18 ottobre 2015

SUMBAWA BAJO – PRAYA

Lasciamo il Kencana Hotel frastornati dalle urla dei bambini in piscina, aver deciso di rimanere un giorno in più a Sumbawa Besar dopo il rientro dal villaggio di pescatori è stato forse un errore. Il mercato tipico nel centro città non vale la sosta ed il palazzo di legno del sultano decisamente bello all’esterno non è aperto il sabato. Ci congediamo dall’isola di Sumbawa con il piacere di chi ritiene di aver visto molto e di averne goduto appieno, per contro la conquista dell’isola di Lombok che seguirà ha il sapore di un tesoro da scoprire, l’ennesimo di questa labirintica catena di isole tra le quali è un peccato dover scegliere solo alcune delle complessive 17.000. Poto Tano è ad un’ora e mezza di strada – andando veloci – come dicono i locali, e Vanni che ora è spericolato alla guida quanto loro ha spaccato il secondo rischiando di salire sul ferry senza addirittura pagare il biglietto. Il mare mosso ha messo Pius in crisi esposto alla doccia fredda delle onde a prua – così non mi piace – ha continuato a ripetere tra sè. Vanni ha trascorso la navigazione in stiva a bordo di Asia protetto dal vento, io invece sono passata da prua a poppa e poi nella sala interna solo quando il concerto live di musica indonesiana a gran volume è terminato, per la prima volta ognuno di noi ha autogestito il suo tempo proprio nel breve tratto di mare che separa Sumbawa da Lombok. Il ferry pulito ed in ottime condizioni fin anche nelle latrine ha segnato il passaggio verso la zona più sviluppata del paese che da Lombok arriva a Bali e prosegue per Jawa e Jakarta. Ed eccoci a Lombok, attraversarla nei suoi 75 km sembra un gioco in realtà nonostante le ottime condizioni della strada le cittadine che attraversiamo rallentano il nostro procedere almeno quanto la ricerca dell’introvabile Oprius Hotel a Pryus per il quale anche chi non sapeva di cosa stavamo chiedendo si è prodigato a fornire indicazioni. Vanni nervoso, Pius che non scende per chiedere indicazioni costringendoci a procedere a tentoni, l’atmosfera in auto si fa sempre più tesa e sfocia in un rimprovero a Pius al quale non ho assistito ma del quale ho visto tracce negli occhi lucidi del nostro interprete. Raggiunto il culmine dello stress Vanni inizia ad impartire ordini tassativi anche se discutibili come quello di non portare i trolley in camera una volta conquistata la reception. Pensa che il taxi che ci porterà ai villaggi tradizionali impiegherà meno tempo ad arrivare che non il prendere possesso delle camere. Bloccati sulle poltroncine dell’ingresso con l’aranciata di benvenuto in mano attendiamo l’autista per almeno dieci minuti, quindi percorrendo la strada che porta a Kita ci fermiamo per osservare da lontano l’antica moschea di terra cruda e bambù coperta dal tetto di foglie e le poche case tradizionali rimaste, costruite con gli stessi materiali e precedute da due brevi scale centrali di tre alti gradini in terra battuta, la prima per salire nella veranda dove dorme il padrone di casa, la seconda per entrare nella camera di pertinenza della donna, con angolo cottura a terra corredato da bassi sostegni di terracotta sotto i quali mettere le braci ed una serie di scodelle accatastate anche sulla mensola profonda più in alto, verso il tetto la cui struttura di legno è in evidenza così come la paglia che ne costituisce il manto. Un tramezzo di bambù intrecciato come quello delle pareti crea un angolo protetto dove depositare i tesori di famiglia. All’esterno gli altri ripari accessori sono quelli nei quali vengono rinchiusi gli animali da latte e da macello. Alla visita segue il rituale dell’acquisto di souvenir dal quale usciamo con uno strano bottino, io con il pareo indossato dal signore che ci ha accompagnato, e Vanni con nove vecchie monete il cui utilizzo rimane avvolto nel mistero. Ancora qualche chilometro a Sud ci fermiamo e subito scappiamo da un secondo villaggio così tipico da essere diventato esclusivamente un grande mercato di souvenir. Infine possiamo finalmente portare i nostri bagagli in camera e cedere alla tentazione di un massaggio.

19 ottobre 2015

PRAYA – GILI ASAHAN

Partiamo presto certi di raggiungere in fretta Gili Asahan al largo della costa Sud occidentale di Lombok. L’idea di Vanni è quella di raggiungere Lembar percorrendo la via più breve, quella indicata dalla linea sottile sulla mappa stradale che escludendo Mataran punta direttamente sulla costa Sud occidentale dell’isola, un taglio in diagonale che ci farà risparmiare tempo e chilometri. E’ sull’equivoco provocato dal colore azzurro di quella linea che si sviluppa l’originale mattinata fatta di continue inversioni di marcia e domande ai passanti le cui risposte non convincono, tutti gli interpellati si ostinano ad indicare proprio la strada che non vogliamo percorrere, quella che raggiunge la costa in prossimità di Mataran. Peccato per la signora incappucciata che disposta suo malgrado ad aiutarci in cambio di un passaggio viene per lo stesso motivo scaricata poco dopo ed in malo modo. Solo molto tempo dopo, quando all’ombra di un grande albero Vanni ci mostra la mappa ci rendiamo conto di aver trascorso le ultime quattro ore inseguendo non una strada ma un corso d’acqua ed usciti finalmente dal delirio percorriamo in meritato relax gli ultimi chilometri lungo la bella articolata litoranea che traguarda infine il piccolo centro abitato di Pelagan. Il Pearl Beach Resort si trova a pochi minuti di navigazione dalla costa, lo raggiungiamo a bordo della piccola barca a due bilancieri che si arena in breve sulla spiaggia dell’isola Asahan la cui sabbia non è bianca come il mare non è turchese ma di un color alga che vira al marroncino. Ma c’è Peter ad accoglierci con il suo bel sorriso e la cordialità che conquista, ci accompagna alla camera e ce ne illustra le performance come per convincerci di avere fatto un affare, poi a raffica ci informa degli orari e dei servizi disponibili quindi si congeda lasciandoci al nostro primo snorkeling nell’acqua torbida. Eppure osservare in lontananza la moschea oltre il mare sulle note del canto del muezzin, godere della brezza delicata mentre stesi sulla grande amaca in veranda gustiamo il vino balinese accompagnato dal frigolio del lucertolone aggrappato alla trave di legno del tetto, vedere infine la luce spegnersi sul mare le cui sfumature perlacee ne nascondono le pecche, dopo la cena rischiarata dalla luce della candela nel giandino del resort, ritrovato il giusto equilibrio ci rendiamo conto che questo luogo anche se decisamente lontano dalle nostre aspettative ci ha conquistati.

21 – 22 ottobre 2015

GILI ASAHAN – PELANGAN – MATARAN

Il ricordo dell’indimenticabile snork nel Parco Marino di Palau Moyo è rimbalzato per contrasto dopo le prime bracciate nell’acqua leggermente torbida attorno all’isolotto al largo di Gili Asahan. Sono arrivata a bordo della barca scoppiettante in compagnia di un paio di ragazzi dai quali mi sono allontanata spinta dalla curiosità che porta lontano e fa perdere le proprie tracce. Sto cercando la magia del mondo marino, quella che conquista anche se appannata come oggi da una sottile patina lattiginosa, la magia che sempre mi fa sorridere di piacere. Eccola in una cascata di coralli bianchi che scendono aprendosi in un ventaglio di piccole balze, in quelli verde acceso, i viola, ma il serpente dove sarà? L’avvistamento di qualche giorno fa mi ci fa pensare e la scarsa visibilità non incoraggia, poi mi fermo incantata di fronte ad una incomprensibile creatura che avvolge in parte un corallo a palla. I colori rosso, bianco e nero sono quelli dell’anemone Fish, ma la massa non sembra avere capo né coda. Poi intravedo un salsicciotto e fuggo … Scampato il pericolo mi aspetta la costola incrinata, schiacciata sul bordo della barca senza scaletta. E’ il già domani quando ritroviamo Pius là dove lo avevamo lasciato un paio di giorni fa al Bola Bola, l’hotel sulla spiaggia di Pelangan. Ci viene incontro con un bel sorriso, forse gli siamo mancati … mostra subito a Vanni la superficie lustra di Asia, ma ha svolto sommariamente il compito più importante e Vanni si innervosisce poco dopo aver messo piede nella reception dell’hotel. I traghetti per Bali non partono ogni ora come sostiene ma ogni novantacinque minuti e quelli che trasportano automezzi arrivano a Padangbay, un piccolo centro abitato lontano dall’obiettivo che ci eravamo proposti di raggiungere domani. Il programma viene così di nuovo cambiato e abbandonata l’idea di una visitina alla famosa nonché estremamente sfruttata dal turismo Gili Air, ripieghiamo per consolazione sulla snobbata Mataran per una visita in giornata ai due templi Hinduista e Buddhista che fanno di questa una città attraente. Comodamente seduti sul sedile posteriore dell’auto del boss del Bola Bola godiamo delle inquadrature sulla costa sinuosa, sulle colorate canoe a due bilancieri adagiate nella spiaggia, sulle isole ed i particolari capanni da pesca di bambù posizionati nelle acque basse della baia come piccole piattaforme ecosostenibili. Infine eccoci a Mataran, nei pressi dei suoi due bei templi e delle tre strepitose pagode che diffondendo una bella energia riscattano la città dal profilo altrimenti anonimo e distraggono dal caos oltre il muro di cinta che delimita il cortile. Le pagode sono ancora allestite con rasi bianchi e gialli, ombrellini e paramenti, le tracce di un rituale condiviso del quale rimangono le offerte in parte raccolte nei vasi di vetro ed in ciotole di alluminio. Riso, scopette di erba verde ed acqua sacra nella quale Pius immerge la mano in omaggio ad un Dio che non è il suo. Il piacere culmina in uscita dal grande centro monumentale, al termine della breve passeggiata accanto alla vasca d’acqua del Palazzo del Sultano, più precisamente di fronte alla bancarella dove ci fermiamo per l’assaggio del Cendol, la squisita bevanda indonesiana preparata con diversi ingredienti mixati con precisione dalla signora che la sta componendo, sono il latte di cocco fresco, cubetti di gelatina di frutta, frutti della palma simili ai Lychees e fettine di polpa di cocco. Beviamo direttamente dal sacchetto di plastica trasparente nel quale l’intruglio è stato preparato, e poi a “casa”.


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