il motivo della sua fama, e’ l’unica strada che collegando Adelaide nel Sud alla lontana Darwin nel Nord, costituisce la spina dorsale del continente ed i suoi 2.834 chilometri di asfalto ininterrotto rappresentano la via di comunicazione vitale per molti piccoli centri che si trovano lungo il suo percorso. L’avevamo immaginata larga e trafficata ma è una normale strada a due corsie, poco trafficata come quasi tutte le altre, ma l’Australia è bella anche per questo …. non smette mai di sorprendere. Il Chifley resort è oltre il fiume, così in secca da poterlo attraversare a piedi ed Alice Springs è dall’altra parte del ponte, silenziosa in questo tardo pomeriggio ancora caldo. Circondata da una catena montuosa Alice Springs sembra piccola perché non è complessivamente misurabile, la sua skyline bassa e piatta e la vegetazione alta dei viali e dei parchi la rendono pressoché invisibile. Per vederla quindi bisogna passeggiare tra i bassi edifici che non superano mai il primo piano, compresi quelli del piccolo centro città che attraverso per raggiungere il Rose Hair & Beauty Salon dove mi aspettano alle 19 per un piccolo restiling. È così che la vedo, semplice e rilassata come i gruppi di aborigeni che riposano stesi sull’erba del piccolo parco vicino al fiume sotto l’ombra fresca degli eucalipti …. perché no? lo hanno sempre fatto. Sono molti, circa un terzo dell’intera popolazione e sembrano esserci solo loro adesso a camminare per le strade un po’ spaesati ed insicuri del loro futuro. Abbassano lo sguardo o lo rivolgono altrove per la paura immagino di leggere il disappunto quando non il disprezzo in quello degli altri. Li hanno decimati massacrandoli fin dalla fine dell’ ‘800 ed hanno cercato con ogni mezzo di cancellare la loro antichissima cultura, dal 1933 al 1963 hanno rubato i loro figli di sangue misto per allevarli in orfanotrofi o all’interno di famiglie bianche e continuano a detestarli. Mi fanno una grande tenerezza.

20 febbraio 2015

ALICE SPRINGS

La stazione del telegrafo è l’edificio più antico, la prima pietra della città nonché la ragione della sua esistenza, l’oro invece fu quella della sua crescita, quindi ci rechiamo in pellegrinaggio. Non sembrava irraggiungibile a giudicare dalla mappa approssimativa della L.P, invece l’obiettivo sembra sempre più distante, ed il sole delle 13 sempre più cocente fa cedere Vanni che abbandona la missione, io invece bevo una coca cola gelata da Burgy e prendo il taxi. Le casette di pietra molto patinate sorgono su un bel prato alberato in cima ad un’ altura adiacente alla città, a circa quindici minuti in auto dal centro. Gli arredi sono quelli essenziali che arrivarono da Augusta a dorso d’ asino e la piccola stanza del telegrafo espone gli strumenti che utilizzati fin dal 1872 dimostrano tutto il loro tempo…. Li osservo con tutto il rispetto che si deve al Big Bang di Alice Springs. Rientrando attraverso il Todd Mall, la tranquilla via pedonale del centro, ombreggiata dagli alberi con pochi bar e molte gallerie d’arte che espongono opere realizzate esclusivamente da artisti aborigeni. È in una di queste, la Papunya Tula Artists Gallery, che mi innamoro di un 61×55 di Yakari Napaltjarri, un’anziana signora che dipinge utilizzando un linguaggio piuttosto maschile, mi dice la gentilissima giovane gallerista che la conosce e la adora. La tecnica e quella tradizionale dei punti di colore, il soggetto una serie di cerchi concentrici Rossi su campo bianco uniti da barrette dello stesso colore.. Nell’ancestrale tradizione aborigena rappresentano le pozze d’acqua collegate dai corsi d’acqua e dai percorsi creati dagli antenati, il soggetto è classico ma la realizzazione degna di una brava pittrice.

21 febbraio 2015

TENNANT CREEK

Lasciamo Alice Springs per inseguire il nostro prossimo obiettivo, la lontana Broome sulla costa nord occidentale, molti ne parlano come di una delle spiagge più belle del Western Australia, anzi la più bella e sarebbe imperdonabile non andare a verificare. Scartata l’ipotesi di percorrere la scorciatoia che da Alice raggiunge Halls Creek passando per Timouth, Yuendumu e Billiluna, scelta che avrebbe significato percorrere su un totale di 1.050, 900 km di strada non asfaltata e sabbiosa a partire da Timouth, per poi proseguire verso la costa sulla Great Northern Victoria Hwy per altri 685 km fino a Broome …. scegliendo dunque la comodità puntiamo per il momento a Nord verso Katherine, 1.213 km per poi deviare una volta raggiuntala sulla Great Northern Victoria Hwy fino a Broome percorrendone altri 1.576 … indipendentemente quindi dall’itinerario raggiungere quella bella spiaggia è piuttosto impegnativo ed è forse questo che fa di lei la più bella. Duemilasettecentoottantanove chilometri non sono molti rispetto ai circa diecimila già coperti nel continente, tantomeno se facendolo si attraversano territori che per la loro bellezza non annoiano, o che se anche non particolarmente belli incuriosiscono. Il Tropico del Capricorno è il primo caposaldo ad essere raggiunto e superato a Nord di Alice Springs. AILERON arriva poco dopo per un rifornimento di gasolio ed un sandwich toasted. È poco più di una stazione di servizio, ma è un attivo centro d’arte aborigena che si presenta con le due altissime sculture di metallo brunito visibili dalla strada, la figura femminile protegge un bambino difendendolo con un bastone da un varano mentre la figura maschile con lancia è in cima ad una massicciata di pietre rosse accanto al nome del paese scritto in bianco a grandi lettere. Di fronte al piazzale un anziano signore aborigeno con i capelli bianchi ha fermato la sua auto e senza chiudere lo sportello si è seduto sul prato all’ombra di un eucalipto… se non fosse per la paura che ho dei serpenti in questo paese che ospita gli animali più pericolosi del mondo proverei volentieri anch’io. Sulla strada alcuni Train Road lunghi 55 metri con tre semirimorchi sfrecciano accanto a noi mentre barre graduate sui cigli indicano nelle floodway l’altezza massima dell’acqua in caso di inondazioni durante le lunghe piogge monsoniche rendendo bene l’idea dell’immensità degli spazi e della potenza della natura. A Wycliff Well si avvistano UFO fin dalla II guerra mondiale, per questo la sua stazione di servizio che scegliamo spinti più dalla curiosità che dal bisogno è completamente coperta di murales e di sculture a tema. Il tutto crea una certa confusione, soprattutto quando entrando per pagare il rifornimento ti scappa un “vorrei due biglietti per il luna park”. Poi un pick-up bianco arriva a gran velocità e inchioda accanto ad un gruppetto di signore e bambini aborigeni, dall’interno esce la voce roca dell’uomo bianco che seduto al volante urla loro qualcosa, destreggiando l’auto come se fosse un cavallo imbizzarrito e rivolgendosi loro come fossero buoi da ricondurre al recinto … o meglio in riserva…. Il lungo viaggio di oggi verso TENNANT CREEK ci riserva un’altra sorpresa, i Devil Marbles, che dopo 390 km diventano l’ interessante pretesto per una passeggiata tra i giganteschi massi granitici tondeggianti in precario equilibrio l’uno sull’altro che svettano sulla piana circostante. Secondo la mitologia aborigena sono le uova del serpente arcobaleno, a me sembrano uova sode con patate… forse è il caso di fermarci a mangiare qualcosa! Arriviamo dopo 505 km al Goldfields Motel di Tennant, l’office è nella birreria comunicante che sta proponendo musica rock sparatissima ed i pochi clienti tutti belli rubicondi stanno fissando il monitor come ipnotizzati. In camera ci sono un paio di bellissime cavallette, fuori invece sono a centinaia… una delle sette piaghe d’Egitto sembra essersi riproposta qui a Tennant Creek. La strada principale della cittadina nata come stazione del telegrafo e poi cresciuta sull’onda della corsa all’oro è come molte altre, delimitata da bassi anonimi edifici ad un solo piano interrotti da un giardinetto con due panchine e poca vegetazione, i marciapiedi sporchi e niente che attragga l’attenzione tranne in questo caso la nuovissima stazione di polizia che per come appare potrebbe ospitare un piccolo museo di arte contemporanea. Altrettanto stravagante vista la tendenza proibizionista dello Stato è l’elevato numero di locali nei quali si vende alcol oltre ai due Bottle Shop piantonati da guardie armate che trascrivono i nomi degli aborigeni entrati a fare acquisti. Cena asiatica al Wok’s Up di fronte al motel.

22 febbraio 2015

DALY WATERS

La GoldXXX piccola e ghiacciata bevuta nel pub di DALY WATERS ha un sapore diverso, per questo dopo la chiusura della stazione del telegrafo tanti anni fa è rimasto solo il pub a Daly Waters e le quaranta persone che gli ruotano attorno. Per tenerlo in vita ne hanno fatto un luogo stravagante e con una bouganville color fucsia accanto alla tettoia che fa molto oasi con il caldo che fa e la polvere del piazzale. Chi passa lascia qualcosa, per questo l’interno e’ saturo di reggiseni appesi, mutande e banconote tra le quali ora c’è anche la nostra, graffettata sopra ad una mazzetta già impolverata, accanto al viso di Mao Tse Tung. Nonostante il kitch ed il caldo torrido ci abbandoniamo alla tranquilla rilassatezza di Daly che dopo la birretta sarebbe una violenza lasciare, quindi prendiamo possesso della nostra casetta prefabbricata con steccato cresciuta sull’erba del parco di fronte. Quando dopo il diluvio torniamo il pub è già pieno di gente arrivata chissà da dove.. Il tempo di mangiare un burger di Barramundi e una T-Bon accompagnati da un paio di GoldXXX e siamo di nuovo soli. Che strano e piacevole posto questo Daly Waters.

23 febbraio 2015

KATHERINE

L’ingresso nella fascia tropicale ha portato alcune novità visibili anche da noi che monitoriamo il territorio dalla strada, tra queste i fallici termitai di terra rossa che spuntano dall’erba alta e verdissima all’ombra di alberi a basso fusto oppure dal bordo strada appena oltre l’asfalto, costruiti dalle termiti più temerarie. Fanno compagnia ed incuriosiscono per l’originalità delle composizioni del modello base che consiste in una torretta appuntita di altezza variabile da più di un metro a pochi centimetri, molto simili per forma a quelle che facevamo facendo colare dalla punta delle dita la sabbia resa liquida dall’acqua del mare. Alcune composizioni sembrano castelli, altre le canne d’organo, le solitarie invece dei falli. Altra novità, le mucche hanno sostituito i canguri nei cartelli gialli che segnalano la possibilità di attraversamento, le vediamo anche a due passi dalla strada lontane dai recinti nei quali saranno radunate e caricate dopo essere state fatte passare tra le sbarre strette dei trampolini a mezz’aria…. Katherine segna l’importante crocevia tra la Stuart e la Victoria Hwy, e rappresenta la porta di accesso all’Oceano Indiano di Broome per tutta l’Australia del Nord. Arriviamo in città ancora in forma dopo soli 276 km da Daly Water e seguendo le indicazioni del navigatore anche se non necessario per districarsi tra queste quattro strade… in pochi minuti siamo al Beagle Motor Inn Motel che ha riservato per noi la camera 10. A Katherine inizia e termina il mio delirio “In Sequenza Al Femminile” scatenato dal ritrovamento da parte di Vanni di un paio di sandali dorati usurati e rotti. Il primo è stato gettato sul prato di una aiuola ed il secondo oltre la rete di un giardino a pochi metri di distanza. Finalmente ho trovato un altro soggetto per la prossima mostra fotografica. Inizio a scattare saltando da un sandalo all’altro, con la luce del pomeriggio e poi in missione anche la sera lungo la strada larga e deserta illuminata dai lampioni che non proiettano abbastanza luce. Flash si, flash no, esposimetro e diaframma completamente aperti, iso 1600′ poi 3200, bilanciamento del bianco… metto a frutto tutto il mio sapere per cercare di avere qualche foto che funzioni e porto in camera l’unico sandalo prendibile perché non mi venga sottratto. La mattina torniamo per avere una luce più favorevole, ricostruisco la scena ricollocando il soggetto e fotografo, questa volta addirittura pensando che quella coppia di sandali possano diventare l’unico soggetto di una mostra completamente dedicata… Una sorta di giallo del sandalo gettato e della donna che li indossava prima di lanciarli o che qualcuno li lanciasse…insomma un delirio al quale Vanni ha assistito con pazienza e con qualche risata.

24 febbraio 2015

TIMBER CREEK

Eccoci finalmente in viaggio lungo la Victoria Hwy che attraversa nel primo tratto uno dei più incantevoli paesaggi visti di recente, quello del JUDBARRA /GREGORY N.P. Il terreno corrugato in ondulati movimenti si raccorda in morbide vallate o forma colline coniche il tutto rivestito da un omogeneo tappeto verde brillante punteggiato da piccoli alberi più scuri. Le variazioni cromatiche sono determinate solo dalle macchie di luci ed ombre del cielo parzialmente nuvoloso. Una meraviglia alla quale segue quella della prospettiva sul Victoria River, il grande fiume color salmone le cui acque dovrebbero pullulare di coccodrilli.. Anche i termitai sembrano più belli nel loro nuovo look costituito da sfere di terra addossate le une alle altre a formare delle montagnole. Arriviamo infine a TIMBER CREEK dove occupiamo in due una camerata per quattro persone nel Victoria River Roadhouse. Siamo in un piccolo parco accanto ad un corso d’acqua in piena che rende la passeggiata per l’avvistamento di innocui coccodrilli impraticabile. Osserviamo invece il succedersi di un paio di temporali tipici seduti sotto la tettoia davanti alla camera in compagnia di un gruppo di rospi, l’umidità ora è alle stelle. Non c’è molto da fare qui a Timber Creek i cui pochi edifici ruotano attorno all’ hotel ed alla Roadhouse, ma c’è un pub dove qualcuno sta giocando a carambola su un vecchio biliardo e seleziona brani musicali a pagamento su un jukebox di nuova generazione. Entra un camionista, un signore acquista una birra e se ne va.


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