19 Canada


27 Luglio 2007

BELFIELD – REGINA ( Saskatchewan – Canada )

I chilometri che riporto sono sempre gli stessi non perché lo siano effettivamente, ma perché Vanni è così pigro da non voler controllare sulla mappa stradale….ripartiamo quindi dal fortino e ci spingiamo ancora verso nord, verso il confine con il Canada. Ci accompagnano anche oggi gli stessi immensi paesaggi di ieri, dove lo spazio senza limiti suggerisce l’infinito, huge, come li chiamerebbe Alan…Al confine ci accoglie la durezza di un ufficiale canadese quasi scortese e poi la monotona pianura del Canada del sud così monotona e sempre uguale a se stessa da annoiarci…ma dobbiamo raggiungere Regina, prima sosta tecnica del nostro viaggio oltre confine. Anche Regina , come il paesaggio che la circonda è senza stile e sciatta, nonostante sia il capoluogo della provincia di Saskatchewan . Comunque dobbiamo uscire per due passi in centro alla ricerca di un paio di scarpe per Vanni che ha finalmente cestinato le sue due paia vecchie e spera di trovare qui un paio di church. Dopo una ricerca veloce in internet ed una consultazione presso il ragazzo alla reception, capiamo che sarà impossibile trovare scarpe inglesi qui a Regina, ma che troveremo altro al centro commerciale che qui come da modello americano raccoglie più di 80 negozi. La ricerca non è lunga, da Aldo troviamo un paio di mocassini che andranno benissimo per il viaggio ed a soli 90 CD$! La serata si conclude in hotel…inutile cercare un po’ di svago in questa città di provincia…nemmeno un po’ di musica dal vivo ci comunica quasi imbarazzato il cameriere del ristorante.

28 Luglio 2007

REGINA – MEDICINE HAT ( Alberta )

Un’altra sosta tecnica verso Calgari che ormai vediamo come un miraggio. Ci circondano ancora pianure anonime e c’è un caldo soffocante con Carolina che ci concede l’uso dell’aria condizionata solo a tratti. Insomma un viaggio tosto che mi fa venir voglia di rimettermi un po’ in sesto facendo lunghe passeggiate e sostando per almeno un paio di giorni in un qualche posto un minimo meritevole…il mio sederone, in aumento costante per via delle vitamine che in USA vengono addizionate in qualsiasi alimento o bibita, sta diventando cubico a forza di stare seduta in macchina!

29/30 Luglio 2007

MEDICINE HAT – CALGARI ( Alberta )

Calgari non valeva più di un giorno di sosta e nulla più le abbiamo concesso. Cresciuta sulla scia delle compagnie petrolifere proliferate qui negli anni 70 in seguito alla scoperta di ingenti quantitativi di petrolio, ha grattacieli piuttosto anonimi ed una skyline non particolarmente d’effetto. Una caratteristica di Calgari che ci ha colpiti è la quantità spaventosa di corridoi coperti in quota che collegano i primi piani dei vari grattacieli del centro. Praticamente si può entrando in uno degli edifici collegati girare tutto il centro di Calgari senza mai uscire allo scoperto…non deve essere male d’inverno con il freddo che farà qui, sbrigare tutte le proprie commissioni tra cui shopping, banca, assicurazione, parrucchiere, dentista….senza mai dover indossare il cappotto né mai aprire l’ombrello!..E’ domenica quando arriviamo e siamo così fortunati da capitare nel bel mezzo del festival folk che si svolge ogni anno a fine luglio nel parco che occupa l’isola cittadina sul Bow river. Certo questo fiume per loro è un po’ come il mare per noi…sono tanti infatti i canadesi in costume da bagno che, comodamente seduti sui loro gommoni, si lasciano trascinare dalla corrente del fiume in questa calda domenica di fine luglio. Noi ci limitiamo ad una lunga passeggiata tra le strade del centro con puntatina al parco ad ascoltare i vari cantanti che si esibiscono dai loro palchi. Leggo tra l’altro sulla guida che il festival ha ospitato in passato cantanti del calibro di David Birne ….insomma si tratta proprio di un evento con i fiocchi! A tratti le melodie si mescolano ed una voce particolarmente amplificata prevale sull’altra, ma è piacevole passeggiare tra i sentieri respirando il clima gioioso e rilassato alla Woodstock che proviene dai prati affollati di persone seminude. La sera tentiamo un ristorante libanese nei pressi del parco ed è un grande regalo che ci facciamo… risentire i sapori del mediterraneo ed assaggiare la crema di ceci che mi ha sempre fatto impazzire ci ha come rispediti a casa, anche se solo per un attimo. Concludiamo con un narghilé e con Carolina che proprio non ne vuol sapere di mettersi in moto. Impossibile chiamare un taxi…la segreteria telefonica è sempre attiva…Per fortuna il cameriere siriano si offre di accompagnarci con la sua auto alla chiusura del locale…poco dopo Vanni pronuncia la sua prognosi…le batterie sono da sostituire! Il lunedì mattina Vanni esce piuttosto presto, io nel dormiveglia me ne accorgo appena, ultimamente dormo come un ghiro. Esco poi a comprare un nuovo hard disk per l’ archiviazione delle foto….la nuova macchina fotografica sforna files talmente pesanti da necessitare di un nuovo potentissimo archivio…i 500 GB che ho preso saranno senz’altro sufficienti fino alla prossima macchina fotografica! E’ incredibile quanto sia veloce la rottamazione nell’ambito informatico…se cambi macchina fotografica devi poi cambiare computer ed hard disk esterni…non so ancora come farò a copiare le foto nei dvd …100 foto alla volta? Potrebbe essere una soluzione!
Passeggiando per le strade del centro noto con una certa soddisfazione che il numero di persone obese è un po’ diminuito qui rispetto agli stati uniti….per fortuna! Il pericolo, quando si è circondati da obesi e per di più si è anche golosi ….è che si finisce col considerare normale la comparsa di rotolini che invece andrebbero immediatamente eliminati….l’alibi è attorno a te, basta guardarsi un po’ attorno per sentirsi comunque magrissimi!
Quando rientro alle quattro del pomeriggio Vanni è da poco in camera, basta un mio accenno e subito mi racconta tutte le sue avventure con Carolina….mezzo di soccorso, officina, magazziniere cinese dai capelli variopinti….che poi non venga a raccontarmi che non sa l’inglese…non ci credo più!

31 Luglio 2007

CALGARI – JASPER ( Alberta )

Un nuovo bagaglio si è aggiunto…e che bagaglio! la scatola dell’hard disk esterno è l’equivalente di un cartone da 6 bottiglie di birra! Stiamo assomigliando sempre più a quei viaggiatori che non abbiamo mai sopportato, quelli che si muovono impacciati perché sopraffatti dai loro bagagli. Comunque in qualche modo carichiamo i bagagli e lasciamo Calgari che senza infamia né lode ha fatto da sfondo per un paio di giorni al nostro lungo viaggio verso il circolo polare artico. Viaggio che assomiglia sempre più ad una sfida verso il raggiungimento dell’ obiettivo, piuttosto che un viaggio di piacere….salendo infatti le belle città da visitare e dove sostare sono sempre più rarefatte, mentre i bellissimi paesaggi gratificano solo l’occhio e niente più, vista la nostra totale avversione per il trecking. Insomma trascorriamo le nostre giornate a bordo di Carolina osservando paesaggi incantevoli, ma senza mai fare una bella passeggiata!…anche perché i chilometri da percorrere sono tanti e quando ci troviamo all’interno di un parco che vedrei volentieri con calma, abbiamo sempre il problema di arrivare in tempo per una camera libera nei pochi e sovraffollati hotel al suo interno. Così anche oggi come sempre entriamo nel bellissimo Banff National Park, ne percorriamo la 93 HW che si spinge sulle montagne rocciose tra laghi dalle acque turchesi e rocce e boschi meravigliosi, vediamo tre orsi di cui due grizzly ed un orso bruno ed i bellissimi elk ( cervi) mentre pascolano vicini alla strada, ma nemmeno una passeggiata….tra non molto mi verranno le piaghe da decubito! Dicevo il Banff è un bellissimo parco popolato da una grande colonia di orsi che dominano sovrani questi territori da favola. Il primo avvistamento l’ho fatto io mentre osservavo oltre il bordo della strada alla mia destra, vedo un ammasso peloso e chiedo a Vanni di fermarsi. Immediatamente fa un’inversione ed eccolo il pelosone, è un cucciolo di grizzly non molto grande che nel frattempo si è spostato verso il bosco in cerca di bacche, ma per fortuna è ancora ben visibile…scendo incurante del pericolo mentre Vanni mi scoraggia dal farlo…intanto si fermano altre macchine. Sono così emozionata che mi un leggero tremore mi sfiora le mani mentre scatto le foto di rito da far vedere agli amici…certo non si direbbe un animale aggressivo …è così pacioccone e così lento nei movimenti …ricorda molto un enorme peluche. E’ bellissimo e sarei tentata di avvicinarmi ma so che questo è proprio ciò che non bisogna mai fare. All’ingresso dei parchi viene di solito distribuito un giornale con tanto di illustrazioni degli scorci più spettacolari e a parte, le norme di comportamento da tenere al loro interno. Una delle cose che salta sempre all’occhio sfogliandolo è l’articoletto che dà consigli su cosa fare quando si è presi di mira da un orso….stendersi a terra e raggomitolarsi in posizione fetale, oppure fare il maggior rumore possibile con ciò che si ha a disposizione…coperchi di tegame ecc.. Siccome non vorrei mai trovarmi in un corpo a corpo con un orso dopo aver gratificata la mia curiosità rientro in macchina e passiamo oltre, il cucciolo nel frattempo ha preferito la direzione opposta e si è dileguato. Un gruppo di macchine ferme al bordo della strada ci fa capire che un altro animale è stato avvistato…ci fermiamo anche noi naturalmente, scendiamo curiosi e guardando nella direzione di tutti gli altri occhi curiosi vediamo in lontananza un grande orso bruno che guarda caso sta gustando le sue bacche….non per nulla sono così grassi gli orsi, mangiano sempre! Tra un laghetto e l’altro arriviamo al nostro terzo avvistamento, è un grizzly adulto visibilissimo, in alto su una collinetta vicina al ciglio della strada…il suo pelo fulvo brilla sotto i raggi del sole che lo colpiscono…si accorge di noi e ci guarda per un attimo immobile…poi continua imperterrito a mangiare. Che meraviglia questi orsi! Proseguiamo lungo la strada che sinuosa sfiora le acque azzurre dei laghi e quella invece lattiginosa dei ruscelli che scorrono verso valle tra isolette di abeti che sembrano galleggiarvi sopra. Sopra di noi le rocce lasciano presto il posto agli immensi ghiacciai che a tratti scivolano come panna montata verso valle. Il cielo è azzurrissimo…siamo in paradiso! Cervi dalle corna enormi, poi alcuni coyote e daini, quindi ci fermiamo per una necessaria passeggiata alla Athabasca fall, una cascata d’acqua lungo il corso del fiume che scorre nella vallata e del quale non ricordo il nome…le acque cadono dentro un canalone di falesie erose che nei secoli si sono adattate ad accoglierne le spinte con anfratti e grotte. Percorriamo camminando il letto abbandonato di quello stesso corso d’acqua che ad un certo punto ha deciso di cambiare sede per la sua cascata.. Mentre scendavamo gli scalini la paura che quello stesso fiume potesse di nuovo cambiare idea e riversarsi nel suo antico e profondo alveo non mi ha mai abbandonata! Troviamo miracolosamente una camera in un hotel di Jasper, un bel paesino di montagna che potrebbe essere paragonato forse a Corvara, con tanto di impianti sciistici che funzionano a pieno ritmo nei freddi inverni canadesi. La camera è molto confortevole, tutta rivestita con boiserie di legno, una bella e soffice moquette al pavimento ed arredi in linea con il resto. Stiamo benissimo qui, quindi decidiamo per una cena nel ristorante dell’hotel…certo i dolci non li sanno proprio fare da queste parti!

01 Agosto 2007

JASPER – MANNING ( Alberta )

Ripartiamo sotto un bel sole di metà mattina, dopo aver gettato i rifiuti sparsi su Carolina nell’apposito bidone antiorso. Una delle caratteristiche delle aree popolate dagli orsi sono i porta rifiuti, rigorosamente di metallo e chiusi da una lastra di metallo inclinata in modo che rimanga sempre chiusa…si sa che sono dei golosoni e tra le cose lette su di loro ce n’è una che riguarda proprio il loro approccio con il nostro cibo che una volta assaggiato li renderebbe aggressivi….-un orso che mangia cibo per umani è un orso da uccidere- recitano gli slogan! Quindi per evitare lo sterminio i cassonetti sono stati resi inespugnabili. ….cosa non farebbero pur di addentare una fetta di torta! L’obiettivo che ci siamo posti per oggi è di avvicinarci il più possibile a Yellowknife, una cittadina oltre il 60° parallelo N che si affaccia sul Great Slave lake, una delle città più a nord del Canada. Perché proprio Yellowknife, così sperduta nei territori del nord e che non rientra tra le mete turistiche classiche? Perché muoio dalla voglia di vedere le ampie distese bianche del nord…anche se so già che non le troveremo nemmeno qui in questa stagione! Ma inseguire i propri sogni è un dovere, anche se rimarranno tali, e poi chissà…forse Yellowknife ci piacerà comunque, anche senza ghiaccio. Lungo la strada che ci porta verso nord i boschi di abeti lasciano presto il posto a fitti boschi di betulle dai caratteristici tronchi bianchi, un bel cielo azzurro con piccole nuvole bianche che sembrano dipinte da Manritte ci accompagna per tutto il viaggio. Ci fermiamo a Menning per la notte, un paesino di poche case e 3 motel nel quale non ci si fermerebbe mai se non per bisogno…certo il sole che ancora vediamo alto dalla finestra non è un grande stimolo per il sonno…ma abbiamo le strategiche mascherine che questa notte senz’altro ci aiuteranno. Inutile cercare altro…ammesso che ci sia altro…ceneremo qui nel Motor motel Inn che almeno è comodo…ma durante la cena si solleva una gran discussione con Vanni che sostiene che non è vero che non ci fermiamo mai da nessuna parte….- a Calgari – dice lui – siamo stati tre giorni! Domenica, lunedì e martedì – Replico che arrivare in una città la domenica pomeriggio e ripartire il martedì mattina significa essersi fermati solo un giorno e mezzo e non tre!…ma lui rimane convinto del contrario…non ce la posso fare…

02 Agosto 2007

MANNING – HAY RIVER ( Northwest Territories )

Vanni è sempre più attivo la mattina…un minuto dopo aver appoggiato sul comodino la mia tazza di tè ha già la valigia in mano e mentre mi ripete di fare con calma si avvia verso la porta dicendo che intanto và caricare il suo trolly! Questa mattina non finisco nemmeno il tè, mi precipito sotto la doccia e via, si riparte. Prima di lasciare Manning ci fermiamo in farmacia a rifornirci dei vari repellenti per zanzare suggeriti dalla guida e poi una sosta alla stazione di servizio per un pieno di diesel, i servizi inizieranno a diradarsi almeno quanto i paesi che incontreremo, quindi ogni volta che ne avvisteremo una sarà necessario rifornirci. Il solito bel cielo azzurro ci accompagna nel primo tratto di strada, mentre costeggiamo i tanti laghetti dalle acque scure punteggiati delle tane dei castori che qui non avendo la necessità di costruire dighe creano tane circolari fatte di tronchi collocate al centro del lago. Ma sono così tanti questi specchi d’acqua che sembra quasi di attraversare una palude! Ed effettivamente la vegetazione valliva caratterizza molti degli specchi d’acqua che vediamo comprese le bellissime canne coronate dai loro fiori a cilindro scuri, o quelle piante acquatiche che ricoprono la superficie con quella che sembra una patina verde chiaro. Boschetti di betulle ed abeti segnano i bordi degli specchi d’acqua in un mix accattivante…inizia proprio a piacerci questo Canada! Vanni avvista un grosso porcospino sul bordo della strada ed un gran numero di topolini scuri, poi incrociamo il grande cartello che indica il 60° parallelo…anche questa è fatta! Scendiamo per le foto di rito…ma dobbiamo aspettare il nostro turno, una famiglia numerosa ha invaso l’area e sta scattando foto a non finire …noi ce la caviamo con tre scatti, poi ripartiamo verso le bellissime Alexandra falls sull’ Hay river. Con un comodo accesso dalla Mackenzie highway che stiamo percorrendo, le cascate che vediamo sono davvero bellissime e la grande massa di acqua marrone che precipita per i 33 metri del salto crea una fitta nuvola di goccioline in salita che ne sottolinea la potenza….ma com’è suggestiva questa acqua così scura…e che boato tutto intorno. Al parcheggio un signore dagli inconfondibili lineamenti inuit ci ferma per chiederci se Carolina è nostra e per complimentarsi…questo modello sta piacendo molto qui in Canada…anche al Banff un signore si era fermato dicendoci – nice car!- Una bella soddisfazione soprattutto per Vanni che se la cura come un gioiellino…insomma scopriamo che Carolina ha degli ammiratori! Lo stesso signore del parcheggio ci dice che domani a Fort Providence inizia il “Mackenzie Days”, una festa che richiama i nativi per un weekend di baldoria con musica dal vivo, gare sportive ed altro ancora…non possiamo mancare! Alle 4 siamo già ad Hay River una cittadina sul Great Slave lake che viene dipinta dalla guida come squallida e sporca e nella quale viene sconsigliato di sostare…ma abbiamo un progetto che rende necessaria la sosta! Siccome le giornate in auto servono anche per leggere la guida e studiare il percorso da fare sulla cartina, ci è venuta la voglia di arrivare alla lontana città di Inuvik via fiume anziché via terra…ci risparmieremmo così una bella quantità di chilometri e ci piace l’idea di viaggiare con Carolina sul lunghissimo Mackenzie River che collega il lago dove siamo al Beaufort sea, praticamente a 100 km dalla calotta artica….che sogno…dobbiamo cercare di realizzarlo! Così una volta arrivati in paese ed occupata la camera nell’unico hotel decente di Hay River , il Ptarmigan Inn, ci precipitiamo negli uffici della NTCL per informarci….ma….sfortuna nera….non è consentito il trasporto di passeggeri sulle chiatte che trasferiscono merci ed auto, e per noi non ha senso spedire solo Carolina. Si giustificano dicendo che la scarsa richiesta di trasporto passeggeri non è sufficiente per giustificare il servizio…e così ci liquidano con un – provate a chiedere a Yellowknife – cosa che faremo senz’altro. Continuiamo a girovagare per il paese in cerca del lago che non abbiamo ancora visto…e pensare che è grandissimo…Hay River ha scelto di starne alla larga, ed il centro ne è davvero lontano, ma andiamo e lo intravediamo dalla sterrata che lo costeggia a distanza, siamo nel quartiere dei pescatori ed i cartelli di vendita di pesce fresco compaiono su tutte le case di legno un po’ scrostato. L’acqua è scura come quella del fiume che avevamo visto esplodere in una cascata fragorosa…sulla stretta spiaggia di sabbia scura sono disseminati molti tronchi arenatisi chissà quando…più selvaggio di così il paesaggio non potrebbe essere! Arriviamo fino al porticciolo dei pescatori che vediamo ancora lavorare sui loro pescherecci. Chiediamo anche a loro…ma inutilmente, la barca che uno di loro ci ha suggerito non c’è….e chissà se lui ha capito cosa gli stavamo chiedendo. Rientriamo per una cenetta in hotel…sponsorizzata con un bonus di 20 $ dalla reception. Ma che gentilezza! La cena squisita ed anche la musica di sottofondo che discretamente l’accompagna ci risollevano della delusione di qualche ora fa. Non vogliamo più pensarci…così facciamo prenotare dal simpatico nativo della reception la camera a Fort Providence.

03 Agosto 2007

HAY RIVER – FORT PROVIDENCE

Quando arriviamo a Fort Providence l’unico segnale di festa è il cartello che in alto sulla strada inneggia il “ Mackenzie days”…ma poco altro fa seguito. Aggirandoci tra le strade sterrate del paesino che conta 750 anime vediamo solo le poche tracce di qualcosa che è terminato e pochissime persone. Un po’ basiti andiamo a prendere possesso della camera dell’unico hotel, il Snowshoe Inn, e chiediamo alla signora che cortesemente ci accoglie quando inizierà la festa…ci fornisce una brochure di due fogli che elenca alcuni eventi che si svolgeranno nel corso della giornata di oggi e nei prossimi due giorni …eppure l’aria di festa non si percepisce proprio ed anche i 750 abitanti che ci chiediamo dove siano finiti… almeno loro dovrebbero esserci . L’unico evento che vedremo oggi sarà una competizione, l’ hand game tournament che si svolgerà di fronte alla chiesa a partire dalle 5 pm…poi la discoteca nel centro di fronte all’hotel. Un magro bottino per noi che ci aspettavamo una festa a sfondo etnico un po’ come le nostre vivaci sagre paesane italiane. Invece questi nativi sembrano essere piuttosto tranquilli e soprattutto ci appaiono dimentichi della cultura antichissima cui appartengono….le poche bancarelle sono piene di vestiti usati in vendita, o cd e creme e scarpe usate….almeno il Vintage ha attecchito, pensiamo. Alle 17 arriviamo puntuali all’appuntamento davanti alla chiesa, gli indio iniziano a raggrupparsi attorno a due contenitori di ferro dove arde il fuoco…Dentro il piccolo padiglione fatto di legni e ricoperto con un telone blu due tribune aspettano che gli spettatori si siedano…ma i nativi non hanno fretta, noi invece ci accomodiamo…non possiamo perderci l’unico spettacolo che vedremo! Dopo una mezzora le tribune sono affollate e due gruppi di indio che si fronteggiano seduti sulle ginocchia iniziano il loro gioco mentre altri dietro di loro percuotono i tamburi. L’atmosfera si fa caliente sulle note di questo ritmo tribale che avvolge tutto quanto…il gioco è una sorta di morra cinese ma con l’uso di sassolini e monete, il gruppo sfidante deve indovinare in quale mano è il sasso. La bellezza di questo che man mano diventa un vero e proprio spettacolo è nella gestualità dei partecipanti che nascondono le mani sotto un tessuto che muovono come fosse un dragone cinese oppure a scatti sopra le loro teste e gli urli che accompagnano il rollare dei tamburi….Ci divertiamo molto, anche solo ad osservare i loro visi dai lineamenti così nuovi per noi…che fanno da cornice alle loro bocche spesso sdentate. Alcuni indossano giubbotti tradizionali ricamati a motivi floreali, altri hanno i capelli lunghi raccolti in un codino…noi due siamo gli unici turisti presenti. Una volta usciti ci godiamo il silenzio che pervade il paese ed il lungofiume che percorriamo a piedi verso l’hotel, il cielo azzurro è punteggiato delle bellissime nuvole magrittiane, mentre il fiume scorre tranquillo nel suo largo alveo, attorno alle isole piene di abeti….che sorpresa la piacevolezza di questo Fort Providence, certo arrivando questa mattina l’impressione era stata ben diversa. Certo i ritmi di questi paesini sono ben diversi dai nostri ormai consolidati e così arriviamo troppo tardi all’unica tavola calda del paese, sono le 8.30! Ci salva la cortesia della proprietaria che impietosita ci confeziona due sandwich con il roastbeef che andiamo a consumare nella sala adiacente affollata di nativi già ubriachi di birra. Uno di loro non molla Vanni e gli si siede accanto senza dire una parola ma guardandolo fisso con i suoi occhi buoni e vivaci…molesto ma simpatico!

04 Agosto 2007

FORT PROVIDENCE – YELLOWKNIFE

Stanno ancora giocando al loro hand game tournament questi simpatici nativi quando a metà mattina lasciamo Fort Providence … Verso Yellowknife, in prossimità del Bison Sanctuary, ci si presenta l’ormai consueto spettacolo dei bisonti mentre pascolano le erbette fresche nella fascia tra il bosco e la carreggiata….non alzano mai la testa per guardare…devono essere davvero affamati questi grandi animali, che nei mesi invernali devono avere un qualche problemino a reperire cibo per i loro stomaci.. Attorno a noi la foresta boreale si estende a perdita d’occhio con i suoi alberi alti e stretti che sembrano abeti rattrappiti per il clima durissimo dei mesi invernali quando per due mesi rimangono esposti a temperature che variano tra i -30° ed i – 40°C e per di più privi dell’elemento vitale…il sole. Ancora laghi e stagni di ogni dimensione e forma, il bel tempo ed il caldo che ci accompagna anche oggi nel nostro viaggio verso nord, la sperduta Yellowknife ci attende. Arriviamo al confortevole hotel Explorer abbastanza presto per concederci un bel giro in questa inaspettatamente bellissima cittadina. Mentre la esploriamo ci rendiamo conto della sua particolare conformazione che effettivamente ricorda la forma del coltello, la old town infatti occupa la punta di una stretta penisola che si protende verso il Great Slave lake e che quindi suggerisce la forma del manico, un ponte poi la collega alla piccola isola allungata, la lama del coltello. Siamo ancora sullo stesso lago degli schiavi di Hay River….ma qualche centinaio di chilometri più a Nord…e con un approccio completamente diverso nei confronti delle sue acque scure ….infatti mentre Hay River sembrava negare la presenza del lago se non a scopi squisitamente commerciali, qui le sue acque sono amate, vissute, e persino abitate. Una serie di coloratissime case galleggianti ne vivacizzano la superficie plumbea, idrovolanti atterrano e decollano mentre barche a vela ed a motore ne solcano le acque sullo sfondo di una serie di isolette coperte di vegetazione. L’impatto è di una vivacità autentica e necessaria, quasi ostentata, ma l’effetto è di una gradevolezza squisita…insomma questa cittadina ci piace da morire. Ci spingiamo camminando fino alla punta dell’isola abitata, dove la vegetazione rigogliosa di muschi ed alberi lascia presto il posto alle rocce dalle superfici lisce e stondate che si immergono basse poco più avanti. I colori del sottobosco variano dall’arancione dei licheni e delle bacche, al marrone delle piccolissime pigne cadute, alle varie sfumature dei verdi dei muschi e di altre innumerevoli piantine, dimenticavo l’argento dei legni secchi che in perfetto disordine vediamo qua e là. Scatto qualche fotografia e mentre cerco le inquadrature trovo sul display tanti quadri astratti, uno più interessante dell’altro…che meraviglie ci regala la natura! Alcune delle case che vediamo nella old town si arrampicano sulla roccia che ne occupa tutta la parte centrale, sono di legno nelle sue tonalità naturali o colorate ed una mi colpisce particolarmente per la sua volumetria scatolare che sembra scivolare giù lungo il piano scosceso sul quale sembra solo appoggiata. Un vero capolavoro di architettura!….a giudicare da questa ed altre che vediamo pare proprio che Yellowknife sia piuttosto ricca ed i suoi abitanti sensibili alle nuove tendenze architettoniche. Una serie di scalini che sembra infinita ci porta in cima allo sperone roccioso della penisola dal quale ci si apre a 360° un incantevole paesaggio dominato dall’acqua e dalle tante isole grandi o piccolissime che ne punteggiano la superficie…un piccolo paradiso immobile sotto di noi illuminato dalla luce ancora forte del tardo pomeriggio. Ceniamo al Bullock’s Bistro, un vecchio capanno di pescatori molto frequentato dalla gente del posto, dove un ragazzo si muove come speedy gonzales tra il frigorifero ed i fornelli per far fronte alle richieste dei numerosi clienti….si mangia solo pesce fresco qui, e così ordiniamo un Arctic Char ed un salmone che ci vengono consegnati , squisiti, dopo un’ora…giusto il tempo per una bella litigata mentre sorseggiamo le nostre birre Yukon Gold . Il problema è sempre lo stesso, Vanni non ha mai voglia di fermarsi da nessuna parte, io vorrei avere il tempo di assaporare questi luoghi e viaggiare con più tranquillità a ritmi meno serrati…. Lui non sente l’esigenza di fermarsi qui un altro giorno e se anche ci fermeremo dovrò andare da sola a fare il mio giro in barca sul lago…sai che meraviglia!….

05 Agosto 2007

YELLOWKNIFE – FORT LIARD

Decido di non fermarmi, oggi è domenica e leggo sulla guida che le poche agenzie che si occupano di escursioni sul lago sono chiuse…ancora incazzata saluto il direttore dell’hotel, uno svizzero del CTI che incuriosito dalla targa italiana ha voluto salutarci, e si riparte. Questo viaggio ci regala il piacere dell’avvistamento di due orsi bruni, un adulto che sta nuotando nella piccola pozza d’acqua ed un piccolo che attraversa correndo la strada. Seguono poi 400 km di strada sterrata bagnata a tratti per via dei temporali, ma in buone condizioni. Arriviamo alle 8.30 stremati a Fort Liard, l’unico motel che avevamo incrociato a Checkpoint , 220 km prima, era chiuso per lavori. Troviamo sistemazione nell’ultima camera disponibile dell’unico motel di 12 stanze! Mangiamo in camera una zuppa ed un hamburger scaldati al microonde dentro le ciotole prestateci dalla proprietaria del negozio. Fuori una nuvola di zanzare rende impossibile anche una breve passeggiata.

06 Agosto 2007

FORT LIARD – WATSON LAKE

Il viaggio di oggi dovrebbe essere interessante perché leggo sulla guida ci sono 3 parchi da visitare strada facendo….ma haimè scopriamo che non esistono strade al loro interno,ma solo qualche sentiero da percorrere a cavallo o a piedi….ci limitiamo quindi ad attraversarli godendo dei bei paesaggi e degli animali che ogni tanto arrivano fino alla strada. Arriviamo a Watson Lake piuttosto tardi e dormiamo in una camera che per com’è piena di svolazzi alle pareti e con mobili decisamente retrò sembra quasi un bordello.

07 Agosto 2007

WATSON LAKE – WHITE HORSE

I temporali estivi dei giorni scorsi lasciano il posto ad una bella perturbazione che oggi ci accompagna con cielo completamente coperto e pioggerellina fino a White Horse, importante ed allegra cittadina dello stato di Yukon … in effetti ci rendiamo conto entrando di essere tornati alla civiltà dopo un paio di giorni di apnea. Case di legno a doghe a colori vivaci , semafori lungo le strade asfaltate, negozi, bar ed una camera confortevole nell’unico Best Western dello Yukon, il Gold Rush inn…la mediocrità di questi hotel che avevo tanto criticato nel corso del viaggio ora mi sembra uno standard più che accettabile…anzi ne sono quasi compiaciuta. La vivacità di questa bella cittadina ci spinge subito ad uscire ed a percorrerne le strade del centro, affollate di passanti dall’aria contenta. Stranamente vediamo donne non obese …ormai avevamo dimenticato che la normalità è un’altra…e vetrine pulite. Mi rendo conto che i luoghi nei quali abbiamo sostato in questi ultimi giorni, ad eccezione di Yellowknife, mi hanno un po’ segnata. Continua a scendere una pioggia sottile, ma camminare lungo le strade di White horse è un tale piacere che quasi non la sentiamo. Mi innamoro di un contenitore di ceramica e legno che vedo in una galleria d’arte che espone oggetti di artisti locali e scatta l’acquisto…è davvero bella , ne sono fierissima!…così rinuncerò all’ acquisto della canoa di pelle di caribù decorata con disegni Inuit che sarebbe stato scomodo portare in Italia….naturalmente è uno scherzo che va avanti con Vanni da qualche giorno! Ultimamente vuole sempre scommettere sulle cose per le quali entrambi riteniamo di avere ragione…e così come pegno dell’ultima scommessa avevo richiesto in caso la vittoria fosse stata mia, la canoa Inuit lunga tre metri che mi faceva ridere immaginare legata sul porta pacchi di Carolina. La passeggiata termina con una sosta necessaria nella lavanderia dell’hotel dove ci ritroviamo nel tardo pomeriggio con una bottiglia di ammorbidente in una mano ed un sacco pieno di indumenti da lavare nell’altra…un’ora e mezza di attesa, per il lavaggio e l’asciugatura di quel malloppone, fanno rimpiangere gli hotel con laundry service incluso! Ceniamo da Giorgio’s piuttosto bene e scatta l’ennesima scommessa sul pesce che sto mangiando e che Vanni assaggia, si tratta dell’Arctic char , una prelibatezza che avevo già assaggiato a Yellowknife, che secondo lui è il baccalà. Non so ancora come potremo verificarlo se non facendo analizzare la polpa dei due pesci…ma mi sembra assurdo pensare che questo tenerissimo e gustoso pesce dalle carni rosate possa essere il tanto detestato da mio padre Baccalà.

08 Agosto 2007

WHITE HORSE

Finalmente ci svegliamo senza l’impegno di dover ripartire…una mattina di sesso e relax ci voleva proprio! Usciamo poi per la visita al sito più caratteristico della città, la fish way, costruita nella periferia a sud , in prossimità della centrale idroelettrica. Si tratta di uno scivolo di legno, unico al mondo dicono, che consente ai salmoni, che stanno risalendo lo Tlitan river per andare a depositare le uova, di baipassare le chiuse della centrale percorrendo appunto questo percorso alternativo che li porterà al sicuro un centinaio di metri oltre la chiusa. A proposito di cose descritte dalla guida come uniche al mondo, va menzionata la cattedrale della città cui viene riconosciuto un primato che in effetti non ha. Dovrebbe essere l’unica cattedrale interamente di legno al mondo…ma la favolosa cattedrale di Castro nell’isola di Chiloè in Cile non solo è interamente realizzata in legno, ma vanta anche uno stile neoclassico invidiabile, con modanature, capitelli , volte a crociera e tutto il resto scolpiti nel legno a regola d’arte. Devo assolutamente scrivere alla Lonely Placet che correggano questa grossolana bugia….far passare questa capanna di tronchi per un unicum al mondo mi sembra troppo! Passeggiate a non finire oggi ed acquisto di cavolatine tipo l’incenso per profumare le nostre camere fumatori spesso puzzolenti come i vecchi bar di tanti anni fa, e poi la cittadina invoglia in questo senso piena com’è di centri olistici dai quali esce un profumo incantevole…certo una bella pausa ci voleva. Rientrata in hotel controllo in internet la scommessa di ieri sera…e scopro che l’Arctic char è della famiglia dei salmonoidi, mentre il Baccalà è un merluzzo essiccato con il sale….nonostante gli abbia letto queste informazioni in diretta Vanni insiste a voler avere ragione lui dicendo che senz’altro ieri sera mi hanno rifilato un pezzo di merluzzo spacciandolo per altro…incredibile!

09 Agosto 2007

WHITE HORSE – DAWSON CITY

Partendo da White Horse verso Dawson City percorriamo la strada che nel 1898 i cercatori d’oro, provenienti da San Francisco in cerca di fortuna, avrebbero tanto voluto esistesse…invece loro percorrevano lo Yukon river per raggiungere il Klondike con zattere di fortuna che spesso li portavano a spiacevoli salti nelle rapide nelle quali senza preavviso si ritrovavano a passare….o percorrevano lunghi tratti a piedi sulla neve caduta prematuramente alla fine dell’estate…insomma quei pochi che arrivarono vivi a Dawson City dovevano proprio essere ben temprati….ma trovavano poi la giusta consolazione in questa ridente cittadina, che in seguito alla corsa all’oro (la famosa gold rush) divenne una piccola Parigi. Casinò, saloon, bordelli e negozi con merci di lusso…insomma trovavano qui l’opportunità di spendere le loro fortune nel frattempo accumulate! Dawson city sembra ancora oggi una città dell’inizio del secolo scorso…le strade non sono asfaltate, gli edifici sono tutti in legno ed alcuni di loro mostrano nelle assi di legno sconnesse o nelle pareti troppo inclinate i segni della loro decrepitezza, poi insegne di saloon ed una grande vivacità. Cerchiamo una camera all’hotel Peggy ricavato in un ex bordello ristrutturato ma è purtroppo full…troviamo posto invece in un bed & breakfast leggermente defilato ma nuovo e pulito e per di più gestito dalla cantante del saloon. All’ingresso dell’edificio notiamo con sorpresa che è obbligatorio togliere le scarpe appena oltre la porta, le strade polverose devono aver messo a dura prova le massaie…ma per fortuna nei ristoranti l’uso è ancora consentito! Usciamo subito per un giro esplorativo ed una birra nel pub dell’hotel Peggy dove ci servono due bicchieroni di Yukon gold…buonissima. Rimaniamo a chiacchierare e a dir cazzate sotto il pergolato che crea un’ombra delicata abbastanza a lungo per osservare il pubblico giovane che si sussegue ai tavoli e per fare l’ora di cena. Andiamo al Klondike Kate’s , poi via al saloon dove un pianista suona continuamente pezzi di musica honky-tonk e le ballerine cantano e ballano sulla scia delle loro antenate, provocando bonariamente i signori del pubblico e divertendo per il loro inconsueto modo di proporsi. Sono bravissime, soprattutto la cantante…e lo spettacolo risulta piacevolissimo. Usciamo verso le 11 dal saloon nel freddo gelido della serata a Dawson city….certo l’escursione termica qui è pazzesca! Nel pomeriggio una canotta sembrava quasi troppo…e questa sera non è sufficiente il maglione di lana…ma siamo over 60° di latitudine Nord…credo sia normale soffrire un po’ di freddo!


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20 Alaska


10 Agosto 2007

DAWSON CITY – DELTA YUNCTION

Ripartiamo con un carico di ciliegie ed uva comprate da “Bonanza grocerie”….è così raro trovare frutta fresca qui… Alla fine del paese un ferry ci aspetta per lasciare l’adorabile Dawson procedendo verso ovest. La strada che ci ha portati fino a qui infatti termina a ridosso del grande fiume Yukon per poi proseguire come “Top on the world” Hwy fino al confine con l’Alaska. La strada è panoramica e questo forse ne giustifica il nome , perchè tanto in alto poi non siamo, circa 1000 metri…ma si sviluppa come una lunga pappardella appoggiata in cima ad una serie di crinali che consentono viste a 360° sulle belle vallate circostanti. Avvistiamo un gruppo di caribù poco prima della frontiera dove rispondiamo alle due domande di rito ( se siamo terroristi e se possediamo armi) e passiamo senza problemi, in fondo Canada e USA mantengono buoni rapporti di vicinato…Sul cucuzzolo della montagna solo una casetta di tronchi di legno oltre a quella che contiene gli uffici di frontiera, ed un cartello che riporta vari dati tra cui la popolazione che qui è di due anime. Scendiamo quindi a valle lungo la strada che attraversa macchie di vegetazione bassa dagli incredibili colori nelle tonalità del rosa…siamo in Alaska finalmente! A distanza di due anni dalla nostra partenza da Buenos Aires eccoci tagliare l’ennesimo traguardo di frontiera…questa volta più significativo degli altri, che segna il compimento della grande traversata dall’estremo sud all’estremo nord delle americhe….dalla Terra del Fuego all’Alaska! Attraversare insieme anche questa frontiera mentre sorridendo ci guardiamo negli occhi con amore ci da la felicità del raggiungimento di un importante traguardo non solo geografico. Sedici miglia dopo Tok ci fermiamo al moon lake per la mia ora d’aria che reclamo a viva voce… passeggiamo lungo uno strettissimo sentiero che costeggia in parte il lago ma che presto scompare confondendosi con i muschi dai colori meravigliosi che costituiscono il sottobosco assieme ad altre piantine dalle bacche rosse ed arancioni, piante di rosa canina ed i funghi che spargono nell’aria il loro inconfondibile profumo. Ci aggiriamo per il bosco con calma, osservando la vegetazione così ricca di colori e di profumi… e ci viene da pensare a Walt Dysney, che deve aver copiato qualcosa di simile a questo che stiamo osservando quando concepì “Alice nel paese delle meraviglie”…e non aver incontrato il Cappellaio Pazzo oggi lungo il percorso è sembrato più un contrattempo che un’impossibilità! Raggiungiamo Delta Yunction dopo un numero sufficiente di chilometri per uno stop al “Jenny’s Artic motel“ dove occupiamo la solita camera triste e puzzolente …non capisco perché vietino il fumo in camera ma non obblighino i clienti a lavarsi i piedi prima di camminare scalzi sulla moquette! Ceniamo con un’ottima pizza al “Pizza bella”, è stranamente buona e la cosa buffa è che ce l’hanno rubata questa tradizione della pizza! Il menu infatti riporta in cima all’elenco “pizza New York stile”, anziché italian style…roba da matti! Comunque la salsa di pomodoro e la mozzarella di questa pizza sono squisite…sarà il caso di adottare anche in Italia questo New York stile? Finiamo col litigare anche questa sera…e su un argomento assurdo. Da tempo abbiamo notato che nelle aree più a nord del Canada le auto hanno uno spinotto collegato ad un cavo elettrico che spunta nella loro parte anteriore, e nei parcheggi degli hotel ci sono tante colonnine di erogazione di corrente elettrica. Và da sé che quando in inverno la temperatura scende fino a -40° le auto per partire devono essere collegate all’elettricità per scaldare il motorino di avviamento…L’argomento scivola sul nostro progetto di tornare qui in inverno per vedere le aurore boreali e quindi dico a Vanni che forse Carolina non partirà senza questo dispositivo! A questo punto mi mangia la faccia dicendo che sono sempre troppo negativa sulle cose…ed io mi incazzo. Ma la cosa peggiore è che se il prossimo inverno Carolina non partirà non potrò nemmeno togliermi la soddisfazione di ridergli in faccia…perché a quel punto saremo bloccati a – 40° in qualche parte del nord america!

11 Agosto 2007

DELTA YUNCTION – FAIRBANKS

Una bella passeggiata all’Historical National park che incontriamo lungo la strada apre la nostra giornata di disgelo. L’aria è fresca, il parco carino e la passeggiata salutare ci fa sentire più che mai vivi. Vicino alle capanne del sito storico vediamo alcuni polli chiusi in una stia…gli unici animali visti qui in Alaska dal nostro arrivo…ma che buffi i polli del nord, sono coperti da piume fitte e voluminose anche sulle zampe ed sui piedi! Arriviamo al Best Western di Fairbanks nel primo pomeriggio …ma dopo un giro di ricognizione per le strade del centro è unanime il pensiero che una città così brutta non la vedevamo da tempo! Come abbiano potuto i due turisti goriziani incontrati ieri sera a Delta Junction apprezzare questa città non riusciamo proprio a capirlo! Increduli ci aggiriamo per le calde strade assolate , poi all’aeroporto regionale dove vediamo susseguirsi gli hangar delle compagnie aeree locali che svolgono servizio di aerotaxi. Stiamo cercando qualcuno che sia disposto ad accompagnarci fino ai primi ghiacci della calotta polare, ma la risposta unanime è di diniego…- troppo lontana per un volo con questi piccoli aeroplani! – E’ la risposta di tutti… eppure gli stessi aerei arrivano a Proudhoe Bay, dove si riforniscono di carburante per il rientro a Fairbanks, perché non potrebbero ripartire da lì verso la calotta? Continuiamo il sopralluogo tra le vie del centro in cerca di qualcosa di bello da vedere…o da comperare…ma gli oggetti di artigianato locale sono inaffrontabili per cattivo gusto e per il costo esagerato. Entro in una gioielleria per valutare l’acquisto di una pepita d’oro da regalare a Vanni per il suo compleanno…ma il prezzo al grammo supera di tre volte la quotazione dell’oro puro…60$ contro i 20 dell’oro puro!…insomma una delusione dopo l’altra questa città, non ultima quella che ci aspetterà per cena al LaVelle’s Bistrò, il pretenzioso ristorante del Marriot, dove la zuppa arriva rovesciata per metà sul piatto che sostiene la tazza ed aspettiamo troppo a lungo il secondo piatto anche se squisito! …inoltre lasciamo una mancia del 10% scrivendone l’importo sulla ricevuta della Visa che firmiamo, ma il messaggio sms di addebito che ci arriva è comprensivo di una mancia del 20% che loro si sono indebitamente presi! Incredibile…questi americani ci hanno proprio rotto!

12 Agosto 2007

FAIRBANKS – COLD FOOT

Lasciamo Fairbanks a tutta birra e senza nessun rimpianto…anzi l’idea che dovremo fare almeno un’altra sosta qui tornando dal nord ci fa rabbrividire! La giornata è grigia ed una pioggerella sottile bagna il vetro di Carolina…ma ci accompagnano le note di una radio locale che mette in onda brani pop degli anni ’70 ed ’80 che ci piacciono da morire…e sono Elthon Jhon, James Taylor, i Supertramp, Bon Jovi e tanti altri gli autori che colorano la nostra giornata di spostamento lungo la Elliot highway prima e poi sulla Dalton che ci viene dipinta dalla guida ( che non è una Lonely Planet ) molto peggio di quanto non sia in realtà….ma si sa, trovare una guida aggiornata è quasi un miracolo! Siamo diretti a Nord verso Prudhoe Bay, la base di estrazione del greggio dell’alaska, adiacente al piccolo paese di Dead Horse che affaccia sull’ oceano artico….ma la lunga distanza presuppone la sosta a Cold Foot ( piede freddo) un piccolo borgo a circa 400 km da Fairbanks che rappresenta l’unica possibilità di pernottamento e di rifornimento di carburante tra le due cittadine. Il viaggio si svolge tranquillo tra le pieghe delle montagne che attraversiamo, accompagnati di tanto in tanto dalla lunga papline che come una biscia argentata si contorce per salire o scendere o deviare nella sua lunga corsa verso Valdez sul Pacifico. Il paesaggio non è affatto monotono, la strada, in buona parte asfaltata, ci conduce dapprima attraverso la foresta boreale poi la vegetazione ad alto fusto lascia il posto alla taiga, più bassa e colorata. Ancora le distese di piante colore rosa catturano la nostra attenzione per la bellezza dell’effetto che questo colore ha , spalmato com’è sulle pendici delle montagne a perdita d’occhio…il paesaggio è da favola e nonostante il grigio costante del cielo e la radio il cui segnale si è fatto sempre più rarefatto fino a perdersi, stiamo benissimo a bordo della nostra sempre itinerante Carolina. Dopo circa 300 km di viaggio arriviamo con una certa emozione all’atteso Circolo Polare Artico…che strana cosa è per noi essere ancora più a nord dell’Islanda, a 66° e 33’ di latitudine Nord! La temperatura dell’aria è scesa notevolmente e quando scendiamo per le foto ricordo un brivido di freddo percorre le nostre schiene…forse è il caso di abbandonare le magliette di cotone per un po’… Dopo un altro bel tratto di strada ci viene il dubbio di aver superato il paesino di Cold Foot senza essercene resi conto…certo non ci aspettiamo molto da questa piccola località di sosta, ma almeno l’edificio del motel dove abbiamo prenotato una camera deve pur esserci…ed infatti dopo poco un laconico cartello di deviazione ci indirizza verso destra, siamo arrivati! Il Cold Foot Camp, è uno dei pochi edifici che vediamo qui nel piccolo villaggio, una grande scatola di legno bianco con rifiniture rosse, decisamente bisognoso di manutenzione e rialzato di un metro dal suolo perennemente gelato di queste latitudini. E’ lui…ma la reception? Chiedo ad un gruppo di turisti che stanno guardando la tv in una saletta vicina all’ingresso e mi dicono di dirigermi dall’altra parte della strada fangosa, verso l’edificio di legno attorno al quale si muovono una serie di persone come api attorno all’alveare. E’ il ristorante, shop, reception, bar, nonché stazione di rifornimento, insomma questi pochi metri quadrati racchiudono tutte le funzioni necessarie per chi come noi è di passaggio. Mi viene poi consegnata la chiave della n°40 alla quale andiamo subito…ma che camera…sembra l’interno di un camper un po’ scassato…e ci è costato 160 $…un affarone! Due lettini accostati alle pareti laterali, un bagnetto largo 80 cm con doccia e wc, un piccolo lavandino accanto alla porta d’ingresso, una sedia ed il giro della camera è terminato. Mi fermo nella nostra tana per scrivere mentre Vanni va a reperire le ultime cose in auto, poi andiamo insieme al ristorante che ci stupisce con effetti speciali…la qualità del cibo è ottima ed il costo irrisorio, con 40 dollari mangiamo ottimamente le pietanze proposte dal self-service, compreso l’ottimo chees cake. ed il personale è cordiale. Una volta rientrati in camera bruciamo i nostri bastoncini d’incenso mentre ci sfidiamo a backgammon…Vanni esce vittorioso con 2 partite su 3 vinte al pelo….SOB!

13 Agosto 2007

COLD FOOT – PRUDHOE BAY

Cold Foot è ancora immersa nelle nuvole quando i nostri piedini caldi spuntano dalle lenzuola per appoggiarsi sulla moquette della nostra camera n°40 ancora profumata di incenso. Fuori piove quando Vanni esce per affrontare il fango che lo separa dalla sua colazione e dal mio te, sempre puntualmente recapitatomi in qualunque situazione ambientale…che amore! Per raggiungere Prudhoe Bay dovremo riprendere la Dalton highway dal punto in cui l’avevamo interrotta ieri sera fermandoci per la notte….ma non ci sono dubbi per oggi, la strada sarà decisamente sterrata, come confermatoci da una signora arrivata qui ieri da Prudhoe bay. Carolina scivola sulla strada fangosa come una ballerina esperta ed un sottofondo musicale scelto ad hoc sul nostro iPod rende il viaggiare ancor più lieve. Ci stiamo avvicinando alla Brooks Range, la catena montuosa che fa parte dell’ Arctic National Wildlife Refuge, il paradiso degli animali selvatici, in particolare dei caribù e delle anatre che migrano ogni primavera nell’estremo nord dell’Alaska per riprodursi. Un po’ come avviene nel Siringheti africano con gli gnu e le zebre. Le vallate e le montagne che vediamo viaggiando sono di una bellezza da guinnes, la tundra poi con la sua vegetazione bassissima lascia percepire tutte le pieghe delle montagne o gli avvallamenti del terreno, un po’ come avviene nel deserto di sabbia, ma amplificato dalle sfumature cromatiche qui estremamente varie e dalle tinte accese. Rimaniamo come basiti per la magia di questo paesaggio, ulteriormente complicata dalla luce del sole che, per via del cielo semicoperto, lo illumina solo a macchie, come spot che si accendono all’improvviso per poi sfumare piano e quindi riaccendersi altrove. Un incanto e quasi esclusivamente nostro…sono poche le auto che vediamo percorrere questa strada, decisamente più ostica di quella di ieri ma che ricambia lo sforzo con paesaggi da favola. Arrivare a Prudhoe Bay dopo cinque ore di viaggio da sogno è stato come fare una doccia gelata in pieno inverno! Nessuna città, nessun centro abitato, nemmeno una casetta…sembra di essere entrati nell’area industriale di una città fantasma… solo un piccolo aeroporto, capannoni industriali, mezzi di trasporto enormi, continers su slitte adibiti a dormitori degli operai al soldo delle multinazionali del petrolio e due “hotels” prefabbricati ad un solo piano scassati più che mai, uno dei quali, l’Artic Caribù Inn, ci ospiterà per un paio di giorni. Immersi in tanta desolazione cerchiamo almeno di vedere l’oceano artico…ma nulla da fare, le strade sono sbarrate dai check-point delle compagnie petrolifere che le rendono inaccessibili…ripieghiamo sull’aeroporto per cercare qualcuno disposto ad accompagnarci alla calotta artica…di nuovo una serie ininterrotta di rifiuti…quindi spostiamo l’obiettivo e ci accordiamo con la Artic Air Taxi per un volo di un’ora lungo la costa per esplorare quel territorio che la BP e la Philips 66 hanno reso invisibile. Il ristorante non è altro che un self service usato dagli operai che occupano anche parte delle camere dell’hotel, che strana sensazione….eppure eravamo in vacanza!

14 Agosto 2007

PRUDHOE BAY

Ci svegliamo nella nostra cameretta con la sensazione di aver dormito benissimo e felici dell’avventura che ci aspetterà tra un paio d’ore…il nostro volo in aerotaxi sull’oceano artico che ancora non abbiamo visto. Arriviamo con un po’ di anticipo, alle 10.15, allo scassatissimo ufficio adiacente all’hangar della Artic Air Support che però è deserto…Kermit arriva dopo una decina di minuti seguito dal suo simpatico cucciolo di Labrador color miele, è un signore sulla sessantina, atletico ed un po’ trasandato anche lui come il suo office fatto di tavole di legno color arancione e 4 poltrone impolverate. Ci chiede se vogliamo partire nonostante il maltempo, poi telefona per avere un aggiornamento del bollettino meteorologico e ancora ci chiede se davvero vogliamo andare….proprio non ne ha voglia di accompagnarci in questo volo sulla costa attorno a Prudhoe Bay! Ma è davvero difficile distoglierci da progetti come questo…decollare su un piccolo aereo dà un tale senso di libertà che ci inebria… e vedere ciò per cui siamo arrivati fino qui nella magnifica prospettiva a volo d’uccello una tentazione irresistibile! Quindi si partirà. Con il dito indice puntato sulla mappa della zona indichiamo a Kermit un ipotetico obiettivo, poi lo seguiamo attraverso l’hangar vuoto fuori sul piazzale dove immobile il nostro Cessna 207 ci aspetta grondante di pioggia. Dopo una rincorsa rumorosa il Cessna decolla lieve sotto le nuvole grigie poco sopra di noi, per dirigersi poi decisamente ad est, verso il grande parco nazionale artico. Nonostante le nuvole continuino ad incombere, la sensazione è quella del bel tempo…i colori della tundra infatti sono sotto di noi visibilissimi e le tonalità sono così vivaci da farci dimenticare il grigio soprastante che in fondo non vediamo. Il territorio che dall’oceano si spinge verso l’interno è costellato di pozze d’acqua, foci ad estuario, corsi d’acqua costituiti da una miriade di piccoli ruscelli che irrorano la tundra e ne interrompono la forte caratterizzazione cromatica nei toni del senape, verde acido, rosso e ocra. La terra stessa è costituita da una infinità di zolle saldate le une alle altre che ne disegnano la superficie a poligoni, come se si trattasse del manto di una giraffa. La sensazione osservando il paesaggio dal finestrino dell’aereo è quella di vedere l’immagine della terra via satellite. Sul mare invece illuminato a chiazze dal sole emergente, scorgiamo qualche piccolo iceberg e le lingue di sabbia emergenti dall’acqua verdissima dell’oceano ad un paio di chilometri dalla costa. Improvvisamente, vicino alla spiaggia di un’isola abitata solo dagli uccelli, avvistiamo un sub che sta salendo dall’acqua, probabilmente un ricercatore molto volenteroso di cui vediamo anche la tenda gialla accampata poco oltre. Vediamo poi solo qualche caribù vicino alle pozze e pochi altri animali…probabilmente è già iniziato l’esodo delle grandi mandrie dirette a sud….o forse gli animali non hanno gradito tutto il casino creato dall’uomo per lo sfruttamento del petrolio nel sottosuolo ed hanno cambiato sede per le loro vacanze. Torniamo a Prudhoe Bay ancora immersa nelle nuvole sempre più basse, dopo poco più di un’ora di volo. Felici di aver insistito per partire nonostante il tempo….ne valeva proprio la pena… ringraziamo Kermit calorosamente e torniamo nel nostro piccolo nido in hotel. E’ già mezzogiorno passato, il tempo di una breve sosta in hotel e già ripartiamo per il tour delle 14…ma quanti impegni oggi! Questo giro, organizzato dall’hotel in collaborazione con le aziende di estrazione presenti sul territorio, non è esattamente ciò che la locandina pubblicitaria appesa alla reception promuoveva….nessun avvistamento di orsi bianchi, due caribù in croce ed un susseguirsi di orribili stabilimenti che sfilano lungo le strade fangose che attraversiamo per raggiungere l’oceano artico, che da questa prospettiva ci appare grigio così come il cielo soprastante . Durante tutto il viaggio lo speaker nonché pilota continua a propagandare gli impianti di estrazione ed i mezzi di trasporto che consentono anche nelle condizioni più avverse di muoversi sulla superficie irregolare della tundra che ricopre il Permafrost, lo strato gelato di terra che supporta tutta la zona polare. Ci mostra le pompe di estrazione del gas, le varie paplines, gli edifici di assistenza…ed in generale tutto quello che non ci interessa affatto vedere. Certo hanno una bella faccia tosta ad ostentare la loro opera di devastazione di questo piccolo paradiso terrestre! E’ interessante al proposito ricordare ciò che abbiamo letto qualche giorno fa in un articolo che affrontava il discorso dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo nella zona artica dell’Alaska. Chi scriveva paragonava la necessità spasmodica di petrolio da parte degli USA, che importa dall’ Arabia Saudita e dovrà continuare a farlo, una buona parte di ciò che consuma, a quella di eroina da parte di un tossicodipendente…pronto a sacrificare i tesori di famiglia pur di poter continuare a bucarsi. Ed in effetti paragonando le aree ancora non sfruttate dal micidiale sistema estrattivo viste questa mattina, a quelle devastate attorno a Prudhoe Bay viene da pensare che non può esistere beneficio che possa giustificare un danno di questa entità….e dalla mappa degli insediamenti di estrazione vista in hotel direi che buona parte del territorio del nord dell’Alaska è toccato da questa devastazione. Vedere quei due caribù pascolare tra le scatole grigie degli edifici degli impianti di estrazione è stato penoso almeno quanto vederne le teste decapitate come trofeo sull’ auto di un cacciatore parcheggiata davanti all’hotel. Come detesto gli americani quando scivolano su queste cose…perché non la smettono di giocare a fare i buoni ed iniziano ad esserlo veramente?

15 Agosto 2007

PRUDHOE BAY – COLD FOOT

Il conto dell’hotel è salatissimo…235 $ a notte per un hotel dozzinale e con un servizio piuttosto discutibile visto che ieri non è nemmeno stata rassettata la camera. Comunque siamo a Prudhoe Bay, la città delle fregature…perché stupirsene! Questo ferragosto è davvero speciale per noi che avendo toccato con Prudhoe Bay il punto più a nord del Nord america abbiamo portato a termine il grande progetto di attraversare le americhe dall’estremo sud di Ushuaia in Terra del Fuoco all’estremo nord dell’Alaska! Inizia oggi il lungo viaggio di ritorno verso Buenos Aires per chiudere il cerchio di questo fantastico sogno! Partiamo felici di lasciare tanto squallore…e di ripercorrere la Dalton highway a ritroso attraversando la bellissima Brooks Range di due giorni fa. Il tempo però oggi è decisamente sfavorevole e la bellissima vallata è coperta dalla nebbia…non resta che immaginare con un piccolo sforzo di memoria la meraviglia che ci circonda. A Cold Foot ci accoglie invece un bel sole ed una temperatura così mite da farci tornare in mente che siamo in estate…il clima è perfetto anche per pulire un po’ Carolina che ha il lunotto posteriore completamente coperto di fango, Vanni chiede ad un ragazzo del motel che sta facendo qualcosa nel capannone accanto alla reception se può dargli l’acqua per lavare i vetri…ma riceve in cambio il consiglio di andare a pulirla al fiume. Ci facciamo dare un secchio e via, alla ricerca del fiume che troviamo a circa un chilometro, parcheggiamo comodamente vicinissimi al greto, ed iniziano le operazioni di pulizia che vedono Vanni armato di secchio lanciare sul posteriore di Carolina secchiate d’acqua. A seguire… la solita ottima cena al buffet del motel, ma senza il favoloso cheese cake di Bred, una passeggiata digestiva a vedere i vecchi camion parcheggiati in una sorta di cimitero delle auto, ed a nanna.

16 Agosto 2007

COLD FOOT – MANLEY HOT SPRINGS

Il cielo è ancora grigio alla partenza e le nuvole basse ci accompagnano ancora per un paio d’ore…ma poi arriva il sereno e…come un fulmine tardivo, la foratura della gomma posteriore destra! Proprio non ci voleva, come sempre de resto…. ma la Dalton highway non perdona e come riportato dalla guida va affrontata con almeno due gomme di scorta, che noi abbiamo. Vanni in questi frangenti sembra trasformarsi in Hulk, tutto muscoli e dinamicità. Quindi cambia il pneumatico senza problemi in pochi minuti, mentre io cerco di calarmi nel ruolo di assistente, posizionando il triangolo, conservando i bulloni ed asciugando a cose fatte il suo sudore con i kleenex. Usciamo dalla terribile ma incantevole Dalton , lasciandoci alle spalle i paesaggi tra i più pittoreschi dell’Alaska , con le loro tinte accese nei toni incantevoli del rosa, rosso arancio e verde, per inserirci di nuovo sulla Elliot. Questa volta però non andremo a Fairbanks ma seguiremo la highway verso Est per raggiungere la stazione termale meno frequentata dello stato, la Manley Hot Springs. Il viaggio procede lungo la strada dalle condizioni non migliori della precedente, ma immersa tra gli alberi ad alto fusto della foresta boreale. I tronchi bianchi delle ormai famigliari betulle e gli abeti sfilano ai lati di Carolina mentre scorgiamo nel sottobosco funghi colorati e le immancabili bacche rosse tanto care agli orsi che purtroppo si guardano bene dal farsi vedere. La strada serpeggia tra le White Mountins per poi scendere a valle in prossimità del piccolo paese che si affaccia sul lago omonimo, attraversiamo il breve ponte di ferro ed avvistiamo immediatamente la Manley Roadhouse immersa in un prato all’inglese che farebbe invidia alla regina Elisabetta! Contornato da alte betulle e fioriere cariche di corolle colorate, l’edificio di legno a doghe bianco e verde con le tendine di pizzo che scorgiamo dall’esterno, sarà il nostro rifugio per la notte. Ci accoglie la simpatica Katy , una signora dall’età indefinibile tra i 40 ed i 50 anni, con un sorriso smagliante e l’aria energica. E’ dietro il banco del bar e sta parlando con un anziano signore….entrambi stanno fumando. La cosa suona come un atto di estrema anarchia, siamo pur sempre nel 49° stato USA, dove il fumo della sigaretta viene ghettizzato ovunque quasi come se si trattasse di una droga pesante. Chiedo, cercando di avere un tono favorevolmente stupito, se nell’hotel si può fumare….e Katy risponde con complicità che si… si può fumare… WOW finalmente liberi di massacrarci quanto ci pare! Che bell’esempio di democrazia! Vanni chiede subito, con il suo inglese ancora rudimentale, dove può trovare un gommista che possa riparare il pneumatico, e come per incanto Katy indica il signore di fronte a lei, Frank….siamo proprio nel posto giusto! Il tempo di scaricare i bagagli e prendere possesso della spaziosa ed accogliente n°10 e siamo già on the road, Vanni alla ricerca della casa di Frank ed io a passeggio sul lungolago, tra rovi di lamponi e funghi velenosissimi ma incantevoli. Il lago di Manley Hot Springs è stretto più del suo emissario, il Tanana river. La differenza tra i due è nel colore delle acque, scure e ferme come quelle di una palude quelle del lago, limacciose quelle dell’ampio fiume che lo generano. Passeggiando vedo un idrovolante parcheggiato lungo la riva opposta ed una serie di case vicine al lago, tutte rigorosamente costruite con tronchi di legno. Pur essendo un piccolo paese sperduto e poco battuto dal turismo, si legge ovunque una estrema cura. Nei prati verdissimi ben rasati vicini alle case, nelle case stesse spesso usate solo nei weekend dagli alaskani di Fairbanks trasuda l’armonia che caratterizza anche i rapporti tra i membri di questa piccola comunità. Al rientro al Roadhouse ci informiamo presso Katy su come poter noleggiare una canoa per un giro sulle acque tranquille del lago…il posto è così carino che anche Vanni miracolosamente sembra volersi lanciare nell’impresa…ma non esistono canoe qui a Manley, ci risponde Katy… quindi ci presenta l’alternativa, una coppia di signori del paese, Lorenzo ed Elisabeth, che stanno bevendo una birra al banco del bar. Hanno una barca e potrebbero offrirsi di…. E’ cosa fatta, in men che non si dica prendiamo appuntamento con Lorenzo per domani alle 4 pm. Il tour partirà dal ponte del paese e ci costerà 100 $ per due ore….un vero affare! Prenotiamo anche il nostro bagno alle Hot Spring. Katy gentilmente telefona ai proprietari del terreno sul quale sgorgano le acque calde, e non puzzolenti del paese. L’appuntamento è per domani alle 12. ed il costo di 5 $ a testa. Ceniamo soli occupando un lato di uno dei due lunghi tavoli del ristorante deserto eppure così affollato….tra pelli di orsi e linci, corna di alci, foto vecchie e nuove, samovar, libri, un grande mantice, vecchi ferri da stiro ed una quantità incredibile di altri oggetti appartenuti molto tempo fa a chissà chi. La roadhouse, dove stiamo assaggiando le leccornie di Katy, fu costruita nel lontano 1903. Rappresenta quindi un pezzo di storia del paese, oltre ad essere un punto di ritrovo importante per i suoi abitanti che vediamo arrivare numerosi ad occupare gli sgabelli del bar attorno al bancone. Dal jucke box arrivano le note di un motivetto di musica country …siamo davvero felici di essere qui.

17 Agosto 2007

MANLEY HOT SPRINGS

A mezzogiorno, con una breve passeggiata, arriviamo puntuali alle vicinissime sorgenti calde , attorno alle quali i due anziani signori Dart, hanno costruito una rudimentale serra fatta di legni e teli di plastica. All’interno 4 piccole vasche quadrate e di cemento accolgono le acque della sorgente. Tutto intorno piante fiorite e sopra di noi un pergolato di uva bianca dal quale attingiamo i succosi e dolci acini che vediamo anche sparsi a terra un po’ ovunque. L’atmosfera bucolica di questa serra ci diverte, così come il fatto di essere soli…quindi via i costumi e ci godiamo per un paio d’ore la naturalezza del posto, api comprese. Terminiamo il nostro relax in camera per un’oretta ed è già l’ora della gita in barca. Il sole di questo pomeriggio pervade l’aria di un tepore piacevolissimo, è proprio la condizione ideale per partire. Lorenzo arriva con leggero anticipo mentre Vanni è alla pompa per il rifornimento di gasolio. Nell’attesa, mi racconta che è stato a Gibilterra svariati anni fa, era in servizio militare con la US NAVY, è un marinaio…siamo in buone mani! ….quasi tutti i signori americani che abbiamo incontrato in questo viaggio hanno fatto il servizio militare in Europa, non sospettavo la presenza così massiccia di militari USA dalle nostre parti! Vanni arriva e saliamo tutti tre sulla barca a motore piuttosto essenziale di Lorenzo, ma con comodissime poltroncine. Uno di fianco all’altro e protetti dal parabrezza di vetro davanti a noi prendiamo il largo, se così si può dire in questo caso , scivolando sulle tranquille acque del lago ci dirigiamo al punto di confluenza del fiume. Siamo soli, e tutto attorno a noi è immobile. Poi eccoci a cavalcare il grande Tanana river con le sue acque gorgoglianti e melmose. Lorenzo si impegna in uno slalom per evitare i tronchi che il fiume porta con sé, mentre continua a parlarci, non del tutto capito, delle varie caratteristiche del fiume. Io scatto qualche foto e Vanni osserva la riva con il binocolo a caccia di animali. Superiamo diverse isole che Lorenzo ci indica come ideali per la caccia delle anitre, poi entriamo in un altro fiume dalle acque di nuovo scure e tranquille,ne seguiamo il corso serpeggiante apprezzando le particolari capacità riflettenti delle sue acque…la foresta che ne borda le rive si specchia perfettamente sulla superficie dell’acqua, così come le nuvole in cielo, mantenendo intatti anche i suoi colori…sembra quasi di essere sottosopra. Poi Lorenzo rallenta l’imbarcazione ed entriamo in uno stretto passaggio seminascosto dalla vegetazione, alza il motore e va a prua per dirigere la barca con una pertica, un po’ come un gondoliere. Dopo pochi metri si schiude ai nostri occhi un piccolo lago circolare….un capolavoro della natura….dove Lorenzo dice che potremmo avvistare le alci (moose)…. Vediamo invece le bellissime anitre alzarsi in volo…che spettacolo! Questo giro in barca ci ha fatto entrare dentro la natura e ne siamo così felici che non vorrei più scendere. E’ così bella l’Alaska e questo paesino di 70 anime una perla al suo interno del quale ci siamo perdutamente innamorati…torneremo il prossimo inverno per lanciarci con le motoslitte sul fiume ghiacciato….sarà come percorrere un’autostrada completamente bianca! Lorenzo dice che in inverno il ghiaccio raggiunge lo spessore di 4 piedi, quindi un metro abbondante, potremo stare tranquilli! Ringraziamo Lorenzo per il regalo che ci ha fatto accompagnandoci anche negli anfratti più segreti del suo fiume…poco dopo.Vanni posa per una foto con il suo fucile che ha viaggiato con noi dimenticato in un angolo. Questi cacciatori ! Torniamo alla roadhouse dove mi accordo in gran segreto con Katy per far trovare a Vanni una piccola torta di compleanno domani a colazione quindi ceniamo coccolati dalle sue attenzioni . Abbiamo deciso di fermarci qui un giorno ancora.

18 Agosto 2007

MANLEY HOT SPRINGS

Eccezione alla regola, questa mattina scendo anch’io per la colazione di compleanno….non posso mancare alla torta di cioccolato con candelina che ci aspetta, accompagnata da un “ happy birthday “ cantato dalle due cameriere che sorridenti si avvicinano al nostro tavolo. Che bella atmosfera per un compleanno, con il sole del mattino che filtra dalle tendine di pizzo alle finestre, le sedie di legno e tutte le vecchie cose sparse qua e là…spero che anche Vanni ne sia felice…io addirittura mi sono un po’ commossa. Anche oggi il clima è fantastico, ne approfittiamo per una serie di passeggiate nei dintorni ed un passaggio alla laundry per il bucato resosi ormai necessario. Certo non dare a Vanni un regalo per il suo compleanno mi secca….così chiedo alla socia di Katy dove potrei comprare delle pelli di lince ben conciate. A Vanni erano così piaciute quelle appese alle pareti del ristorante, oltre naturalmente alle corna di alce che lo fanno letteralmente impazzire, ma che sarebbe scomodo e forse a rischio di sequestro portare in Italia….Disponibilissima si occupa lei della cosa e telefona ad una signora che le vende. L’appuntamento è alle due in hotel…quindi tra una lavatrice ed una scusa trovo il modo di incontrarla senza essere viste da Vanni ed acquisto due meravigliose pelli di lince morbidissima…quasi non mi riconosco! Animalista convinta sto cedendo proprio sul tasto più scottante…quello delle pelli di animale…e proprio della famiglia dei felini che mai vorrei vedere morti. Ammetto la mia colpevolezza ma a cuor sereno…a lui piacciono da impazzire perché le vede come un trofeo di caccia, a chi le caccia veramente servono per la sopravvivenza in un territorio che sa essere estremamente ostile. Impacchetto le pelli dentro un asciugamani e faccio un bel nastro con la mia sciarpa di seta….se non altro non potrà dire che non sia originale! Ha un bel sorriso contento quando apre il fagotto…e questo è sufficiente a lavare ogni mio senso di colpa. Ancora passeggiate tra il bosco, fra funghetti rossi , bacche e betulle….che giornata incantevole anche quella di oggi!

19 Agosto 2007

MANLEY HOT SPRINGS – FAIRBANKS

Ultimamente abbiamo qualche problemino con le mance…anche oggi il messaggio di addebito Visa relativo al pagamento della Manley Roadhouse, è per un importo superiore a quello firmato nello scontrino. D’accordo che la mancia è una consuetudine ormai consolidata qui in Usa, ma che loro si prendano d’ufficio un 20% sul totale, compreso il costo della camera, quando tu invece hai deciso di dare un 15% solo sul totale del ristorante è una usurpazione intollerabile! Ma soprattutto và ad inquinare la bellissima opinione che ci eravamo fatta di quel simpatico paesino e questa è senz’altro la cosa peggiore. Comunque procediamo lungo la Elliot highway verso Fairbanks godendoci il paesaggio via via mutevole verso la cittadina che haimè già conosciamo…quando ad un tratto Carolina ha una delle sue crisi di egocentrismo e ci mostra un cruscotto pieno di lucine accese che invece dovrebbero essere spente. Vanni si accartoccia e poi , con un respiro leggermente affannato rallenta e scende. La cinghia dell’alimentatore si è rotta….andiamo a bassa velocità verso il Best Western a pochi chilometri da noi, per fortuna! Aspetteremo domani per la riparazione, oggi è domenica. Usciamo dall’ufficio Tourist Information con le idee estremamente chiare su cosa fare per vedere, al meglio delle possibilità, il Denali National Park . Quindi siccome questa cittadina proprio non ci piace torniamo in hotel a sbrigare le nostre cose e non usciamo nemmeno per la cena….e la scelta di non uscire ci porta fortuna…il ristorante dell’hotel è ottimo.

20 Agosto 2007

FAIRBANKS – DENALI NATIONAL PARK

Vanni esce prestissimo diretto alla toyota…ma alle 8 suona anche la mia sveglia, devo telefonare al numero verde del Denali per prenotare i nostri due posti sullo shuttle di domani alle 7, diretto al Fish Creek Turnaround , nel cuore del parco. Ancora addormentata miracolosamente riesco a capire il mio interlocutore abbastanza da poter scrivere il numero di prenotazione sulla mia agendina rossa….ma ormai il sonno si è interrotto, quindi tanto vale uscire alla ricerca dell’ufficio che mi rilascerà il CITES per le pelli di lince di Vanni. Dopo un primo tentativo andato a vuoto seguendo le indicazioni non corrette della signora Pam Redington di Manley H.S. , riesco ad avere l’indirizzo giusto della “Division of Management Authority U.S. Fish and Wildlife Service” dove vado accompagnata da un simpatico taxista. Il costo del certificato è di 195$, indipendentemente dal numero delle pelli, tanto vale prenderne altre due come avevamo pensato, da regalare alle nostre rispettive madri. Esco quindi dall’ufficio diretta in Boat Street all’ “Alaska Raw Fur” , un negozio specializzato in prodotti tipici…e mi ritrovo in una pellicceria. Appese ai ganci centinaia di pelli di ogni dimensione e forma, praticamente una catacomba! Scelgo le due linci in fretta, voglio rimanere il meno possibile in questo negozio che odora di morte…naturalmente il costo delle due nuove è il doppio di quelle prese a Manley, ma anche la qualità naturalmente è diversa, mi spiega la commessa. Torno all’ufficio di Airport avenue accompagnata questa volta da Vanni che nel frattempo mi ha raggiunta…in venti minuti abbiamo il certificato che però, ci spiega lo zelante impiegato, può essere usato per attraversare un solo confine tra due stati. USA, Italia, oppure USA, Canada. Noi che avevamo pensato di passare da Vancouver in Canada prima di rientrare in Italia da Chicago, rimaniamo letteralmente spiazzati…e meditiamo di saltare il Canada. Dopo qualche riflessione Vanni ha una illuminazione…potremmo arrivare a Seattle in aereo da Anchorage, lasciare le pelli in hotel ed andare a Vancouver per qualche giorno in traghetto. Sarebbe perfetto…le pelli non lascerebbero gli USA fino alla partenza da Chicago e noi potremo vedere Vancouver!
Ma che mattinata impegnativa! Torniamo in hotel a prendere i nostri bagagli e partiamo immediatamente diretti all’hotel Denali Bluffs , nei pressi del Parco omonimo. L’hotel non è male, anche se un po’ caruccio, ma il suo ristorante decisamente scarso….a letto presto naturalmente, domani mattina ci aspetta una levataccia!

21 Agosto 2007

DENALI NATIONAL PARK

Quando l’appuntamento della mattina è interessante le energie arrivano immediatamente e così stranamente sono io questa mattina ad alzarmi per prima ed a preparare il caffè a Vanni che ancora fatica a svegliarsi…sono solo le 6.15, ma tra mezz’ora dovremo essere al parco per il chek-in del tour “Fish Creek”. Evitando di fare una serie di cose altrimenti irrinunciabili, usciamo in fretta dall’hotel ed arriviamo puntualissimi al Wilderness Access Center, dove una fila di persone aspetta in fila l’arrivo del bus. Ci sediamo nella seconda fila di sinistra, dietro l’anziano pilota che sarà anche la nostra guida durante tutto il viaggio. E’ un signore arzillo ed informato, inizia subito a parlare delle norme di comportamento da seguire durante il tour ed a descrivere il parco e tutte le problematiche legate ad esso. Ovviamente non capiamo molto di quello che dice…ma che importa ci godiamo il paesaggio dall’interno di questo bozzolo viaggiante. L’atmosfera è quella della gita scolastica, tutti con i loro zainetti carichi di sandweech e merendine varie….grande assente, per forza di cose…l’odore di mortadella! L’autobus segue l’unica strada presente nel parco che si spinge fin nel suo cuore, poco oltre il Wonder lake….non sono ammessi mezzi privati al suo interno…solo questi bus navetta che ne percorrono la stretta strada che si arrampica sulle pendici delle sue montagne. Le vallate sono incantevoli, così come i ghiacciai che vediamo spuntare bianchi oltre la sommità di altre montagne scure. A tratti le rocce si colorano di meravigliose sfumature, mentre la vegetazione è prevalentemente costituita da alberi sempreverdi. Talvolta il bus ferma nelle aree di servizio o presso i punti panoramici, ma più spesso le foto vengono scattate dall’interno, attraverso il finestrino abbassato, come nel caso di avvistamento di animali con i quali è assolutamente vietato entrare in contatto. Ma il parco oggi ha un grande regalo da farci…ed infatti dopo un paio di caribou avvistati in lontananza, così come un vecchio alce ( moose ) e le capre di montagna, le dall sheep, bianche e cornutissime, come un miracolo avvistiamo un grizzly bear, che sta pascolando vicino alla strada. Il bus si ferma ed il grizzly ci propone il suo show, mangia le bacche seduto, poi si alza e si avvicina al bus, attraversa poi la strada davanti a noi e passa sull’altro lato, mostrandoci il suo culone ondeggiante. Il simpatico grizzly, dal pelo chiaro ed il muso e le estremità scure, non ha fretta, esegue tutte le operazioni con una calma da orso e rimane sempre nei pressi del bus….per noi è una fortuna incredibile, e considerando che è solo il caso che porta un animale sulla tua strada, possiamo dire di essere stati molto fortunati, e di aver avuto la possibilità di fare un buon reportage fotografico. Rientriamo dopo otto ore di spettacolare viaggio all’interno del parco, felicissimi ed un po’ stanchi….ora inizia l’ora del mio lavoro…scaricare le centinaia di foto e selezionarle senza pietà…cosa non facile per me che le ho scattate. Cena in hotel con la solita Caesar Salade…tanto per non sbagliare!

22 Agosto 2007

DENALI NATIONAL PARK – SEWARD

Partiamo con il maltempo che ieri eravamo riusciti ad evitare ma che nel frattempo si è consolidato, la nostra meta di oggi è la Kenai Peninsula, oltre Ancorage che preferiamo evitare se non costretti. Non abbiamo ancora deciso in quale cittadina ci fermeremo, valuteremo strada facendo. Nel corso di uno stop veloce a Talkeetna, mentre io sto passeggiando armata di macchina fotografica nel piccolo centro abitato a caccia di uno scorcio pittoresco da immortalare, Vanni inizia a chiacchierare con un signore della Florida. Incuriosito da Carolina aveva iniziato a rivolgergli domande sulla cilindrata ed altro, al mio arrivo è Vanni ad avere in pugno la conversazione, mentre il signore ascolta attento e compiaciuto la storia del nostro lungo viaggio attraverso le americhe. Dopo una decina di minuti di conversazione è così compiaciuto della nostra impresa da invitarci a St. Petersburg in Florida dove lui abita, al nostro prossimo passaggio da quelle parti. ( Jhon e Sandy Faiella – tel. 727.823.9205 – email: jonfaiell@aol.com ). Talkeetna è carina ma non abbastanza da giustificare una sosta dopo soli 150 km, quindi decidiamo di ripartire costeggiando la bellissima baia di Cook che delimita a Nord la penisola. Certo non vediamo molto dello splendido paesaggio per noi solo abbozzato, le nuvole basse nascondono tutto ciò che ne è al di sopra …e ciò che rimane visibile è grigio. Ma percepiamo comunque il fascino di questo paesaggio montagnoso immerso nell’acqua della baia, e procediamo fino a Seward. Questa città di pescatori occupa l’estremità interna di un fiordo profondo affacciato sull’oceano pacifico, ne vediamo la posizione sulla mappa, inoltre ne leggiamo bene sulla guida. Troviamo già chiuso il tourist office …sono le 6 del pomeriggio…quindi non sapremo fino a domani se da qui partono i traghetti diretti all’isola Kodiak dove vorremmo andare per vedere gli orsi che mangiano i salmoni direttamente dall’acqua dei ruscelli. La guida dà in questo senso indicazioni vaghe, ma pare che due volte alla settimana un ferry sia diretto proprio là. Troviamo posto al confortevole hotel Edgewater, con sauna e waterfront …nella speranza di poter godere domani di una bella vista con cielo azzurro, poi decidiamo di uscire a cena. Siamo diretti nel migliore ristorante di pesce della città, leggiamo sulla Lonely Planet, il “ Ray’s Waterfront “ che si affaccia sul porticciolo sovraffollato di barche a vela che vediamo comodamente seduti al nostro tavolo. Le pareti rivestite di legno sono piene di trofei di pesca, l’ampia vetrata incornicia un bosco di alberi di alluminio e vele arrotolate, l’ambiente è accattivante e questa sera mangeremo finalmente l’Alaskan King Crab …non esiste al mondo un posto più adatto di questo per farlo! Ordiniamo una bottiglia di Sauvignon neozelandese, ottimo, e due porzioni di granchio che arrivano in una decina di minuti….inizia il nostro godimento. Questi granchi sono davvero enormi a giudicare dalle dimensioni delle due zampe che vedo sul mio piatto…e gustosissimi….forse addirittura migliori della mitica Centolla assaggiata in terra del fuoco. Sono accompagnate da burro fuso e riso pilaf al sapore di lime e cilantro, praticamente un capolavoro, per le nostre papille gustative! Godiamo della nostra cena con la stessa soddisfazione che potrebbe darci un coinvolgente amplesso sessuale …poi il dolce, una torta al cioccolato degna della pasticceria viennese “ Demel “…insomma usciamo così soddisfatti dal ristorante, da decidere che finché saremo da queste parti mangeremo sempre King Crab. Ci avviamo verso l’hotel accompagnati dalla pioggerellina che ancora scende sopra di noi, poi…. sulla 4° ave, all’altezza di un ristorante cinese…. il disastro. Un fuori strada parcheggiato a spina pesce sul lato destro della strada che noi stiamo percorrendo, esce in retromarcia senza vederci e tampona la parte posteriore destra di Carolina. L’impatto è fortissimo e Carolina ne esce con l’albero di trasmissione a terra, l’asse posteriore storto e la carrozzeria devastata. Siamo nella merda! Il cinese, proprietario del locale, scende dal suo gippone e si informa delle nostre condizioni, mentre Vanni manifesta tutta la sua disperazione ….ne ha ben donde…Carolina sembra davvero messa male. Arriva la polizia e poco dopo il carro attrezzi, rimaniamo a lungo sul luogo del delitto per raccogliere e dare informazioni, poi ritorniamo in hotel dove fatichiamo a prendere sonno consapevoli del problema enorme che dovremo gestire a partire da domani mattina, assicurazione, officina, perito dell’assicurazione, con l’aggravante della difficoltà della lingua inglese, ed un nuovo hotel che dovremo cercare….questo domani è pieno… per cercare di chiudere al più presto il nefasto episodio di questa sera.

23 Agosto 2007

SEWARD

Ci svegliamo presto anche senza sveglia….e dopo pochi minuti siamo già operativi. Telefoniamo per prima cosa alla nostra assicurazione americana, la AAA, dove capiscono la nostra difficoltà ed in pochi minuti trovano un’interprete che fa da filtro tra noi e l’operatrice. La conversazione, che assomiglia tanto ad un interrogatorio degno della CIA, dura un tempo che a noi sembra infinito e si conclude con un claim number che riassume in pochi numeri la nostra storia recente. Alle 9 arriva puntuale in hotel Leaf, l’autista del carro attrezzi che molto gentilmente accompagnerà Vanni e Carolina, che è ancora sul carro attrezzi, in un work shop (officina) dove lui pensa potrà essere riparata. Vanni sta ancora parlando con l’assicurazione, quindi faccio accomodare Leaf in camera nostra. E’ un tipo simpatico, alto, sui 50 anni e sembra di conoscerlo da una vita anche se lo abbiamo incontrato solo poche ore fa. Esce un attimo dalla camera e torna con un paio di depliant che pubblicizzano un tour dei fiordi in ferry ed un tour in treno con partenza da Seward…sta cercando di rendere divertente il nostro soggiorno forzato in questa bella cittadina…che gentile! Rimango in hotel a raccogliere le nostre cose nei trolley mentre loro escono, sono già le 10 ed il check out è alle 11, li aspetterò nella hall dell’hotel, penso…..ma che attesa! Vanni risponde al mio sms delle 12 telefonandomi dopo un’ora…nel frattempo in hotel sono arrivati i pompieri in emergenza perché un corto circuito ha fatto scattare l’allarme…aiuto! cosa sta succedendo? Vanni e Leaf arrivano solo alle 14 …queste ultime tre ore mi sono sembrate un’eternità…per portarmi nell’hotel Seward, a due passi da quello dove ho tanto aspettato. Che pazienza ci vuole a volte! Una volta chiusa la porta della nostra 121 Vanni inizia a raccontare tutte le traversie della mattinata. Quando mi hanno lasciata sono andati a prenotare una camera all’Holiday Inn in zona porticciolo, poi sono andati da Napa a cercare i ricambi necessari alla riparazione ma senza successo. Sono infine andati da un demolitore per vedere se trovavano lì le due balestre da sostituire. Hanno individuato un modello simile e quindi tagliato con la fiamma ossidrica le balestre. Sempre spostandosi con il carro attrezzi, hanno portato poi i due pezzi e Carolina in un colpo solo al Seward Auto Shop di Lenny, dove li aspettava haimè il giudizio sfavorevole del meccanico che ha assolutamente vanificato in un attimo il loro duro lavoro con la fiamma ossidrica. Trovato quindi telefonicamente un fabbro disposto a costruire le due balestre in una settimana di lavoro, sono tornati all’Holiday Inn dove però la camera prenotata era stata già ceduta ad altri, quindi eccoli arrivare dopo più di tre ore di lavoro alla reception dell’hotel dove io li aspettavo impaziente. Il tempo di lasciare le valigie nella nuova camera e raggiungiamo il paziente Leaf che già in odore di beatificazione ci aspetta fuori dall’hotel, per accompagnarci alla Hertz dove noleggeremo un’auto sostitutiva. Se le peripezie fossero finite qui saremmo fortunati, in realtà le assicurazioni sono uguali in tutto il mondo, e lo stato di diritto nel quale pur noi ci troviamo, non facilita le operazioni di risoluzione dei problemi. Per avere l’auto dobbiamo richiamare la nostra assicurazione, ricorrere di nuovo ad una interprete e raccontare per la seconda volta tutto l’accaduto alla nuova interlocutrice per la quale evidentemente il nostro number claim non ha nessun valore. Dopo tanta insistenza da parte di Vanni ci viene dato l’ok per una spesa complessiva di noleggio pari a 650 $. E’ giunto il momento di telefonare anche alla Allstate, l’assicurazione del cinese, suggeriscono le deliziose impiegate della Hertz, per chiedere il rimborso delle spese dell’hotel durante la nostra sosta forzata a Seward. Così ancora dal loro ufficio, per la terza volta raccontiamo l’accaduto nel corso dell’ennesima interminabile telefonata di oggi e riusciamo a portarci a buon punto con le operazioni di disbrigo delle varie problematiche che emergono in continuazione. Sono le 5 del pomeriggio quando usciamo dal parcheggio della Hertz con una berlina sulla quale non riusciamo a sentirci a nostro agio…solo ora ci rendiamo conto che in questo nostro viaggio Carolina è il terzo passeggero. Un po’ di relax in hotel a rimuginare della giornata di oggi e riflettendo sulla disponibilità non comune di queste persone meravigliose che cordialmente ci hanno aiutati a sostenere l’emergenza. Sulla scelta del ristorante non abbiamo nessun dubbio, andiamo di nuovo al “ Ray’s Waterfront “ dove troviamo consolazione delle nostre fatiche tra le gustose zampe del King crab appoggiate sui nostri piatti.

24 Agosto 2007

SEWARD

Alle 7 suona il telefono…è la nostra assicurazione che chiede di nuovo il numero dell’officina dove verrà riparata l’auto. E’ incredibile che nel 2007, in una nazione patria di Bill Gates, un’azienda debba rivolgersi ad un suo cliente per ben tre volte chiedendo sempre le stesse informazioni….ma qui, ci rendiamo conto, è ancora peggio che in Africa e pur di uscire da questa situazione ci sottoponiamo all’ennesimo interrogatorio. Leaf ieri, prima di congedarsi da noi, ci aveva invitati a trascorrere con lui la giornata di oggi a bordo del catamarano Express Glacier di cui lui è capitano. L’escursione si svilupperà tra i fiordi del “Kenai Fyords Nat. Park” con partenza alle 11.30, appuntamento al quale Vanni che nel frattempo è andato in officina per valutare il preventivo, arriva solo pochi minuti prima della partenza. Ma ce la facciamo a salire a bordo, ultimi della lunga fila dei turisti paganti. Ci accomodiamo sulle poltroncine rimaste libere del secondo ponte mentre Leaf dalla cabina di pilotaggio sopra di noi esegue le manovre necessarie per condurre la voluminosa imbarcazione fuori dal porticciolo. Poco dopo una hostess ci suggerisce di raggiungerlo in cabina, dove lo vediamo seduto davanti ai tanti strumenti, trasformato da una divisa diversa, nel suo nuovo ruolo di capitano. Davvero una persona incredibile questo Leaf, gentile, generoso, amante degli animali, capitano di un catamarano 5 giorni la settimana e autista di un carro attrezzi nel tempo libero! Recupera d’estate il tempo perso durante il lungo e freddo inverno, periodo nel quale il lavoro scarseggia. Certo che d’estate lavora dalle 12 alle 14 ore al giorno. Il tempo anche oggi è cattivo, ma la visibilità è migliore rispetto a ieri…prendiamo il largo percorrendo la lingua di mare del fiordo che si affaccia sull’oceano pacifico, costeggiando isolette rocciose e piatti scogli sui quali riposano stravaccati i leoni di mare. Il paesaggio è incantevole anche sullo schermo del radar, dove vediamo miriadi di isole gradi e piccolissime definire le estremità dei fiordi , retaggio dell’ultima glaciazione che ha portato via con sé parte delle terre emerse erose più o meno profondamente dal ghiaccio. Certo non è facile comunicare con Leaf, estremamente impegnato a due passi da noi, quindi ci godiamo il viaggio uscendo ogni tanto dalla cabina, sferzati dal vento freddissimo che soffia da Nord, per avvistare gli animali che durante il viaggio incontriamo lungo la costa , come l’orso bruno e le aquile dalla testa bianca, o dentro il mare come le balene e le orche. Arriviamo infine al grande ghiacciaio Ailan , il più grande che vediamo lungo il percorso, dove il catamarano si ferma e nel silenzio ascoltiamo il rumore del ghiaccio che si stacca e precipita in mare. Un dejà vu per noi che in Argentina ne abbiamo visti di ben più spettacolari, ma questo viaggio in mare è riuscito a distrarci dallo stress dell’incidente ed a restituirci, almeno per qualche ora il nostro ruolo di viaggiatori spensierati. Torniamo alla base nel tardo pomeriggio, non prima di aver provato il brivido dell’onda lunga dell’agitato mare aperto. L’appuntamento con Leaf per la cena è al ristorante Chinnok’s che lui preferisce al Ray’s….forse solo perchè sua figlia lavora lì….ma il King Crab è buono ovunque lo si mangi! Nonostante la lingua la conversazione non langue mai…stiamo migliorando! Nel corso della serata parliamo anche del nostro progetto di tornare in Alaska il prossimo inverno, per vederla nella sua versione più caratteristica, ovvero quella che più colpisce l’immaginario collettivo, fatta di neve, slitte trainate dai cani, fiumi ghiacciati ed un freddo polare. Leaf ci spiazza subito con un’affermazione che non lascia vie d’uscita…- pessima idea!- dice, – C’è un freddo terribile, è buio dalle tre del pomeriggio alle dieci del mattino dopo ed inoltre tutti gli anni muoiono un sacco di persone con le motoslitte sui fiumi ghiacciati.!- Basiti iniziamo a riconsiderare l’ipotesi di lasciare perdere con questi progetti un po’ troppo estremi per noi che amiamo il caldo e che come quasi tutti gli alaskani propenderemmo piuttosto per un soggiorno alle Haway, decisamente più consono alle nostre attitudini.

25 Agosto 2007

SEWARD – HOMER

Oggi è sabato, le assicurazioni non rispondono ai telefoni e l’officina di Lenny è chiusa….sembra proprio il momento adatto per lasciare Seward ed esplorare il resto della penisola godendoci il weekend. Ci dirigiamo verso Homer che raggiungiamo con calma nel pomeriggio….queste distanze ci sembrano così brevi! Costeggiamo qualche lago dalle acque azzurre, percorriamo vallate adagiate tra ripide montagne coperte da spessi ghiacciai, ed infine arriviamo alla bella cittadina di Homer affacciata sulla Kichemak Bay, vicino allo stretto di Cook. Va da se che pernotteremo al Best Western, anche se si trova in posizione decentrata rispetto al fulcro di Homer…i BW scarseggiano qui in Alaska e questo non possiamo certo perdercelo! Abbiamo accumulato talmente tanti punti sulla tessera Gold BW da poter dormire gratuitamente per alcuni giorni in qualsiasi hotel BW. Ma torniamo a Homer…siamo qui perché è una delle due più belle cittadine della penisola Kenai ed anche perché da qui partono i traghetti diretti all’isola di Kodiak dove vorremmo andare per vedere gli orsi mentre catturano i salmoni lungo il fiume…uno spettacolo da non perdere per noi che ormai siamo diventati degli appassionati bears watchers! La receptionist gentilmente si informa dei costi e degli orari dei traghetti, poi ci indica una compagnia di aerotaxi che organizza escursioni dirette non all’isola, ma in un luogo più vicino dove si possono vedere gli orsi. Questa seconda ipotesi ci piace di più…11 ore di traghetto per la sola andata all’isola ci sembrano un tempo infinito, e non abbiamo poi tutto questo tempo…l’officina di Lenny ci aspetta e il 10 settembre l’aereo per l’Italia partirà da Chicago che in qualche modo dovremo raggiungere. Andiamo nella sede della compagnia di aerotaxi, ma il tour che propongono non ci piace per il taglio iperturistico che ne percepiamo leggendo il depliant, quindi usciamo con un pugno di mosche…che fare? Vanni vede un paio di idrovolanti parcheggiati sul Beluga lake che costeggia la strada…ne è così affascinato che andiamo a vedere più da vicino. Uno di questi è un Travel Air S6000B del 1929…. un pezzo di antiquariato ed in perfette condizioni…Vanni entra nella casetta di legno sulla quale si legge “scenic flights – kachemak bay flyng service, inc” e dopo poco mi chiede di entrare. All’interno del piccolo ufficio Bill e sua moglie, non più giovani, mi accolgono con un sorriso cordiale. Vanni sta mettendo in croce Bill perché ci accompagni con il suo idrovolante d’epoca a vedere gli orsi sull’isola Kodiak…ma Bill non ne vuol proprio sapere di volare su una distanza così grande …è troppo vecchio dice…e ci consiglia l’”Emerald Air service” che offre un tour con volo ed escursione a piedi fino alla Katmai Preserve, il paese degli orsi pescatori….proprio quello che anche Leaf ci aveva consigliato di visitare dopo una breve telefonata fatta ad un suo amico al proposito di aiutarci nella scelta. E’ il nostro tour! Finalmente l’abbiamo trovato ma….il primo posto disponibile è per il 4 settembre ci dice Bill dopo averne chiamato la sede…che sfortuna. Del resto non stupisce che sia il tour più gettonato…dato che è organizzato da una coppia di naturalisti che studiano da anni questi meravigliosi orsi del sul dell’Alaska. Non contenti andiamo personalmente all’ufficio della Emerald Air, per metterci in una improbabile lista d’attesa dove siamo addirittura terzi…ma Vanni non si da per vinto e cerca di corrompere la segretaria promettendole un paio di bottiglie di vino italiano se riusciremo a partire domani…è così che la segretaria divertita dalla simpatica insistenza aggiunge sorridendo due asterischi a lato dei nostri nomi….meglio di nulla….mentre io acquisto il dvd del tour!

26 Agosto 2007

HOMER – KENAI

Homer è davvero graziosa, sviluppata com’è su di una stretta lingua di sabbia che si allunga dentro la baia. Anche oggi il cielo è quasi completamente azzurro, la giornata ideale per fare qualcosa di interessante…quindi decidiamo. Andremo con Bill a sorvolare la baia ed i ghiacciai sulle montagne di fronte ad essa , partiremo alle due del pomeriggio. Dopo un breve giro tra le casette di legno del paese e l’avvistamento di un’aquila dalla testa bianca, siamo di ritorno al Kachemak bay flyng service, dove sotto i raggi del sole luccica splendente il bellissimo idrovolante fatto di legno e teflon e dai colori sgargianti blu e rosso. E’ la prima volta che salgo su un idrovolante e sono lusingata che sia proprio su questo pezzo da museo ….mi sentirò un po’ come il Barone Rosso delle truppe tedesche….in fondo il periodo deve essere più o meno lo stesso. Saliamo all’interno dell’abitacolo tutto rivestito di legno lucidato, prendendo posto sulle sedie con struttura metallica che ricordano un po’ quelle da giardino in ferro battuto. E’ con noi una coppia di signori della florida, dai movimenti un po’ impacciati dall’età avanzata…siamo pronti, Bill sale per ultimo chiudendo dietro di se lo sportello posteriore e si fa largo tra noi per raggiungere il suo posto davanti ai comandi. Tira verso di se i due volanti che fungono da cloche e planiamo sulle acque tranquille del lago illuminato dai raggi del sole del primo pomeriggio. Immediatamente sentiamo l’odore acre del carburante bruciato dal motore… mentre vediamo sui lati alzarsi gli spruzzi dell’acqua sotto la pressione dei due siluri. Il decollo è dolcissimo ed eccoci poco dopo a sorvolare la lingua di sabbia di Homer , diretti oltre la baia, verso le montagne cariche di ghiaccio. Vedere un territorio dallo stesso punto di vista degli uccelli è una delle cose più spettacolari che si possa fare per carpirne l’esatta conformazione fisica. La particolare morfologia della baia che stiamo sorvolando e delle tante isolette che ne fanno da cornice sono uno spettacolo meraviglioso del quale godiamo comodamente seduti sulle nostre sedie. Tra le tante piccole insenature che le montagne disegnano immergendo i loro tentacoli nel mare, ne vediamo alcune utilizzate ad allevamento ittico, per le caratteristiche boe in file ordinate emergenti dalla loro superficie, Bill dice che si tratta di ostriche! Bellissimo anche il grande ghiacciaio proteso verso il mare e gli iceberg azzurri che vediamo risaltare sul grigio limaccioso dell’acqua, poi di nuovo il mare azzurro della baia, dove le spiagge di sabbia chiara fanno sembrare le isole di questo estremo nord simili a quelle caraibiche. Dopo poco più di un’ora di volo rientriamo alla base, salutiamo cordialmente Bill e consorte e ci precipitiamo in un ristorante per mangiare le ostriche …ovviamente fritte…solo così mi piacciono da morire! Homer non ha più molto da offrirci a questo punto, quindi decidiamo di spostarci verso nord-est raggiungendo Kenai, il più antico insediamento qui in Alaska , fondata dai russi nel lontano 1790. Il sole è già piuttosto basso quando arriviamo sulla spiaggia di Kenai, ma per il tramonto bisognerà aspettare almeno altre tre ore, o più. Ci spostiamo quindi dopo poco nel cuore antico della cittadina, dove vediamo la favolosa chiesetta della Vergine Maria, costruita in legno e dalle inconfondibili cupolette azzurre a forma di cipolla rovesciata. Poco oltre la bella cappella di Saint Nicholas, anch’essa eseguita nel tradizionale stile russo ortodosso. Questi due piccoli edifici in stile russo rappresentano quanto di meglio si possa vedere qui a Kenai, che lasciamo per raggiungere l’hotel BW di Soldotna.

27 Agosto 2007

KENAI – SEWARD

Ripartiamo con calma, in fondo Seward è vicina e l’unica sosta che faremo sarà a Whittier, piccolo e trasandato centro abitato che si affaccia su una baia racchiusa da alte e pittoresche montagne. Perché proprio qui? Perché da qui partono i ferry che attraversano l’Inside Passage, tra fiordi, isole e ghiacciai, per dirigersi poi a Bellingham, nello stato di Washington….a due passi da Seattle. Avendo nuovamente rivoluzionato i nostri progetti di viaggio che non prevedono più la sosta in Alaska il prossimo inverno, abbiamo deciso di allontanarci il più possibile con Carolina dal grande freddo dell’estremo nord e Seattle sarà un buon punto dal quale ripartire verso la costa atlantica. Arriviamo all’ufficio della Alaska Ferry Adventure di Whittier nel primo pomeriggio ma non troviamo nessuno. Mi informo presso un negozio vicino e mi dicono che gli uffici aprono solo quando arrivano i ferry…ma nessuno sa quando arriverà il prossimo! Il mistero si fa fitto…ripassiamo davanti all’ufficio e spiando dalle finestre vediamo una persona al suo interno. Mi vede ed esce. Si chiama Paul ed ha un sorriso gentile, riassume brevemente la situazione dicendo che giovedì 30 farà scalo a Whittier il ferry Kennicott diretto a Billingham, i posti sono tutti prenotati ma possiamo contare sulle cancellazioni che sono sempre di 1 o 2 auto. Se saremo i primi a metterci in lista d’attesa all’apertura degli uffici alle 9.30 del 30, avremo ottime possibilità di partire. Wow che bella notizia….prenotiamo subito una camera all’ Anchor Inn per il 29, e se tutto andrà bene il 5 settembre saremo a Seattle. Rientriamo baldanzosi a Seward dove occupiamo una camera all’ Edgewater, l’hotel più carino di Steward, dove eravamo già stati la nostra prima notte….Dopo una visita all’acquario della città dove vedo leoni di mare, salmoni, halibut, king crab ed un sacco di altri pesci, raggiungo Vanni in hotel ed insieme andiamo al Ray’s per la cena, dove mangiamo un ottimo Halibut alla marocchina.

28 Agosto 2007

SEWARD

Una giornata tutta per me quella di oggi…Vanni infatti è partito presto per Anchorage dove andrà a ritirare le balestre nuove di Carolina. Mi alzo con calma, preparo un te, aggiorno un po’ il diario, mi informo presso la reception dei fioristi di Seward ed esco. Abbiamo pensato di regalare dei fiori sia a Rosie che a Leaf, contraccambiando con un pensiero gentile l’estrema cortesia ricevuta i giorni scorsi. Va da se che il negozio di fiori è all’interno del supermercato Safeway che si trova all’estremità opposta del paese a tre chilometri dall’hotel, ma una bella passeggiata non mi farà male e questa tiepida giornata di sole è un invito irresistibile…quindi parto. Raggiungo dopo qualche isolato il porticciolo, lo costeggio e proseguo oltre lungo la strada principale della cittadina verso la periferia. Arrivo al Safeway un po’ accaldata, per via del sole che qui scalda molto e della maglia di lana che maldestramente ho infilato prima di uscire. Al suo interno un intero angolo è dedicato alla vendita dei fiori e che fiori…la varietà non è male. Decido per le rose bianche con tulipani rossi e chiedo alla ragazza down che si trova oltre il bancone di confezionarmi un mazzo. Vorrei tanto confezionarmelo da sola quel mazzo…le sue piccole mani deformi si muovono maldestramente tra il foglio di cellophan, i fiori ed il nastro ed il risultato è piuttosto lontano da ciò che mi aspettavo…ma che dire? Esco e sistemo alla meno peggio il nastro bianco che trattiene i fiori, poi mi incammino verso l’ufficio della Hertz dove li consegno personalmente a Rosie che ne è quasi commossa!…rimango qualche minuto con questa simpatica e grassoccia signora sui 50 anni di età, poi torno sui miei passi per raggiungere l’hotel dove ho già in mente di rilassarmi un po’ facendo una bella sauna. Ed infatti dopo una mezzora ne esco come rinata, mi concedo ancora una sosta in camera spalmata sul letto e poi esco ancora per fumare una sigaretta e per un po’ di shopping sfrenato a caccia di souvenir per le amiche in un bel negozio tutto di legno sulla Fourth ave. Quando Vanni entra in camera, verso le 6 del pomeriggio, porta con sé tutta la stanchezza del lungo viaggio e la tensione legata alla scoperta che le balestre nuove sono più strette di quelle originali e un po’ diverse nella parte terminale del foglio maestro. Vanni può sopportare bene molte cose…tranne che si possano commettere errori relativamente a Carolina. Lascio quindi immaginare il suo malumore nel corso della non certo allegra serata, compresa la consegna dei fiori a casa di Leaf che carinamente fa di tutto per minimizzare il problema e restituire a Vanni un barlume di sorriso ….intanto quel furbetto di Lenny è latitante!

29 Agosto 2007

SEWARD – WHITTIER

Quando vedo Vanni rientrare in camera verso le 9.30 è già di ritorno dall’ officina di Lenny , dove insieme hanno valutato il da farsi….è sereno e sembra aver recuperato il suo buonumore. Due coccole ed alle 11 siamo puntuali alla reception pronti per il check-out . Carolina sarà pronta verso mezzogiorno…abbiamo il tempo per un salto alla Hertz per l’ennesima telefonata all’assicurazione poi Vanni riparte in missione diretto all’officina mentre io preferisco fermarmi a godere del bel sole di oggi su una panchina del porticciolo. Verso l’una Vanni arriva e scatta l’ultimo giro di saluti a Rosie , dove riportiamo la macchina a nolo ed a Leaf che accogliendo di buon grado il nostro invito a raggiungerci in Italia con la moglie, ci chiede le nostre e-mail per poter rimanere in contatto. Dopo un abbraccio siamo pronti per lasciare definitivamente Leaf e Seward diretti a Whittier, che raggiungiamo in breve tempo…ma decisamente in anticipo rispetto agli orari di transito del lungo e stretto tunnel che attraversando l’alta montagna per 5 miglia, rende Whittier raggiungibile anche via terra. Il tunnel sembra non finire mai, anche per via della bassa velocità che le rotaie sulla carreggiata rendono necessaria….ma poi affondiamo nella luce della baia e siamo già arrivati in questo paesino fatto di poche casette di legno ed un grande brutto condominio, tagliato a metà dalla ferrovia e da un piazzale di deposito di container e barche a motore. Andiamo subito all’ufficio del ferry che però anche oggi è chiuso e poi raggiungiamo l’hotel dove occupiamo una camera “vista oceano” che però si affaccia sulla ferrovia ed i container …la proprietaria su nostra insistenza telefona a Paul che conferma l’arrivo di domani della Kennicott . Ceniamo in hotel e poi a letto a vedere un vecchio film in bianco e nero con H. Bogart….domani mattina Vanni ha in mente di andare all’ufficio della Alaska Ferry Adventures verso le 7…tanto per essere sicuri di essere i primi della lista di attesa.

30 Agosto 2007

WHITTIER – TOK

Mi sveglio presto anch’io ed esco per raggiungere Vanni…aspettare in compagnia è sempre meglio che soli….ma con sorpresa lo vedo arrivare verso l’hotel a bordo di Carolina. Ancora tramortito per la notizia e la sveglia presto mi dice che hanno soppresso la partenza della Kennicott a causa di un guasto al timone! Insomma sembra proprio non funzionare nulla qui in Alaska e questo contrattempo rivoluziona ancora una volta i nostri progetti di viaggio! Con le orecchie basse ripartiamo….diretti verso il Canada, attraversando foreste infuocate dei colori dell’autunno qui prematuro ed avvistando una coppia di alci immersi nelle acque di un piccolo lago. Un ottimo bottino anche oggi! Ci fermiamo al motel Snowshoe di Tok per la notte….la strada da fare è ancora lunga….ma per oggi è finita. Decidiamo di cenare in camera…andiamo al supermercato a prendere qualche schifezza e la scaldiamo al microonde…risultato deludente….questi involtini alla pizza sono al limite della decenza.

31 Agosto 2007

TOK – WHITE HORSE

Partiamo presto, i chilometri da fare oggi non sono pochi e la prospettiva di tornare a White Horse per la notte ci alletta molto. Quella cittadina ci era piaciuta per le sue case di legno colorato e per l’atmosfera vivace ed accogliente che la caratterizza. Per raggiungerla seguiamo la Alaska highway verso il confine con il Canada che attraversiamo a Beaver Creek, poi ci spingiamo ancora verso sud-est attraversando incantevoli vallate e scenari mozzafiato colorati dei gialli autunnali e del blu del Kluane Lake….poi con grande soddisfazione, vediamo un grosso grizzly al bordo della strada. Ci erano mancati questi avvistamenti improvvisi nel corso del nostro soggiorno in Alaska, dove gli animali tendono a nascondersi dai cacciatori ed a rifugiarsi nelle aree protette dei parchi…ma il Canada è in questo senso un altro pianeta e con l’avvistamento di oggi ci tornano alla mente tutti gli orsi visti nel corso del nostro passaggio qui. Ma all’improvviso, ad un centinaio di chilometri da White Horse il cielo si fa plumbeo e la grandine inizia ad accumularsi sotto i tergicristalli di Carolina….il tempo qui è estremamente variabile e sulle cime delle montagne sono già visibili le prime spolverate di neve fresca. Torniamo al BW Rush Gold Inn quasi come se fosse casa…mi precipito alla laundry dove riempio due lavatrici e nell’attesa faccio due chiacchiere con una coppia di anziani signori della Florida…anche le lavatrici sono un po’ casa. Dopo un breve shopping dal quale esco con un maglione bianco ed un orso nero ricamato sul davanti, andiamo a cena…è già tardino rispetto alle abitudini locali ed io sono affamata. Facciamo un tentativo nel ristorante che avevamo trovato affollatissimo al nostro primo passaggio a White Horse …non ricordo più il nome ma si trova sulla 3rd Ave, poco dopo l’incrocio con la Main Street. L’ambiente è estremamente informale e…questa sera troviamo posto senza doverci congelare nell’attesa fuori dalla porta. Ci fanno accomodare all’ estremità libera di un tavolo dove tre signori del Wyoming stanno cenando….uno di loro, Ray, simpatico e cordiale inizia a socializzare con noi e finiamo la cena con una foto di gruppo scattata da lui. Una bella serata ed una cena piuttosto buona….anche questa volta questa piacevole cittadina ci ha fatto un bel regalo….ma che freddo c’è qui!

01 Settembre 2007

WHITE HORSE – MUNCHO LAKE

Il cielo è azzurro quando partiamo nel tepore di questa mattina assolata. Carolina è sempre più piena di bagagli e Vanni tranquillo alla guida….l’agitata sono io che non sopporto le lunghe giornate trascorse in auto, tanto meno se per diversi giorni di seguito. Mi sento come in gabbia, non posso fare nulla…né muovermi, né scrivere al computer, anche leggere dopo un po’ mi stanca….è un po’ come passare le giornate immobili nell’attesa di qualcosa che però non arriva mai…praticamente un incubo!….unica consolazione il paesaggio a tratti bellissimo, fuori dai finestrini. Ma anche questo finisce col ripetersi sempre più o meno uguale e….penso proprio che una volta usciti dal Canada non vorrò vedere boschi, né laghi per un bel po’ di tempo. Ma oggi il viaggio si concluderà con una chicca deliziosa….le “Liard River Hot Springs” che avevamo viste senza immergerci però nelle acque termali, al nostro passaggio qui di circa un mese fa. Arriviamo verso le 5 del pomeriggio, infreddoliti più che mai…non so proprio come farò a svestirmi per mettere il costume e raggiungere la pozza di acqua calda! Le acque termali sono collegate al parcheggio da una stretta passerella di legno che si inoltra tra la natura selvaggia del parco. Camminiamo nella vegetazione, rigogliosa per il particolare microclima dovuto alle sorgenti di acqua calda, tra alberi ad alto fusto, rovi carichi di bacche e funghi…naturalmente non manca l’acquitrino con le sottili canne vallive. Alla fine del lungo percorso un solo piccolo edificio di legno a servizio delle terme dove entriamo per spogliarci in fretta tra indumenti appesi un po’ ovunque. Pochi metri ancora e scendiamo gli scalini di legno che si immergono nella pozza principale, sotto i nostri piedi uno strato di ghiaia tiepida, attorno a noi l’acqua sulfurea scorre lentamente verso valle alle altre piccole pozze collegate. Che relax! La vegetazione arriva a lambire l’acqua nella quale siamo immersi…senza soluzione di continuità…direttamente….una nebbiolina sottile si alza dalla superficie rendendo l’atmosfera ancor più magica. E’ un posto così romantico…ci coccoliamo per almeno un’ora, immersi nel liquido caldo, tutto è perfetto attorno a noi….poi, sorpresa! Mi guardo le mani e vedo che l’argento del mio anello è diventato blu…orrore! Risaliamo quasi spappolati dal relax…e raggiungiamo il “Northern Rocky’s Lodge” nel “Muncho Lake park” ad una sessantina di chilometri da qui. E’ un lodge costruito interamente in tronchi di legno, molto ben tenuto e di proprietari svizzeri. Entriamo nella nostra camera prenotata a lasciare i bagagli e siamo pronti per la cena….con menù scritto in tedesco… Non ci possiamo credere! Proprio adesso che avevamo conquistato una buona conoscenza dei menu in lingua inglese!

02 Settembre 2007

MUNCHO LAKE – DAWSON CREEK

Giornata di avvistamenti quella di oggi…gruppi di giovani cervi pascolano ai lati della strada ed un paio di volpi attraversano furtive. Il paesaggio sempre montagnoso è condito a tratti dai laghi e dai fiumi che lo solcano disegnandone le vallate…insomma una noia mortale! Dawson Creek è un paese piuttosto anonimo con un microscopico centro storico fatto di case di legno ed una periferia di grandi edifici e shopping center. Ci fermiamo all’Aurora Inn Motel snobbando il carissimo best western…è nuovo e confortevole. Ceniamo da Mac Donald facendo due passi dall’hotel.

03 Settembre 2007

DAWSON CREEK – EDMONTON

Finalmente oggi raggiungeremo Edmonton, la capitale dello stato dell’Alberta. Strada facendo lievi colline sostituiscono le montagne rocciose che ci avevano accompagnati per giorni e giorni. A Edmonton scegliamo l’hotel Varscona, all’angolo tra la 82 Ave e la 106 street, nel cuore della Old Strathcona, il quartiere storico della città. Posto a sud del fiume che lo separa dalla downtown, questo quartiere pullula di vivacità e di begli edifici storici in mattoni a vista o legno a doghe. Il nostro hotel è estremamente confortevole, e avendo tempo potremo trascorrere qualche ora nella sua spa per un sano relax. Appena fuori troviamo la 82 ave piena di locali, ristoranti, negozi e gente che passeggia lungo i marciapiedi….questa vivacità ci piace. Ma anche la città è piacevole, attorcigliata com’è attorno al fiume , piena di aree verdi e così diversa nelle sue due parti….la city con i suoi grattacieli a Nord e la old Strathcona invece sulla riva Sud caratterizzata dai bassi edifici storici. E’ festa oggi qui in Canada, anche se non ho capito perché…non ho affatto capito le indicazioni frettolose in inglese da parte del receptionist al proposito. Comunque una volta preso possesso della camera ci separiamo…io mi avventuro in una passeggiata nel parco lungo il fiume a vedere la bella skyline della city al tramonto, Vanni invece và in aeroporto per vedere se nei prossimi giorni ci sono voli diretti per Chicago e con quale compagnia. Dopo un paio d’ore ci rivediamo in camera….ma è già quasi troppo tardi per la cena…Al contrario di quanto succede da noi, in occasione delle festività i ristoranti qui chiudono prima del solito e alle 9 troviamo già molte porte chiuse. Ci salva il ristorante messicano “Julio’s Barrio” sulla 82 ave, ad un centinaio di metri dall’hotel, che naturalmente è full. Nell’attesa del tavolo assaporiamo al bar un buon margarita ed una Corona, poi tortillas de res e sopa azteca….un trionfo di sapori!

04 Settembre 2007

EDMONTON

Andiamo insieme ad acquistare i nostri biglietti per Chicago. La decisione dell’ultima ora è di lasciare Carolina a svernare qui …in ibernazione a -30° C! Abbiamo già fatto troppi chilometri in questo viaggio ed aggiungerne altri 1300 inutili per raggiungere ora Winnypeg, penalizzando la visita di Chicago non ci sembra una alternativa sostenibile. Quindi partiremo con il volo di domani delle 13.05 diretti nella città dei gangster più famosa del mondo…Chicago. Non vedo l’ora di arrivare, le grandi città iniziano a mancarmi e questa sarà molto interessante per me che già sento affiorare i ricordi delle architetture della “Scuola di Chicago” e di F.L. Wright. All’acquisto del biglietto segue quello di un valigione dove mettere le varie scatole di souvenir, poi ci dividiamo, io diretta all’ufficio CITES per controllare la validità del nostro documento per le linci e Vanni in cerca di un parcheggio dove lasciare Carolina a svernare. Come sempre in questi casi il primo indirizzo non è mai quello giusto, ma al secondo tentativo arrivo nel grande edificio con foresta nel patio centrale…è quello giusto! Salgo alla room 205 e parlo con l’incaricato che mi rassicura dicendo che il nostro certificato è ok…anzi si assenta per una telefonata di conferma alla dogana dell’aeroporto e torna con un sorriso soddisfatto. Contentissima di non dover rifare altri tre certificati rientro in hotel dove Vanni mi aspetta per razionalizzare i bagagli. Dopo un’ora di duro lavoro fatto di incastri perfetti all’interno del valigione, usciamo per la cena. Entriamo nell’ Irish Pub poco oltre l’hotel…c’è musica dal vivo questa sera…un gruppo di Irlandesi si esibisce in un concerto appassionato di musica celtica …sono bravissimi e sempre più numerosi con il passare del tempo. Vanni offre loro da bere….è sempre gentile con chi si esibisce!

05 Settembre 2007

EDMONTON – CHICAGO ( Illinois)

La sveglia suona alle 8.40, ma Vanni è già uscito a prendere un tè ed un caffé da bere comodamente in camera…questa notte non ha dormito bene, dice, mentre appoggia i bicchieri ricolmi sul comodino. Abbiamo tutto il tempo per prepararci ed essere in aeroporto per il check-in delle 11.30. Gli ultimi ritocchi ai bagagli e siamo su Carolina per l’ultimo tratto di strada insieme di questo quarto step di viaggio attraverso le americhe. Un ingorgo sulla 104 che stiamo percorrendo ed il rifornimento diesel ci fanno perdere un po’ di tempo ma arriviamo in aeroporto puntuali alle 11.30, anche se con molte cose da fare. Vanni mi scarica alle partenze e va a parcheggiare Carolina. Lo aspetto come d’accordo per una ventina di minuti, poi entro in cerca del desk della Air Canada che vedo scritto sul foglio di prenotazione…quando Vanni mi raggiunge sono già a buon punto nella fila che porta ai pochi desk aperti, procediamo insieme per poi scoprire che abbiamo sbagliato. Il nostro volo è stato acquistato da un pacchetto Air Canada, ma viene effettuato dalla United Airlines. L’organizzazione qui è peggio che in Africa! Cambiamo desk quindi, ma sono già le 12.20 quando arriviamo alla dogana USA con ancora tutti i nostri bagagli sul carrello, ed anche qui c’è l’intoppo del certificato CITES per le pelli di lince che, come ci aveva spiegato l’impiegato a Fairbanks, è valido per una sola frontiera, nel nostro caso quella Canadese. Avremmo quindi dovuto, ci dice il doganiere, procurarci un altro CITES per la frontiera Canada-Usa, e poi ancora un altro per quella Usa-Italia…Replico che l’impiegato dell’ufficio preposto di Edmonton mi ha detto
che il mio certificato è ok per questo trasferimento a Chicago….ma non posso rispondere alla sua domanda quando mi chiede di dirgli il nome dell’impiegato. Insomma sono già le 12.40 quando lasciamo i nostri bagagli per la spedizione ed entriamo al controllo di sicurezza….alle 12.45 c’è l’imbarco! Con il rischio di rimanere a Edmonton ancora un giorno ci togliamo le scarpe come richiesto, e passiamo il controllo di sicurezza. Quando arriviamo al gate siamo così agitati che ci precipitiamo nel box fumatori per una sigaretta “al volo”…c’è tempo, l’imbarco è fortunatamente in ritardo! Quando poco dopo le 17 arriviamo all’aeroporto di Chicago percorriamo il lungo corridoio del terminal 1, progettato da Helmut Jahn, con le sue luci al neon colorate che si articolano in forme flessuose dal soffitto. Il tempo è terribile qui …e se non fosse per il caldo che c’è sembrerebbe una nostra giornata di novembre, con il cielo grigissimo ed il sole basso come una palla arancione ben visibile in tutta la sua circolarità. Deve aver piovuto da poco perché le strade, che percorriamo a bordo dell’ Airport Express, sono bagnate. Dopo una ventina di minuti trascorsi percorrendo una grande arteria trafficata, ecco delinearsi la bellissima skyline della città, fatta di grattacieli , colori, luci, ponti ed ampi spazi liberi. Mentre ci aggiriamo per il centro già quasi senza luce, per accompagnare i passeggeri del taxi collettivo ai vari hotel, siamo colpiti dalla bellezza di questi giganti tutti diversi ed a tratti illuminati, che incombono sopra di noi come rassicuranti presenze. Che magia questi vecchi ponti di ferro sulle acque verdi del river che attraversa la città… le discrete insegne illuminate ed i vecchi edifici caldi di mattoni a mediare le nuove tecnologie ed i nuovi materiali degli edifici della nuova generazione. Chicago ci affascina anche ad una veloce occhiata dal finestrino ….siamo felici di aver scelto di fermarci qui per qualche giorno. Arriviamo per ultimi al Best Western Grant Park Hotel, posto in ottima posizione rispetto al Loop ed il lungo lago. Chiediamo una camera all’ultimo piano dell’edificio peraltro non troppo alto, per poter godere al meglio del panorama ed infatti le due finestre d’angolo si affacciano da un lato sui grattacieli del Loop, e dall’altro sulla larga fascia di verde attrezzato che costeggia il lago…una chicca questa 902!

06 Settembre 2007

CHICAGO

La città ci aspetta là fuori, grandissima ed ancora tutta da scoprire. Usciamo con tutto l’entusiasmo di chi ha solo assaggiato un piatto squisito che ora ha finalmente il tempo di assaporare…quindi ci avviamo camminando lungo gli ampi marciapiedi della Michigan Ave verso i grattacieli del Loop, il cuore della città. Sull’altro lato della strada una larga fascia di verde con sentieri, alberi di ogni tipo, prati ben rasati e sculture. Noi procediamo sotto gli edifici estremamente vari che compongono come una quinta il fronte della strada. I materiali e gli stili sono i più vari…dal neogotico in pietra al neorinascimentale di mattoni con bugnato e ordini architettonici, al neoclassico presente in ogni capitale del mondo, per poi approdare ai favolosi edifici che hanno fatto la storia dell’architettura americana all’inizio dello scorso secolo….i primi grattacieli di Sullivan con struttura in ferro ma rivestita di terracotta, con un accenno di elementi stilistici classici semplificati, a costituire la vera essenza dell’architettura americana, originale in tutta la sua espressività. Sui vecchi edifici si intravedono a tratti le scritte pubblicitarie ormai scolorite e sui loro fianchi scendono le esili rampe delle scale di emergenza …ogni edificio ha la sua altezza, i suoi materiali, i suoi colori e la propria personalità. Come una meteora infiammata nel buio della notte, il teatro all’aperto di Frank Gehry si staglia con i suoi scomposti acciai lucidati sul bosco verde del Millennium Park. E’ il “Jay Pritzker Pavilion”, articolato nelle volumetrie decostruite tipiche di questo geniale architetto canadese che qui a Chicago ci ha inaspettatamente regalato questo bel teatro all’aperto nel quale un gruppo di vocalist sta provando un concerto Gospel …una sorpresa nella sorpresa! Ci aggiriamo attorno alla scultura metallica ascoltando i canti neri e scattando foto…mentre il vento forte ostacola i nostri movimenti. .Mentre osservo vedo dall’altra parte della Michigan Ave un palazzo che è la copia esatta della Cà Foscari di Venezia…che matti questi americani! Andiamo ancora oltre, verso quel grattacielo altissimo in stile gotico, la sede del Chicago Tribune…che mai avrei pensato potesse piacermi , ma che invece tra questa moltitudine di falsi storici non mi dispiace…e poi applicato ad una tipologia così poco gotica come il grattacielo….sono davvero pazzi ed io mi sto divertendo! In fondo è rassicurante… chiunque arrivi qui può trovare un pezzo della sua storia tra i mattoni di un qualche palazzo…sarà un’operazione di marketing anche questa? Sempre all’interno del Millennium Park, poco oltre il teatro, vediamo il “Cloud Gate”…E’ una bellissima scultura ellittica che ricorda un fagiolo argenteo gigantesco. E’ appoggiata al centro di una piazza e riflette sulle sue convessità e concavità tutto quanto la circonda, dalla pavimentazione , alle persone che la percorrono e gli edifici sull’altro lato della strada, nonché il cielo sopra di noi. Il genio che ha concepito un oggetto così divertente ed allo stesso tempo bello è Anish Kapoor, un artista del quale bisognerà cercare altro…strada facendo. Andiamo poi al Museo di Arte Contemporanea, che propone una collezione piuttosto scarna considerando che siamo in Usa, ma al cui esterno una installazione divertente ci invitava ad entrare. Ancora camminando arriviamo di fronte ad un edificio molto meno interessante ma che ci torna utile, una filiale della Bank of America, nella quale entriamo per incassare l’assegno che ci era stato recapitato a Seward da parte dell’assicurazione All State. Non si può capire la nostra delusione quando la signorina torna indietro con il nostro assegno in mano dicendo che a causa di un paio di cancellature col bianchetto l’assegno non è incassabile. Dramma. Vanni cambia espressione ed inizia ad insistere, poi facciamo telefonare all’assicurazione che però non risponde…sembra quasi una truffa ai nostri danni da parte della All State! Vuoi vedere che quell’incidente riesce a rovinare anche il nostro soggiorno qui a Chicago? Torniamo sui nostri passi dirigendoci di nuovo verso il parco che ci attrae come una calamita….le meraviglie non sono ancora finite…una fontana digitale animata, creata dall’artista Jaume Pensa, ci trattiene per una mezz’ora di piacevole divertimento. Si tratta di due parallelepipedi alti circa 10 metri realizzati con mattoni di vetro, che si fronteggiano sui due lati corti di una piazza rettangolare. Sulle due superfici verticali che si affacciano sulla piazza vengono retroproiettate immagini di visi ingranditi così tanto da renderne visibili solo le parti centrali dagli occhi alla bocca….sono immagini di individui di tutte le età e razze, che si susseguono in leggero movimento, mentre dalla cima del parallelepipedo scende a terra una cascata l’acqua ad intensità variabile. La cosa più buffa è che ad un certo punto dalla bocca di questi visi proiettati esce un grosso getto d’acqua circolare che sembra uscire dai loro visi virtuali….un tema antichissimo quello dell’acqua delle fontane che esce dalla bocca dei putti o delle nereidi o dei pesci…ma che trattato in chiave verosimile assume una connotazione di scherzo. E’ già il tardo pomeriggio quando rientriamo dal nostro giro tra le meraviglie del Loop. Vanni riesce a parlare al telefono con le signorine dell’assicurazione che lo rassicurano dicendo che chiameranno la banca e nel caso non fosse proprio possibile incassare l’assegno ne spediranno un altro… Vanni si rilassa abbastanza da voler uscire per la cena, quindi decidiamo per un locale Jazz che propone anche musica dal vivo …Andy’s ,11th E. Hubbard . La cena è ottima così come la cortesia del personale. Senza infamia né lode invece il gruppo che si esibisce con un repertorio commerciale ed eseguito senza il necessario slancio.

07 Settembre 2007

CHICAGO

Le previsioni del tempo hanno proprio indovinato…il cielo di Chicago oggi è grigio e piovoso, ma il caldo persiste come una consolazione. Ci svegliamo sempre più tardi da quando siamo arrivati in città…certo qui non andiamo a letto alle 9.30 di sera come ci succedeva di fare in Canada ed Alaska perché fuori c’era il nulla ed in camera spesso nemmeno la televisione! E’ quasi mezzogiorno quando usciamo dall’hotel con l’intenzione di visitare l’” Art Institute of Chicago”…almeno se pioverà saremo al coperto a vedere qualcosa di interessante. Il museo è vastissimo e pieno zeppo di capolavori non americani. Un favoloso repertorio di arte figurativa francese, italiana e spagnola occupa buona parte delle sale espositive, mentre baipassiamo sull’arte americana non moderna perché abbiamo già avuto modo di conoscerne la pochezza al “Ghetty museum” di Los Angeles. Ma dove l’hanno messa tutta la loro meravigliosa arte moderna e contemporanea? Una volta usciti, dopo una visita durata più di quattro ore, ci accoglie un acquazzone a cascata, dal quale ci ripariamo entrando in un baretto per un te caldo. Ceniamo al “McCormick & Schmick’s”, sulla One East Wacker Drive ….una catena di ristoranti di consolidata fama che avevamo già avuto modo di sperimentare al “ Jacky’s” di Portland. Impossibile sbagliare questa sera…qualsiasi cosa prenderemo sarà squisita ed infatti usciamo dopo un paio d’ore di sollazzo contenti della scelta fatta.

08 Settembre 2007

CHICAGO

Ci dirigiamo senza esitazione verso Hyde Park a bordo del taxi preso al volo sotto l’hotel. E’ un quartiere storico quello che raggiungeremo, ad una decina di miglia a sud del Loop. Il nostro interesse nei suoi confronti nasce dall’aver letto in un depliant che nel suo tessuto urbano si trovano alcune case progettate da F.L. Wright….quindi perché non andare a vedere dal vero quelle architetture studiate ed amate una ventina di anni fa. Arriviamo in una quindicina di minuti proprio davanti alla “Frederick C. Robie House” (1909), che rappresenta uno dei migliori progetti di Wright tra le rivoluzionarie Prairie Houses progettate secondo canoni estetici del tutto nuovi per l’epoca. Canoni dettati soprattutto dagli stimoli derivanti dal paesaggio circostante e dalla funzionalità degli spazi. Una delle caratteristiche di questi edifici è la spiccata orizzontalità espressa con larghe fasce marcapiano talvolta anche cromaticamente diverse dal resto dell’edificio che diventano ampi terrazzi, fioriere o terrazzini. La Robie House è lo stereotipo più eclatante di questa tipologia abitativa. Realizzata in mattoni e pietra chiara, ci colpisce per la leggerezza della sua volumetria e per l’elegante gioco di chiaroscuri che gli elementi orizzontali aggettanti creano sulle facciate. L’interno ancora in fase di restauro emana comunque un senso di grande ordine e coerenza, con elementi decisamente orientaleggianti e le immancabili vetrate disegnate. Una rilassante passeggiata tra le strade poco trafficate di questo quartiere residenziale reso bello dai giardini curatissimi delle belle ville d’epoca che vi si affacciano ed arriviamo ad un’altra delle Prairie Houses di Wright, la “Isidore Heller House” (1897). Elegantissima nonostante le citazioni classiche che in altri casi possono risultare stucchevoli, ma che sono qui inserite in modo calibrato e ben si armonizzano con la tipologia decisamente non classica dell’edificio. Il quartiere presenta continui stimoli pieno com’è di sculture ed edifici d’autore…e mentre passeggiamo all’ombra degli alti alberi che delimitano le strade vediamo le belle sculture di Arnaldo Pommodoro ed Henry Moore, e gli edifici del campus universitario di Mies Van Der Rohe e Saarinen che però non valgono una fotografia. Poi lo scivolone…interi padiglioni dell’università costruiti in stile neogotico così come le chiese che vediamo strada facendo. Rientriamo in hotel con i piedi stanchi della lunga camminata di oggi…ma felici di aver finalmente toccato con mano le opere del grande maestro. Rimaniamo in zona hotel per la cena, Da giorni Vanni vorrebbe andare al Sushi qui sulla Michigan a pochi metri dall’hotel, e questa sembra essere l’occasione giusta. Cinque minuti d’attesa e siamo seduti di fronte ad un menu invitante del quale ordino 6 piatti tra cui tempura di verdure , di aragosta di gamberi e di granchio ed il patè di tonno, rassicurata anche dalla cameriera che interpellata conferma che si tratta di piccole porzioni….assaggi, penso io, Vanni invece ordina un piatto di Sushi. Le portate che si sommano sul nostro tavolo incastrate come in un puzzle, non sono affatto così piccole come premesso dalla cameriera e quello che ho ordinato rappresenta una cena abbondante per tre persone! Quando arriva il suo piatto di sushi Vanni è già più che sazio delle squisitezze che erano state parcheggiate sul nostro tavolo….ma affonda comunque i denti sul suo pesce crudo….non so come abbia fatto a finire anche quello! Continuiamo a ridere anche dopo l’uscita dal ristorante, dove abbiamo mangiato non solo tantissimo ma anche benissimo!

09 Settembre 2007

CHICAGO

Usciamo anche oggi alla ricerca dei vecchi edifici di F.L.Wright…abbiamo letto che ce ne sono una discreta quantità nel quartiere di Oak Park,18 miglia ad ovest del Loop. Il taxi ferma proprio davanti a quella che fu la residenza-studio dell’architetto, all’angolo tra la Forest Street e la Chicago Ave. Immersa in un tranquillo e verdissimo quartiere residenziale, questo edificio con tetto a due acque piuttosto inclinate con annessa palazzina ad uso ufficio ci appare in chiaro stile Shingle. Ma di che cosa si tratti lo sappiamo solo leggendo il depliant informativo acquistato prima della visita…è una forma evoluta dello stile Queen Ann i cui elementi caratteristici quali torrette circolari, sporti, cornici….vengono come ricondotti ad una logica bidimensionale di facciata disegnata. L’interno qui è perfettamente restaurato e conserva gli arredi originali disegnati da Wright. L’atmosfera ovattata degli interni si complica delle contaminazioni giapponesi presenti qua e la, in un affresco, nel disegno di un lucernaio di legno, o nel disegno dei bassorilievi inseriti nella parte alta dei pilastri di facciata. Il risultato è quello di un’architettura sofisticata ma funzionale ed avvolgente. Non paghi facciamo una bella passeggiata per vedere i tanti altri edifici progettati da lui e così passa il pomeriggio, tra un giardinetto e l’altro cercando di riconoscere senza controllare sulla cartina quali delle tante fossero ideate da lui. Certo i taxi scarseggiano qui a Oak Park la domenica pomeriggio….e la ricerca ci impegna per una buona ventina di minuti, poi finalmente eccone uno disposto ad accompagnarci all’ Auditorium Theatre progettato da Sullivan, al 430 della S. Michigan Ave. Sullivan è un altro grande architetto di Chicago che si espresse come Wright, tra la fine dell’ ‘800 ed i primi decenni del ‘900 ma a differenza del primo soprattutto su edifici commerciali o di servizio, comunque sempre di grandi dimensioni e grazie a lui Chicago ebbe il suo primo grattacielo con struttura di acciaio e paramento di mattoni! Dopo una sosta veloce ad ammirare l’auditorium di Sullivan, scatta di nuovo l’attrazione fatale per il Pavilion di Ghery, a due passi da qui. Nonostante Vanni lamenti un fastidioso male ai piedi si va… prima a riposare su una panchina del parco, stravaccati davanti ad una fontana il cui getto centrale sembra quello del big gaiser dello Yellowstone. Ci muoviamo poi, attratti da quel gioiello fatto di riccioli di acciaio che è il teatro di Ghery dove da poco è terminato un concerto di musica sinfonica….se solo l’avessimo saputo prima! Il piacere di essere qui è altissimo….dal prato ancora affollato di persone lo sguardo va alle lamiere dorate dal tramonto incastrate alla base degli alti grattacieli. Cena compensativa a base di insalata per me e zuppa per Vanni!…..dimenticavo…la busta contenente l’assegno dell’assicurazione non è ancora arrivata e la volpe che l’ ha spedita ha lasciato in segreteria un messaggio nel quale viene segnalato il numero del pacchetto ma non la compagnia di spedizioni che si occupa della sua spedizione….difficile rintracciarlo a questo punto, questo benedetto pacchetto che ci sta inquinando anche il soggiorno a Chicago!

10 Settembre 2007

CHICAGO – FRANKFURT – BOLOGNA

Vanni sembra un’anima in pena per via di quella busta che non arriva, è così preso dalla cosa che si dimentica anche di prepararmi il tè prima di uscire dalla camera. Quando rientra capisco dal suo viso lungo che probabilmente quella busta non arriverà mai prima della nostra partenza ed i 1000 dollari saranno persi. Ma se ne sta occupando la zelante receptionist che fra una telefonata e l’altra ci fa capire che entro l’una del pomeriggio la busta dovrebbe arrivare in hotel. Ed infatti ecco che poco dopo l’una, la postina entra e cammina fino al desk della reception con un voluminoso pacco di posta tra cui anche la busta della All State indirizzata a me e Vanni. E’ un trionfo! L’espressione contratta del viso di Vanni finalmente si distende mentre apre l’involucro per controllare se questa volta l’assegno non riporta cancellature…ed è perfetto finalmente! Andiamo velocemente in taxi alla Bank of America più vicina per incassare e….incredibile ma vero….sull’assegno vengono prese le mostre impronte digitali….senza parole usciamo con il piccolo malloppo, si torna in hotel. Tra poco meno di un’ora passerà a prenderci il servizio bus express dell’aeroporto, il nostro volo per Francoforte e Bologna partirà alle 18.30.


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07 Giugno 2008

BOLOGNA – VANCOUVER

Dormiamo appena un paio d’ore poi ci rivestiamo veloci….un abbraccio visivo ai colori di casa e dopo aver chiuso tutte le serrature del forziere, scendiamo con il valigione vuoto i pochi gradini che ci separano dall’androne quindi dalla strada. Sono le 4.30 ed il taxi aspetta puntuale al 16 di Via delle Belle Arti. Saliamo con gli occhi ancora appannati, ed incapaci di ricambiare la logorrea del conducente, ci lasciamo trasportare lungo le strade quasi deserte di Bologna in questa mattina speciale. E’ sempre una bella emozione la partenza….per le tante aspettative che contiene, e per la distanza che inevitabilmente pone tra noi e le trappole emotive di casa. Il volo verso la nostra libertà è in attesa al Guglielmo Marconi …. partirà alle 6.10 dalla nostra pista, il nostro trampolino di lancio verso ciò che è sconosciuto….Vancouver appunto. E’ talmente tanta la voglia di andare che nemmeno la sosta forzata di qualche ora a Francoforte finisce col non pesare più di tanto….Il boeing diretto a Vancouver parte puntuale alle 14.10, ma con un vantaggioso gioco di fusi orari arriverà a destinazione in poco più di un’oretta… ora della British Columbia naturalmente! Poco dopo le 15.30 dello stesso giorno infatti, dopo un paio di spuntini consumati a bordo e due film visti scorrere sul monitor incassato nella poltroncina di fronte, arriviamo all’aeroporto di Vancouver. C’è un bel tepore sotto il sole che a tratti spunta tra le nuvole mentre siamo in attesa del nostro turno per il taxi, ne siamo contenti ….. poi le nuvole prendono il sopravvento, ed anche il sonno che mi coglie come uno svenimento poco dopo le 6 del pomeriggio….mentre sono ancora parzialmente vestita, sulle morbide lenzuola del nostro lettone nella 904 del Georgian Court Hotel.

08 Giugno 2008

VANCOUVER

Mi sveglio alle 7 in punto affamata. Mi vesto in fretta e mi precipito al ristorante per la colazione….Vanni continua a riposare tranquillo dopo aver formulato la veloce richiesta di recapitargli qualche croissant in camera….Mentre scendo al piano terra in ascensore penso che in fondo c’è un motivo se la situazione questa mattina è assolutamente ribaltata rispetto alle nostre abitudini…lui ieri sera è riuscito a raggiungere il ristorante per la cena, quindi non ha nessuna fretta di mettere qualcosa nello stomaco che io invece sento in subbuglio. Rientro alla 904 con un piatto pieno di dolci, sazia e desiderosa di una doccia bollente….non è affatto calda questa giornata grigia ed uggiosa….Il sole a queste latitudini incide enormemente sulla temperatura diurna….ed il tepore di ieri ha lasciato il posto al freddo gelido ed umido che non so con quali strumenti affronteremo visto che il nostro guardaroba invernale è a Edmonton, ad un’ora e mezzo di volo da qui, nelle valigie che abbiamo lasciato in custodia a Carolina… in attesa dal 10 settembre dello scorso anno al parcheggio dell’aeroporto. Usciamo indossando in vari strati ciò che abbiamo trovato di più pesante nei nostri scarni bagagli …fortunatamente siamo partiti da Bologna nel cuore di una notte di inizio estate quando indossare un maglioncino di cotone si rendeva necessario. Andiamo desiderosi di scoprire questa città che non abbiamo mai visto ma il cui nome rimanda al nostro immaginario sensazioni di bellezza sconfinata e di eleganza….sarà perché Vancouver come Timbuctu, Canicattì o le Bahamas, ha un nome che quasi mitizzato sembra noto da sempre? Usciamo per cercare di cancellare la piccola delusione di ieri, quando osservando la città dai finestrini del taxi in corsa non ci era parsa poi un granché. Con il supporto di una succinta planimetria percorriamo Robson St. che corre longitudinalmente da un capo all’altro della downtown, il cuore della città, cresciuto sulla stretta penisola che si spinge all’interno della English Bay….più oltre solo l’oceano Pacifico. Robson Street è ampia, affollata di passanti e di auto e vi si respira una certa vivacità legata alle attività commerciali dei piani terra. Mentre camminiamo osserviamo i tanti grattacieli che vi si sono sedimentati nel tempo a creare un’armoniosa skyline….Il colore dominante dei volumi costruiti è il grigio-verde, ma sono gialle, rosa e blu le sfumature delle estese superfici specchiate di alcuni edifici che spiccano per la loro originalità cromatica. Tra le costruzioni decisamente recenti per le scelte tecniche e formali, ne scorgiamo altre più datate con elementi in stile decò, la cui presenza segna unitamente all’evoluzione del gusto anche la storia della città. Continuiamo a camminare fino a raggiungere il primo laghetto dello Stanley Park, un grande parco urbano che occupa tutta l’estremità della penisola con una superficie complessiva pari a quella della downtown edificata. Poi il freddo ci fa desistere dal proseguire ed anzi torniamo verso l’hotel seguendo il percorso pedonale che costeggia la baia a Nord. Ancora grattacieli fanno da sfondo ai porticcioli stipati di barche da diporto e da qualche houseboat in ottimo stato. Il verde pubblico sempre presente e ben progettato accompagna i nostri passi, così come i gabbiani e l’aria salmastra che soffia da nord….Un piccolo paradiso questa Vancouver, dove l’attenzione finalizzata alla piacevole fruizione degli spazi pubblici è estrema e la cui particolare conformazione geografica moltiplica all’infinito le prospettive e gli scorci sulle propaggini della città oltre le baie che la circondano. Dopo qualche ora, paghi per la piacevole passeggiata, rientriamo con il proposito di recuperare un po’ di calore con una bella doccia bollente ed una tisana. Quando dopo un po’ usciamo di nuovo è per cercare un ristorantino per la cena. Optiamo per il quartiere Yaletown, abbastanza vicino all’hotel e caratterizzato da edifici bassi in mattoni rossi, probabilmente vecchi magazzini ora riqualificati. Ci fermiamo al “Milestone’s grill”, un posticino non male, ma che poi finisce col non esaltarci. Il sonno arriva prestissimo, subito dopo il rientro in camera….le 10 ore di fuso orario si fanno sentire.

09 Giugno 2008

VANCOUVER

Il cielo è sempre più grigio e piove….i nostri spostamenti di oggi si limitano ai brevi tratti di strada che collegano i negozi nei quali entriamo alla ricerca di una giacca per Vanni e per recuperare ogni tanto un po’ di calore, poi verso le 18 andiamo al vicino botteghino del Centre in Vancouver for Performing Arts per acquistare due biglietti del concerto di questa sera. Si tratta del primo concerto dopo 25 anni di inattività di un gruppo jazz che visse il suo momento di gloria negli anni ’70, i “Return To Forever”. Si esibiranno tra un paio d’ore in un concerto di jazz elettronico che per noi sarà una grande sorpresa….Ancora una breve passeggiata ed è già l’ora di entrare nel grande auditorium dalle volumetrie eccessivamente accademiche che sorge nel cuore della downtown. Al suo interno ci sorprende un pubblico omogeneamente costituito da signori e signore over 50 che conservano ancora, più che altro come citazione, l’ aria fricchettona molto old style che trovo divertente e tenera. Seguono due ore di brani dapprima piuttosto elettronici, poi via via sempre più melodici e legati ai vecchi successi….così sembra a giudicare dall’esaltazione del pubblico all’attacco di ognuno di questi. La standing ovation accompagna le ultime note del gruppo statunitense di fama consolidata…. alcuni fans sventolano in aria vecchi vinile, altri solo le mani che agitano in segno di gratitudine. Usciamo contenti ed appagati anche noi….la performance dei quattro musicisti unita all’energia del pubblico di nostalgici ci ha elettrizzati….non capita spesso di assistere ad una rentrée così importante! Ci addormentiamo con lo stomaco vuoto…dopo le 22.30 tutti i ristoranti sono chiusi. Sob.

10 Giugno 2008

VANCOUVER

E’ ancora freddo e nuvoloso oggi, quindi abbandoniamo l’idea di fare lunghe passeggiate per dedicarci invece alla visita della Vancouver Art Gallery. L’edificio neoclassico degli anni ‘20 si sviluppa su tre piani ed ospita tra le altre una interessante mostra di fumetti che si intitola “Krazy”. Osservando nelle bacheche i bozzetti e le strisce definitive nei vari stili, la memoria và a quando leggevo i fumetti….allora non davo mai troppa importanza all’aspetto grafico ed all’organizzazione delle vignette nella pagina, ma ora sono affascinata soprattutto da questo…. L’altra cosa davvero esaltante contenuta nella galleria è la mostra dedicata all’artista cinese Zhang Huan di cui apprezziamo in modo particolare i filmati delle performance…. quella girata nei bagni pubblici di Pechino è fantastica almeno quanto quella che ha per tema il bodybuilding …. In quest’ultima il corpo dell’artista è interamente ricoperto di pezzi di carne sanguinolenta a formare i rigonfiamenti muscolari del corpo deformato. Bellissime anche le sue sculture ed i quadri eseguiti con cenere d’incenso. Ma che meraviglia questo Zhang Huang! Sarà per l’evidente vicinanza geografica di Vancouver all’Alaska, o per il documentario visto in tv sulla pesca del King Crab nei freddi mari del nord….. questa sera abbiamo una gran voglia di mangiare il King Crab e così seguendo il consiglio del portiere andiamo senza esitare al ristorante “The Boathouse” dove assaggiamo le ottime King Crab legs accompagnate da una emulsione di burro fuso e limone spremuto….fantastiche! Il sapore di queste carni prelibate ci rituffa con la mente nel nostro precedente soggiorno in Alaska….quando quasi ogni sera ci concedevamo il piacere infinito di gustare questa leccornia da noi introvabile. La cosa che ci colpisce questa sera è il particolare taglio delle sue zampe…in Alaska erano sempre tagliate longitudinalmente in due parti per facilitare la presa dei filetti, qui invece le zampe sono tagliate trasversalmente in corrispondenza di ogni articolazione ed il filetto si estrae semplicemente sfilandolo da uno dei lati del cilindro. Modalità che lo rende divertente …oltre che gustosissimo! Mangiamo davvero bene qui al “ The Boathouse” e per di più con una magnifica vista che ci proietta sulla spiaggia e sull’oceano inquadrato dalle ampie finestre sulla parete. Il costo sostenibile di 150 $C compresa la mancia, circa 100 €, rende questo locale davvero da non perdere, quindi ne usciamo convinti che torneremo per un ulteriore assaggio prima della nostra partenza definitiva da Vancouver.

11 Giugno 2008

VANCOUVER

Il clima non migliora ma noi non demordiamo e ci dirigiamo senza esitazione sull’isola Granville, collegata alla downtown da un lungo ponte metallico. E’ là infatti che troveremo il grande mercato del pesce di Vancouver ed in particolare il “ The Lobsterman market”…. il luogo dal quale provenivano le zampe di king crab assaggiate ieri. Andiamo a piedi, coprendo i pochi chilometri che ci separano dall’isola …è il modo migliore per osservare la città così articolata sul vasto territorio segnato da canali d’acqua, baie e foci di fiumi. L’isola è una delizia, pittoresca e molto frequentata. Caratterizzata da edifici bassi più o meno datati e come ferita dal grande ponte che l’attraversa in alto, è piena di mercati ittici al coperto e laboratori artigianali. Il Public Market poi è affollato di tavole calde nelle varie tradizioni tra cui l’indiana, la cinese e la thai che offrono piatti caldi in contenitori di plastica dai contenuti invitanti che sprigionano profumi irresistibili…da consumarsi fuori o nei tavolini posti al centro del grande spazio coperto. E’ un trionfo di colori e profumi tra cui spiccano le vetrinette che espongono i filetti dei vari pesci tra cui il mitico Halibut e i diversi tipi di salmone confezionati ed aromatizzati in tutte le possibili varianti….è un vero peccato non poter comprare nulla…ma la cucina di casa è a migliaia di km di distanza, e non è nostra abitudine pranzare! Che peccato! Raggiungiamo anche il nostro “Lobsterman market”, dove ci informiamo sui costi di un’ eventuale spedizione di granchio in Italia….ma la risposta qui come in Alaska è sempre la stessa….i costi doganali e di spedizione farebbero lievitare eccessivamente i costi …meglio farne una bella scorpacciata qui e…perché no…tornare ogni tanto per un assaggino! La signora gentilissima si offre di cucinare per noi…lì nel freddo capannone, verso le 17, non più tardi. Potremmo comprare una bottiglia di vino…ci suggerisce… e poi dopo il rifornimento di granchio andare a consumarlo in spiaggia…ma non ci siamo proprio con gli orari e la prospettiva di cenare poco dopo le 17 rende di nuovo più comodo il ristorante. Il perimetro dell’isola è affollato di pontili ospitanti barche da diporto e molte houseboat con giardinetti e terrazze…proprio come normali casette unifamiliari in legno. Sono tante e tutte vicine ad occupare un lungo pontile parallelo alla costa, riccamente decorato con vasi di fiori appesi ai pali di ghisa. Da qui la skyline della downtown è favolosa e gli alti grattacieli formano una quinta compatta di vetro ed acciaio. Seguiamo il percorso pedonale che si snoda sul bordo del False Creek fino ad arrivare al nostro hotel sull’altro lato dell’insenatura. Attraversiamo giardini pubblici ben curati, con i due percorsi differenziati per i pedoni e le biciclette, mentre l’occhio corre instancabile alla downtown ed alla bellezza delle textures giustapposte nelle pareti dei suoi edifici. Poco più giù il fitto bosco di alberi delle barche a vela immerse nelle acque scure del canale. Una bella passeggiata quella di oggi….che ci ha consentito di apprezzare anche dall’esterno il nucleo storico della città e di perderci nella natura forte e pittoresca di questa bella baia che si apre sul Pacifico. Lungo i sentieri pedonali, tutti curatissimi e circondati di vegetazione, un gran numero di persone delle etnie più svariate, passeggiano portando a spasso i figli ed i cani….o fanno sport correndo o pedalando sulle loro biciclette…sembra proprio che la qualità della vita qui sia piuttosto alta. Bravi i canadesi! Ceniamo nel ristorante francese dell’hotel dove al costo piuttosto alto di 180 $C, consumiamo un’ottima tartare di carne ed un filetto di bue niente male…e i dolci naturalmente!

12 Giugno 2008

VANCOUVER

Finalmente il cielo ci regala squarci di colore azzurro intenso e di conseguenza anche qualche grado in più. Usciamo indossando qualche indumento in meno e con il progetto ambizioso di percorrere l’intero percorso pedonale che si sviluppa lungo il perimetro della penisola compreso il grande Stanley Park che ne occupa la propaggine più estrema. Ogni 100 metri le prospettive cambiano regalandoci meravigliosi scorci della downtown stessa e della North Vancouver sul lato opposto dell’ampia baia, mentre sopra di noi sfrecciano gli idrovolanti e sul mare circolano natanti di ogni forma e dimensione. All’orizzonte un’ industria estrattiva mostra montagne di sabbia e zolfo, altrove le gru del porto appaiono seminascoste dalle navi mercantili, grandi ponti metallici lontani si sovrappongono ai grattacieli delle periferie colpiti dalla luce. Dietro a tutto ciò le alte montagne scure dalle cime ancora innevate proteggono la baia dai freddi venti del nord. La nostra passeggiata ci porta poi su una bella spiaggia dorata aperta a Ovest sulle acque dell’oceano…. ci stendiamo seppur vestiti a godere di questo inatteso sole di metà giugno. Sulla sabbia solo qualche tronco arrivato dal mare ed alle nostre spalle l’alto profilo delle rocce del parco. Continuiamo ancora la passeggiata percorrendo il sentiero sulla sponda rivolta a sud, dove altri incredibili scorci sulla Granville island e sui quartieri attorno all’aeroporto si definiscono in controluce. Chiudiamo il circuito arrivando all’hotel dal lato opposto della strada …abbiamo percorso circa 12 km camminando con brevi pause dalle 11 alle 17 . Ci sentiamo tutti anchilosati, vista la nostra consueta inattività….e le scarpe inadatte di Vanni, che non ci pensa proprio di sostituire le sue vecchie Church’s con un paio di scarpe da ginnastica, certo non lo hanno aiutato! Optiamo per una cena a base di hamburger che consumiamo nell’intimità della nostra avvolgente camera, poi come sempre crolliamo dal sonno….questo jet leg ci devasta!

13 Giugno 2008

VANCOUVER

Oggi la temperatura si è decisamente alzata ed a tratti il cielo si colora di azzurro….l’ideale per un’altra bella passeggiata. Vanni per via dei piedi ancora doloranti prende tempo e rimane stravaccato sul letto a guardare una partita di calcio in Tv….gioca l’Italia, il suo interesse è giustificato. Poco dopo l’una però l’aria tiepida che entra dalla portafinestra della camera ci invita ad uscire e così poco dopo raggiungiamo in taxi l’acquario nello Stanley Park. Trovo così stimolante osservare i pesci e la vegetazione marina, anche se racchiusi in una teca….Mi viene una gran voglia di nuotare verso barriere coralline da esplorare….piene di colori, vita e piccoli tesori fatti di uova perlacee o di anemoni di mare. Il cielo è così terso oggi da rendere visibili le cime innevate che circondano la città….Decidiamo di ritornare camminando attraverso il percorso attrezzato che costeggia la baia a Nord, sul Coal Harbour….dove stupende e limpide prospettive si aprono sull’architettura leggera, come di vele gonfiate dal vento, del recente Vancouver Convention & Exhibition Centre che rappresenta l’edificio qualificante dell’area portuale turistica. Una grande nave da crociera è ormeggiata al molo lì accanto, con le sue ordinate file di piccoli oblò su campo bianco. La raggiungiamo e passiamo oltre diretti alla vicina Harbour Centre Tower svettante con i suoi 177 metri di altezza sul porto e sulla downtown tutta. Il panorama dall’alto è naturalmente molto più avvincente che dal basso e quindi rimaniamo a lungo ad osservare girando lungo il perimetro vetrato e scattando foto….la vista dalla torre era proprio da non perdere! La decisione relativa a come trascorrere la serata di oggi è unanime…ceneremo di nuovo al “The Boathouse” di fronte ad un tramonto mozzafiato sul mare…..ma appena raggiunto il nostro tavolo accanto alla grande finestra l’orizzonte si copre di un fitto velo di nuvole che oscura la palla di fuoco lasciando intravedere solo strisce di cielo arancione sopra il profilo nero delle montagne. Apprezziamo comunque sia il tramonto che la cena, squisita anche oggi….Esordiamo condividendo un lobster kebab, cioè piccoli spiedini di aragosta con salsa rosa ed una microscopica insalata fatta di cubetti di ananas e pomodoro, poi proseguiamo con king crab legs per Vanni e la specialità della casa per me…un gustosissimo filetto di halibut impanato ed accompagnato da una salsina molto saporita forse a base di soia e vino rosso….strepitoso!

14 Giugno 2008

VANCOUVER – EDMONTON

Arriviamo in aeroporto in abbondante anticipo sul volo per Edmonton delle 13….due ore sono fin troppe per un volo nazionale. Al chek-in, la signorina orientale davanti al computer dopo un paio di smorfie scaturite da tentativi falliti nell’inserimento dei nostri dati al terminale, ci accompagna al desk preposto alla vendita di biglietti aerei Air Canada e noi iniziamo a preoccuparci. La nostra scarsa conoscenza dell’inglese unita alla pronuncia con accento orientale stendono sulle parole della signorina un velo fitto di mistero, quindi non avendo capito nulla relativamente al problema dei nostri biglietti, non ci resta che sentire cosa avrà da dirci l’altra signora dell’ufficio vendite, nella speranza che parli almeno un po’ di francese. Dopo l’ ulteriore fila siamo di fronte al secondo desk dove una sorridente signora canadese ci spiega rassicurandoci che è tutto ok…semplicemente il nostro volo delle 13 è stato anticipato alle 11,30, quindi dovremo partire con il volo delle 13,50 sul quale ci sono due posti disponibili per noi. Essendoci spostati verso Est di due fusi orari, arriviamo all’aeroporto di Edmonton alle 17. Dopo aver percorso qualche centinaia di metri sul taxi bus che porta al parcheggio, ecco che con grande emozione vediamo Carolina! Immobile sulla fila 9 quasi sepolta da altre auto la vediamo immediatamente, come se fosse lei a guidare i nostri occhi nel cercarla…che meraviglia, e che gioia ritrovare la nostra tanto amata compagna di viaggio! L’autobus si avvicina e ci scarica proprio in corrispondenza del suo posteriore….l’autista è curioso di sapere…l’ha vista per mesi lì ferma e si era posto un sacco di domande per le quali ora vorrebbe avere delle risposte. Non siamo affatto stupiti che Carolina lo abbia incuriosito….emana fascino ed avventure da ogni centimetro della sua carrozzeria, e sono ormai tanti i segni che si porta addosso! Scendiamo tutti dal taxi bus…compreso l’autista che continua a chiedere….poi facendoci notare che il pneumatico posteriore sinistro è completamente sgonfio, propone di mandarci un ragazzo con la pompa dell’aria. Il servizio impeccabile offerto in questo parcheggio quasi ci commuove! Vanni intanto ha collegato i morsetti alle batterie ed è pronto per il grande momento ….gira la chiave per l’accensione e Carolina si mette in moto al primo tentativo! Questa Carolina è un mito! Felici e sereni ci dirigiamo verso la cassa ….Vanni prova lo sterzo, va a passo d’uomo….si vede che è felice di averla trovata intatta…ed è delicato con lei come se stesse armeggiando piuttosto con un’anziana signora appena rimessasi da un malanno passeggero. Che buffo! In una ventina di minuti raggiungiamo il “Varscona Hotel” nel quartiere Old Strathcona, ormai conosciamo la strada dato che lo avevamo scelto anche 9 mesi fa…. spinti dalla vivacità del quartiere, pieno di ristorantini e locali e persone che hanno voglia di divertirsi. Siccome siamo abitudinari incalliti, anche se è difficile crederlo per via della nostra scelta di viaggiare sempre on the road….torniamo a cena all’Irish Pub….spinti dalla vicinanza all’hotel e dal ricordo di un bel concerto di musica celtica. Ci accomodiamo sulle panche nel cortile all’esterno …. ma il ragazzo che suona la chitarra e canta è più spesso a bere birre che non ad intrattenere gli ospiti con il proprio bel canto. Il clima è comunque easy e stiamo bene al tepore dei funghi accesi.

15 Giugno 2008

EDMONTON

Non è certo volentieri che ci fermiamo a Edmonton oggi….ma è domenica e l’assicurazione di Carolina è scaduta in gennaio …. non vale certo la pena di rischiare mettendoci in marcia senza copertura. Volendo inventarci qualcosa da fare optiamo per l’AGA, la galleria d’arte moderna della città che si trova nella city, ovvero in quella parte di città oltre il fiume Saskatchewan della quale vediamo l’articolata skyline, ricca di grattacieli. Umidicci per l’acquazzone che ci ha sorpresi mentre percorrevamo il sentiero del parco che costeggia il fiume, arriviamo alla sede temporanea della galleria….La nuova sede è ancora in costruzione, ricordo bene che anche l’anno scorso ero incuriosita dal progetto che avevo attribuito a Frank Ghery senza ombra di dubbio. Scopriamo invece che un gruppo di architetti locali si è ispirato al suo “stile” ed il plastico che vediamo all’ingresso rende evidente il plagio. La mostra non è così speciale come speravamo….ci auguriamo che la nuova sede stimoli l’amministrazione ad ospitare collezioni di maggior interesse. L’unica cosa degna di nota è stato l’incontro e la lunga chiacchierata con la pittrice autrice delle tele esposte in una delle sale….vive e lavora soprattutto a Parigi ed il tema delle sue tele è il Tour de France svoltosi qualche anno fa. Forti i cromatismi, divertente la minuzia descrittiva dei partecipanti….insomma non male queste poche tele. Ceniamo al messicano questa sera….sulla 82 Ave, la strada che raccoglie la quasi totalità dei locali del quartiere….eravamo già stati anche qui, ma era caldo allora….e facemmo la fila per sederci ad un tavolo! Anche questa sera la cucina messicana non ci delude. Qualche chiacchiera, le nostre coccole e si dorme presto….domani ci aspetta la fatica dell’assicurazione!

16 Giugno 2008

EDMONTON

Poco dopo le 10 siamo già in taxi diretti alla CAA, il corrispettivo canadese della nostra assicurazione americana AAA, già scaduta. Raggiungiamo l’edificio nella periferia della città e poco dopo esserci seduti di fronte alla giovane operatrice ci rendiamo conto che non sarà facile qui ottenere la cosa più semplice del mondo….la polizza auto. Il fatto è, ci spiega la signorina, che qui devi essere residente per ottenerla, e l’auto deve essere reimmatricolata in Canada. Incredibile! In tutto il mondo abbiamo stipulato assicurazioni per l’auto e quasi sempre è stato in frontiera, dove gli uffici assicurativi abbondano, come è logico, per poter fornire immediatamente la polizza obbligatoria a chi viaggia. Qui invece sembra necessario avere passaporto canadese per poterla avere! Dopo una serie di tentativi inutili volti a convincere la signorina e la sua superiore usciamo decisi a rivolgerci alla concorrenza, la All States, la migliore compagnia del nord america. Anche qui la storia si ripete con le stesse motivazioni …ma ci viene cortesemente fornito l’indirizzo di una compagnia che potrebbe fare al caso nostro…potrebbe… ma ci viene presto detto che è necessario avere almeno un indirizzo di residenza nella regione…Rimbalziamo ancora, questa volta in una compagnia a due isolati di distanza, dove però,compresa la nostra urgenza, sparano una cifra di 2800 $C per sei mesi di copertura….una follia. Intanto il taxista, partecipe delle nostre traversie ci ha come adottati e ci accompagna negli uffici sobbarcandosi le ore di attesa tra l’uno e l’altro. Si chiama Paolo, è eritreo di nascita ma con passaporto canadese e si dice innamorato degli italiani per via dei missionari come padre Nello, che a Roma lo hanno salvato dalla strada donandogli ospitalità e lavoro. Certo erano altri tempi in Italia….ma lui è davvero grato al paese intero per avergli dato una chance. Al terzo tentativo Paolo segue Vanni all’interno degli uffici per fornirgli quel poco di sostegno che può dargli, ma il risultato non viene comunque raggiunto per via, questa volta, del costo eccessivo. Ci consigliano di rivolgerci al Challenge Insurance Group, un’altra società che vende a caro prezzo ciò che qui in Canada rappresenta assurdamente un illecito, e cioè la polizza auto per i turisti fai da te. Questa volta Vanni cede…ed esce sorridente nonostante tutto…- Scadrà fra 6 mesi – mi dice, – il 16 dicembre, ma potremo disdirla dopo tre mesi e chiedere il rimborso parziale del costo che è di 2000 $C – …..insomma una bella cifretta! Sono già le 16 del pomeriggio quando Paolo si congeda da noi davanti all’hotel….è incredibile aver perso 6 ore del nostro tempo per una cosa così semplice….ma a volte è proprio nei paesi più civilizzati che queste cose succedono! Va da sé che la sosta di un ulteriore giorno a Edmonton si rende necessaria…quindi il problema di questa sera sarà scegliere il ristorante tra i due conosciuti….messicano o irlandese?….questo è il dilemma! All’Irish Pub conosciamo Judy e Ron, una coppia di Canadesi di Calgari qui a Edmonton per lavoro….anzi è Vanni che in una prima battuta viene agganciato da lei mentre stanno fumando una sigaretta fuori dal locale. Si uniscono a noi condividendo il nostro tavolo e, come incantati, ascoltano il racconto del nostro lungo viaggio recitato per l’ennesima volta nel nostro inglese non proprio fluente. Sono curiosi di sapere ed affascinati dall’impresa. Lei è simpatica ma non è semplice capire le sue parole, ubriaca com’è… ciò che salta all’occhio è un suo debole per Vanni. Anche Ron beve molto e trascina Vanni in un duello di sambuca scura…una specie di liquore alla liquerizia. Ci scambiamo gli indirizzi e scatta l’ invito in Italia….prima o poi qualcuno arriverà.

17 Giugno 2008

EDMONTON – SASKATOON

Incontriamo Judy nella hall… senza saperlo eravamo ospiti dello stesso hotel….Ci augura un buon viaggio con aria sorridente, quindi ci congediamo cordialmente. Usciti dalla periferia di Edmonton scatta il senso di estrema libertà legato all’essere on the road ….io, Vanni e Carolina …il triangolo perfetto proiettato verso la continua sorpresa di luoghi e persone, verso la libertà del viaggio, felici e profondamente complici. Percorriamo le immense pianure punteggiate di silos argentei e fattorie color rosso mattone, nel cielo azzurro le nuvole bianche sembrano ancora grondanti di colore, mentre alla radio trasmettono musica pop degli anni ’70….il grande senso di beatitudine ci fa sorridere mentre ci guardiamo scambiandoci una carezza. Stiamo vivendo finalmente la condizione che ci è più famigliare, quella dell’essere nomadi. Il nostro viaggio inizia in fondo solo oggi, con la messa in moto di Carolina, la nostra fedele compagna di viaggio. L’idillio si attenua all’arrivo a Saskatoon, una città triste e con nulla da offrire….ma è solo una necessaria sosta tecnica…domani andrà senz’altro meglio.

18 Giugno 2008

SASKATOON – PRINCE ALBERT NATIONAL PARK

Arriviamo al parco nel primo pomeriggio dopo aver deviato sulla 293 dalla statale n° 2 Nord . Siamo armati di opuscoli illustrativi in inglese e francese, medagliette e persino un dvd che l’impiegata particolarmente zelante del tourist office di Prince Albert ha generosamente dato a Vanni. Il parco occupa una vasta area pianeggiante attorno al Waskesiu lake ma solo in piccola parte è percorribile in auto. Sui depliant sono elencati tutti i sentieri da percorrere a piedi o a cavallo. Sono tanti e lunghi anche decine di chilometri…insomma non fanno proprio per noi! Comodamente seduti su Carolina ci spingiamo invece all’interno lungo le strade sterrate carrabili….costeggiamo laghetti ed acquitrini, attraversiamo piccoli corsi d’acqua, sempre immersi nella fitta foresta boreale fatta di betulle, abeti ed altre essenze non ben identificate. La presenza dell’acqua è incredibile qui in Canada….sono due milioni i laghi ed i fiumi che ne segnano il territorio, per non parlare degli stagni e dei canali….un buon 30% di territorio è sommerso dall’acqua…..Il Canada sarà senz’altro una delle ultime nazioni a soccombere per l’inevitabile emergenza idrica del prossimo futuro….se non altro sapremo dove scappare! Non sono molti gli avvistamenti oggi…solo un paio di daini ed un giovane alce che sfreccia davanti a noi attraversando la strada… .. una puzzola scappa veloce dalla carreggiata e due pellicani dal becco rosso stanno comodamente nuotando sulle acque nere di un piccolo lago e affondano di tanto in tanto il loro lungo collo per un assaggino. Raggiungiamo poi l’unico piccolo centro abitato del parco che prende il nome dal grande lago sul quale si affaccia….il Waskesiu. Quasi non lo si scorge mimetizzato com’è tra la vegetazione ….in gran parte costituito da bassi edifici di legno, rappresenta l’unica possibilità di trovare una camera per la notte. La 108 del “Lakeview four season Resort” non è molto accogliente ma contiene tutto il necessario compresa la tv con due canali sintonizzati, due comodi queen bed, il bagno, il calorifero e la tisaniera. L’unica vera pecca è rappresentata dal fatto che proprio di fronte alla nostra porta c’è il distributore di cubetti di ghiaccio e si sa….qui come negli Stati Uniti la gente ne fa un uso spropositato! Usciamo per la cena e percorriamo le poche decine di metri che ci separano da un simpatico localino sulla cui terrazza ancora assolata ci accomodiamo per una birra ed un hamburger. Godiamo dello splendido tramonto sul lago, poi fuggiamo dagli sciami di zanzare giganti nei quali siamo finiti….mai sentito un ronzio così intenso!

19 Giugno 2008

PRINCE ALBERT NATIONAL PARK – THE PAS

Ci svegliamo presto con il suono del telefono….per via di uno strano contatto le telefonate dirette alla reception del Resort arrivano direttamente alla nostra camera! La pioggia di oggi vanifica i nostri buoni propositi di fare una bella passeggiata sul lago….quindi ripartiamo subito diretti a The Pas, un piccolo centro abitato del Manitoba che fu un importante punto di incontro tra i nativi ed i mercanti di pellicce europei. Per raggiungerlo attraversiamo le enormi distese del Canada centrale, dove le coltivazioni si spingono all’orizzonte a perdita d’occhio, mentre il cielo va schiarendosi man mano che ci avviciniamo all’obiettivo. The Pas non è un centro di particolare interesse per noi, ma qui vicino c’è il Clearwater Lake Provincial Park il cui lago è famoso per le sue acque limpidissime …. già che ci siamo andiamo a vederlo! Alcuni bambini stanno facendo il bagno a due passi dalla stretta spiaggia di sabbia ocra, urlano e gesticolano mentre le loro madri aspettano sedute sulla sabbia…..certo la curiosità di sentire l’acqua viene anche a noi che non siamo dei nativi. La più curiosa alla fine sono io che ingolosita dall’acqua cristallina alzo i jeans alle ginocchia e scendo immergendo le gambe fino a metà polpaccio. Muovo qualche passo qua e là mentre poso per Vanni che mi immortala in una sequenza di scatti….poi esco dall’acqua gelida. Il cielo è stupendamente azzurro ora…e non mancano le nuvolette bianche, così perfette da sembrare dipinte. Un bellissimo quadro questo del lago…ma il parco non offre che questo. Ceniamo da Mr. Rib’s piuttosto bene…il mio filetto di bue è tenerissimo e la zuppa di cipolle di Vanni decisamente succulenta. Dormiremo al “Super 8 Motel” ….speriamo fino a tardi!

20 Giugno 2008

THE PAS – RIDING MOUNTAIN NATIONAL PARK

Qualche minuto dopo le 11 bussa alla porta della camera il receptionist ucraino…è arrabbiato perché il check-out è alle 11 ed io sono in ritardo…sarà per il fuso orario che si è spostato ancora in avanti di un’ora? …certo è la prima volta nella vita che mi succede di essere vittima di un tale rigore….altro che puntualità inglese!….gli ucraini in questo mi sembrano addirittura maniacali. L’esito negativo della telefonata fatta questa mattina ad un tour operator di Churchill, per capire se ci sono orsi bianchi da vedere in questa stagione, …ci fa desistere dall’idea di salire ancora verso la Baia di Hudson e puntiamo invece la prua di Carolina verso Sud….Gli orsi bruni del Riding Mountain National Park ci aspettano a qualche centinaia di chilometri da qui….sarà una buona consolazione per noi avvistarne qualcuno. Attraversiamo ancora le immense pianure coltivate, solo a tratti interrotte da ampie macchie di foresta e pascoli affollati di mucche….qua e la solo gli alti granai di legno colorati di rosso ed i silos metallici risplendenti. Il tempo è splendido anche oggi e le nuvolette ben disegnate punteggiano l’azzurro intenso del cielo, alcuni corvi svolazzano ai lati della strada mentre noi sfrecciamo a bordo di Carolina. Da quando ha l’alternatore nuovo non fa più salire la lancetta della temperatura dell’acqua , e nemmeno la pressione sanguigna di Vanni che ogni volta si preoccupava moltissimo. Arriviamo a Dauphin nel primo pomeriggio e rimaniamo piacevolmente sorpresi da questa bella cittadina che compare con un piccolissimo cerchietto sulla carta stradale….in confronto a The Pas è una metropoli! Percorriamo i tranquilli viali alberati ed osserviamo le casette monofamiliari distanziate dalla strada da ampi giardini curatissimi. Sono per lo più rivestite di doghe di legno con i tetti molto inclinati tipici delle aree fredde e nevose, verande e bouwindows. Sembrano ripetere per l’ennesima volta le tipologie della tradizione edilizia nordamericana ….così di maniera, ma anche divertenti. Ogni volta che ne osserviamo una , sembra che ne debba uscire Mary Poppins! Proprio piacevole questa Dauphin….ed è a due passi dal Parco che vorremmo vedere. Scendiamo ancora di qualche chilometro fino ad arrivare alla stazione d’ingresso del Parco segnata da un portale di legno, Dalla finestrina aperta del box sottostante una signora sorridente ci allunga un paio di depliants e la ricevuta del pedaggio obbligatorio….ingolosita dalla prospettiva di un avvistamento le chiedo se ci sono orsi in zona, ma la mia pronuncia deve averla tratta in inganno perché mentre risponde con un invitante – si moltissimi- ci dà un foglietto con l’elenco delle specie di uccelli presenti nel parco…..capita! Superato il gate andiamo ancora a sud lungo la 10 Dr. e ad una piazzola di sosta saliamo in cima alla torre di avvistamento per vedere solo cime di alberi e boschi a perdita d’occhio. Dopo aver percorso altri 53 km senza il conforto di un avvistamento e con l’inevitabile conseguente torcicollo, arriviamo all’unico centro abitato del parco…Wasagaming che in lingua Cree significa “acqua chiara”. Il paese sorge in effetti sulla sponda del lago omonimo, la limpidezza delle cui acque provvederemo presto a verificare. Sfoggia interessanti edifici storici risalenti alla fondazione del parco nel 1933, tra cui il Visitor Center in un impeccabile stile rustico Tudor, e l’edificio dei pompieri con una simpatica torretta affiancata, simile ad un campanile ligneo. Troviamo alloggio al “The new Chalet”, effettivamente nuovissimo e confortevole, ad un costo di 100 $C al giorno. La porta della nostra camera si apre su un perfetto prato all’inglese in leggera pendenza, la finestra invece affaccia sulla piscina…ci piace, quindi la prendiamo senza esitare. Ceniamo al ristorante italiano qui di fronte, il “Tr Mc Koys” dove la mia New York steak è meravigliosa almeno quanto il vino rosso di Montepulciano. Considerato che di Italiano questo ristorante però non ha quasi nulla se non un paio di vini e qualche piatto di pasta cucinata però alla maniera canadese, propongo a Vanni di aprire un ristorante cinese a Bologna ….in fondo è la stessa cosa. Dopo poco più di un’ora crolliamo ubriachi sul letto….anche questo capita! Sono quasi le 23 eppure non è ancora buio.

21 Giugno 2008

RIDING MOUNTAIN NATIONAL PARK

Il reportage fotografico agli edifici storici di Wasagaming apre la giornata, seguito immediatamente dopo da un tour nel parco. Seguiamo i percorsi carrabili nei quali la signorina del tourist office ha detto che avvengono la maggior parte degli avvistamenti….così dopo una ventina di chilometri di sterrata raggiungiamo il Bison Range, dove vediamo senza sorpresa i bisonti, a decine, sul bordo strada, ma nient’altro. Delusi torniamo sui nostri passi percorrendo a ritroso la sterrata ma ecco che il parco ci regala l’avvistamento di un cucciolo di orso bruno che uscito in gran fretta dalla vegetazione sul bordo strada, si blocca vedendoci arrivare e si rituffa poi veloce dentro ai rovi. Che soddisfazione vederlo anche se per pochi istanti! Certo il Canada occidentale ci aveva abituati ad avvistamenti prolungati che ci consentivano di scattare veri e propri reportage fotografici….ma erano altre zone e l’abbondanza di animali che le caratterizzava sembra essere invece del tutto assente qui. Percorriamo altre sterrate in auto ed un sentiero pedonale di poco più di due chilometri che si spinge all’interno della foresta. Vanni mi precede armato del suo campanellino anti-orso e mentre ne ascolto il suono leggero, quasi una litania, penso a quanto è piacevole passeggiare tra betulle, querce , rovi di frutti di bosco, fiori selvatici ed una miriade di tipi di erbette. Le piccole foglie delle betulle creano ombre leggere e tremolanti, mentre l’aria fresca rende piacevole il procedere tra ponticelli e brevi salite. Il sentiero si sviluppa sui due lati di un ruscello il cui brusio sentiamo a tratti allontanarsi….è un piccolo paradiso questo, pieno delle sfumature del verde e senza orsi molesti….una bella passeggiata che vorrei non finisse tanto presto! Arriviamo nei pressi dell’ Hotel sotto un acquazzone improvviso e persistente, va da sé che ne approfittiamo per fare il bucato alla laundry qui vicina. Armati del fustino Tide e dell’ ammorbidente ormai gelatinoso, trovati come reperti nel bagagliaio di Carolina, facciamo le nostre tre lavatrici, poi dopo la fatica dell’attesa ceniamo di nuovo al ristorante italiano e ci godiamo un bel tramonto sul pontile che si spinge dentro le acque chiare del lago. Sono già le 10 passate quando la palla infuocata entra nelle acque del lago…le giornate qui sembrano non finire mai.

22 Giugno 2008

RIDING MOUNTAIN NATIONAL PARK – BRANDON

Vanni mi sveglia prestissimo….avevamo deciso ieri di tentare un tour nel parco la mattina presto, il momento migliore per gli avvistamenti in qualsiasi luogo del mondo…. Proprio non ci va giù il fatto di aver visto così pochi animali in quasi due giorni , quindi alle 7.30 siamo già a bordo di Carolina sveglissimi nonostante tutto, a scrutare i bordi strada in cerca di animali. Sono soprattutto le alci quelle che proprio ci mancano….in fondo anche se velocemente l’orso ieri lo abbiamo visto….ma le alci…. Vediamo le loro inconfondibili orme sul terriccio ai lati della carreggiata, ovali e con un segno longitudinale in rilievo….non si può sbagliare, sono proprio le loro, ma non vedendo poi le alci ci viene il dubbio che siano gli impiegati della forestale ad imprimerle la notte, per illudere i turisti della loro effettiva presenza nel parco. Scrutiamo gli acquitrini, le radure, nulla. Usciamo con un bottino di un solo daino che ci aveva osservati per qualche secondo ed era poi scappato impaurito….non sarà un problema di timidezza quello degli animali di questo parco? Per consolarci andiamo verso un obiettivo certo…ad un centinaio di chilometri da qui, nel paese di Inglis ci sono alcuni granai degli anni ‘20, gli ultimi scampati alla demolizione sistematica dei più di 3000 esistenti fino a pochi decenni fa a ridosso delle ferrovie del territorio canadese. Simbolo dell’architettura delle praterie, questi edifici, che venivano chiamati i “castelli del nuovo mondo”, sono realizzati con spesse pareti di legno rivestite con doghe o pannelli di metallo. Quelli di Inglis sono 5 e formano un fronte compatto sulla ferrovia le cui rotaie distano solo pochi metri. Le volumetrie sono imponenti ma semplici. Il corpo principale è costituito da un parallelepipedo a base rettangolare coperto a una ventina di metri di altezza da un tetto a due falde, ad esso sono addossati due parallelepipedi più bassi coperti da tetti ad una falda….insomma un po’ come le nostre basiliche a tre navate, ma con una esasperazione verticale dei volumi. Le linee orizzontali delle doghe di legno si susseguono senza sosta verso l’alto, non ci sono cornici né marcapiani, solo la geometria pura di questi giganti che come fari si impongono, ben visibili, sulla linea piatta della campagna. Siamo così gratificati dall’averli visti che insistiamo sull’argomento….ci dirigiamo quindi senza indugi ancora più a Sud, a Fleming dove un altro granaio piuttosto malconcio risalente al 1895 è visibile dalla strada. A differenza degli altri questo edificio è rivestito di lastre metalliche rettangolari colorate di rosso scuro….ma ne mancano diverse su uno dei fianchi e la struttura lignea è scoperta e le vecchie scritte dipinte in alto si vedono appena. I lavori di restauro non sono ancora iniziati qui a Fleming, ma siamo comunque contenti del nostro avvistamento. Ingolositi dalla Lonely Planet che definisce Brandon una bella città decidiamo di fare qui la sosta intermedia del nostro viaggio verso Winnipeg. Prendiamo una camera fumatori al “Super 8 motel“ed usciamo quasi subito per un giro di ricognizione nella Downtown….ma quale bella città! I pochi edifici storici sono inseriti in un tessuto urbano decisamente squallido ed aggiungiamo a questo il fatto che essendo quella di oggi, una calda domenica d’estate, la città è completamente deserta….in compagnia di un paio di ubriachi usciti per una sigaretta dall’unico pub aperto del centro, compiamo il nostro giro nell’assolata e deprimente downtown di Brandon, quindi ripieghiamo in hotel dove almeno c’è internet. Ceniamo con un takeaway da Mac Donald….per non rischiare ulteriormente!

23 Giugno 2008

BRANDON – WINNIPEG

Fuggiamo dal “Super 8” di Brandon senza rimpianti….l’idea di Vanni è di raggiungere il “Spruce woods Provincial Park” facendo una piccola deviazione dalla trans-canada che stiamo percorrendo verso Winnipeg. Sono solo 30 km verso sud passando per Carberry…una sciocchezza per noi….ma l’attrazione del parco vale la deviazione. E’ particolare che nel bel mezzo del Canada ci siano delle dune di sabbia, ebbene queste alte dune sono proprio in questo parco e vista la nostra predilezione per il deserto…la sosta si rende necessaria… Dopo aver parcheggiato Carolina ci avviamo lungo un sentiero di 1.5 km per raggiungere il fronte di sabbia che, viste le frequenti precipitazioni qui, è rivestito quasi interamente da un sottile strato di vegetazione. Mentre stiamo per raggiungere la barriera di alte dune Vanni commenta dicendo che gli sembra di andare alla Bassona di Lido di Dante….ed effettivamente camminare su di un sentiero di sabbia circondati dal verde ricorda la situazione di alcune nostre spiagge, anche se qui la vegetazione è prevalentemente di abeti anziché di pini marittimi e tamerici. Tutto sommato una bella passeggiata ci voleva dopo tanti chilometri seduti in auto….e anche se l’impatto con le dune non è stato proprio quello che ci aspettavamo…ne è valsa comunque la pena. Entrare a Winnipeg è più impegnativo di quanto immaginassimo per via dell’estensione della sua periferia….su Carolina ci inoltriamo per chilometri all’interno del tessuto urbano dove il relativamente piccolo nucleo della downtown sembra irraggiungibile. Chissà come sarà entrare a Chicago! Abbiamo deciso di tornare a Chicago, rivoluzionando i nostri sempre labili programmi, per via della sua irresistibile bellezza ….non c’è proprio paragone tra la monotonia della pianura canadese e la dinamicità di una città come quella, quindi la scelta di raggiungere Toronto costeggiando i grandi laghi da sud anziché da nord ci è sembrata un’idea geniale che perseguiremo nei prossimi giorni. Evviva! Ne sono così felice….le stupende architetture di Wright e Gahry sono là ad attenderci, così come i tanti bellissimi grattacieli ed i canali di acqua verde che entrano in città….e quelle meravigliose sculture nel parco del lungolago. Fantastico! Tra pochi giorni saremo di nuovo a Chicago. Ma torniamo alla nostra modestissima Winnipeg, capitale dello stato del Manitoba, che Judy nata qui ci aveva tanto raccomandato di visitare e che infine raggiungiamo….L’aspetto più positivo o forse l’unico è che proprio oggi inizia il “Winnipeg Jazz Festival”ed alle 20 in punto siamo ad occupare un tavolo al lounge bar dell’hotel “Fermont”. Consumiamo una buona cena sulle note del concerto di Michelle Grégoire, una jazzista autoctona che, accompagnata dalla sua band, riesce a rendere ancor più calda l’atmosfera tutta boiserie di legno e moquette scozzese del bar. Serata piacevolissima e calda…finalmente è arrivata l’estate anche qui ed io riesco ad indossare il miglior pezzo contenuto nel mio trolley…un bellissimo abito nei toni dell’azzurro-verde tutto svolazzi e piegoline…viste le piogge e le temperature basse dei primi tempi pensavo non avrei mai avuto l’occasione di indossarlo. Dopo il concerto rientriamo al “ Norwood”, un discreto hotel nel quartiere francese di Saint Boniface. Le camere sono ampie e confortevoli e siamo a due passi dalla downtown e dalla zona della Forks, tutta parchi e servizi…insomma una bella scelta che costerà solo 115 $C al giorno.

24 Giugno 2008

WINNIPEG

Sono circa le 10 quando usciamo insieme dall’hotel ma con obiettivi diversi. Vanni farà un tour delle officine per risolvere il problema di Carolina all’impianto elettrico, mentre io mi dedicherò alla visita della città per vedere se c’è qualcosa da salvare in questa Winnipeg che all’arrivo non ci aveva fatto una così buona impressione. Mentre mi incammino penso a quanto è fantastica questa giornata di sole, anche la temperatura è perfetta. Raggiungo il quartiere The Forks subito dopo aver superato il ponte sul Red river, quindi dopo una breve passeggiata tra la rigogliosa vegetazione del parco lungo il fiume mi dirigo senza indugi verso l’ Exchange District il cui tessuto urbano risalente a circa un secolo fa restituisce una piacevole atmosfera old style. Gli edifici, tutti in mattoni a vista, sono prevalentemente sobri. Spiccano come texture le file di finestre, le scale di sicurezza di ferro arrugginito e le vecchie insegne pubblicitarie ormai sbiadite dipinte direttamente sui muri. Entro in un paio di negozi di dischi per cercare un CD di Michelle Gregoire che non trovo, poi vicino alla Old Market Square il suono forte di una band mi ricorda che siamo in pieno festival Jazz e che gli appuntamenti musicali nei punti chiave del centro accompagneranno con mio grande piacere la mia passeggiata. Mi fermo ad ascoltare per una mezz’oretta, poi evitando di soffermarmi sui brutti grattacieli del centro devio verso la Winnipeg Art Gallery che, ospitata in un bell’edificio degli anni ’70, non ha però molto altro da offrire….personalmente trovo l’arte inuvit piuttosto deprimente ed anche il resto della collezione di artisti del Manitoba o più generalmente Canadesi è piuttosto deludente. Sono in cammino ormai da 4 ore quando entro in un atelier incrociato per caso, per un pedicure …. Il massaggio delicato che la signorina sta facendo ai miei piedi mi sta gratificando almeno quanto una fetta di torta al cioccolato quando sono affamata. Esco come nuova e continuo a camminare verso l’ hotel dove trovo Vanni rientrato da poco e già collegato come sempre ad internet. Un’oretta di coccole che ci stendono definitivamente ed usciamo per compiere l’ultima faticosa passeggiata di oggi diretti al ristorante francese “In Ferno’s Bistro”. Con mio grande stupore vedo sul menu che lo chef propone tra i piatti di pesce l’Artic Char, un pesce squisito che avevo assaggiato l’anno scorso a Yellowknife, la città più a Nord del Canada che abbiamo visitato. Non avendolo più trovato sui menù lo avevo quasi dimenticato, ma ora eccolo sul mio piatto, squisito come sempre! Vanni condisce con entusiasmo la sua tartare di carne che poi divora…è tutto buono, possiamo rientrare soddisfatti in hotel.


Menù delle città

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22 Usa


25 Giugno 2008

WINNIPEG – ST. CLOUD

Stanchi di navigare nelle immense campagne canadesi, come naufraghi di una crociera senza fine, inseguiamo il nostro desiderio di varietà dirigendoci al confine statunitense, ad un centinaio di chilometri a sud di Winnipeg. Seguendo la 29 S arriviamo al border dove una poliziotta, piuttosto seccata per la nostra non comprensione immediata del suo americano sparato alla velocità della luce, ci invita ad entrare in un posto di controllo dentro un capannone appena oltre. Il pareo indiano un po’ fricchettone che copre le nostre valigie nel bagagliaio, deve averla insospettita almeno quanto i visti sui nostri passaporti di Mauritania e Mali. Fermiamo Carolina tra le due file di tavoli metallici e scendiamo dirigendoci verso i due poliziotti che ci stanno osservando attentamente. Ci chiedono di appoggiare il contenuto delle nostre tasche sul tavolo, quindi di girarci un momento per vedere se avessimo dimenticato qualcosa nelle tasche posteriori….frugano dentro la mia borsetta ed aprono la tabacchiera….a questo punto penso che smonteranno l’auto. Uno di loro ci chiede da dove veniamo e dove siamo diretti, noi naturalmente iniziamo a raccontare del nostro lungo viaggio… – perché viaggiate così tanto? – è il commento….- perché ci piace e gratifica la nostra curiosità – la risposta. – In quali rapporti siete?…quanto denaro avete con voi? Avete armi da fuoco? – l’interrogatorio sembra non finire più. Poi parlottano tra loro e tra le cose che si dicono capiamo che abbandonano l’idea di perquisire la nostra Carolina. Che fortuna! Ogni volta ho gli incubi per quelle due statue che ci portiamo ancora appresso dalla Colombia…sono talmente simili per tecnica e materiale agli originali precolombiani che quando dovemmo spedire Carolina da Cartagena a Panama i militari statunitensi chiamarono addirittura l’impiegata della sovrintendenza delle belle arti per capire se fossero reperti archeologici oppure no e prelevarono un frammento di pietra per verificare se non si trattasse di un impasto modellato al cui interno fosse nascosta la droga….si può capire perché ogni volta che ci troviamo alla frontiera statunitense mi venga il malumore! Andiamo all’interno degli uffici di frontiera per riempire il solito questionario su carta verde nel quale dichiariamo alcune cose tra cui il fatto di non essere individui sovversivi…Che scivolone di intelligenza questo questionario…come possono pensare che barreremmo la casella del SI anche se lo fossimo? Con i nostri due visti sui passaporti ci avviamo verso Minneapolis che però non raggiungeremo….otto ore di auto attraverso le campagne del Nord Dakota, sono più che sufficienti per oggi. Ci fermiamo per una sosta tecnica a St. Claud, dove occupiamo una camera, che odora come un posacenere usato, al “Super 8 motel”. Mangiamo un buon filetto ai funghi alla Steak House più vicina, quindi sveniamo distrutti sul letto…..tante ore di immobilità in auto distruggono più di una bella corsa!

26 Giugno 2008

ST. CLOUD – MINNEAPOLIS & SAINT PAUL

Seguendo la 94 E raggiungiamo il confine con lo stato del Minnesota e poco dopo le due città gemelle ( le twin cities ) di Minneapolis e Saint Paul, fuse in una unica metropoli ma le cui downtown distano ben 16 km.l’una dall’altra. Arriviamo a St. Paul piuttosto presto, verso le 11, ma poi la ricerca dell’hotel ci impegna per una buona oretta. Vanni aveva letto sulla guida di un particolarissimo B&B , il “Covington Inn”, l’unico in America ricavato da un rimorchiatore galleggiante e perennemente ormeggiato al pier 1 sul fiume Mississippi, proprio di fronte ai grattacieli svettanti della downtown di St. Paul. Andiamo per vedere se una delle suite è ancora disponibile…ma appena vediamo di cosa si tratta cambiamo idea senza nemmeno entrare, il tono troppo dimesso del piccolo rimorchiatore non giustifica il costo elevato delle suite, quindi optiamo per una tradizionale camera in un hotel del centro. La nostra bella camera d’angolo con vista fiume, posta al tredicesimo piano del Crowne Plaza è quanto di più confortevole potessimo trovare, ed il costo di 200 $ ci fa persino risparmiare rispetto all’opzione del rimorchiatore che vediamo dall’alto proprio di fronte a noi. La città di St. Paul sorge su un territorio leggermente ondulato ed è attraversata da grandi arterie di traffico che corrono in sottopassaggi o sopraelevate a solcare il cuore della città. L’ampio fiume Mississippi scorre proprio al margine del centro definendone il confine a sud, oltre il ponte le case mono familiari si mimetizzano tra la vegetazione della collina che vediamo inquadrata nelle due ampie finestre verso il fiume. Le altre due ci regalano una bella prospettiva sul fiume e più oltre sulla basilica di St. Paul, il simbolo della città che svetta nel suo stile neoclassico in cima ad una collina . Le due viste sono così invitanti che usciamo quasi subito, immergendoci nella city arroventata in questo caldo pomeriggio di fine giugno. La skyline di St.Paul ci appare articolata nei volumi squadrati dei grattacieli giustapposti alle cupole, nei vari stili, degli edifici antichi e delle chiese. Una città tranquilla, dove l’antico ed il moderno convivono in armonia. Sotto il sole cocente ci incamminiamo verso la cattedrale…nelle grandi città l’illusione della vicinanza degli obiettivi da raggiungere è una costante, quindi dopo aver percorso un bel po’ di strada in salita arriviamo di fronte alla chiesa e senza entrare passiamo oltre lungo la Summit Ave attirati dalle belle case vittoriane che sfilano sui due lati della strada come in un defilé d’altri tempi. Oltre il marciapiedi i giardinetti ben curati sono ombreggiati da alberi frondosi ed aiuole profumate. E’ una zona residenziale risalente al XIX secolo dove anche il magnate delle ferrovie dell’epoca fece costruire il suo possente “castello”, la James Hill house. Il panorama sulla città da qui è stupendo! Seguendo un percorso pedonale torniamo verso la downtown nei pressi della quale entriamo nel negozio di un rigattiere e compriamo due belle tazze da tè con impresso il logo della “Campbell soupe” che fanno tanto Andy Warol. Rientriamo stanchi a goderci il panorama dalle finestre della camera dalla quale usciamo solo all’imbrunire. Vanni si è fatto consigliare un localino dove ascoltare un po’ di jazz….Il portiere di colore statunitense non può sbagliare…e infatti dopo aver mangiato bene in uno dei tavolini all’aperto del ristorante “Great Waters”, adiacente al locale, scendiamo le scale che conducono all’”Artist’s Quarter” . Acquistiamo il biglietto d’ingresso di 8 $ ed entriamo nel locale interrato dall’atmosfera dark appena rischiarata dalle candele sui tavolini e dalle luci di scena. E’ intimo ed accogliente…e la “Pete Whitman Band” suona divinamente brani di loro composizione. Contiamo 6 fiati, batteria, xilofono, contrabbasso e pianoforte, insomma un gruppo numeroso che ci intrattiene per un paio d’ore. La e-mail di Pete è p-whitman@msn.com dovrò scrivergli per sapere da quale sito poter scaricare alcuni brani della band. Invece il sito nel quale vedere i concerti jazz in Usa è www.jazzpolice.com.

27 Giugno 2008

MINNEAPOLIS & SAINT PAUL

Ci svegliamo tardi…e dopo la colazione andiamo nella vicina Minneapolis percorrendo la grande arteria 94W per 10 miglia, fino al fiume Mississippì. Proprio a ridosso del fiume ed adiacente al Campus universitario del Minnesota, vediamo le lucide lamiere ricurve del Weisman Art Museum, un progetto di Frank.O.Gehry, ma non uno dei migliori. La collezione ospitata è interessante e prevalentemente di artisti americani del XX secolo Ci aggiriamo nelle sale dai bei soffitti articolati in volumetrie complesse, poi di nuovo a bordo, andiamo verso la bellissima downtown, la cui skyline mi fa scendere dall’auto diverse volte per fotografie on the road. Ogni inquadratura è un’emozione….e l’ultima scattata è sempre la migliore. Vista l’ insospettata bellezza parcheggiamo e ci inoltriamo tra la foresta di grattacieli, uno più intrigante dell’altro, a piedi, per avere tutto il tempo di goderci lo spettacolo. I vecchi grattacieli degli anni ’30 sono quelli che trovo più irresistibili, per i loro volumi addossati che vanno assottigliandosi verso l’alto…. per gli elementi decò nelle lesene, nei capitelli ed abbondantemente nelle modanature dei piani terra…sono bellissimi. Uno di essi ha come coronamento una sorta di enorme fiore stilizzato , o una grande corona scura …. mi ricordano alcuni sfondi dei film di Batman, o certi fumetti truci ambientati nelle metropoli americane. Inseguendo cristalli e pietre, acciai e mattoni, ci avventuriamo sulla 3rd Ave ritrovandoci poi sul margine settentrionale della downtown oltre il quale scorre il Mississippì. Una serie di vecchi edifici tra cui un mulino che ristrutturato è diventato l’importante “Mill City museum“(mulino della città), ne caratterizzano il tessuto, e testimoniano di quando Minneapolis era la capitale della macinazione del grano. Finalmente entriamo in uno dei vecchi silos che in Canada avevamo visti solo dall’esterno, ma ci troviamo intrappolati in un tour organizzato senza via di scampo all’interno della “flour tower”(torre della farina), senza capire una parola di quello che il nostro accompagnatore dice relativamente ai vari processi di lavorazione del grano. L’aspetto positivo è che abbiamo potuto vedere il fiume, e le piccole cascate che qui forma, da un punto di vista privilegiato, cioè dall’alto degli otto alti piani del silos. All’uscita un diluvio ci blocca per una mezz’oretta… il tempo di riuscire a fermare un taxi libero. Torniamo da Carolina, anche se la visita del centro città avrebbe richiesto altre due o tre ore, ed inseguendo la 94E ci troviamo vicinissimi al “Minneapolis Sculture garden” la cui visita, nonostante la pioggia, si rende a questo punto necessaria. Opere di Richard Serra, Moore, Calder ed altri famosi scultori sono ospitate sui prati del giardino, la più famosa è quella che rappresenta un grande cucchiaio contenente un ciliegione rosso…è una fontana ed occupa il centro di uno stagno…..che piacevole visita nonostante la pioggia! Di fronte al giardino troneggia il bellissimo Walker Art Centre, un museo di arte moderna americana che però sfiniti decidiamo di non vedere. Sarà un buon motivo per tornare un giorno in questa bellissima Minneapolis, più frenetica, vivace ed interessante della gemella St. Paul. Ceniamo al “Matty B’s Super Club”, dove il concerto country di James Curry accompagna i nostri buoni filetti di bue….un po’ caro, ma è a due passi dall’hotel e vi si respira una bella atmosfera, fatta di boiserie e sofà in pelle rossa.

28 Giugno 2008

MINNEAPOLIS & SAINT PAUL – MILWAUKEE

Partiamo con calma seguendo la 94 con direzione Milwaukee e dopo circa 50 km lasciamo il Minnesota per entrare nello stato di Wisconsin….Vanni ha in serbo una sorpresa per me della quale mi ha accennato ieri sera… Leggendo la guida più attentamente di quanto non abbia fatto io, ha visto che in Wisconsin ci sono diversi edifici progettati da Frank Lloyd Wright ed ha in mente di portarmi a vederne qualcuno deviando verso Spring Green dove, all’interno della vecchia abitazione dell’architetto, ha sede il centro visitatori . Il cielo intanto si fa sempre più cupo fino a grandinare e l’autostrada si trasforma presto in un grande parcheggio, con auto ferme sui lati ed altre che procedono come al rallentatore. Ci fermiamo anche noi per una decina di minuti, poi ripartiamo sotto l’acquazzone che non accenna a diminuire… L’estrema variabilità del clima di queste regioni ci regala poi qualche schiarita che restituisce plausibilità all’ipotesi della deviazione, che immaginiamo a questo punto più contenuta, per vedere almeno uno degli edifici della zona progettati dal grande maestro dello scorso secolo. C’è un cottage nei pressi di Lake Delton che implica una deviazione minima dalla 94, quindi andiamo….. dopo aver percorso una decina di miglia, ancora incerti di aver sbagliato strada per via delle indicazioni troppo sommarie del depliant, un gentilissimo signore con consorte ci affianca, scende dalla sua auto sotto la pioggia e chiede cosa stiamo cercando. Gli mostro il depliant e lui ci dà un paio di indicazioni…ma per essere proprio sicuro di essere stato chiaro, ci segue fino al primo cartello che indica il Seth Peterson Cottage, quindi molto gentilmente si congeda. Non è la prima volta, né immagino sarà l’ultima che ci capita di rimanere stupiti per la gentilezza squisita e senza riserve di alcuni statunitensi…è incredibile come alcuni di loro siano disposti ad aiutare il prossimo quando lo vedono in difficoltà…. Il cancello chiuso sulla strada di accesso al cottage preannuncia la brutta notizia confermata dal cartello che leggiamo…la visita è limitata alla seconda domenica di ogni mese. Tutti gli altri giorni il bellissimo cottage, del quale possiamo ormai solo vedere le immagini sul depliant, è occupato dagli ospiti paganti che lo affittano a 200 $ al giorno e che quindi desiderano si rispetti la loro privacy. Con le orecchie basse torniamo sulla nostra 94, diretti a Milwuakee….in fondo anche là ci sono un paio di edifici di Wright e nel corso del nostro soggiorno a Chicago l’anno scorso ne abbiamo visti almeno una ventina tra cui alcuni dei più famosi. Arriviamo allo Hyatt hotel di Milwaukee verso le 18… Oggi è sabato e l’hotel è in grande subbuglio per un meeting di sordomuti che vediamo gesticolare nella grande hall, e per i due matrimoni al mezzanino dei quali ci arriva la musica anche nella camera. La nostra porta si affaccia sul quarto ballatoio dell’ampio volume aperto sopra la hall e che si spinge fino al 22° piano. Lascio Vanni al computer ed esco per un sopralluogo nella città che ci era sembrata bella, osservata dall’alto nell’intreccio di soprelevate che abbiamo percorso arrivando. Raggiungo il ponte sul Milwuakee river e seguo il percorso pedonale che corre su una delle sue sponde…. mentre cammino sollecitata dal vento forte che si incanala tra gli edifici, osservo i motoscafi sfilare a bassa velocità sulle sue acque, ed i percorsi in quota chiusi da vetrate che lo attraversano, come ponti pedonali per la stagione invernale. Anche nelle città del Canada i ponti pedonali vetrati che collegano gli edifici sono frequentissimi, ne abbiamo visti ovunque, a creare un reticolo pedonale “caldo”più o meno esteso di collegamento. Quando la temperatura esterna raggiunge i -30°C deve essere comodo poter fare una passeggiata per uffici e negozi senza mai dover indossare il cappotto. Mi dirigo verso gli edifici storici di mattoni a vista del settore sud della downtown, poi verso il grande lago Michigan sul quale la città si affaccia. Il sole ormai calante regala tonalità di colore fantastiche ai mattoni dei vecchi edifici e ce n’è uno in particolare che mi conquista, il Milwaukee Gas Light Building. E’ un grattacielo degli anni ’30 progettato dall’ architetto Eschweiler e che termina con un coronamento consono….una sorta di lanterna traslucida che un tempo doveva essere luminosa. Una bellezza! Più oltre, a ridosso del lago ecco il pezzo forte della città, il Milwuakee Art Museum dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava ….una sorta di capolavoro, sospeso tra architettura e scultura, assolutamente bianco, le cui forme esprimono il dinamismo come di un uccello che stia per spiccare il volo. Ceniamo al Pub dell’edificio Wells Fargo sulla Wisconsin Ave, proprio sul fiume, all’aperto….ci sacrifichiamo nonostante il vento e la temperatura che continua a scendere perché è questa la migliore quinta possibile per assistere ad uno dei concerti del Summerfest che vivacizza la città con musiche e divertimenti per una decina di giorni tra giugno e luglio….una bella fortuna essere arrivati qui proprio adesso! Gustiamo gli ottimi cibi a suon di Jazz, mentre accanto a noi scorre il fiume. Come stelle questa sera solo le luci della città.

29 Giugno 2008

MILWAUKEE

Approfittiamo della bella giornata di sole per visitare il pezzo forte di Milwuakee…. il museo d’arte di Calatrava… lo raggiungiamo verso mezzogiorno con una bella passeggiata tra le vie del centro…. Lo vediamo incomprensibilmente immobile, con le ali dispiegate come per spiccare il volo verso il lago a pochi metri….il disegno di questa architettura, come molte altre di Calatrava, rimanda con evidenza, all’anatomia dei volatili, questo in modo particolare. Un sistema idraulico di martinetti infatti, gestisce l’apertura e la chiusura di una struttura simmetrica a forma di ala, che quando aperta, lascia passare la luce naturale nell’ampio foyer del museo, se chiusa, ne protegge le vetrate e crea l’oscuramento interno. Calatrava è davvero geniale e noi siamo fortunati a vedere funzionante il delicato meccanismo di movimento che per esempio nel planetario della città della scienza di Valencia era in panne. Alle 12 in punto l’unico show della giornata di chiusura e riapertura della copertura ad ali ha inizio, introdotto da uno stacchetto musicale. Poi ecco che lentamente le due falde composte da bianchi cilindri paralleli di dimensione decrescente, iniziano il lento movimento di discesa, come dita di una mano che si chiude ad iniziare dal dito mignolo. Uno spettacolo davvero unico che si conclude dopo una decina di minuti con la riapertura completa delle falde. Contenti di aver partecipato all’evento di quest’architettura in movimento, entriamo nel foyer. E’ come essere nel becco di un uccello gigantesco che si conclude verso il lago con una vetrata curvilinea a 180°. In alto il soffitto che segue una curva parabolica è pieno di piccole finestre a nido d’ape che lasciano penetrare la luce diffusa all’interno del vasto atrio. Ci perdiamo poi nelle sale del museo che oltre ad ospitare una mostra temporanea dei londinesi Gilbert & George, ha una ricca collezione di arte moderna e contemporanea. Ci abbandoniamo ai colori delle tele, alle divertenti installazioni interattive ed alle sculture per un paio d’ore, dopo di che, essendoci persi di vista, iniziamo a cercarci tra il labirintico percorso della mostra, per ritrovarci solo dopo una mezzora di estenuanti ricerche. Beviamo un tè accompagnato da torta di cioccolato alla caffetteria del museo poi usciamo, soddisfattissimi per questa giornata ben spesa, che ci ha arricchiti di energie nuove e di felicità. Visto che il tempo è cambiato di nuovo e la temperatura è scesa decidiamo di cenare nel ristorante girevole dell’hotel, solo 16 piani sopra la nostra camera. La magnifica vista su Milwaukee al tramonto e la buona cena accompagnata da un profumato Sauvignon della Nuova Zelanda chiudono in bellezza questa fantastica giornata dedicata all’arte nelle sue molte forme espressive….vino incluso.

30 Giugno 2008

MILWAUKEE – CHICAGO

Prima di lasciare la città dedichiamo un paio d’ore alla ricerca e quindi alla visita della mitica Harley – Davidson, che regala sogni agli americani fin dal 1903 ed il cui stabilimento, situato nell’area Nord-Ovest di Milwaukee, al 11700 di W Capitol Dr, è aperto al pubblico con visite guidate. Nel parcheggio antistante le cromature di decine di moto brillano sotto il sole di mezzogiorno….va da sé che gli operai arrivano al lavoro a bordo delle loro Harley, perché questa moto, per loro come per noi, non è solo un mezzo di trasporto, ma rappresenta un atteggiamento nei confronti della vita….ben descritto dagli scrittori della Beat Generation come Kerouak. La parte più interessante della visita peraltro piuttosto tecnica, è stata quella che ci ha visti salire in sella ad un paio di stupendi modelli, nuovi fiammanti ed un po’ stesi come piacciono a me, con il manubrio largo ed i due specchietti cromati laterali….mi sono sentita benissimo a cavalcarne una….rossa e con un accenno di fiamme disegnate sui due lati del serbatoio….wow ….che bella sensazione!
Entriamo a Chicago con qualche difficoltà legata al traffico intenso ma poi, mentre su Carolina procediamo paralleli alle acque blu del lago che vediamo popolato di vele spiegate, ci si spalanca davanti agli occhi una delle più belle skyline del mondo. Entriamo dentro la città, accolti dai giganti di acciaio e vetro, così ben disegnati e così possenti …quegli stessi che un anno fa avevano tanto colpito la nostra immaginazione ed il nostro cuore. L’hotel è sempre lo stesso di allora, il “Grand Park” al 1100 di Michigan Ave, ed anche la camera vista lago del settimo piano…tanto per non essere abitudinari! La novità la riserviamo per la cena…è un ristorante che si affaccia sul canale… lo Smith & Wollensky al 318 di North State Street…..siamo ospiti di Luigi Negroni, un amico di Vanni, nonché fratello di Alberto e Marco che talvolta vediamo in Italia. Dopo aver lasciato le cucine del San Domenico di Imola più di 20 anni fa, si è trasferito qui ed ha iniziato a lavorare, sempre come cuoco, tra la California e Chicago….Il ristorante di questa sera è uno dei migliori della città dove mangiare carne ed assaporare ottimo vino, ci dice….ma anche la serie di dolci che ci viene proposta a fine serata è un’escalation di piacere per le nostre papille che come impazzite si trastullano tra le creme, i sorbetti e le marmellate dello chef. La serata in compagnia di Luigi scivola con piacere verso la tarda serata, arricchita di racconti ed aneddoti tipici di chi come lui conosce mezza Chicago e conduce una vita sopra le righe qui ed altrove. Quando usciamo, verso mezzanotte, siamo sotto i grattacieli che risplendono di luce.

01 Luglio 2008

CHICAGO

Ci svegliamo ad un’ora allucinante…è quasi mezzogiorno!….ma il tempo per le nostre coccole ce lo prendiamo, poi usciamo e camminando tra la folla nel parco sul lungomare facciamo un ripasso delle cose che più ci erano più piaciute mesi fa…come la grande scultura a fagiolo di Anish Kapoor che riflette deformandoli i grattacieli sulla Michigan, o la divertente fontana di Jaume Plensa, due parallelepipedi di mattoni di vetro alti circa 15 metri, sui quali sono retro proiettate immagini video che appaiono sotto la caduta d’acqua….per non parlare del meraviglioso padiglione di Frank Gehry , una sorta di sofisticata acconciatura metallica di fasce argentee, il cui palco accoglie le esibizioni musicali della Grant Park orchestra. Non ancora ultimato invece l’ampliamento firmato Renzo Piano, dell’ “Art Institute of Chicago”…..sembra di fare una sorta di direzione lavori con cadenza annuale. Il pomeriggio prosegue alla grande con una escursione in barca sul canale dalle acque verdissime che taglia in due il centro città. Il tour è organizzato dalla “Chicago Architecture Foundation” ed offre prospettive sempre diverse della selva di alti edifici che affollano il Loop, il cuore della Downtown. Mentre ci spostiamo lungo il canale, vediamo anche i bellissimi ponti basculanti di ferro che lo attraversano….devono essere piuttosto vecchi visto l’aspetto, ma avendo capito un 2% di quello che la speaker della fondazione ci diceva nel corso del tour, non saprei proprio dare loro un’età esatta! Un consiglio d’oro quello che ci ha dato Luigi ieri…ma Vanni ne esce con una sorta di insolazione, io con almeno una cinquantina di foto ed un bel sorriso! Ceniamo al “Sushi Oysy Izagaya”, a due passi dall’hotel sulla Michigan dove tutto è buono, compresa la tartare di tonno e la soft shell crab tempura per la quale Vanni impazzisce. Si tratta di granchi che fritti nella pastella con il loro guscio, risultano comunque morbidi….miracolo giapponese?

02 Luglio 2008

CHICAGO

Il vento forte ci sorprende appena fuori dalla porta dell’hotel e ci fa avanzare a fatica lungo la Michigan ave. Che strana giornata quella di oggi…il cielo è bianco di foschia, fa caldo e soffia un vento micidiale….risultato….mani gonfie ed una grande fatica a fare qualsiasi cosa….compreso camminare, figuriamoci controvento! Il programma di oggi è di salire sul grattacielo più alto degli Stati Uniti, per osservare la città dall’alto….insomma la vogliamo proprio vedere bene questa Chicago. Camminiamo tra le strade del centro verso l’edificio per il quale non serve avere l’indirizzo….basta osservare il cielo e seguire la direzione del suo volume nero, coronato da due grandi antenne bianche….la cosa più alta visibile in città. Entriamo su uno dei lati, dove un cartello giallo indica lo Skydeck, l’ingresso per l’ultimo piano…superiamo i controlli di sicurezza ed assistiamo obbligatoriamente alla proiezione di un filmato relativo alla storia della Sears Tower…ora sappiamo tutto: < commissionato dalla Sears Roebuck and Co. (una catena di grandi magazzini, fu progettato da Bruce Graham e Fazlur Khan della Skidmore, Owings and Merrill (SOM). La costruzione prese il via nell’agosto 1970 e la massima altezza fu raggiunta meno di 3 anni dopo, il 4 maggio 1973. La struttura della torre è composta da 9 grandi tubi quadrati, affiancati, di varie altezze che la rendono assolutamente asimmetrica.> La costruzione è composta da 110 piani, all’ultimo si trova l’ osservatorio nel quale siamo finalmente arrivati . …..una lotta fra titani questa! Gettonatissimo dai turisti l’ osservatorio è affollato, ma la superficie delle vetrate è abbastanza estesa per dare a tutti l’opportunità di godere di una vista a 360° sulla città più bella degli USA e noi ne approfittiamo spostandoci da un lato all’altro e cercando di individuare tra i giganti, quelli che ci sono più familiari. Ancora una piccola fila per guadagnarci un paio di posti sull’ascensore in discesa, e siamo tra il vento e la folla della città…diretti alle fontane del Millennium Park….poi mentre scatto qualche fotografia ci perdiamo. Ci ritroviamo dopo una mezzora in hotel, dove rimaniamo mentre fuori il cielo è sempre più scuro e nell’aria si percepisce odor di temporali….proprio questa sera che avevamo deciso di andare al concerto delle 20 al Pritzker Pavillon di Gehry! Vedremo….La pioggia arriva all’ora esatta rispetto alla previsione in tv, ma poi termina in una decina di minuti e così ci incamminiamo verso il padiglione per assistere al concerto. Gruppi di persone hanno allestito dei tavolini da picnic con cibo e bottiglie di vino sul prato antistante la platea….visto l’orario, in attesa che lo spettacolo abbia inizio. Ci sediamo in un paio di sedie rosse della platea ed iniziamo ad osservare la bellezza del guscio metallico, che sta come un gioiello luccicante collocato sul prato….mentre le sue superfici satinate si colorano via via delle luci azzurre e viola che le colpiscono. Lo spettacolo inizia puntuale alle otto, con il direttore d’orchestra che indossa una giacca bianca troppo abbondante e si muove senza lo stile rigoroso dei nostri astri della musica classica…. Ma per noi non è così importante l’aspetto musicale della serata…siamo venuti in realtà solo per assistere allo spettacolo che Gehry progettando il padiglione mette in atto ogni giorno ed ogni sera, anche nel silenzio totale di una notte d’inverno. Dopo tre brani di musica classica americana ascoltati ed una ventina di minuti di passeggiata siamo di nuovo al Sushi Izagaya di ieri, a mangiare la gustosa tempura di Soft shell crub e molto altro….una squisitezza!


Menù delle città

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23 Canada


03 Luglio 2008

CHICAGO – WINDSOR

Lasciamo Chicago convinti che un giorno torneremo….qualche decina di miglia oltre la periferia usciamo anche dall’Illinois per entrare nello stato dell’Indiana, anch’esso facente parte della regione dei grandi laghi, quindi senza soste intermedie, a metà pomeriggio raggiungiamo Detroit. Non ne abbiamo letto bene sulla guida, pare che la città sia implosa alla fine degli anni ’70 in seguito alla crisi del mercato automobilistico della Ford, i due milioni di abitanti di un tempo sono ora dimezzati e la popolazione nera ha raggiunto l’80%. La critica non salva certo la downtown che leggiamo essere in generale degradata e con tombini lungo le strade dai quali esce fumo. Chissà se incontreremo anche Yena Plinsky!…..Decidiamo di andare a vedere. Il centro è effettivamente un po’ degradato, ma questo conferisce alla città una connotazione di leggera decadenza che non è poi così terribile….alcuni vecchi grattacieli con motivi decorativi classici sono estremamente belli e la sede della General Motors, che si affaccia sul Detroit Rever, sembra nuova fiammante, con i suoi cilindri specchiati di varie dimensioni, e conferisce al centro un po’ di vivacità. Poche le persone per strada e tutti di colore….ed è anche vero che da qualche tombino esce fumo….esattamente come avevamo visto a San Francisco….forse i cinesi hanno aperto anche qui le loro lavanderie sotterranee? Dopo la breve visita ci dirigiamo al grande ponte che collega la città di Detroit a quella di Windsor, ovvero il territorio statunitense a quello canadese. E’ un bellissimo ponte azzurro, che ricorda il Golden Gate di San Francisco….le similitudini tra le due città iniziano a moltiplicarsi…..oltre il quale troviamo il confine canadese e dopo ancora un paio di chilometri, il nostro “Motel Super 8” . Lasciamo i trolley in camera ed usciamo immediatamente…ci siamo resi conto solo ora di essere avanzati di un altro fuso orario e qui a Windsor sono già le 18….è il momento adatto per sfruttare la mia ora d’aria con una passeggiata lungo il fiume mentre il sole scende sulla skyline di Detroit che è vicinissima e bella oltre le acque del fiume. Ceniamo al ristorante libanese sulla Riverside Ave, poi a nanna.

04 Luglio 2008

WINDSOR – ERIEAU

Questa mattina sorprendo Vanni svegliandomi prima di lui….ma è solo una falsa partenza perché poi tergiversiamo in camera ed usciamo solo verso le 10, orario comunque ragionevolissimo. Torniamo subito al grande ponte Ambassador tra Detroit e Windsor e dopo aver scattato alcune foto risaliamo su Carolina. L’obiettivo di oggi è il “Point Pelee National Park”, una delle quattro meraviglie del Canada secondo Ron, quel simpatico signore incontrato all’Irish Pub di Edmonton una ventina di giorni fa. Per andare scegliamo la strada che costeggia il grande lago Erie….è proprio verso le acque verdi di questo enorme lago che la Punta Pelee si protende, acuminata più che mai. Dopo aver lasciato Windsor la strada che corre per lunghi tratti parallela al lago, si trasforma in una passerella agreste disseminata di rassicuranti casette monofamiliari di ogni forma, con prato antistante curatissimo più o meno fiorito di aiuole a seconda del gusto del proprietario….ne vediamo talmente tante di persone a bordo della loro motoretta taglia erba circolare sui loro prati da sembrare questo anziché l’hockey lo sport nazionale. Questa immagine di tranquillità e di misurato benessere è evidente anche nei piccoli centri abitati come Amhrstburg e Kingsville che attraversiamo. Gli edifici a due piani di mattoni rossi a vista variamente decorati trasudano della loro relativamente recente età, e danno una connotazione storica al territorio. Nelle campagne visibili verso l’interno le coltivazioni prevalentemente a grano lasciano spazio poi ad estesi vigneti la cui produzione viene pubblicizzata dalle aziende vinicole che invitano alla degustazione. Arriviamo al parco della Punta Pelee quando è già passata l’una…ce lo siamo gustato con calma questo lungolago…. Parcheggiamo al centro di accoglienza e con una passeggiata di un paio di chilometri raggiungiamo la punta, le cui sabbie sono però in parte sommerse dalle correnti. Percorriamo a ritroso un sentiero non battuto che costeggia la spiaggia ad ovest, sfiorati dalla vegetazione rigogliosa, ci facciamo strada senza il machete. Vanni stimolato da questa full immersion nella natura allunga le mani sul mio sedere, ridiamo spesso, immaginando le avventure più truci, poi raggiungiamo la costa sull’altro lato. Alla vista della spiaggia protesa verso le acque azzurre e l’alta vegetazione come di foresta alle nostre spalle, ci abbandoniamo sulla sabbia ed appoggiando la testa su un piccolo tronco arrivato dal mare troviamo il necessario riposo per le nostre fatiche. Che voglia ho di una bella settimana di sosta in un bel mare caldo e pieno di pesci! Dopo un’oretta ripartiamo e continuando a costeggiare cerchiamo una sistemazione per la notte…..ma non è semplice. La costa è disseminata delle residenze estive dei canadesi che hanno scelto questo bel luogo per le loro vacanze abituali, mancano invece del tutto servizi recettivi legati al turismo mordi e fuggi …come il nostro! A Erieau troviamo fortunatamente un motel sulla spiaggia….costituito da camper dismessi e poche casette prefabbricate sembra piuttosto un campeggio un po’ scassato, ma la cameretta n°2 sarà il nostro nido per questa notte e ne siamo felici. Ceniamo benissimo alla taverna del motel, la “Molly & O.J’s” , l’unico ristorante del paese che ci propone il mitico king crab e le capesante buonissime, che qui chiamano “large canadian sea scallops”in questo caso cotte in crema di Chardonnay ed erbette….squisite! Dopo un tramonto mozzafiato sulla laguna, ed una passeggiata verso il faro il cui molo si spinge invece nelle acque del lago sull’altro lato del paese, ci ritiriamo nella nostra spartana n°2.

05 Luglio 2008

ERIEAU – NIAGARA FALLS

A dispetto della modesta sistemazione dormiamo benissimo, ci concediamo una breve sosta in spiaggia e ripartiamo. Arriviamo a Niagara Falls, la cittadina sorta in prossimità della famosa cascata, alle 3 del pomeriggio e dopo aver raccolto qualche informazione presso il desk del “Super 8 Motel” dove dormiremo, usciamo. La prima cosa che ci colpisce è la quantità di gente che affolla in questo sabato di inizio luglio, ogni angolo della città…. soprattutto lungo il Niagara River e nei pressi della cascata, ovvero delle cascate, dove è stato allestito un percorso pedonale tra il verde dei giardini pubblici. Troviamo un parcheggio e ci tuffiamo tra la folla in contemplazione. Le cascate sono ben visibili dal lungofiume e le vediamo articolate in due parti ben distinte …la cascata su territorio statunitense è rettilinea e termina su una serie di massi caduti che ne accorciano il salto. Separata da un promontorio la cascata su territorio canadese è più estesa ed incurvata ad emiciclo. Sprigiona una nuvola di acqua nebulizzata che ne nasconde in parte la caduta ed è senz’altro la più imponente delle due….ma….Oggi più che mai ci rendiamo conto che i nostri viaggi ci hanno resi estremamente esigenti, avendoci dato la possibilità di vedere una serie di fenomeni naturali davvero spettacolari . In questo caso il ricordo delle meravigliose cascate Vittoria in Zambia e quelle di Iguazù in Brasile, ci fa rimanere delusi alla vista di queste famosissime cascate Niagara, decisamente modeste rispetto alle altre. Statunitensi e Canadesi poi hanno fatto il resto, rendendo questo luogo una sorta di luna park internazionale, una Las Vegas del Niagara dove tutto è business a dispetto della qualità. File di decine di metri segnano le biglietterie dei servizi per la fruizione delle cascate, che possono essere ammirate a bordo di motonavi e dalle terrazze a ridosso del flusso d’acqua in caduta… nemmeno il ristorante della torre panoramica è accessibile prima delle 10 di questa sera…Rinunciamo a tutto tranne che a quest’ultima opzione e ci ritroviamo verso le 11 seduti ad un tavolo del ristorante rotante, ad osservare lo spettacolo delle cascate illuminate dai giochi di luce colorata. Bello ma fintissimo….ed accompagnato dalle grida di un bambino indiano che voleva piuttosto andare a letto. Che delusione questa visita!

06 Luglio 2008

NIAGARA FALLS – TORONTO

La QEW, l’autostrada che seguiamo verso Nord Est, costeggia nell’ultimo tratto il Lago Ontario, il più piccolo tra i cinque enormi bacini d’acqua dei Grandi Laghi. Stiamo quasi per raggiungere Toronto quando una bella skyline ci sorprende uscendo dall’ampia curva della strada che stiamo percorrendo per introdurci nel centro città. Il “Days Inn” di Carlton St. ha una camera fumatori per noi, piccola e con le pareti dipinte di giallo. Usciamo subito dopo aver posato le valigie e dopo una bella passeggiata siamo al St. Laurence Market, vicino a Jarvis Street. C’è un bel mercatino dell’antiquariato…che sarebbe più corretto definire invece di modernariato per l’età degli oggetti esposti in vendita….un mercatino divertente dove si evidenziano le varie etnie che popolano la città….e così accanto a occhiali da sole degli anni ’40 coesistono sculture di giada raffiguranti dragoni, strumenti metrici e macchine fotografiche russe. Gironzoliamo tra le file di bancarelle dentro e fuori l’edificio sede del mercato, immersi nella calura di questa domenica di luglio e divertiti ad osservare gli oggetti a volte interessanti in mostra. Facciamo poi il nostro acquisto…una radio da polso degli anni ’70, bianca e rossa. Sembra un ingombrante braccialetto di plastica ma è stupenda e piacerà moltissimo ad Elisa e Beppe. Continuiamo il tour del grande centro “storico” camminando verso la “Art Gallery of Ontario” che però è chiusa per i lavori di ampliamento firmati Frank Gehry. Beviamo una bibita fresca seduti all’ombra delle foglie tremolanti del viale di Baldwin street, quindi torniamo semidistrutti in hotel….con un bel bottino di immagini e di chilometri. Ceniamo con un hamburger e le buffalo wings delle quali Vanni è golosissimo, al “The Rex”, un locale piuttosto easy che è una istituzione del jazz qui in città. Il cibo che mangiamo non è il massimo, ma il concerto degli Arkana Music invece si…..è un gruppo di giovani musicisti bravissimi che suonano brani composti da loro e che ci regalano una gran bella serata!

07 Luglio 2008

TORONTO

Usciamo tardi ed in taxi raggiungiamo il terminal del Ferry che ci porterà sul Toronto Islands Park. Lasciare la città spingendosi verso il lago è il modo migliore per contemplarne il profilo e scattare le consuete foto….cosa che naturalmente facciamo. Spicca su tutti gli edifici la torre più alta del mondo….dicono i canadesi…la CN tower, alta 553 metri e terminante con una sfera che ospita un ristorante rotante.. La mappa delle isole che prendiamo appena arrivati, dopo una decina di minuti di navigazione, ce ne evidenzia la conformazione ed i servizi. Si tratta di un’ isola stretta e lunga un paio di chilometri alla quale sono collegate con ponti altre piccole isole. Erano banchi di sabbia affioranti, un tempo, ed ora sono diventati un bellissimo parco attrezzato, pieno di vegetazione e prati perfettamente verdi. Vi si possono praticare sport come la canoa, la vela, la bicicletta, oppure si può semplicemente camminare lungo i sentieri asfaltati o stendersi sulla spiaggia a godersi il bel sole di oggi. Optiamo per la bicicletta e noleggiamo un tandem con i sedili affiancati ed un tettuccio che ci fa ombra….è la prima volta che saliamo su un trabiccolo del genere, ma l’esperienza è piuttosto divertente ed allo stesso tempo faticosa. Percorrendo i sentieri dell’isola grande vediamo Toronto nelle sue diverse prospettive, talvolta semi nascosta dalle abbondanti fronde dei grandi alberi in primo piano. Le isole sono anche la sede di numerosi porticcioli turistici, dove barche a vela ed a motore occupano gli stretti canali tra un’isola e l’altra, rendendo il paesaggio ancor più pittoresco. Ci concediamo qualche sosta nei punti d’ombra e dove il paesaggio si fa più interessante…ma ogni tanto scoppia una piccola protesta…Vanni a volte bara e non spinge sui pedali….e la stessa cosa dice lui di me….ovviamente! Concludiamo il tour in un paio d’ore e torniamo verso la città su un battello ora affollato….Vanni rientra in hotel, mentre io, che ho ancora molte energie da spendere, percorro a piedi il lungolago seguendo il percorso su passerelle di legno, o pavimentate che assecondano le insenature della costa e mi portano dopo un paio di chilometri, fino al Music Garden. Davvero ben realizzato questo percorso, sul quale si affacciano bar e ristoranti come anche porticcioli, scuole di canottaggio, e piccoli giardini sempre molto curati. Con un fianco verso il lago e l’altro rivolto agli alti edifici della città continuo la mia passeggiata, protetta dallo scudo di grattacieli alla mia destra. Ceniamo al ristorante della CN Tower…alla quota di 440 metri .ruotiamo a 360° sul paesaggio che va scomparendo nel buio….vediamo le isole protese nel lago Ontario, poi le luci sulla lunga prospettiva della Yonge street ….spennati, come sempre sui ristoranti panoramici , ci consoliamo con una corsa a precipizio verso il basso sull’ascensore vetrato e con la vista dei giochi di luce, bianca e rossa, sulla torre che da qui sotto sembra seguire una prospettiva infinita.

08 Luglio2008

TORONTO

La mia giornata inizia con una visita alla Spa dell’hotel per un mani-pedicure, e prosegue poco dopo le 13 con un obiettivo ben preciso…Con la stessa urgenza di uno shopping compulsivo , .mi dirigo spedita verso il museo delle scarpe della Fondazione Bata. Non è poi così lontano dall’hotel quindi vado a piedi nonostante le nuvole. Attraverso la zona universitaria fatta di edifici neogotici e bei giardini alberati, poi arrivo dopo un paio di chilometri al museo. In realtà la collezione è un po’ diversa da come l’avevo immaginata….non si tratta di un percorso tra le calzature che hanno segnato la moda degli ultimi decenni, bensì di una interessante retrospettiva storica fin dalle origini dell’uso delle calzature nel mondo Dalle piccolissime scarpette delle signore cinesi del 1600, ai trampoli di legno incastonato con madreperla delle dame turche che si recavano al bagno, alle meravigliose calzature barocche francesi di seta chiuse da fibbie tempestate di brillanti, alle calzature rosse di un nostro Papa e così via per centinaia di diversi tipi di calzature nelle diverse aree geografiche del pianeta. Interessante e gratificante quanto averne comprato un bel paio. Dopo un paio d’ore di full immersion esco soddisfatta e decido di raggiungere Vanni percorrendo una strada alternativa… tanto per avere un quadro un po’ più ampio della città opto per la Bloor street con direzione est, per poi deviare sulla Yonge…..Non si può immaginare il mio stupore quando mi ritrovo inaspettatamente davanti ad un edificio firmato Liberskind! Fin dal primo sguardo lanciato sulla planimetria di Toronto con tanto di numerini indicanti i punti di interesse turistico, avevo deciso che non sarei andata a vedere il Museo Reale dell’Ontario….ed ora passando per puro caso qui davanti ne rimango così colpita da non riuscire ad andare oltre! Inizio a scattare foto come ipnotizzata dalla bellezza delle volumetrie che come cristalli spigolosi si incastrano nell’edificio storico del vecchio museo. Una meraviglia, alla quale si sommano le incredibili prospettive degli interni di questa magnifica architettura destrutturata. Ripensando all’esperienza la paragonerei all’aver indossato per un paio d’ore un fantastico vestito non mio….muovendomi al suo interno per ammirarne ogni aspetto…. le sue pieghe, le cuciture, le asole, e la perfetta gestione delle forme che rimandano al suo corrispettivo esterno. Che bel viaggio! Rientrata nel tardo pomeriggio, poco prima di un feroce temporale infine scoppiato, trovo Vanni concentrato su internet, poi insieme attraversiamo correndo la strada davanti all’hotel per raggiungere il Sushi restaurant qui davanti senza bagnarci troppo….mangiamo benissimo!

09 Luglio 2008

TORONTO – TOBERMORY

Usciamo dalla piacevole Toronto con la sensazione di sentirla già un po’ nostra….Vanni propone una sosta in un negozio sulla Bloor a caccia delle sue mitiche scarpe Church che però non trova , ma è una buona occasione per fargli vedere anche se di sfuggita i tre volumi metallici, incastrati come una concrezione di quarzi, del museo di Liberskind. Ci dirigiamo poi verso la Bruce peninsula che, a Nord di Toronto di qualche centinaio di chilometri, rappresenta per noi il trampolino di lancio verso l’obiettivo finale ….l’isola Manitoulin…..un altro consiglio di Ron. Scegliamo la strada che costeggia la grande Georgian Bay, un grande bacino d’acqua cristallina blu, che si inserisce nel lago Huron sull’altro lato della penisola. Non si può dire che questa parte di costa sia curata come quella nei pressi della Punta Pelee….tanto che a tratti sembra di percorrere la nostra Romea….non deve essere andata a gonfie vele qui la vendita dei taglia erba! Mentre procediamo verso Nord Ovest su Carolina al ritmo ormai consolidato dei 100 km orari, siamo colpiti dalla vista di un cartello segnaletico sorprendente….una striscia di legno verde bordata di bianco che riporta il nome “Ravenna” è inserita tra altre ….curiosi deviamo per poi raggiungerla dopo una ventina di chilometri….Ciò che troviamo è un piccolo villaggio fatto di poche case inserite in un paesaggio collinare piuttosto piacevole, prevalentemente agricolo, tra esse spicca .il “General Store Ravenna” dove ci fermiamo ad acquistare un po’ di dolcetti per la merenda tra cui i prelibati Ravenna Pies ….Intanto Vanni chiede curioso all’unica signora che incontriamo l’origine del nome del villaggio….domanda alla quale naturalmente non segue una risposta. La scoperta di questo particolare caso di omonimia ci fa venire voglia di fare qualche scherzo agli amici di Ravenna ….che però non abboccano! Una breve sosta al piccolo villaggio di Dyer’s Bay ci consente di apprezzare la bellezza della costa e dell’acqua della baia di un colore continuamente variabile tra il blu ed il verde. La superficie increspata a macchie dal vento sostenuto che la sfiora qua e là fa da sfondo al lungolago punteggiato di variopinti fiori spontanei . Il villaggio è deludente così come il faro di Cabot Head otto chilometri più a nord, ma la bellezza di questo paesaggio costiero le cui acque gelide coprono le superfici piatte come pavimenti della roccia sottostante, è già un bel regalo. Raggiungiamo Tobermory nel tardo pomeriggio. E’ un piccolo villaggio che si sviluppa attorno ad una stretta baia adibita a porticciolo turistico. La luce a quest’ora è limpidissima e già dorata. Occupiamo la camera 26 del Harbourside Motel, l’unico davvero centrale e che si affaccia sulla meravigliosa piccola baia del villaggio….ma per questa cameretta essenziale e senza nemmeno la macchinetta per preparare il caffé americano, né i fazzolettini di carta che rappresentano il minimo comfort dello standard alberghiero, spendiamo gli stessi 100 $C del Days Inn di Toronto. Usciamo immediatamente per una passeggiata ristoratrice…. È la mia ora d’aria, conquistata nel corso dei lunghi viaggi con Vanni, che invece non sembra avere la necessità di fare due passi dopo tante ore di immobilità su Carolina. Il porticciolo a quest’ora è un amore, con le barche in sosta a mollo nell’acqua trasparente del lago, ed attorno ad esso una serie di casette a graticcio o rivestite di tavole di legno rendono lo scenario piuttosto ameno. Ci accomodiamo sulla terrazza al primo piano dell’edificio a graticcio che si affaccia sulla baia….pizza, zuppa ed una gran bella vista sul porticciolo che assaporiamo nell’atmosfera di pacata vivacità di Tobermory.

10 Luglio 2008

TOBERMORY – MANITOULIN ISLAND

Il traghetto parte puntuale alle 11.20 e dopo un’ora e tre quarti di navigazione, dapprima quasi sfiorando le piccole isole vicine a Tobemory , poi nelle acque piatte del lago Huron, attracchiamo nel porto di South Baymouth , sulla costa sud dell’isola Manitoulin. Osservata sulla mappa, l’isola ha una costa estremamente frastagliata per via delle tante baie che come fiordi si insinuano al suo interno e delle isole minori disseminate sulla superficie del lago nei suoi pressi. Questa sua conformazione la rende speciale, soprattutto se esplorata in barca lungo il suo perimetro, ma ciò che appare a noi muniti di auto è il suo territorio agreste leggermente collinare ed a tratti, quando la strada sale affacciandosi sul lago, anche la costa che si protende nelle acque blu e le isolette, verdi di vegetazione. Al primo punto panoramico ci fermiamo e dopo aver ammirato il paesaggio entriamo nel negozio di artigianato nativo a due passi dal parcheggio. Al suo interno, oltre ai famosi mocassini “indiani” , bamboline vestite di camoscio ornato con perline e tanto altro, ci sono anche le pelli di animali, come Vanni mi fa notare….Vuole l’orso! Dopo aver fatto stendere tutte le pelli a terra dal proprietario del negozio, ne sceglie una dal pelo bruno e lungo che un tempo ricopriva il giovane corpo di un cucciolo di orso. Ci accordiamo per la spedizione della pelle in Italia e sul CITES obbligatorio…il proprietario ci rassicura sul fatto che si occuperà lui di tutto e Vanni riceverà la sua pelle a Forlì verso il 10 di settembre. Vanni, eccitatissimo per l’acquisto, inizia ad elaborare delle fantasie legate ai conseguenti racconti per gli amici ….racconti che lo vedono naturalmente protagonista della cattura ed uccisione del piccolo orso bruno. Proseguiamo l’esplorazione con il cielo sempre più nuvoloso, fino a quando una copertura totale di nuvole trasformano l’isola ed il lago in una spettrale composizione di grigi. Decidiamo di tornare sulla terraferma senza quasi aver visto l’isola. Ormai non è più tempo per passeggiate e l’acquazzone che segue ce ne da la conferma. Il collegamento dell’isola alla terraferma sul lato Nord avviene attraverso un piccolo ponte di ferro che percorriamo. Il paesaggio ancora bellissimo per via delle isolette, le lagune ed i piccoli laghi che vediamo salendo verso Espanola, rimane comunque grigio….non è proprio giornata! Ci fermiamo nel Super 8 di Sudboury per la notte. Ceniamo con l’hamburger Angus special di Mc Donald…una certezza!

11 Luglio 2008

MANITOULIN ISLAND – OTTAWA

Il maltempo sembra passato ed il sole accompagna il nostro lungo viaggio verso Ottawa, la capitale del Canada. Ancora prati, boschi, fattorie, laghi e grandi corsi d’acqua fanno da scenario alla trans-canada che stiamo percorrendo…se dovessi sognare tutto ciò lo considererei un incubo! Il Canada mi sta uccidendo con questi territori infiniti e tutti somiglianti tra loro….presuppongono una calma interiore che forse non ho….ma ad un certo punto ci pensa Vanni a movimentare la giornata! In prossimità di un paese lungo la strada ci fermiamo ad un primo distributore che però è chiuso….Vanni non dice niente, si continua fino al successivo, ma poi all’improvviso non sento più il rombo del motore….sembra di viaggiare su una macchina elettrica. Chiedo a Vanni che cosa succede e lui candidamente mi risponde con il sorriso sulle labbra….abbiamo finito il gasolio! Ma Vanni è una persona fortunata….e così procediamo a motore spento sul piano inclinato fino al distributore Shell che vediamo oltre il semaforo. Il semaforo è verde e la pompa diesel miracolosamente libera, la individuiamo al volo ed accostiamo…che culo! La missione è compiuta…ora finalmente sappiamo che Carolina può percorrere 782 km con un pieno e che il serbatoio ha una capacità indiscussa di 90 litri. A Ottawa scegliamo di dormire al Days Inn, ad un costo di 140 $C a notte….è in centro ed appena ristrutturato. Usciamo al vicino supermercato per un rifornimento di frutta e biscotti, poi iniziamo l’esplorazione della città a partire dal Byward Market…il suo cuore pulsante, per poi proseguire con il suo nucleo centrale, quello che contiene gli edifici governativi tutti in stile neogotico. Delimitata a Nord dall’Ottawa River, la città ci appare piena di aree verdi attrezzate con sentieri, piste ciclabili e ponti che la collegano alla città francese di Gatineau, sull’altra sponda del fiume. Nel complesso Ottawa sembra avere un’aria piuttosto dimessa e per nulla vivace….nessun edificio di particolare pregio a ravvivarne l’immagine, se non queste copie anacronistiche di edifici storici londinesi che per noi non hanno un gran significato. Ceniamo da Giovanni’s, un ristorante dove si possono gustare piatti di raffinata cucina italiana. Lo troviamo al 362 di Preston St. ovvero Corso Italia, come leggiamo sulla targa bianca apposta sotto quella blu ufficiale….siamo nel quartiere Little Italy. L’arredamento classico del ristorante è vivacizzato da bei quadri di ritratti e paesaggi alle pareti….ci accoglie Nino, il figlio dei proprietari, un signore sorridente che con evidente accento napoletano ci saluta e ci accompagna al tavolo….E’ una novità per noi sentire parlare in Italiano….e la cosa ci consente di rilassarci ancora di più e di gustare una cena ottima caratterizzata negli antipasti dai sapori mediterranei di basilico, pomodori, melanzana grigliata e mozzarella di bufala, mentre una ottima bottiglia di “ripassa”, un vino rosso delicato accompagna anche il mio Artic Char e la tartare di carne di Vanni. Dolci, grappa Sassicaia, ed un ottimo servizio….per la non modica somma di 260 $C compreso il servizio…..tutti decisamente meritati.

12 Luglio 2008

OTTAWA

Un sacco di fantastiche coccole poi usciamo con mete diverse…Vanni è diretto al Currency Museum, dove potrà osservare i vari tipi di denaro che le diverse culture hanno utilizzato nel corso della storia, dalle conchiglie ai denti di balena, alle monete da collezione. Io invece sto andando alla National Gallery, un edificio di granito e vetro che visto dall’esterno sembra piuttosto una grande serra. Nella piazza antistante un enorme ragno di bronzo dell’artista parigina Louise Bourgeois rende chiara la funzione dell’edificio alle sue spalle e ne sdrammatizza il rigido geometrismo. C’è una mostra temporanea interessante allestita all’interno della galleria dal titolo “ Gli anni ’30 – la fabbrica dell’uomo nuovo”. Attraverso le opere di artisti europei, tra cui spiccano Sironi, Dalì e Picasso tra i più noti, ed artisti statunitensi, la mostra traccia il profilo delle tensioni legate alle ideologie totalitarie nell’ Europa degli anni ’30. L’idealizzazione dell’ uomo nuovo, quale espressione della grandeur del regime cui appartiene, viene rappresentata attraverso dipinti di uomini statuari e dediti allo sport almeno quanto alle armi. Il diverso atteggiamento degli artisti volti a celebrare questi regimi rispetto agli altri che invece mettono in discussione quelle stesse ideologie appare chiaramente sulle tele e nelle sculture esposte nelle sale dedicate….Altre aree della galleria sono rivolte all’arte europea moderna ed a quella canadese contemporanea. Una bella galleria questa di Ottawa! Rientrando in hotel ripercorro le strade del vivacissimo quartiere del mercato, dove decine di ristoranti, bar negozi e servizi dalle insegne colorate accompagnano l’andirivieni dei fruitori per non parlare di quelli già numerosi seduti ai tavoli all’aperto a bere un drink o a cenare. Noi invece andiamo all’ “Horn of Africa” il ristorante eritreo migliore della città a due passi dall’hotel. Nel 1999 gli fu assegnato un riconoscimento ufficiale per la qualità del cibo…leggiamo nel foglietto protetto dal vetro sul tavolo. L’ambiente è piuttosto dimesso, con apliques che non diffondono una bella luce ed una moquette discutibile a terra. Le due portate di filetto di bue che abbiamo ordinato, compaiono sul nostro tavolo dentro ad un’ampia bacinella smaltata. Ci vengono forniti tovagliolini di carta in abbondanza e due salviette umide dentro a bustine….di avere le posate non se ne parla neanche, per cui dovremo usare le dita e brandelli di crèpes, che vediamo appoggiate sul bordo della bacinella, per raccogliere il cibo solido ed anche la purea di verdure miste anch’essa nella bacinella assieme all’insalata. A parte la carne decisamente dura per essere un filetto….la cena procede bene, ed anche mangiare con le mani è divertente se fatto una volta ogni tanto. Anche da noi mangiare una impepata di cozze presuppone l’uso delle dita…ma afferrare l’insalata , i pomodori ed i pezzetti di carne o di cipolla sembra una cosa strana…così tanto che anche dopo aver lavato le mani la sensazione di sporco rimane, come per una sorta di strano condizionamento. Spendiamo 38 $C che considerando le tre birre di Vanni ed il mio bicchiere di vino sono davvero pochi….

13 Luglio 2008

OTTAWA – MONTREAL

Un fortunale ci accoglie al nostro arrivo a Montreal….la pioggia scende così forte, mentre su Carolina affrontiamo sopraelevate ed incroci, che anche procedendo a velocità ridotta a fatica riusciamo a vedere la strada che stiamo percorrendo, figuriamoci i cartelli per le deviazioni che dobbiamo fare per raggiungere il centro città! ….Siamo nella regione del Quebec ora…e la downtown si chiama centre ville, alla francese…In questa città perfettamente bilingue anche la signorina cinese del Travel Lodge hotel, alla quale chiedo la camera, scivola continuamente tra le due diverse lingue. Non è certo una gran camera….forse la più piccola che abbiamo mai avuto in questo viaggio, ma è fumatori, in zona centrale ed ha un costo accettabile di 160 $C a notte. Montreal è piuttosto cara in questo senso, e l’elenco degli hotel ad un prezzo compreso tra i 150 ed i 200 dollari canadesi non è poi così lungo. Siccome la pioggia continua a scendere copiosa ed il sistema wireless in camera non funziona come doveva, optiamo per una visita al museo di Arte Contemporanea qui vicino, dove trascorriamo un paio d’ore al riparo dagli elementi. Interessante l’esposizione di opere di artisti quebequois e belli soprattutto i filmati. Bagnati di pioggia rientriamo in hotel per poi uscirne solo all’ora di cena….Mentre il cielo si rasserena e gli elementi ci concedono una tregua, scegliamo il nostro localino ….optiamo per un po’ di musica dal vivo all’ “House of Jazz”, al 2060 di Aylmer Ave…..un punto di riferimento imprescindibile, leggiamo, per la scena jazz di Montreal. Arriviamo dopo una breve passeggiata in questo locale leggermente kitch ma nel quale respiriamo una bella atmosfera avvolgente. Lampadari decò mixati con altri voluminosi a gocce di cristallo, specchiere a motivi liberty, tavolini di legno scurissimo, balaustre a dividere gli spazi su più livelli. La band accompagna la nostra cena suonando jazz sudamericano …al ritmo del Cha Cha Cha consumiamo il cibo discreto fino a tarda serata, quindi rientriamo passeggiando lungo Rue Sainte Catherine, tra serrande abbassate e locali a luci rosse.

14 Luglio 2008

MONTREAL

Una bella giornata di sole ci consentirà di visitare la città come si deve….ma vista la variabilità del clima usciamo appena pronti, cioè alle 11… dirigendoci verso la città antica che costeggia il fiume Saint Laurent nella parte sud del centre ville. Osservando la cartina ci rendiamo conto solo ora che Montreal sorge su una grande isola formatasi lungo il corso del fiume San Lorenzo….ed è collegata alla terraferma da numerosi ponti, tra cui quello sulla autostrada 40, che abbiamo attraversato proprio ieri sotto l’acquazzone. Arriviamo nella vecchia Montreal dopo aver attraversato il quartiere cinese, ricco dei caratteristici tetti a pagoda. Sarà per via della basilica di Notre Dame che vediamo come primo edificio di un certo pregio, o per i lampioni old stile lungo le strade a tratti acciottolate, ma in questo quartiere si respira un’atmosfera davvero europea, fatta di tetti verderame, di piccoli pantheon, di facciate neoclassiche e di guglie appuntite sugli edifici monumentali ….vecchio e nuovo si mescolano creando un delizioso tessuto urbano a dimensione d’uomo, arricchito di aree verdi, vetrine di gallerie d’arte ed un numero imprecisato di ristoranti. Una passeggiata su una piccola penisola ci consente di allontanarci dalla città a sufficienza per godere di una bellissima vista d’insieme…. dove i grattacieli del centro, nei loro materiali hi-teck fanno da scudo alla città vecchia caratterizzata da edifici bassi e dai cromatismi morbidi. Una meraviglia! In metropolitana raggiungiamo poi il parco che ospitò le olimpiadi nell’estate del 1976. L’edificio che più colpisce arrivando è senz’altro lo stadio, il cui profilo è complicato da una torre inclinata di grande bellezza architettonica, che lo sovrasta e ne sostiene la copertura attraverso una serie di cavi tesi. Una funicolare ci consente di raggiungerne la cima e di godere di un bel panorama del centro città che ora vediamo come sfuocato in lontananza, e del fiume che ne lambisce l’estremità sud. Tra Canadesi e Statunitensi sembra guerra aperta per aggiudicarsi nuovi record in fatto di altezze….anche la Montreal Tower, dove siamo ora, dicono abbia l’altezza più alta tra le torri inclinate del mondo…190 metri di altezza e 45° di pendenza…un vero record! Bellissimo anche il velodromo sottostante che con le sue linee morbide ben si armonizza con l’enorme iperbole della torre. Il Centro Canadese di Architettura, che raggiungiamo ancora in metrò è chiuso e lo sarà purtroppo fino a mercoledì, quindi lentamente torniamo verso l’hotel percorrendo a piedi Rue Sainte Catherine per i chilometri che ci separano dal Travel Lodge…e non sono pochi. Rientriamo stremati dopo 5 ore di marcia, interrotta solo per qualche istante. Ancora un temporale nel tardo pomeriggio, poi il cielo si schiarisce consentendoci di uscire serenamente per la cena….Vanni non ha esigenze particolari quindi scelgo io, un ristorante di specialità quebecoise è quello che ci vuole ora che siamo in territorio francese! Avendo visto la pubblicità di uno di questi ristoranti tipici sulla guida presa al tourist information, optiamo per quello e ci dirigiamo verso la città vecchia scendendo verso il fiume. In un antico edificio d’angolo, tutto pietre a vista e boiserie rosse ad inquadrare la bella sala da pranzo dalla strada, proprio in fondo alla Rue Bonsecours, ecco la nostra “Hostellerie Pierre du Calvet”. Il cameriere, che si muove come un giullare, ci accompagna al tavolo che occupa un angolo della raffinatissima piccola sala da pranzo….boiserie di legno colorato accostate alle pareti di pietra scurita dal tempo, l’arredamento fatto di credenze antiche con grappoli di frutta scolpiti in altorilievo, le argenterie soprastanti ed una sorta di palco di legno che si intravede tra i tendaggi affacciarsi sulla sala, tutto questo rende l’atmosfera squisita e ci fa godere non solo del menu, ma anche del luogo nel quale ci troviamo a consumarlo. Con piacere assaggiamo la nostra zuppa di cipolle alla birra e l’ halibut in salsa di olive accompagnato da riso selvaggio, mentre sorseggiamo uno Chardonnè locale, il Fortant, decisamente buono. Certo le specialità vedevano anche raffinati piatti a base di petto d’oca, foie gras e assaggi di formaggi. L’idillio termina bruscamente con il conto salato di 170 $C, cui si è aggiunta la sorpresa di un 20% di mancia obbligatoria che il cameriere ha preteso. Vanni ne esce furioso….ed a ragione. La mancia in percentuali fisse è davvero antipatica per non dire illegale, soprattutto per noi che non siamo abituati ad una tale consuetudine. Potrebbero incorporarla al conto come era successo al Giovanni’s di Ottawa, dove un 15% era stato d’ufficio aggiunto al totale. Con una bella passeggiata raggiungiamo l’hotel dove i nostri due lettini accostati alle pareti della cameretta ci accolgono.

15 Luglio 2008

MONTREAL – VILLE DE QUEBEC

Percorrendo la statale n°40 arriviamo nel primo pomeriggio a Quebec, la città più francese ed indipendentista del Canada che pochi giorni fa ha festeggiato il 400° anno dalla sua fondazione. Arrivando sono tanti i cartelli e gli striscioni che vediamo riportare le date 1608 – 2008, carichi dell’orgoglio dei cittadini di questa che tra le città del Canada è la più antica. Dopo una ricerca estenuante dell’hotel durata più di un’ora e che mi ha fatto innervosire così tanto da farci litigare, atterriamo al “Loews Le Concorde”, un hotel confortevole ma costoso a due passi dalle mura della città vecchia. Nel frattempo anche Carolina si è surriscaldata arrampicandosi sulle strade tortuose che collegano la città bassa a quella alta….un preoccupante odore di bruciato ci mette in allarme. Non appena appoggiate le valigie in camera,Vanni esce in cerca dell’officina Toyota, mentre io vado in perlustrazione passeggiando nel centro storico. Sembra di essere a San Marino….per la quantità di turisti ad affollare le strade disseminate di negozi di souvenir, ristoranti e di tutto un po’, compresi i giocolieri ed i suonatori ambulanti. Nonostante questo il nucleo antico compreso nel perimetro delle mura, le uniche del nord america, è piuttosto piacevole per gli edifici addossati l’uno all’altro di pietra a vista, di chiaro stile francese ed i tetti di lamiera colorata a tinte forti. Un grande edificio emerge tra gli altri…è il “Fairmont Le Chateau Frontenac” che articolato in diversi volumi con torrette d’angolo e verdi tetti aguzzi, domina tutto il centro urbano con il suo alto corpo centrale. E’ un bellissimo hotel costruito nel 1893 dalla Canadian Pacific Railway, il più fotografato del mondo per via del numero cospicuo di turisti che vi si recano, ma anche per il bell’inserimento nel contesto urbano e per l’indiscutibile bellezza della sua architettura….Ad aumentarne la celebrità il fatto di aver ospitato al suo interno Winston Churcill e Franklin Roosevelt nel corso della seconda guerra mondiale. Attraversata la città alta fino alle mura verso sud, mi si offre alla vista l’ampio fiume San Lorenzo. E’ così distensivo dopo il caos cittadino….Il fiume qui si allarga in un ampio bacino dove veleggiano piccole barche e circolano grandi motonavi cariche di turisti. Più oltre il porto con le sue gru e le grosse navi ormeggiate, dà una connotazione commerciale a questa città che altrimenti sembrerebbe votata al solo turismo. Torno sui miei passi costeggiando le file di tavolini dei ristoranti che senza soluzione di continuità corrono paralleli ai marciapiedi…il clima è perfetto, c’è un bel sole ma il venticello fresco riesce a moderarne il calore. In hotel poco dopo arriva Vanni di ritorno dalla Toyota….aggiornandomi sulla situazione mi dice che Carolina entrerà in clinica domani mattina alle 7….la frizione che era già stata sostituita in Messico ad Oaxaca un paio d’anni fa è da sostituire nuovamente! Ceniamo magnificamente al ristorante dell’hotel…ancora una volta sulla torre rotante, alti sul paesaggio bellissimo di Quebec City. A differenza delle altre volte però, il servizio è ottimo per via dell’efficienza e simpatia dei camerieri, ed il buffet prelibato offre portate davvero squisite che noi assaggiamo con una certa soddisfazione….mangiare in quota ci ha sempre dato un certo brivido di piacere…e questa serata è davvero magica. Il fiume San Lorenzo fa da cornice al centro storico dal quale vediamo emergere le cupole ed i tetti degli edifici monumentali. Una gran massa di persone si sta recando al concerto che si terrà nel grande prato adiacente alla cittadella, proprio sotto di noi…. Una mongolfiera fissata a terra dietro il palco, si illumina a tratti della fiamma dell’elio che la mantiene gonfia, riporta la scritta dei 400 anni dalla fondazione e probabilmente si alzerà alla fine del concerto catalizzando l’attenzione di tutti i presenti. Intanto la luce cala sul panorama e le luci artificiali gradualmente si rendono visibili. Anche al concerto i telefonini accesi oscillano in una disordinata coreografia , sul prato.

16 Luglio 2008

VILLE DE QUEBEC

Mi sveglio sola nella camera in penombra….sono appena passate le 9, ma Vanni chissà da quanto tempo è uscito….Mi preparo con calma ed esco, mi aspetta la visita della città bassa, quella cresciuta nella stretta lingua di terra compresa tra il fiume e le mura della città alta. Scendo con la breve funicolare tra le casette addossate le une alle altre, di pietra a vista e dai tetti talvolta colorati in tinte forti. Di nuovo una quantità enorme di negozi e ristoranti caratterizzano i piani terra delle strade piene di turisti….ma nonostante ciò Quebec risulta piacevole soprattutto se osservata dal porto, in lontananza. Le cupole degli edifici monumentali unitamente alle alte volumetrie dei grandi hotel fuori dalle mura, cercano inutilmente di imporsi sul Fairmont che, come il castello di un borgo medievale, emerge senza rivali sulla skyline della città. Ci ritroviamo in camera nel tardo pomeriggio….Vanni semi distrutto per la sveglia prestissimo, mi fornisce un rapido aggiornamento su Carolina il cui cambio verrà smontato questa sera da un paio di meccanici desiderosi di lavoro straordinario e poi si vedrà….il pezzo nuovo dovrebbe arrivare da Toronto in alcuni giorni, ma si può ben sperare che il rettificatore riesca a produrre un pezzo non originale nella giornata di domani….nel frattempo Vanni ha familiarizzato con il direttore generale della sede Toyota, il signor Patrice Ouellet che non disdegnerebbe ricevere immagini della nostra Carolina in giro per il mondo alla sua email. Ci consoliamo con le nostre meravigliose coccole che finiscono con il massacrarci definitivamente, quindi dopo un pisolino andiamo in cerca di un ristorante francese per una tartare di carne che Vanni vuole assolutamente. Scegliamo tra i tanti dell’elenco il “Charles Baillargé” , adiacente all’hotel Clarendon al 57 di Rue Sainte Anne….e non potevamo fare scelta migliore….il luogo è di per se incantevole per l’atmosfera un po’ retrò che vi si respira….fatta di boiserie di legno scuro ad inquadrare superfici specchiate, finestre e porte, un alto soffitto color crema, tavolini e sedie di legno scuro e con leggere modanature…..sembra di essere nell’ampio ristorante di un hotel degli anni ’40…e forse è davvero così.. Vanni è soddisfatto della sua tartare che è già perfetta così, senza aggiunta di Cognac mentre io sono deliziata dalla tartare di tonno, il cui sapore è complicato da un mix di verdure e frutta tritate che la rendono squisita. Cerco di individuare gli ingredienti che la rendono così speciale….c’è del mango maturo, del peperone rosso, la cipolla, l’avocado ed un’idea di coriandolo. Squisita! Usciamo per una passeggiata che però viene disturbata da un temporale in arrivo…o solo di passaggio, ma i lampi ed i tuoni sono da apocalisse…e così ripieghiamo in fretta verso l’hotel.

17 Luglio 2008

VILLE DE QUEBEC

Quando sono già pronta per uscire arriva Vanni che di ritorno dalla Toyota mi spiega cosa è successo effettivamente a Carolina. La copertura delle valvole si era leggermente sollevata nella parte posteriore, in seguito a ciò è uscito parte dell’olio che si è fermato nel vano frizione a causa dell’occlusione del foro di scolo del vano stesso. L’olio ha bagnato la frizione e quando ci siamo trovati in forte pendenza l’ha ulteriormente bagnata e si è surriscaldato così tanto da cuocersi e diffondere l’odore di bruciato che ci aveva fatto preoccupare. Scoperta la causa trovato il rimedio…. Rimesse tutte le viti a posto, cambiati i vari filtri , oliate tutte le giunture,,…e poi la frizione ….che è stata comunque rettificata visto che il cambio ormai era stato smontato…. Con un check-up così saremo a posto per un po’? Usciamo insieme per una passeggiata…Vanni ancora non ha visto quasi nulla….così torniamo nella città bassa, gli mostro il bel trompe l’oeil dipinto sul muro laterale di un edificio, poi torniamo in alto con la funicolare e ci separiamo…lui ha male ai talloni ed io devo assolutamente trovare un parrucchiere che abbia i colori Paul Mitchell per farmi fare un ritocchino. Cammino a lungo, ma tutta la città vecchia è priva di parrucchieri. Solo ristoranti e negozi ad occuparne tutti i piani terra! Percorro così nuove strade piacevolissime, fuori dai circuiti classici del centro storico tout court , in particolare mi colpisce la Rue Saint Jean, per la sua vivacità e la bellezza di alcuni suoi edifici datati e più veraci degli altri troppo rifiniti per ben apparire. L’altra cosa che mi piace di questa strada è la fitta presenza di parrucchieri che però, interpellati, non hanno i colori della Paul Mitchell. Passo persino dal parrucchiere dell’Hilton sperando che almeno lui si sia convertito a questi prodotti made in USA….ma nulla da fare….la risposta è sempre la stessa….questi prodotti non sono molto diffusi sul territorio del Quebec….anche se….sono molti quelli che hanno altri prodotti di questa marca sulle mensole dei loro saloni. Rientro stanca per le discese e le salite fatte sotto il sole cocente del primissimo pomeriggio e trovo Vanni steso sul letto, rientrato da poco da un giro alla Toyota. Un partitone a Backgammon che perdo e poi usciamo di nuovo…ha visto un paio di parrucchieri qui a due passi. Andiamo e mi fermo nel secondo…. non ha colori Paul Mitchell, ma mi propone una consulenza della loro esperta. Le mostro i codici dei colori che usa il mio parrucchiere, attendo cinque minuti e torna armata di ciotola e pennello. Ne esco dopo un paio d’ore col sorriso sulle labbra, le mani perfettamente curate ed un colore identico al mio sui riccioloni. Che meraviglia…. ho praticamente fatto un tagliando anch’io! Ceniamo assaggiando le gustose pietanze vietnamite e cambogiane del “Restaurant Apsara” al 71 di rue D’Auteuil, dentro le mura della città alta. Quando usciamo ci rendiamo conto di aver evitato un bell’acquazzone…..il clima qui ha una variabilità da capogiro!

18 Luglio 2008

VILLE DE QUEBEC – BAIE COMEAU

L’addetto al servizio di navetta della efficientissima sede Toyota di Quebec arriva puntuale alle 11. Carolina è pronta quando arriviamo, e dopo aver saldato la fattura di ben 1800 $C, circa 1200 €, saliamo a bordo per riprendere il nostro viaggio verso la costa atlantica canadese. Intercettiamo senza fatica la 138 est ed iniziamo a costeggiare l’ampio fiume San Lorenzo verso la sua foce. Nelle sue acque scure potremmo avvistare balene, così dicono i tanti cartelli con l’inconfondibile pinna in primo piano che pubblicizzano escursioni per l’avvistamento. Proprio in corrispondenza del fiordo del Rivière Saguenay, nei pressi di Tadoussac, le cui acque calde si mescolano a quelle fredde del San Lorenzo, una grande presenza di microrganismi chiamati krill attira le balene che ingolosite arrivano, in qualsiasi momento dell’anno, per saziarsene. Guardiamo speranzosi, ma di balene golose noi non ne vediamo nemmeno quando, a bordo di un traghetto, attraversiamo le acque del fiordo che interrompono la 138 per qualche centinaia di metri. Proseguiamo però ammirando la costa che a tratti si alza con le sue scogliere rocciose sul fiume, o si flette creando insenature con dispersione di isolette lungo la costa. Attraversiamo alcune cittadine che non sembrano offrire particolari attrattive se non la promessa di un avvistamento, poi finalmente nel tardo pomeriggio arriviamo al Tourist Office di Baie Comeau, dove un gruppetto di giovani impiegati rispondono ad ogni nostro quesito mirato al reperimento di cartine dettagliate e di un hotel , poi…Al mio ritorno dal bagno vedo una delle ragazze al telefono, inutilmente impegnata nell’ennesimo tentativo presso la “Labrador Marine” di prenotare il viaggio in traghetto da Goose Bay a Cartwrite in Labrador. Vanni non molla mai…quando ha in mente di raggiungere un obiettivo sono poche le cose che lo fanno desistere, non certo la seconda risposta negativa da parte di una delle operatrici della compagnia marittima ! Non ci sono posti disponibili per il trasporto delle auto fino a metà agosto… rispondono continuamente le operatrici a me ed al portiere dell’hotel di Montreal che si era prestato….ma per Vanni questo non è sufficiente, ed all’avvicinarsi della data nella quale ci farebbe comodo partire, insiste nel chiedere, sperando in una rinuncia dell’ultima ora. La segreteria telefonica blocca la giovane ragazza e la indirizza verso un sito internet, lo stesso che avevamo consultato anche noi per gli orari, e che evidenziava in grassetto la necessità di una prenotazione telefonica. Dal telefono alla tastiera….alla fine riusciamo a prenotare sul traghetto, in partenza alle 17.00 del 20 luglio con partenza da Goose Bay e diretto a Cartwrite. Anche oggi, come in altre rare occasioni ci è capitato di verificare, il servizio di biglietteria lascia posti disponibili per la sola prenotazione in internet, strumento assolutamente scollegato dal servizio telefonico. Mentre raggiungiamo l’hotel subisco il Vanni vittorioso, che ha avuto ragione ad insistere, e che inizia presto ad avere nei miei confronti un antipatico atteggiamento di superiorità che mi fa imbestialire e che cerco in ogni modo di sedare….gli passerà. A questo punto non ci resta che organizzarci bene e pianificare il viaggio…..considerando che dovremo affrontare 1200 km di strada in gran parte non asfaltata…….non ci rimane molto tempo per raggiungere Goose Bay entro le 15.00 di dopodomani!

28 Gennaio 2008

GOULIMINE – LAYOUNE

Lasciamo l’hotel senza rimpianti, il letto alla francese troppo stretto e la coperta blu elettrico a grandi fiori rosa un capolavoro del kitch, ma abbiamo dormito bene tutto sommato ed il costo irrisorio ci fa sembrare questa sosta come un affare in ogni caso. Prima di lasciare la città cerchiamo una fotocopiatrice e la pasticceria per un rifornimento di pain au chocolat. Facciamo una decina di fotocopie della fiche compilata a mano ieri sera, un elenco dei nostri dati personali da consegnare nei frequenti blocchi di polizia presenti d’ora in poi lungo la strada per la Mauritania. Almeno in questo la nostra Rough Guide è stata utilissima fornendoci un facsimile già tradotto in francese dei 15 punti da compilare, operazione che ci consentirà di risparmiare tempo durante le inevitabili soste ai posti di polizia Marocchina presenti nella fascia del Polisario contesa da decenni tra Marocco Mauritania ed Algeria. Siamo ancora in città quando ad un incrocio un marocchino in motorino ci affianca e ci saluta cordialmente. E’ Assan. Ha lavorato a lungo a Formigine in Italia e riconoscendo la nostra targa RA non ha saputo resistere dallo scambiare due chiacchiere in italiano. Ci chiede di seguirlo, vuole darci l’indirizzo dell’officina meccanica di suo cugino a Nouakchott, quindi ci consiglia di comprare due chili di tè da regalare ai doganieri per velocizzare i tempi in frontiera. Infine ci saluta calorosamente, come se dopo tanto tempo avesse rivisto dei compaesani. Ma si sa…qui in Marocco appena ti fermi un attimo arriva subito qualcuno a chiederti qualcosa…e per non smentire la regola, mentre Vanni comprava tè, un signore mi ha chiesto se potevamo dare un passaggio ad una giovane donna araba con il suo bambino piccolo….solo per una ventina di chilometri. Si accomodano sul sedile posteriore, offro loro i dolci appena comprati ed acqua da bere. La signora non capisce, né parla una parola di francese…attraversiamo quasi in silenzio   il paesaggio desertico dai magnifici colori…poi dopo una sessantina di chilometri all’uscita da una curva, ci fa cenno di accostare. Accetta l’acqua che le offro ma vorrebbe il nostro cellulare per chiamare qualcuno che venga a prenderla da un qualche villaggio qui vicino ma da qui assolutamente invisibile. Siamo in mezzo al nulla, ma una strada sterrata parte verso l’interno, ci ringrazia incamminandosi lungo il sentiero polveroso. Siamo di nuovo soli e questo ci fa sentire liberi come due ragazzini appena lasciati soli dai genitori….che strano effetto ci ha fatto aver qualcuno in macchina! Gazelle intanto sfreccia sulla stretta lingua di asfalto tra la sabbia e le rocce del paesaggio desertico…poi Vanni dice di vedere un miraggio…ma è verissimo quel mare blu che vediamo avvicinarsi davanti a noi. La strada d’ora in poi costeggerà l’oceano stretta tra il deserto a sinistra ed il mare a tratti vicinissimo. Le alte falesie bianche lo nascondono per lunghi tratti, ma poi aprendosi ci regalano la vista di bellissime spiagge deserte e ventose. Ad un certo punto la strada devia per insinuarsi tra le dune che invadono la carreggiata ed il vento forte tende a cancellare la strada trascinando con se la sabbia vicinissima. Il paesaggio è fantastico ma i freni cigolano e Vanni è già agitato. Mi scarica all’hotel Nagjir e poi parte con Gazelle in missione….so già che tornerà felice. Entro nella grande camera 109 sola. Mi stupisce la diversità tra la reception curatissima e rivestita delle tradizionali piastrelle colorate e la semplicità un po’ sciatta della camera…peccato! E pensare che l’hotel è quasi sempre al completo per ospitare le forze ONU insediate qui a Layoune, ma con lo sconto del 25% che mi viene offerto senza che io lo chiedessi la camera costerà 580 djirham, un prezzo equo. Verso le 17 esco in esplorazione nonostante il caldo ancora intenso. Raggiungo dopo una breve passeggiata il primo obiettivo, la pasticceria migliore della città al n°50 di avenue Mecka al Mokarrama, si chiama “Moyen Atlas”ed è tutto vero ciò che ho letto al proposito. Mi siedo ad un tavolino a gustare la mia spremuta d’arancia e la fetta di torta alla fragola che avevo scelto scrutando l’invitante vetrinetta…buonissima! Attorno a me solo uomini. Mi trovo nella parte nuova della città che non ha nulla da offrire oltre a questa buona torta….anche il palazzo dei congressi progettato dall’architetto francese preferito dal re, non è gran cosa, ma poco oltre è splendida la vista della città vecchia che si staglia laggiù contro una serie di altissime dune. Solo il minareto emerge dal tessuto edilizio colorato di rosso mattone. Rientrando mi fermo da un’estetista per un piccolo restauro…poi ritrovo Vanni in camera, ha tagliato barba e baffi, anche lui si è dedicato un po’ a sé. Ceniamo in hotel tra i membri delle nazioni unite le cui 4×4 nuovissime parcheggiate qui fuori sfoggiano antenne satellitari che costano quanto l’auto….certo non badano a spese!

19 Luglio 2008

BAIE COMEAU – LABRADOR CITY

Alle 6.30 partiamo….non ho dormito che qualche ora e non sono ancora in grado di intendere né di volere, quando il contachilometri segna già i 200 km percorsi….L’energia di Vanni è incredibile in questa lunga corsa verso Churchill Falls, a 810 km da Baie Comeau, dove abbiamo prenotato l’hotel per questa sera! Dopo i primi 260 km, in corrispondenza di una imponente diga, la strada perde l’asfalto ma rimane comodamente percorribile per via della perfetta manutenzione e per la sua ampiezza. Mentre procediamo sulla strada verso nord, tra le nuvole di polvere sollevata dagli altri pochi mezzi che la percorrono, osserviamo il cambiamento repentino della vegetazione. Il bosco di abeti ad alto fusto lascia presto il posto alla foresta boreale, caratterizzata da alberi più bassi e più radi che lasciamo intravedere il muschio più chiaro sulle rocce sottostanti. Alcuni laghi sono come incastonati tra le montagne morbide sulle quali la strada sinuosa ha trovato il suo cammino….sulle rive solo qualche chalet e le barche di pescatori immobili, in attesa sulle acque scure. Il cielo è azzurro, solo poche nuvole bianche si riflettono sulle acque piatte, poi il clima ha una brusca virata ed in pochi minuti il cielo diventa quasi interamente grigio. Attraversiamo un piccolo centro abitato sorto in prossimità di una miniera, poi torna l’asfalto malmesso e dopo ancora 100 km si ripropone la sterrata, ma più stretta, ghiaiosa ed a sezione arrotondata come a dorso di mulo. Al 510° chilometro di questa non proprio comoda 389, mentre affrontiamo la sinuosità sul percorso troppo ghiaioso, Carolina inizia a sbandare scivolando con il suo posteriore prima su un lato poi sull’altro in movimenti sempre più ampi come di un valzer incalzante. Alla terza sbandata finiamo fuori strada….. la parte destra del muso si infila velocemente tra la debole vegetazione che non trattiene l’auto sempre più sbilanciata. Dopo pochi istanti stiamo rotolando. Trattenuti dalle cinture di sicurezza, saldamente ancorati a Carolina compiamo diverse ampie capriole laterali verso il fondo dell’avvallamento, una decina di metri sotto la strada. Tutto si muove con noi, i trolley, il backgammon, il vetro sbriciolato dei finestrini laterali e del parabrezza, fazzolettini di carta e bottiglie d’acqua, in un vortice folle. Le mani assecondano il movimento, spingendo lontano il tettuccio quando voliamo a testa in giù, affondando nel muschio nelle virate laterali, per poi ricomporsi per un attimo quando il rapido movimento ci illude di poterci fermare…..di essere arrivati sul fondo. Rimaniamo perfettamente coscienti sempre, di tutto, in questa che nella mia incoscienza associo all’estrema evoluzione di un circuito da luna park, un giro della morte particolarmente d’effetto. Poi atterriamo….fortunatamente sulle ruote. Siamo illesi. Slacciamo le cinture e spingiamo a fatica gli sportelli accartocciati per aprirli…scendiamo affondando tra il muschio e ci ritroviamo per verificare con un abbraccio il nostro stato di salute. La camicia di Vanni è macchiata del sangue che gli cola dalla testa…..io sento un dolore sempre più forte al costato…ma siamo vivi e possiamo camminare, vedere, sentire, ed anche abbracciarci ma senza stringere troppo. Nella mia incoscienza colloco subito l’avvenimento tra gli altri avventurosi capitatici nel corso dei nostri viaggi…..primo fra tutti il lancio con il paracadute e la corsa folle tra le dune del Sahara verso Timbuctu….oltre ogni limite di sicurezza….solo per uscire da quelle sabbie nelle quali rischiavamo di rimanere intrappolati. Senza esitare troppo ci arrampichiamo verso la strada in cerca di aiuto. Ritroviamo tra i cespugli estranei, parte delle nostre cose…la guida degli stati uniti, un paio di carte stradali ora inutilizzabili, il kway rosso che non ricordavo più di avere….un sacco a pelo, la protezione di ferro di un fanale laterale. Ci muoviamo indecisi se raccogliere o lasciare, incapaci di elaborare un pensiero che esuli dalla più elementare constatazione dell’accaduto. Tutto sembra irrilevante rispetto al nostro esistere ora, nonostante tutto. Per un lungo istante la mia sola idea è quella di lasciare tutto ed andare via da qui, ma Vanni è altrove, segue altre direzioni, elabora cose diametralmente opposte alle mie. Risalito a bordo di Carolina inizia una folle operazione di risalita del dirupo per portare questa nostra cara compagna di viaggio in salvo sulla strada. Lo vedo arrampicarsi sul ripidissimo pendio con la macchina contratta in un estremo sforzo che la fa ruggire….inizio a temere che questa volta si farà veramente male, gli urlo di lasciare stare…di scappare da qui, di sforzarsi di immaginare un futuro diverso, un proseguimento del nostro viaggio senza Carolina…..Avvisto un camion e mi sbraccio lungo la strada mentre lui imperterrito fa rombare il motore di Carolina….per cercare di farla uscire da quel muschio, da quelle pietre e dai cespugli che la intrappolano.. poi ecco un camion si ferma nello spiazzo poco oltre….l’autista mi viene incontro ed io inizio a piangere. Vanni che è riuscito a portare Carolina un po’ più in alto verso la strada scende finalmente e ci raggiunge. Ci abbracciamo di nuovo, mentre le lacrime continuano a sgorgare forse solo per il sollievo di poterci stringere ancora…. Recuperiamo i nostri due trolley ed abbandoniamo Carolina ed il resto del bagaglio nel dirupo….seguiamo Wally nella cabina del camion e insieme andiamo verso il centro abitato più vicino…..a Labrador City c’è un ospedale, ci dice. Percorriamo i 90 km nel tepore della cabina….io stesa nella cuccetta e Vanni seduto di fianco a Wally, che ogni tanto cerca di imbastire una conversazione che però stenta a decollare….Tra peluche e sofisticate strumentazioni di bordo….raggiungiamo l’ufficio di Labrador city, la sua destinazione finale. In taxi raggiungiamo il confortevole “Hotel Two Seasons”, e dopo una doccia, anche il pronto soccorso. Lamentarci del nostro sistema sanitario non ha senso dopo aver sperimentato quello canadese….al pronto soccorso non c’è quasi nessuno, né medici, né pazienti, solo un paio di infermieri ed una segretaria che per registrarci ci chiede i passaporti e la carta di credito. Nonostante il dolore che sentiamo ad ogni respiro, ridiamo come matti per via del look da gay di Vanni che indossa un mio maglioncino viola che gli sta aderente….dopo un’oretta di attesa compare il medico per la visita, medica le ferite di Vanni e prescrive a me una radiografia al torace. Aspetto ancora un’oretta per il verdetto finale che arriva positivo….non c’è nulla di rotto….il dolore alle costole è dovuto allo stress dell’impatto….esattamente come quello che Vanni sente un po’ ovunque nel torace. Rifiuto gli antidolorifici, saldo l’importo di 230 $C per la visita di entrambi ed in taxi raggiungo Vanni nella nostra 104 in hotel. Lo trovo al telefono con Giuseppe, il proprietario dell’hotel, che nella nostra lingua gli fornisce utili consigli per affrontare qualche immediato problema pratico, come il recupero dell’auto. Eleane, l’efficientissima impiegata della reception, ci procura un appuntamento per domani mattina alle 8.30 con il carro attrezzi per il recupero di Carolina, e si mette a nostra completa disposizione….in hotel sono tutti molto in apprensione per noi. Ceniamo benissimo al ristorante dell’hotel…. per consolarci del dolore che non ci da tregua ci concediamo un’ottima insalata di spinaci con salmone affumicato e l’immancabile zuppa di cipolle.

20 Luglio 2008

LABRADOR CITY

Il dolore al risveglio di oggi mi fa vedere le stelle ed il pensiero va immediatamente alla mia stupidità di ieri per avere rifiutato la prescrizione degli antidolorifici, ma poi ricominciando a muovermi…. trovo un po’ di sollievo. Vanni invece è massacrato ed accetta volentieri la mia proposta di andare sola a recuperare l’auto….non è riuscito a dormire per il dolore, ed ora è a pezzi. Alle 8.30 sono puntuale alla reception, ma non è ancora arrivato nessun tow car…. consegno il sacchetto per il servizio lavanderia e torno in camera con una tazza di caffé per Vanni….è una delle prime volte in cui mi capita di precederlo in questo tipo di carineria, che lui, più mattiniero di me, ha invece sempre nei miei confronti….che amore! Alle 9.30 il carro attrezzi non è ancora arrivato. Eleane mi spiega che forse si tratta di un equivoco legato al diverso fuso orario di Fermont, la cittadina della confinante provincia di Quebec dalla quale arriverà il nostro carro-attrezzi. E’ a soli 24 km di distanza….chi avrebbe mai pensato ad un’ora di differenza? Alle 10 Eleane telefona di nuovo….organizzeranno per le 11…rispondono. Alle 11.40 richiamano per dire che sono in ritardo di un’ora….poi non rispondono più al telefono. Che nervi! Avrei potuto continuare a riposare a letto…risparmiandomi la fatica di muovermi in continuazione tra la camera e la reception! La rabbia aumenta ad ogni acquazzone che il cielo plumbeo di oggi ci regala… si inzupperanno i nostri bagagli, pensiamo….ma questo sembra non interessare a nessuno se non a noi. Alle 16 Eleane bussa alla nostra porta tutta soddisfatta…ha provato a chiamare un altro numero, avuto non so come. E’ della stessa ditta, l’unica nel raggio di centinaia di chilometri….per questo se la prendono con calma la domenica questi stronzi….arriveranno a prenderci con un’auto tra una mezzora, ci dice. Alle 16.48 arriva da Fermont Dominique, un anziano signore magrissimo che parla solo francese perché è quebecois e fuma come un turco. A Fermont ci trasferiamo tutti a bordo del tow car e proseguiamo sulla 389 verso sud alla ricerca di Carolina. Avvicinandoci al luogo dell’incidente la mia tensione aumenta…mi addolora l’idea di vedere la nostra Carolina così distrutta….ed anche il fatto di tornare in quel luogo che ha segnato in qualche modo la nostra vacanza, mi mette un po’ di agitazione. Riconosciamo immediatamente lo spiazzo dove il camion si è fermato per soccorrerci ed il dirupo lì accanto. Carolina è tra la vegetazione visibilmente incapace di percorrere anche solo un altro metro….il tettuccio è piegato al centro verso l’abitacolo e tutta la parte superiore della macchina è inclinata su un lato….per non parlare del resto! Quasi tutti i vetri sono rotti,specchietti, fanali, persino il rollbar anteriore fatto di tubi di ferro si è spezzato… l’interno è pieno di pioggia,, terriccio e vegetazione e i nostri bagagli hanno trovato un loro disordinato assetto, sparsi un po’ ovunque tra il bagagliaio posteriore e l’abitacolo. I brandelli delle nostre carte stradali, zuppi di pioggia formano una nuova tappezzeria sui sedili di ciò che resta della nostra adorata ed insostituibile Carolina. Il carro-attrezzi si ferma nella posizione più efficace per il recupero, rilascia il cavo metallico che poi viene agganciato alla macchina. Vanni è al volante… si fa strada tra gli alberelli e le rocce nella forte pendenza del dirupo. Con questa mania del reportage che mi è venuta immortalo questo momento felice….il recupero di ciò che rimane di Carolina dà spazio al nostro sogno di poterla far riparare e di poter continuare il nostro viaggio di nuovo con lei, il prossimo anno….come se nulla fosse successo. In fondo non sembra poi così distrutta! Dominique vista l’auto e il dirupo nel quale era rotolata continua a dire che abbiamo avuto fortuna….e come negare che abbia ragione, essendone usciti praticamente indenni!? Carolina ci ha salvati, con le sue strutture robuste, e la sua compattezza….che macchina!

21 Luglio 2008

LABRADOR CITY

Al nostro risveglio di oggi le stelline sono ancora più numerose di ieri e non accennano a diminuire …a Vanni però succede una cosa bizzarra…il dolore al petto ed alla schiena si sposta lungo il busto…il mio invece è sempre lì fermo, a tormentarmi ad ogni respiro. La cattiva notizia di oggi è che Carolina non si può riparare….è troppo distrutta e nessuno vuole affrontare questo lavoraccio. Inoltre con il costo della riparazione potremmo comprare 5 o 6 Caroline….La buona notizia invece è che da un concessionario auto qui vicino Vanni ha già trovato un paio di 4×4 alternativi tra i quali scegliere per poter proseguire il nostro viaggio. Si tratta di una Ford Explorer rossa ed una più piccola Chevrolet Blezer bianca. Dopo una serie di considerazioni e l’intervento di Giuseppe, il proprietario dell’hotel, italiano e gentilissimo, è il Blezer bianco ad arrivare nel parcheggio dell’hotel. Si chiamerà Jimmy, così come Vanni ha deciso….ha tutti gli optional che ci si potrebbe aspettare da una macchina relativamente recente….compreso il lettore cd ed il cambio automatico, ma è il classico fuori strada da città che non potrebbe superare un decimo delle difficoltà affrontate dalla nostra Carolina. L’affare si conclude nel tardo pomeriggio, poi alle 19 raggiungiamo il ristorante dell’hotel dove ceniamo con Giuseppe, suoi ospiti. Ci racconta la sua incredibile storia iniziata 40 anni fa, quando venticinquenne, arrivò in nave dall’Italia con due valigie e 500 dollari. Ora possiede un impero immobiliare fatto di hotels, cinema e appartamenti. Ha due figli ed una moglie canadese che ama fare shopping a Milano e che adora l’Italia. Un uomo tostissimo, gentile ed avvolgente con il quale conversiamo piacevolmente per un paio d’ore. Dopo l’immancabile sigaretta in esterno ci stendiamo sul letto, ricoperti di cerotti antidolorifici e la tv accesa……Labrador City non ha poi molto da offrire e con tutti i nostri acciacchi le coccole sono impraticabili.

22 Luglio 2008

LABRADOR CITY

La camera è piena dei bagagli recuperati da Carolina….scopriamo cose dimenticate…..bottiglie di sabbia, pezzetti di roccia, il pietrone di giada di Vanni e molte conchiglie. La caratteristica comune di valigie e zaini è quella di contenere pezzetti di vetro e terriccio, ora sparsi sulla moquette della camera. Certo Jimmy non ha il bagagliaio di Carolina e questo ci stimola a liberarci delle cose inutili o che non hanno valenze affettive per noi. Mi rendo conto anche in questa occasione di quanto Vanni sia un tenero sentimentale, e di quanto gli costi gettare anche un sasso….figuriamoci le sue Church che ormai non hanno più le suole! Finiranno dentro ad una teca della fondazione Zamboni-Sitta, con le nostre statue colombiane, le sabbie ed i miei quadri….non ho dubbi. Un set di nuovi trolley rossi sostituiranno alcuni di quelli più malmessi….vorremmo portarne con noi il più possibile quando ci imbarcheremo per l’Italia….tanto per alleggerire l’auto di cose ingombranti che in viaggio non servono. Nel pomeriggio andiamo a fare un giro con il Blezer bianco, così tanto per provarlo….Attraversando la città fino al Mall e poi girovagando per le sue strade abbiamo l’occasione di vedere gli edifici bassi a doghe di legno, i giardini senza alberi o cespugli, ed i piccoli laghi ed i boschi che la circondano. Labrador City esisterà fino a quando la miniera di ferro sarà produttiva,…..altri 200 anni di vita, poi verrà cancellata come un’altra città qui vicino… ci racconta Giuseppe durante la cena. Successe una ventina d’anni fa….la miniera di Gagnon si era esaurita ed il governo canadese ha preferito distruggere la cittadina piuttosto che lasciarlo nelle mani di vagabondi che avrebbero potuto insediarvisi…..Il racconto ci fa ricordare che mentre percorrevamo la 389 il giorno dell’incidente, abbiamo notato che la strada, ad un certo punto asfaltata, si allargava a contenere una grande aiuola spartitraffico tipica dei centri abitati….Non vedendo edifici abbiamo pensato ad un progetto di lottizzazione ….invece si trattava di una città rasa al suolo! Giuseppe ci racconta che le porte di questo hotel provengono dalla scuola di Gagnon la cui costruzione era stata terminata da poco…c’era anche una bella chiesa di pietra… dice, ma la demolizione non si è arrestata nemmeno dinanzi alla sua croce.

23 Luglio 2008

LABRADOR CITY

Ancora una giornata nella cittadina mineraria di Labrador City senza più molto da fare ed impossibilitati a visitarne la miniera …..i tour infatti partono solo il sabato e la domenica. Vanni vorrebbe proseguire il viaggio verso Goose Bay, a 600 km di strada non asfaltata da qui, rischiando di non trovare posto sul traghetto per Cartwrite che abbiamo verificato essere pieno. Io preferendo non rischiare di percorrere 1200 km di sterrata inutilmente, propongo invece di tornare a Baie Comeau e di raggiungere la Nova Scotia percorrendo la costa a sud del fiume San Lorenzo. Oggi mi annoio da morire….il sistema wireless per la connessione a internet non funziona e Vanni è con Giuseppe ed un meccanico nell’hangar di Rick, un eccentrico imprenditore di Labrador city che colleziona un po’ di tutto e che ha accettato di prendere Carolina. Ne farà un dumbaghy segando tutta la parte superiore irrimediabilmente distrutta…è una magra consolazione per noi, ma è sempre meglio che immaginarla ridotta alle dimensioni di un cubo nel piazzale di un demolitore. Il meccanico che è con loro smonterà i gruppi omocinetici delle ruote anteriori che si sono rotti su Gazelle e che d’ora in poi viaggeranno con noi fino alla destinazione finale in Mali. Ci troviamo con Giuseppe al bar dell’hotel verso le 17 …per un drink e due chiacchiere, poi si unisce a noi Rick che ci invita tutti a cena nella Steak House della galleria 201 che ha aperto da poco. Al tavolo ci sono anche Antonio e sua moglie Elva. Si sono sposati trenta anni fa…lui un tornitore di Barcellona che più di quaranta anni fa si è trasferito qui dalla Germania, che allora non offriva grandi possibilità agli immigrati. Non poteva comprare una casa, né un’auto là ed il suo permesso di soggiorno era annuale, di ospite lavoratore temporaneo. Una volta arrivato in Canada ha fatto strada ed ora ha in società con Giuseppe la proprietà dei 100 appartamenti della miniera che affittano ai lavoratori. Non male per un tornitore. Parla 6 lingue….ed ha l’aria di essere una roccia, nonostante i suoi quasi settanta anni. Che belle persone queste incontrate qui a Labrador City! La cena ottima è accompagnata da una conversazione disordinata nelle varie lingue…Rick ed Elva parlano solo inglese, Vanni solo l’italiano e nemmeno io sono una cima con l’inglese. Antonio passa dallo spagnolo all’italiano al francese in un melange che potrebbe essere un nuovo esperanto….ma ci capiamo. Bella serata ed ottima cena.

24 Luglio 2008

LABRADOR CITY – BAIE COMEAU

Si torna in Quebec, ormai è deciso! Anche Vanni alla fine si è convinto. Ancora estremamente dolorante…. l’idea dell’eventuale sostituzione di un pneumatico in una sterrata immersa nelle lande desolate del Labrador, lo ha fatto desistere dall’insistere nel progetto di raggiungere Goose Bay che ci è già costata fin troppo. Sempre tormentati dai nostri dolori e dai bubboni sul collo che le punture dei mosquitos sul luogo dell’incidente ci avevano procurato, saliamo a bordo di Jimmy e dopo un cordiale saluto a Giuseppe partiamo. Dopo qualche chilometro il cielo diventa grigio e la strada, bagnata dalla pioggia, sempre più pericolosa. Jimmy è super molleggiato e talvolta la paura di volare fuori ancora mi fa contrarre tutti i muscoli. Procediamo con calma, rispettando i limiti di velocità consigliati prima di ogni curva e finalmente dopo qualche ora di stress arriviamo sulla strada asfaltata che continua serpeggiante nei saliscendi delle montagne. Vanni ad un certo punto mi lascia la guida di Jimmy e si siede tra i lamenti al mio posto….il dolore alle spalle gli rende impossibile continuare a guidare…E’ la prima volta che succede in tante migliaia di chilometri percorsi nei nostri viaggi….deve stare davvero malissimo. Chiude gli occhi cercando di rilassarsi, ma poi li riapre attento alla strada ed alla mia guida senza rischi. Guidare con il cambio automatico in una strada di montagna non è il massimo per me che non sono abituata…la trovo una guida troppo impersonale….inoltre la macchina in discesa prende velocità anche se sollevo completamente il piede dall’acceleratore….devo sempre frenare per non finire in una curva ai 150 km/h…insomma devo prenderci un po’ la mano. Comunque dopo un centinaio di chilometri vado molto meglio anche se quel problemino della discesa persiste. Una volta arrivati a Baie Comeau cerchiamo subito un Tourist Office dove recuperare un paio delle cartine andate distrutte. Mentre percorriamo la strada per raggiungerlo Vanni vede l’insegna di un salone di fisioterapia…da giorni vorrebbe un massaggio per cercare di alleviare il suo dolore, ma a Labrador city nessuno si era reso disponibile…parcheggiamo ed entra. L’appuntamento è per le 16.30…tra mezz’ora. Lo lascio e vado al Motel Le Compte a prendere una camera dove mi raggiunge dopo un’oretta. Il motel è triste almeno quanto la cittadina di Baie Comeau, ma è comodamente vicino al fisioterapista dove domattina alle 7.30 Vanni farà il suo secondo massaggio. Prima di cena organizziamo i nostri spostamenti più immediati, informandoci sulle partenze dei traghetti diretti alla costa sud del fiume San Lorenzo. Da qui proseguiremo il nostro viaggio tra isole, scogliere a picco sul mare, paesi di pescatori e parchi naturali. La pittoresca provincia di New Brunswick sarà la nostra prima meta, poi ci trasferiremo nella Nova Scotia e traghetteremo verso il selvaggio Newfoundland ….qui a Baie Comeau vogliamo restare il meno possibile! Quando inizio a telefonare per prenotare un ferry per domani arrivano altri dolori…. è tutto pieno fino a domenica sera, cioè tra due giorni. Vedendomi abbattuta la gentile signora della reception mi viene incontro suggerendo altre possibilità. Partono traghetti anche da altre località lungo la costa, mi suggerisce mentre cerca tra i depliant…e così dopo un paio di telefonate troviamo posto sul ferry in partenza da Les Escoumins, a due ore e mezza di auto da qui….salperà domani sera alle 20. Concludiamo la parentesi organizzativa prenotando una camera nell’unico motel disponibile di Trois Pistoles dove arriveremo, poi andiamo a cena al “Viggy Grill” qui vicino… Il mio filetto di bue ed i formaggi di Vanni sono buoni ed ottima è anche l’atmosfera, vivacizzata da buona musica a tutto volume. Il problema è di nuovo legato alle porzioni troppo abbondanti che associate alla nostra golosità ci hanno fatto recuperare tutti i chili persi in Africa….per fortuna proseguiremo i nostri viaggi alternando i due continenti! Sono solo le 21 quando Vanni si addormenta stremato sul letto….sono preoccupata….avrebbe potuto farsi fare una lastra anche lui dopo l’incidente…..così come il medico gli aveva consigliato.

25 Luglio 2008

BAIE COMEAU – TROIS PISTOLES

Il terzo massaggio di Vanni è per le 12… vogliono proprio rimetterlo a nuovo!…..trascorriamo la mattinata gozzovigliando in camera, fuori è nuvoloso e la cittadina non abbastanza invitante. Al notiziario ascoltiamo la notizia del tornado carico d’acqua che gonfiatosi lungo il corso del fiume San Lorenzo, si è poi scaricato nei pressi di Montreal …non molto lontano da qui. Poveri Canadesi….in inverno la temperatura scende a -30°C e d’estate ci sono i tornado a tormentarli!
Partiamo diretti a Les Escoumin….certo abbiamo tutto il tempo….il traghetto non partirà prima delle 20 di questa sera. Ripercorriamo a distanza di giorni un tratto del fiume San Lorenzo la cui costa oggi è arretrata per effetto di una bassa marea che ha prosciugato buona parte delle baie lasciando scoperta la sabbia disseminata di grossi sassi. Ci fermiamo per un paio di foto ed una passeggiata fino alla sottile lingua di terra che definisce la baia di Les Escoumin….è piuttosto bella con quei tre pescherecci colorati in rimessaggio fuori dall’acqua e le rocce dalle curve morbide le cui cavità piene d’acqua ricordano che tra qualche ora la marea salirà di nuovo. Il traghetto è piuttosto piccolo ed affollato di auto e persone….ci accomodiamo nella saletta sul ponte per una sfida a backgammon che perdo e per una serie di chiacchiere con una coppia di Toronto che ha una gran voglia di socializzare. Siamo in ritardo di una mezzora quando approdiamo al molo buio di Trois Pistoles. Un paio di chilometri e raggiungiamo il nostro “Motel La Seignorie” confortevole e di recente ristrutturazione…da tempo non entravamo in una camera così invitante, per i colori alle pareti forse, o per la scaletta di legno che collega al corridoio interno?…non certo per il cappellino di paglia appeso sopra il letto.

26 Luglio 2008

TROIS PISTOLES – RIVIERE AU RENARD

Quando mi sveglio verso le 8 sento solo i suoi lamenti ma non vedo Vanni accanto a me…è steso sulla coperta ai piedi del letto…Poco dopo si prepara ed esce per andare a fare carburante….io mi preparo con calma. Faccio colazione, prendo un po’ di sole nel giardino fuori dalla camera, poi alle 10 inizio a preoccuparmi…la proprietaria dell’hotel si mette a ridere quando le dico che ho perso mio marito….ma io credo di sapere dov’è andato. Arriva alle 10.30 per una colazione veloce…il dottore del vicino ospedale lo aspetta per le lastre al busto…l’elettrocardiogramma è andato bene, ora si tratta di vedere se non ha ossa rotte! Con una punta di civetteria mi mostra la tessera sanitaria che gli hanno rilasciato all’ospedale….è rossa e piuttosto carina…sarà il pezzo forte della sua collezione! Andiamo insieme all’ospedale, le valigie in macchina pronti per partire alla scoperta della famosa penisola Gaspésie le cui coste sono una gettonata meta turistica del Quebec. La prima sosta è ai Jardin de Métis, creati tra il 1926 ed il 1958 da Elsie Reford su un terreno di 16 ettari. Vi sono circa 3000 specie e varietà di piante originarie di ogni angolo del pianeta ed articolate in 15 giardini tematici molto ben costruiti ed organizzati con percorsi pedonali di ghiaia. Nel grande giardino vi sono piccoli corsi d’acqua attraversati da ponticelli di legno, uno stagno e diverse sculture di ferro ossidato. Le fioriture rendono bucolico il percorso attraverso i sentieri, per le esplosioni di colori e di forme….ci abbandoniamo al piacere dei sensi fino a raggiungere la spiaggia sul fiume, poi torniamo all’interno per vedere i giardini che hanno partecipato al Festival Internazionale dei Giardini 2008. Sono circa una decina, concepiti da artisti, architetti, paesaggisti….interessanti ma non irresistibili forse solo un paio divertenti. Risaliamo in macchina e continuiamo a costeggiare il fiume….ma è solo dopo Mont St. Pierre che il paesaggio diventa interessante, caratterizzato dalla catena dei monti Appalaces che affondano le loro scogliere nell’acqua salmastra dell’ampia foce del fiume….All’uscita di ogni curva un nuovo piccolo paese con il suo campanile argenteo a segnarne il profilo….sembra quasi che abbiano sostituito i fari invece latitanti…o citati nei giardini kitch di alcune case, con piccole sculture bianche e rosse. Le case tutte rigorosamente a doghe di finto legno sono prevalentemente bianche, ma qua e là un tetto rosso o una parete blu o gialla o rosa, vivacizzano la monotonia cromatica del paesaggio tutto verde e blu.. E’ già il tramonto quando raggiungiamo la località “Rivière au Renard” dove troviamo subito un motel con camere disponibili….è il Caribou ed ha anche un ristorante vista mare. Non è solo la bella vista sull’insenatura a farmi impazzire qui, ma anche l’odore forte di salmastro che arriva da questa baia, dove le acque dolci del fiume San Lorenzo si mescolano a quelle salate dell’oceano Atlantico. Siamo stanchissimi per tutte le ore trascorse su una macchina piccola nella quale ci sentiamo come intrappolati…..per non parlare dei consumi….400 km con 60 litri di benzina…certo è un 4300 di cilindrata, ma Carolina consumava quasi la metà! Ceniamo subito dopo aver appoggiato i bagagli in camera, ma non proprio bene. Avevo voglia di capesante…e così le ho ordinate, ma mi è stata recapitata al tavolo una ciotola coperta da formaggio gratinato con gamberi e pezzetti di capesante annegati in una crema fatta di purea di patate e besciamella liquida, praticamente un mattone di zuppa! Nemmeno l’halibut e il salmone di Vanni erano un granchè. La nota positiva della serata non è stata certo la cena, bensì il collegamento internet sul sito E-Bay dove Vanni ha trovato una Toyota Land Cruiser identica a Carolina per colore e rivestimenti interni. E’ in vendita per 1,000 US $ nel vicino Vermont. Come impazziti abbiamo iniziato a scrutarne le foto ed a leggerne le note caratteristiche…..per poter accedere all’affare mi sono registrata su E-bay ed ho scritto una e-mail ai proprietari. Sarebbe fantastico averla…..significherebbe gettare un bel colpo di spugna definitivo sulla perdita di Carolina che ci tormenta molto più del dolore alle costole.

27 Luglio 2008

RIVIERE AU RENARD – POINTE A LA GARDE

Sopravvissuti alla moquette appiccicosa della camera 503, ripartiamo dopo una colazione frugale….il mattone di ieri sera ci fa sentire ancora sazi! Dopo poche decine di chilometri siamo all’ingresso del Parco Nazionale Farillon che ci si mostra in tutto il suo splendore. Un alto sperone roccioso parzialmente coperto di vegetazione affonda nelle acque blu del mare. Centinaia di uccelli volano nei pressi della scogliera, rocce più basse formate da sottili strati sovrapposti sprofondano nell’acqua ….una bella spiaggia sassosa disegna una leggera curva chiusa tra gli speroni di roccia. E’ un incanto qui. Mentre osserviamo la scogliera continuare a perdita d’occhio sfumata dalla foschia ….ci incamminiamo lungo la spiaggia per raggiungere un tronco arenatosi qui per caso e che diventa un pretesto per posare per qualche foto. L’altro sperone roccioso incredibilmente bello è quello di Percé che raggiungiamo dopo un’oretta di auto. Il paesaggio qui sembra dipinto …. un immenso blocco di roccia calcarea policroma, lungo quasi 500 metri e alto 88 , completamente staccato dal territorio circostante, sembra appoggiato sull’acqua del golfo. Solo un arco, scavato nei secoli dal mare, è visibile…il secondo è crollato lasciando un faraglione isolato nella sua parte più lontana dalla costa. Davvero suggestivo questo roccione che è diventato uno dei luoghi simbolo del Canada e carino anche il paese curatissimo che gli è cresciuto attorno. Dopo ancora molti chilometri ed un po’ di pioggia arriviamo a Bonaventure dove ci fermiamo per un unico scopo. Abbiamo letto sulla guida che in questo paese c’è un negozio, il “Le cuir fin de la mère” che vende manufatti realizzati con la pelle di pesce conciata….pelle di merluzzo, salmone, anguilla e squalo. Peccato che gli oggetti non siano poi così belli, ma la pelle è favolosa e non puzza! Acquistiamo qualche souvenir per gli amici, un paio di ciabatte di pelle di salmone per Massimo e le pelli intere per la collezione di Vanni . Ripartiamo con il proposito di fermarci nella relativamente vicina Carleton ….ma tutti gli hotel sono pieni. Stremati troviamo una camera a Pointe a la Garde, un piccolo borgo al confine con il New Brunswick…Dormiremo nell’unico motel disponibile, il “Pointe a la Garde” , non più rimodernato dagli anni ‘50 e che farebbe impazzire i patiti di modernariato….soprattutto per la tv ancora in bianco e nero! Il costo è il più basso di tutta la vacanza….solo 70 $C comprese le tasse. Ceniamo per 15 $C nell’unico posto disponibile….una sorta di tavola calda take-away proprio qui di fianco… finalmente cose semplici e buone!

28 Luglio 2008

POINTE A LA GARDE – SAINT JOHN

Partiamo immersi nel grigiore autunnale di questa mattina di luglio che ci fa rimanere ancora un po’ nel nostro torpore….piove. Siamo diretti nel New Brunswick, a qualche decina di chilometri da Pointe à la Garde. E’ delle province marittime del Canada Orientale, la più piccola. Costeggiata da baie, stretti e golfi sulla gran parte del suo perimetro. Certo il clima di oggi non invita ad esplorare le coste…quindi ci dirigiamo verso sud tagliando in diagonale la provincia fino ad arrivare a Saint John, una delle sue cittadine più importanti. Dato che oggi siamo in vena di tagli riconsideriamo anche l’ipotesi di proseguire il viaggio raggiungendo la Nova Scotia e poi il lontano Newfoundland in traghetto e decidiamo di andare in Usa dal New Brunswick attraversando la frontiera nello stato del Maine….siamo ormai stanchi di questo Canada orientale… che non è ancora riuscito a conquistarci. Decisamente sollevati per la decisione presa, arriviamo sereni a Saint John a metà pomeriggio. Troviamo una camera all’Holiday Inn Express, a due passi dal centro storico….ci sembra una reggia dopo le due che l’hanno preceduta! Mentre Vanni è impegnato nella ricerca su internet di una Toyota Land Cruiser per noi, io esco per fare due passi dopo tante ore di auto. La passeggiata nel centro storico di questa cittadina portuale mi gratifica molto…. Scopro così il fascino di Saint John , legato agli edifici commerciali risalenti al XIX secolo, le cui facciate in mattoni rossi a vista formano quinte continue lungo le strade principali vicine al porto, articolate nelle diverse altezze e nella varietà delle modanature. Tutto ha un’aria di estrema autenticità….non ristrutturazioni invasive, ma il patino della storia giunto fino ad oggi perfettamente conservato. Non c’è quasi nessuno a camminare per le strade di questa città a quest’ora deserta. Nella banchina antistante il centro , vicina ad un vecchio faro di legno colorato di bianco e rosso, è ormeggiata una immensa nave da crociera le cui dimensioni fanno apparire come un fuori scala il nucleo abitato. Un paio di campanili appuntiti segnano il profilo della città vecchia che si tinge sempre più delle tinte rosse del tramonto. Una volta rientrata Vanni mi mette subito al lavoro su Ebay….riusciamo ad interagire con il proprietario della Land Cruiser attraverso uno scambio di email…gli scriviamo che saremo a Newbury tra qualche giorno per vedere l’auto ed eventualmente acquistarla…ci risponde che spera che la nostra offerta sarà quella vincente…..dobbiamo proprio partecipare all’asta entrando in pieno meccanismo Ebay se non vogliamo essere spiazzati da altri compratori! Ceniamo alla “Church Street Steak House” nel centro storico. La sala da pranzo è all’ultimo piano di un vecchio edificio commerciale in mattoni a vista., per raggiungerla saliamo una scala esterna, probabilmente antincendio….mangiamo bene, soprattutto Vanni è estasiato dalla sua Beef Rib, una costola di bue con un filetto alto cinque dita. Tenerissimo e gustoso…davvero un’ ottima scelta!

29 Luglio 2008

SAINT JOHN

Qui a Saint John siamo in posizione strategica rispetto ai siti di interesse del New Brunswick che visti sulla carta stradale sembrano a due passi. Partiamo con comodo quindi, solo 40 km ci separano da Saint Martin, un famoso paesino di pescatori che la guida consiglia di non perdere. Un placido fiume che lo lambisce, due ponti di legno coperti risalenti alla fine dell’ ‘800 , cataste di nasse per la pesca delle aragoste, un piccolo faro di legno ed una serie di imponenti residenze ….queste si, rivestite in doghe di vero legno, che riflettono la ricchezza del primo ventennio dello scorso secolo, quando a Saint Martin si costruivano le navi. Sembra impossibile crederlo vedendolo ora, questo tranquillo paesino…I due ponti di legno coperti sono molto belli ….ne abbiamo sfiorati spesso di analoghi, viaggiando nel Quebec e nella penisola di Gaspesie, ma non avevamo mai avuto l’occasione di vederli veramente…sembrano case costruite sopra il fiume, ma con due grandi ingressi ad arco sui lati per consentire il transito. Questi di Saint Martin ospitano su un lato anche il percorso pedonale sempre coperto e separato da una paratia di legno da quello carrabile. Scendo per attraversarlo a piedi…. sulla mia sinistra una serie di aperture orizzontali inquadrano come finestre il corso del fiume….è piuttosto romantico, non a caso questi ponti coperti vengono chiamati i “ponti dell’amore”, perché essendo coperti rappresentavano un punto di incontro ideale per gli amanti che volessero tenere nascosto un tenero scambio di effusioni. Appena oltre il paesino una scogliera di arenaria rossa ci introduce alle bellezze del Fundy Trail, un percorso carrabile parallelo alla Fundy Bay che ci permetterà di scoprire i tesori di questa costa ancora incontaminata. Percorriamo il tragitto in auto fino al Big Salmon River, soffermandoci strada facendo nei punti panoramici indicati nella mappa e segnalati con cartelli. Il primo che vediamo è uno spettacolare flowerpot, ( vaso di fiori) che raggiungiamo dopo una breve camminata tra la vegetazione. Si tratta di un blocco di roccia erosa dal mare, rimasto isolato vicino alla costa ed ora completamente scoperto dalla bassa marea. E’ piuttosto tozzo in alto e rastremato alla base, un po’ come un fungo. Nella sua sommità la vegetazione cresce rigogliosa, nonostante l’esiguità dello spazio ci sono un paio di piccoli abeti cresciuti lassù, un po’ storti per via delle radici poco profonde e del vento forte….Questo primo belvedere ci piace così tanto che decidiamo di lasciare l’auto e di proseguire a piedi lungo il sentiero che si sviluppa tra la vegetazione, parallelo alla costa. Così facendo riusciamo a vedere il flowerpot da altre angolazioni e la costa in generale….fantastica, con le spiagge deserte sotto la scogliera e la vegetazione rigogliosa alle spalle….per non parlare della leggera foschia di oggi che finisce con l’aumentarne il fascino. La passeggiata di qualche chilometro fatta in questo luogo magico, ci fa sentire come in paradiso. Soddisfatti riprendiamo il tour previsto per oggi spingendoci fino al lontano Hopewell Cape, la circoscritta area geografica posta sulla Shepody Bay alla confluenza del Petitcodiac river, famosa per le sue rocce di arenaria. Qui la marea più alta del mondo ha scoperto per noi circa duecento metri di spiaggia offrendoci questo insolito spettacolo ed ha modellato la roccia creando bizzarri birilli isolati, a ridosso della scogliera… sono flowerpot anche questi, ne vediamo a decine….è una delle più bizzarre formazioni geologiche che ci sia capitato di vedere e questo spiega la moltitudine di persone che approfittando della bassa marea come noi, stanno passeggiando tra la melma del fondo a caccia di prospettive particolarmente accattivanti. Peccato che un temporale particolarmente aggressivo metta dapprima in ombra l’insolito paesaggio e interrompa poi la nostra visita costringendoci a fuggire sotto i goccioloni verso la macchina. Questo tratto di costa è davvero speciale…. La marea così bassa scopre l’ampia distesa rossastra del fondo ancora bagnata e luccicante sotto i raggi inclinati del sole, la linea del mare è ben visibile al largo, incalzante nella sua linea d’acqua spumeggiante. Questa parentesi nel New Brunswick riscatta in parte la nostra opinione negativa relativa al Canada Orientale, che ha finito col deprimerci per la modestia delle bellezze naturali e dei centri abitati….a parte le grandi città naturalmente.


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24 Usa


30 Luglio 2008

SAINT JOHN – ROCKLAND

Stiamo proprio meglio…..questa mattina, mentre ancora assonnati e con i tappi nelle orecchie ci avviciniamo ancora scricchiolanti per un bacino di buongiorno, finiamo col farci le coccole. Dopo questo bell’ inizio… il secondo pensiero della giornata va alla nostra potenziale Carolina 2… Vanni accende subito il portatile per verificare se la nostra offerta di ieri sera è rimasta insuperata, poi scappa sotto la doccia….quindi a colazione. Lasciamo la confortevole 208 verso le 11 e subito dopo anche la bella cittadina di Saint Jhon, con qualche difficoltà legata all’individuazione della strada da prendere…..siamo diretti al confine con gli Stati Uniti che incontriamo dopo circa un’ora di strada….Che bella giornata oggi! …non solo perché finalmente lasciamo il Canada nel quale abbiamo tergiversato troppo a lungo….ma anche perché un magnifico sole rende il cielo azzurro più che mai e la temperatura decisamente calda. Và da se che essendo Calais non solo il paese di frontiera Canadese, ma anche la capitale del cioccolato, spendiamo gli ultimi 20 dollari in una cioccolateria dove scelgo dalla vetrinetta tutto ciò che l’esigua scatola bianca può contenere. Attraversiamo il gate senza problemi, anzi…l’impiegato ci mostra un sorriso cordiale e dopo aver controllato il nostro passaporto già vistato per gli Usa, ci augura una buona giornata….il dubbio che si trattasse del gate canadese e non di quello statunitense, mi rimane per qualche minuto. Poi siamo immersi tra le foreste ed i laghetti, questa volta appartenenti allo stato del Maine.….L’ arcinoto paesaggio bucolico ci accompagna fino a Bangor dove ci fermiamo per una breve sosta al tourist information. Una volta entrata, mentre guardo i numerosi depliant ben ordinati negli espositori a muro, l’occhio mi cade su una aragosta su fondo verde. Afferro e guardo….si tratta del “Festival dell’aragosta” di Rockland…..poi l’occhio si sposta sulla data… il festival inizia proprio oggi! Propongo a Vanni di cambiare obiettivo, anziché Portland, il festival della famosa aragosta del Maine. Oppone qualche resistenza legata al fatto che lui vorrebbe raggiungere al più presto Carolina 2 nel vicino Vermont, ma poi desiste…..in fondo siamo in vacanza e perché non approfittare del fatto di essere nella più prolifica miniera di aragoste di tutti gli Usa? Usciamo poco dopo dalla Highway 95 e seguendo la 7 Sud che serpeggiando tra le colline ci offre bei paesaggi agresti, raggiungiamo l’obiettivo in poco più di un’ora. Troviamo una camera libera al “Trade Wind Motor Inn”, decisamente più carino all’esterno. Le camere sono piuttosto dozzinali e ad un costo di 145 $. Usciamo dopo aver offerto 2100 $ per la Toyota su Ebay e dopo un piccolo gustoso assalto alla scatolina bianca dei cioccolatini….pochi passi e siamo all’ Harbor Park dove la festa è già in fermento….Sotto un ampio tendone a righe bianche e gialle, file di lunghi tavoli ospitano i primi avventori. Stanno mangiando il contenuto dei loro grandi vassoi di cartone…aragoste bollite accompagnate da pannocchie di mais…sono solo le 4.30 del pomeriggio! La festa è articolata in diverse aree tematiche che spaziano dalla cucina all’arte, ai souvenir il cui soggetto è rigorosamente l’ aragosta. Vi sono poi stand dedicati ai prodotti gastronomici in generale e le giostre per i più piccoli. Poco oltre un bell’edificio di legno in fondo al pontile si staglia nella baia affollata di barche a vela….sarà lo sfondo della nostra degustazione di birra….per l’aragosta è ancora presto.
Quando usciamo verso le 20 l’Harbor Park è pieno di gente…..sono tutti occupati a fare qualcosa… che quasi sempre è mangiare uno dei tanti manicaretti proposti dagli stand…cucina thay, hot dog, patate fritte, gelati, pizze….ci avviciniamo al grande tendone dove si mangiano le aragoste e dopo aver atteso un attimo il nostro turno ci viene chiesto quante aragoste desideriamo…..le porzioni prevedono fino a tre aragoste per una persona! Optiamo per una a testa che ci viene servita accompagnata da una pannocchia, burro fuso, pane, posate di plastica e tovagliolini. Vanni aggiunge una porzione di cozze marinate, ed io una piccola insalata di verza. Ci sediamo ed iniziamo l’attacco ai gusci che stranamente cedono presto sotto le nostre dita….intingiamo il filetto nel burro fuso….ed addentiamo questa meraviglia….squisita!….il costo di soli 16$….nemmeno 10 euro per ogni aragosta è quasi l’equivalente del costo di una pizza da noi….perché non esportare l’idea?! Dopo l’aragosta assaggiamo delle ottime conchiglie, le clams, il cui sapore ricorda molto le nostre vongole veraci, ma sono di taglia più grande…..e poi le sea scallops fritte, un trionfo di bontà! Concludiamo la nostra serata con una passeggiata sul piccolo molo ed uno sguardo all’elezione della reginetta del mare che ci appare sullo sfondo di marinai allineati in divisa bianca. E’ bello essere al mare ed essere qui….immersi nella vivacità di questa festa e nell’odore di salsedine.

31 Luglio 2008

ROCKLAND – BRADFORD

Rockland è immersa nella nebbia quando partiamo….sarà stato il vapore di cottura di tutte quelle aragoste a modificarne il microclima? Il maltempo oggi non molla e ci accompagna fino alla periferia di Portland che invece ci regala una bella schiarita. Dopo aver piazzato Jimmy in un parcheggio custodito ci inoltriamo tra le strade dell’Old Port, il quartiere storico che affacciandosi sul mare suggerisce l’attitudine di questa cittadina al commercio ed alla pesca. Caratterizzata come la canadese Saint John da vecchi edifici di mattoni legati all’attività del porto ci appare però un po’ troppo finta per i molti restauri e per il gran numero di edifici nuovi realizzati in mattoni, che finiscono spesso con il nascondere quelli originali….insomma un 6- a questa città costiera del Maine un po’ troppo artefatta. Bello invece il suo museo d’arte con eccelse opere di artisti moderni europei. Ripartiamo diretti al vero obiettivo di oggi…la Carolina 2 di Bradford in Vermont. Lasciamo lo stato del Maine, entriamo nel piccolo stato di Newhampshire attraversandone il bellissimo parco White Mountines ed arriviamo infine nel montuoso ed altrettanto piccolo stato di Vermont, ricco di rigogliose foreste e sede del proprietario della Toyota Land Cruiser in vendita su Ebay, copia esatta di Carolina. Troviamo una camera nell’unico hotel del paese, il Bradford Motel, che sembra piuttosto una comunità hippy ….per l’aria alternativa della giovane proprietaria indiana e per il look della camera, tutto fiori, paesaggi e colori sfumati alle pareti. Mentre io mi riposo Vanni esce a caccia del proprietario della Land Cruiser….è diretto dal rivenditore di pezzi di ricambio per auto…..non può sbagliare….che segugio è Vanni! La sua ricerca passa dal rivenditore all’officina ma senza successo, poi ha un’intuizione. Vede due fuoristrada parcheggiati in un giardino a ridosso della strada, si ferma e chiede…ha trovato la pista giusta. Il ragazzo con il quale parla lo accompagna da Adam Smith, l’obiettivo finale. E’un trentenne sgangherato, mi racconta Vanni, meravigliato dell’arrivo che non si aspettava. Gli confessa che non pensava che Vanni sarebbe arrivato come promesso nella e-mail, per vedere l’auto….ma poi gli mostra sul computer l’importo segreto di 7.000 dollari come soglia minima inderogabile per la vendita su Ebay…ecco perché con la nostra offerta di 2.100 $ non abbiamo vinto l’asta! L’appuntamento con Adam è per domani mattina alle 7.30 ….l’auto è a casa dalla ex moglie, lo accompagnerà domani a vedere il gioiellino.

01 Agosto 2008

BRADFORD – BOSTON

La giovane ragazza mora accoglie Vanni con un simpatico sorriso ed una tazza di caffè….l’auto è ben tenuta e non puzza….solo qualche pelo di cane sui sedili, ma non è un problema. Ha solo quattro marce, il cambio piccolo e la frizione dura, ma soprattutto ha una perdita di olio nella testa del motore che non piace a Vanni. La prova ed è come guidare una macchinetta… dice …al contrario di Carolina non dà assolutamente la sensazione di essere un’auto potente, sarà perché è a benzina? Quando torna all’hotel verso le 10 ha un’espressione indecifrabile, poi inizia a raccontare…Adam vuole almeno 4.500 $US per quella macchina, il mercante di auto usate è disposto a pagarne solo 1.500 $US per Jimmy che ci è costato 6.000 $C. Pare assurdo dover vendere un’auto di otto anni per acquistarne una di ventotto rimettendoci 6.000 dollari! Quando lo faccio notare a Vanni lui sollevato risponde che oltretutto quella non è la sua auto….e c’è un abisso tra quella Toyota e Carolina…. Non torniamo nemmeno a rivederla insieme, lasciamo Bradford diretti alla vicina Boston, nello stato di Massachusett, che raggiungiamo verso le due del pomeriggio. Boston ci accoglie con un meraviglioso ponte a tenso struttura, i cui cavi tesi bianchi delimitano parte della carreggiata, ed una skyline non troppo appariscente. Stiamo percorrendo la highway 93 che entra nella città e poi si ramifica nelle direzioni dei quartieri principali. Seguiamo il flusso delle auto senza sapere bene dove dobbiamo andare…..cerchiamo di avvicinarci agli alti grattacieli della city, ma siamo poi sempre spinti fuori da questo reticolo di strade che non conosciamo. Per cercare di dare una svolta al nostro procedere, entriamo dentro alcuni tunnel dai quali usciamo disorientati….insomma non è semplice orientarsi a Boston. Quando finalmente riusciamo ad uscire dalla highway ci troviamo nel quartiere di Cambridge, sede della famosa università di Harvard, a questo punto dobbiamo riguadagnarci la downtown! Con l’aiuto della piccola mappa sulla nostra guida individuo la nostra posizione e quella di uno degli hotel più probabili…..ci facciamo strada tra i sensi unici ed infine dopo un paio d’ore arriviamo all’ “Harborside Inn” che però è completo. Io sono distrutta e Vanni anche….il consièrge dell’hotel ci da una mano a cercare, ma quasi tutti gli hotel sono pieni….poi finalmente troviamo una camera in uno dei migliori hotel della città…il “Langham” sulla Franklin Street…la cui 429 ci accoglie con morbidi colori pastello alle pareti, pesanti tendaggi alle finestre ed un bellissimo vaso cinese sul mobile che contiene la tv. Dopo tanta fatica ci voleva un bel relax in uno spazio ameno! Ceniamo al sushi bar qui vicino….ma la bellezza diurna di questo angolo di downtown non trova un equo corrispettivo la sera, quando le strade sono semideserte e mal frequentate ed i bellissimi edifici sono resi invisibili dall’oscurità…rientriamo dopo una breve passeggiata.

02 Agosto 2008

BOSTON

Vanni esordisce con un bel massaggio alla Spa dell’hotel dal quale torna dopo più di un’ora decisamente meno acciaccato di quando aveva lasciato la camera. Quando siamo pronti per uscire il cielo si è coperto di nuvole bianche che faranno da sfondo alle mie fotografie di oggi….e quante! Avevo conservato nel mio trolley un inserto dedicato alle architetture recenti di Boston. I fogli illustrati, strappati tempo fa dalla rivista di architettura AREA, ci servono da traccia per la nostra visita di oggi che inizia dalla vicina City Hall, un imponente edificio di cemento dal prospetto molto chiaroscurato dalle volumetrie aggettanti. Poco oltre ecco l’Holocaust memorial , una installazione immersa in un giardino, costituita da una serie di parallelepipedi a torre, di vetro, allineati, dalla cui base esce vapore caldo, sui vetri sono serigrafati i numeri crescenti delle vittime, a formare come una densa texture suddivisa in rettangoli. Ci spostiamo ora verso le acque del Boston Inner Harbor che lambiscono la parte est della downtown, seguiamo per un tratto il bel percorso che assecondando le insenature a dente dei numerosi piccoli porticcioli ci conduce fino al recente ampliamento del New England Aquarium. La tettoia di ingresso aguzza, le volumetrie metalliche o vetrate. Poco più a sud ecco una chicca, realizzata una ventina di anni fa, che ci consente di godere di una bella prospettiva sulla city. Si tratta della sistemazione del Rower’s wharf, che percorriamo seguendone il perimetro aggettante sull’acqua. I panfili e le barche a vela ormeggiati a pochi metri dagli alti edifici fanno un certo effetto….osserviamo l’insieme dall’altra sponda del canale, che raggiungiamo percorrendo un bel ponte di metallo arrugginito ora in restauro….la vista della città da qui è incantevole. Ci fermiamo su una panchina per poterne godere a lungo in tutto relax….i grattacieli della city ci sono tutti, così come i bassi edifici storici legati all’attività del porto ed il nuovo ampliamento in armonico mix. Alla base di questa quinta ben disegnata le barche bianche spiccano sull’acqua verde intenso della baia…un incanto! Ci spostiamo di poco per osservare la bella volumetria dell’ICA, il museo di arte contemporanea la cui parte esterna verso la baia sembra il palco di arrivo e di premiazione delle regate. Una bella tribuna a gradoni di legno infatti è protetta in alto dal volume molto aggettante del museo che così risulta visto di profilo, sagomato a C. Per completare la visita di questa parte di città ci spingiamo fino al vicino Boston Convention & Exhibition Center nel quale spicca soprattutto l’imponente pensilina di accesso dalla forma leggermente flessa e sostenuta da doppi pilastri inclinati. Preferisco invece la vicina centrale termica dalla volumetria essenziale con le sue coppie di camini di cemento tagliati ad angolo acuto. Così come essenziale è il South Postal Annex, una scatola nera con interessanti prese d’aria che ricordano i boccaporti delle navi e due sottili fasce di colore orizzontali. La Federal Reserve Bank of Boston non ha badato a spese pur di spingersi più in alto di tutti… ha fatto realizzare infatti un grattacielo scatolare bianco la cui base a ponte lo rende sorprendentemente speciale. Ci avventuriamo nella metropolitana più antica del mondo, datata 1897, per raggiungere dopo qualche stazione lungo la linea rossa, lo Stata Center di Frank Gehry, nel quartiere di Cambridge. Come spesso accade osservando i suoi progetti sembra di entrare in un mondo magico sospeso tra scultura ed architettura….molto divertente e spettacolare almeno quanto “Alice nel paese delle meraviglie”! Quando tornando verso l’hotel, usciamo dalla metropolitana ci sorprende una sorta di diluvio universale….inaffrontabile. Aspettiamo, come molti altri accanto a noi, che almeno si attenui un po’ l’ acquazzone …poi finalmente dopo una mezzora di sosta forzata sugli affollati scalini della metro riusciamo ad uscire e con una breve passeggiata raggiungiamo l’hotel per un po’ di riposo dopo la lunghissima passeggiata di oggi. Anche la serata prende spunto dal magico fascicolo della rivista AREA….avevo visto un certo Ristorante Mantra, proprio qui vicino in downtown. Andiamo. Il locale, ricavato all’interno di una ex banca, con tanto di caveau al piano interrato, è effettivamente originale, soprattutto per via di una enorme scultura di legno a listelli orizzontali, una sorta di strana capanna high teck , che contiene qualche tavolo. Un grande buddha argentato fa capolino sulla parete di fondo mentre tutto il ristorante risuona delle note di brani chill out….insomma un locale alla moda progettato nel 2004 dallo studio associato Ellenzweig. Ceniamo divinamente con piatti nouvelle cuisine, ricchi di spezie e di esotismo, proposti da uno staff di cuochi indiani. Ci viene portato un assaggio di zuppa di carote servita in tazzine da caffé e piccoli dischi di pane indiano(naan) accompagnati da una salsa verde squisita che profuma di coriandolo e di cardamomo. La mia tartare di tonno è buona ed accompagnata da qualche spicchio di pompelmo rosa ed una quantità microscopica di una salsa caramellata alla frutta con sesamo. Vanni invece gusta la sua zuppa di patate al profumo di coriandolo. Proseguiamo con delle fantastiche seashell scallops, passate nella polvere di cumino ed arrostite, accompagnate da mango tagliato in minuscoli pezzetti con aroma di coriandolo. Mai mangiato nulla di più squisito. Verso le 22.30 Vanni esce per una sigaretta e torna con una novità…all’esterno ci sono un paio di buttafuori ed è stata allestita una sorta di transenna a creare un percorso obbligato verso l’entrata….anche all’interno c’è un fermento incalzante tra i camerieri che iniziano a far sparire sedie e tavoli. Il ristorante sta per trasformarsi in club! Che bella sorpresa….visto che è sabato ne approfittiamo per rimanere ancora un’oretta tra musica house e giovani ragazzi…assidui frequentatori di Harvard?….che si scatenano in pista. Ma il locale non ha ancora finito di sorprenderci….questa volta sono le porte dei bagni a farci sorridere. Al centro di ogni porta è inserito un setto rettangolare di vetro specchiato…ciò fa si che chi è nell’antibagno non veda chi è in bagno, ma chi invece è intento a fare pipì vede benissimo ad un passo da lui chi si trova lì fuori in attesa! La percezione del vetro dall’interno crea una certa confusione….Geniale. Chissà che imbarazzo per i più pudichi….

03 Agosto 2008

BOSTON

Un altro massaggio per Vanni e poi via, a vedere quanto tralasciato ieri…. Raggiungiamo la Prudential Tower in metropolitana, è l’unico grattacielo di Boston ad offrire al pubblico la possibilità di una vista a volo d’uccello dal 50° piano. Da questo punto di vista privilegiato rintracciamo alcuni edifici visti ieri e quelli che visiteremo oggi…Divertente e bello è vedere le piccole isole a perdita d’occhio nella baia, l’aeroporto, i grattacieli della city, le baie ed i canali che circondano il cuore della città, pieni di barche a vela. Boston è una grande città che però ha conservato una notevole quantità di verde, lo vediamo concentrato nelle grandi superfici dei parchi urbani e nei giardini antistanti le abitazioni. Una città sostenibile ed affascinante nella quale sarà piacevole tornare. Un paio di fermate ancora e siamo al Museum of Fine Arts, pieno dei reperti romani, etruschi, iraniani, egiziani, cinesi, indiani e giapponesi che gli stati uniti sono riusciti ad arraffare nel corso degli ultimi secoli. Ancora una volta, dopo il Ghetty Museum di Los Angeles, la sensazione di appropriazione indebita di cultura altrui è nauseante. Quando riemergiamo dalla metropolitana il cielo è nero e le strade bagnate…speriamo di farcela a raggiungere ancora asciutti la Simmons Hall MIT progettata da Steven Hall! E’ un amore di edificio….ciò che rimane di un parallelepipedo al cui volume sono stati sottratti altri prismi rettangolari. La superficie residua è scandita dalla partitura regolare di piccole finestre quadrate a scacchiera bordate da listelli di vari colori. Usciamo indenni dalla passeggiata ma per non rischiare rientriamo in hotel in taxi. Ceniamo al sushi dell’altra sera….stesso tavolo, stesso menu….che noia essere abitudinari!

04 Agosto 2008

BOSTON – CAPE COD BAY

Lasciamo la nostra camera del Langham Hotel senza fretta, poi seguendo un taxi, per accelerare i tempi di arrivo, raggiungiamo la John F. Kennedy Library & Museum….l’ennesimo edificio d’autore suggerito dal fascicolo di AREA. Che meraviglia questo museo progettato dall’architetto I.M.Pei….Bianco e nero si affaccia sul porto di Boston con i suoi volumi puri che si incastrano in perfetta armonia…è così ben disegnato da sembrare finto. Un grande cilindro ed un prisma triangolare bianchi, un ampio parallelepipedo vetrato nero….un progetto degli anni ’70 razionale e di grande impatto. Entriamo per goderne fino in fondo….e ci perdiamo tra quei volumi pieni di cimeli, filmati di dibattiti o interviste televisive, fotografie della famiglia Kennedy, documenti ufficiali e dei testi dell’archivio di stato. L’enorme parallelepipedo nero sembra ancora più grande visto dall’interno…. non contiene nulla se non la baia intera visibile appena fuori, ed il cielo azzurro di oggi….La struttura reticolare a sostenerne l’involucro di vetro ed una grande bandiera americana appesa in alto, null’altro ….ma vi si gode il favoloso panorama sulla baia e sulla city di Boston che da qui appare lontana. Un edificio da non perdere questo….al di la della retorica politica che vi si può leggere! Ripartiamo seguendo la 93 sud, poi deviamo sulla 3 per raggiungere Cape Cod, la stretta penisola che si spinge nell’oceano Atlantico con la sua caratteristica forma ad L. e che rappresenta la migliore possibilità di fare un soggiorno al mare per gli abitanti del New England. E’ un incanto in effetti….con i suoi cottage sulla spiaggia ed i paesini ordinati ed invitanti che trasudano benessere e tranquillità. Ci fermiamo per una breve sosta a Sandwich, il più antico insediamento di Cape Cod, il primo entrando nella lingua di terra. Sembra un presepe, con le belle case di legno che si affacciano su un piccolo lago popolato da anatre ed il mulino di legno ancora funzionante. Non c’è nulla di lezioso in questo centro abitato….solo la piacevolezza di uno stile consolidato nei secoli, anche se pochi, quello degli edifici a doghe di legno….legno vero qui, non di plastica come in Canada! Percorriamo la 6A attraversando diversi centri abitati sempre piacevolissimi anche se senza laghetto, poi Vanni inizia a scalpitare…vuole vedere il mare! Considerando che Cape Cod vanta ben 640 km di coste, il suo desiderio è più che legittimo, ma non di così semplice realizzazione. Cerchiamo una strada che si inoltri verso la costa, ma la nostra cartina è estremamente sommaria e la segnaletica degna di una caccia la tesoro. Quando finalmente raggiungiamo la spiaggia, vediamo una stretta striscia di sabbia chiara, tappeti verdi di vegetazione a ridosso dell’acqua e rocce lasciate scoperte dalla bassa marea che ha scoperto una trentina di metri di battigia. Vista la bella giornata la spiaggia è affollata di gente, soprattutto famiglie con molti bambini, quindi fuggiamo immediatamente. Ci fermiamo ormai stanchi in prossimità del paese di Brewster dove occupiamo l’unica camera libera dell’ “Old Sea Pines Inn”, una specie di Bed & Breakfast ricavato in un vecchio edificio di legno tutto arredato old style e con tendine alle finestre legate con nastri azzurri. La nostra camera d’angolo al secondo piano è molto accogliente, con una tappezzeria a fiori colorati e bei mobili d’epoca di legno chiaro….solo il letto è un po’ piccolo…troppo piccolo per noi ancora acciaccati! Andiamo alla spiaggia vicina a goderci l’ultimo sole…mi sembra sia passata una vita dall’ultima volta in cui mi sono stesa sulla sabbia davanti al mare….che piacere! Ceniamo all’”Agrodolce”, un ristorante italiano niente male….poi a nanna.

05 Agosto 2008

CAPE COD BAY – NEW YORK

Nonostante le dimensioni del letto ho dormito benissimo, Vanni un po’ meno…. Un’oretta di spiaggia…questa volta in regolare costume da bagno… poi partiamo diretti a New York che nonostante disti da qui solo 300 km, sembra irraggiungibile. Chilometri di file createsi per il traffico intenso, limite di velocità di 65 miglia/h…. insomma arriviamo all’hotel “Days Inn” tra la 94W e la Broadway solo alle 18.30. Entrare in città è stato semplicissimo, e così anche raggiungere l’obiettivo, grazie alla regolarità della maglia stradale ortogonale. La delusione è stata, entrando, il non vedere la skyline della città….laggiù, lontana e nebbiosa c’è la city di Manhattan, a noi assolutamente invisibile. Attraversiamo invece il Bronx ed Harlem vivaci quartieri neri i cui marciapiedi sono a quest’ora affollati di colori e di persone…..dopo un pò di zig zag per assecondare i sensi unici di Manhattan, raggiungiamo infine l’ Upper West Side, il quartiere adiacente a Central Park, dove finalmente ci fermiamo. E’ ancora caldo quando usciamo per la cena verso le 20….optiamo per un sushi al vicino “Asia Khan Lounge Bar” dove mangiamo l’ottimo soft shell crab fritto ed i rolls favolosi di tonno Yellow tail. Da ripetere prima di ripartire!

06 Agosto 2008

NEW YORK

Sembrano esserci più italiani a New York di quanti possano essercene a Roma…ce ne rendiamo conto raggiungendo il vicino Guggenheim Museum sulla Quinta strada, il lato opposto al nostro di Central Park. Attraversando i sentieri del parco lo vediamo affollato di persone che corrono, tutti armati di iPod e cardiofrequenzimetri, di mamme che trascinano le loro carrozzine e di anziani che seduti sulle panchine gettano qualche briciola ai piccioni o leggono il giornale o semplicemente si riposano all’ombra. Fu progettato da F.L.Write ed inaugurato nel 1959, questo bel museo. L’edificio, la cui spirale bianca è denunciata all’esterno da una volumetria cilindrica rastremata alla base, si inserisce tra i lussuosi palazzi residenziali della fine dell’800 che costeggiano il lato est di Central Park ….L’interno colpisce per la genialità concettuale del percorso museale che anziché seguire come di consueto un andamento orizzontale distribuito tra le varie stanze, si svolge a spirale dall’alto verso il basso attraverso una comoda rampa ad inclinazione costante sulla parete della quale sono esposte le opere. Il percorso fa riferimento sul lato interno, all’ampio volume di raccordo coronato in alto da una copertura vetrata circolare. E’ incredibile quanto sia piacevole il morbido movimento degli elementi bianchi di contenimento a spirale che si raccordano nel cerchio vetrato del soffitto….ed anche le opere esposte non sono certo da buttare via! ….unico elemento di disturbo è la presenza all’80% di italiani che parlano in continuazione in una lingua che all’estero non mi piace sentire. Continuiamo la nostra passeggiata camminando sulla Fifth Ave, la strada più chic della città assieme alla Madison, siamo diretti a sud. Sotto i grattacieli nei vari stili che definiscono la strada, vediamo le insegne delle griffe più in voga nel campo della moda, quasi tutte italiane, che propongono atelier lussuosissimi griffati anch’essi dei nomi dei progettisti più affermati nel campo dell’arredamento. Ma la cosa che finora mi ha più colpita di New York sono i bellissimi serbatoi d’acqua posti in cima agli edifici….cilindrici e sorretti da strutture di ferro o lignee, neri o in alluminio, danno una connotazione unica a questa foresta di mattoni. Raggiungiamo l’Empire State Building dopo una lunga camminata all’inseguimento di scorci sempre nuovi su edifici sempre più alti….una volta entrati, rinunciamo a salire per via della fila allucinante che sottrarrebbe ore di passeggiate al nostro pomeriggio, quindi tergiversiamo gironzolando nei paraggi finché Vanni cede e chiama un taxi. Camminiamo da sei ore….dato che Vanni non ama fermarsi per un drink ristoratore in un qualunque luogo di qualunque città, è legittimo tornare in hotel per un riposino! Un passaggio alla lavanderia dell’hotel per un paio di lavatrici ed è già l’ora di cena….questa sera però abbiamo in progetto di fare una cosa davvero carina! Andremo al “Lenox Lounge”, un leggendario ritrovo jazz di Harem che ha fatto gli onori di casa a Billie Holiday, Miles Davis, Coltraine e tanti altri…..insomma una seratona! In taxi raggiungiamo il 288 di Lenox Avenue dove ci immergiamo nell’ambiente nerissimo del Lenox, meravigliosamente arredato con citazioni decò, stretto e lungo. Ci accomodiamo su un paio di sgabelli liberi accanto al bancone…intanto un gruppetto di tre sta suonando un brano bebop accanto alla vetrata di ingresso….l’atmosfera è fantastica qui, siamo in un tempio del jazz newyorkese e ne siamo conquistati. Mentre stiamo consumando la nostra ottima cena al banco sentiamo avvicinarsi alle nostre spalle il suono di un sax….è un signore anziano che lo suona come potrebbe farlo solo un grande maestro….il brano improvvisamente si connota di un velo di magia che proseguirà in ogni brano nel corso della serata. Siamo tra i pochi bianchi ospiti del locale….l’atmosfera è calda e vivace, esco per una sigaretta ed incontro Hooker Gene, un signore di colore che indossa una giacca di paillette da cabaret….ed infatti è proprio ciò che lui fa. Ci invita ad andare domani sera dopo le 11 al St. Nicholas Pub al 149 St. Nicholas Ave …è simpatico ma allo stesso tempo ha l’aria triste….come di una stella tramontata da tempo. Quando rientro Vanni è già nervosamente al suo secondo bicchiere di whisky….vedendomi chiacchierare si è un po’ ingelosito!

07 Agosto 2008

NEW YORK

Ci svegliamo tardissimo, la mattina ormai è andata….In taxi raggiungiamo il MOMA, il “Museum Of Modern Art” dove presto ci perdiamo tra la più incredibile collezione di arte moderna mai vista. I quadri dei più noti artisti del XIX secolo sono così numerosi che anche volendo sembra impossibile quantificare in denaro il patrimonio pittorico esposto. Poi, girovagando tra le sale, vediamo alcune tele del mitico Lissisky che io adoro e che non è così semplice trovare esposto nei musei….per non parlare dell’elicottero sospeso in un alto volume libero, lo vediamo accanto a noi, mentre percorriamo una delle pensiline di collegamento tra le sale. Anche l’architettura del museo è piacevole, ed emozionante… per via delle nicchie vetrate che si affacciano a strapiombo sulla strada e le pensiline sospese all’interno di alte volumetrie. Le sale si articolano attorno a due ampi volumi, uno interno ed il secondo esterno, ovvero il giardino delle sculture. Interamente pavimentato in marmo bianco, con una vasca d’acqua, un piccolo palco, gradini, alberi ed uccellini cinguettanti, sembra il posto ideale dove riposare un’oretta delle fatiche della visita al museo. L’ambiente del giardino sembra un’isola assolutamente avulsa dal caos del contesto nel quale è calato….la magnifica giornata di sole di oggi è raffrescata poi da una leggera brezza che soffia leggera anche in questo paradisiaco esterno racchiuso sui tre lati dalle eteree volumetrie del museo. Terminata la visita è proprio qui che ci sediamo, tra poco inizierà uno spettacolo di musica surrealista dedicata a Salvador Dalì la cui mostra temporanea è ospitata all’ultimo dei sei piani del museo. Un bicchiere di Sangiovese per Vanni ed un coca e rum per me ….le note del violino e del pianoforte iniziano a diffondersi tra le fronde dei pochi alberi e tra le sculture….creando melodie non melodiche, armonie disarmoniche, che però il vino rende addirittura speciali. Stiamo benissimo! Rientriamo stremati in hotel verso le 20…ceniamo all’Asia Khan ….la nostra comoda certezza!

08 Agosto 2008

NEW YORK

La curiosità di vedere lo storico ponte sospeso e soprattutto di poter avere finalmente una vista d’insieme degli alti edifici di Manhattan ci spinge a salire su un taxi e dirigerci verso Brooklyn. Ci fermiamo poco dopo il ponte, oltre Manhattan, dove una serie di rampe di raccordo delle strade di collegamento sembrano intrecciarsi in un groviglio….poco dopo ci perdiamo. Colti di sorpresa da uno scroscio improvviso di pioggia ci ripariamo sotto uno dei cavalcavia, poi Vanni vede la parte terminale di uno dei piloni di ferro di un ponte sempre sospeso e propone di raggiungerlo….solo dopo ci rendiamo conto che non si tratta del ponte di Brooklyn bensì di quello di Manhattan…..tutto in ferro e bellissimo anch’esso, ma rumoroso per via dei treni che lo percorrono. La vista da qui è fantastica…sia sui grattacieli della city che percepiamo come un unico fronte compatto, sia sul ponte di Brooklyn che vediamo da questa prospettiva stagliarsi sulla skyline di Manhattan. Ancora oltre, tra le file ordinate dei cavi tesi del ponte, ecco la Statua della libertà immobile e lontana, bloccata nel suo gesto di sostenere la fiamma. Camminiamo fino a scendere dal ponte…siamo nel cuore di Chinatown della quale vediamo dapprima i retro degli edifici scassati e pieni di murales a ridosso del ponte, poi le strade vivaci di insegne e di gente. Ground Zero, che raggiungiamo con una breve passeggiata, è un isolato circoscritto dalle alte recinzioni da cantiere che non lasciano vedere nulla al suo interno. Il pathos che sentiamo è forte….trovarsi sul luogo del delitto anche se a distanza di tempo ci fa un certo effetto…. poi ci sorprendono i venditori di gadget che armati di libretti ed altro riescono a banalizzare la tragedia del 2001 allentando il senso di drammaticità legato all’essere qui. Vendono opuscoli in tutte le lingue e foto di Manhattan con le due torri naturalmente. Ci spostiamo poi al quartiere Tribeca, tranquillo ed affollato di piccole boutiques più che di persone e negozi di arredamento e design. Va da sé che per un recondito spirito patriottico approdiamo a Little Italy, tanto per curiosare un po’ e vedere cosa sono riusciti a costruire qui a New York gli immigrati italiani….pizzerie e ristoranti naturalmente, per assecondare la golosità di cucina italiana della quale gli statunitensi sembrano ghiotti! Circondata e quasi fagocitata da una Chinatown in rapida espansione Little Italy sopravvive nelle poche strade decorate con festoni tricolore degni piuttosto di un carnevale. Stremati raggiungiamo l’East Village dove al 179 di East Houston Street vediamo una delle più vecchie drogherie della città …Russ & Daughters che negli anni ’20 vendeva aringhe in barile e salmone affumicato al sale ed ora serve caviale beluga, osetra e sevruga…..storione, aringa e salmone affumicato, per non parlare della frutta secca ed i dolcetti esposti in bell’ordine nelle vetrinette…..riempiamo i nostri occhi di tanta abbondanza ed in taxi raggiungiamo l’hotel. Per più di due ore rimaniamo incollati alla tv sbalorditi per quello che i cinesi sono riusciti a fare in occasione dell’apertura dei giochi olimpici…. Che geni! Certo lo stadio progettato da Herzog & De Meuron con la struttura a nido di rondine è un capolavoro di architettura, ingegneria e tecnologia, ma lo spettacolo è stato sbalorditivo per contenuti spettacolarità ed effetti speciali! E’ già piuttosto tardi quando sentiamo che è giunta l’ora di andare a cenare….decidiamo per il ristorante indiano di fronte all’hotel dove mangiamo ottime pietanze speziate tra cui un fantastico purea di spinaci alla menta….da cercare di ricostruire a casa!

09 Agosto 2008

NEW YORK

Anche oggi ci svegliamo tardissimo ed usciamo con un nuovo obiettivo….il P.S.1 ovvero l’istituto di arte contemporanea di Long Island. Lo raggiungiamo in metropolitana, tanto per cambiare un po’ rispetto ai soliti taxi, con un solo cambio treno. 4 $ e 15 minuti di viaggio, un vero affare. Vanni si lamenta però del fatto che così non vediamo la città scorrere attraverso i finestrini dell’auto…ma che importa, vuoi mettere il brivido della metropolitana della grande mela? …chissà perché mi viene in mente il bellissimo film “The Warriors”!? Cerchiamo il P.S.1 sulla Jackson Avenue spostandoci prima in una direzione poi nell’altra nel tentativo di individuarne la sede….ed eccola, la scritta a caratteri cubitali che riporta le poche lettere a rilievo nella parete di cemento. Entriamo in quella che fu una scuola pubblica attraversando un ampio cortile allestito con l’opera di un giovane architetto emergente. Una serie di casseforme per pilastri circolari a perdere diventano i contenitori di terriccio con piantumazioni di verdure a formare una sorta di tettoia sospesa oppure più alti presentano fori attraverso i quali osservare filmati di pollai o di scene di vita agreste in generale. All’interno la mostra propone prevalentemente filmati, e opere dedicate ad una sana critica alla politica statunitense recente e passata…..quello che non sono riusciti a creare con la bandiera a stelle e strisce! Interessante e dinamica questa mostra di giovani talenti ed accattivante la vecchia scuola con i suoi muri ormai scrostati e le porte di legno verniciato dalle quali sembrano dover uscire all’improvviso decine di giovani alunni. Si sa che una cosa tira l’altra e così andiamo oltre, questa volta in taxi, al vicino Socrates Sculture Park….Scassato e poco interessante questo parco ospita poche sculture compiute e sembra piuttosto un cantiere dove alcuni ragazzi stanno costruendo qualcosa ….alcune persone prendono il sole stese sul prato ingiallito, altre pescano nelle acque del East River…fuggiamo dopo pochi minuti diretti al Chrysler Building….il più bel grattacielo Art Decò della città, i cui elementi decorativi si ispirano al mondo automobilistico….un vero gioiello! Passeggiamo ancora un po’ poi rientriamo per una doccia in hotel…ci aspetta una serata particolare! Per rimanere in tema Art Decò, usciamo verso le 19 per raggiungere il “Luxembourg Cafè & Restaurant” sulla 70th Street….Ci accomodiamo in fondo al bancone di zinco dove due sgabelli di vimini sono liberi per noi….piastrelle bianche lucide rivestono lo zoccolo delle pareti formando sobri disegni geometrici, lampade decò rendono speciale l’atmosfera di questo elegante ristorante. Siamo qui per uno spuntino prima dello spettacolo al quale assisteremo questa sera…ostriche fritte e champagne…che meraviglia! Dopo una mezzora di degustazione siamo già in taxi diretti al “Winter Garden” sulla Broadway dove alle 20 andrà in scena il musical “Mamma Mia” ispirato alla musica degli ABBA. I nostri due posti sono nell’ultima fila del mezzanino …da lì possiamo godere del vivacissimo spettacolo a tratti commovente, ma in generale festoso sulle note sempre fantastiche dei capolavori del gruppo svedese. Il clou dello spettacolo è stranamente dopo gli applausi finali…quando il corpo di ballo rientra sul palco in abiti chiaramente anni ’70 con volant e lustrini sui pantaloni attillati e scarpe con zeppa vertiginosa. Cantano e ballano i pezzi più scatenati tra cui “Dancing Queen” e “Mamma Mia”….il pubblico in delirio si alza, le mani battono a tempo di musica, l’atmosfera sempre più incandescente esplode in un applauso finale di gratitudine agli artisti che hanno saputo divertirci per un paio d’ore…eccezionali interpreti dei grandi ABBA. Una volta usciti l’unico desiderio che sento forte è entrare in una discoteca e scatenarmi nelle danze…. oppure prendere un pennello ed una tela e dipingere qualcosa….in fondo il cd “ABBA gold” è la mia colonna sonora preferita quando lavoro immersa nei colori nella mansarda di Forlì. Optiamo invece per due passi tra le strade colorate delle tante insegne illuminate del brulicante Theater District e poi in camera con due sacchetti dei fantastici biscotti “Milano” duble chocolate!

10 Agosto 2008

NEW YORK – MANHEIM

Anche ieri sera un film carino in tv ci ha tenuti svegli fino alle 2 di notte….quindi questa mattina ci siamo svegliati mezzora prima del chek-out…alle 11.30. Ci prepariamo di corsa ed usciamo dal Days Inn e da New York dopo un piccolo errore di strada velocemente risolto. Il progetto di tornare è unanime….io pensavo ad una modesta settimana prima di tornare a Miami l’anno prossimo, ma Vanni sostiene che occorre stare almeno un mese, magari affittando un appartamento. Vedremo. Oggi andremo a vedere un’altra vecchia Toyota Land Cruiser che Vanni ha trovato in vendita su Ebay…è stata di recente riverniciata di rosso ed è comodamente a metà strada tra NY e la casa sulla cascata di F.L. Wright che abbiamo in programma di visitare. Inseguiti da un temporale che non ci dà tregua… con picchi di pioggia, lampi e fulmini da apocalisse, entriamo nello stato della Pennsylvania e raggiungiamo nel primo pomeriggio il piccolo paese di Manheim in pieno territorio amish. Poco prima di raggiungere il paese incontriamo un paio di calessi coperti trainati da cavalli, all’interno sono seduti signori vestiti di scuro, con una lunga barba ed un cappello di paglia sulla testa… molti di loro non usano auto né l’ energia elettrica….ma chiunque abbia visto il film “Il testimone” con Harrison Ford, questo lo sa già…. Quello che non sapevo è che gli amish arrivarono qui in Pennsylvania dalla lontana Svizzera nel settecento perché perseguitati in patria. Conducono la loro vita basandosi sui precetti della bibbia, con estrema semplicità e riservatezza, ma ciò li ha resi paradossalmente estremamente popolari tra i turisti che arrivano numerosi per vederli. Io stessa non resisto dal fotografare i calessi purtroppo mai con vista frontale. Leggiamo sulla guida che alcune fattorie amish affittano camere per i visitatori desiderosi di sperimentare questo stile di vita semplice anche solo per un giorno….noi optiamo per un basic “Country Inn & Suites”, semplice anch’esso ma con energia elettrica…..sarebbe alquanto problematico per me scrivere il diario sul computer con l’energia di una candela!….e poi il nostro obiettivo non sono certo loro, ma la rossa Toyota che ora dobbiamo cercare tra i numerosi parchi macchine dei rivenditori di usato. Maldestramente dopo la visita all’altra Carolina in Vermont avevo cancellato tutte le e-mail Ebay, compresa quella in cui il rivenditore dava le precise indicazioni del luogo dove trovarla…e qui attorno sono migliaia le auto usate parcheggiate nei piazzali, sarà come cercare un ago in un pagliaio in questa immensa area di stoccaggio dell’usato! Mentre stiamo raggiungendo l’hotel, per puro caso con la coda dell’occhio, intravedo del rosso dietro ad un cespuglio, vicino ad un capannone. Chiedo a Vanni di deviare….in fondo la nostra ricerca dovrà pur iniziare prima o poi! Dietro l’edificio ci fermiamo e rimaniamo basiti nel constatare che è proprio lei….che coincidenza….ed a poche centinaia di metri dal nostro hotel! Contempliamo la carrozzeria perfetta, i rivestimenti dei sedili in ottimo stato….certo è a benzina ed ha solo quattro marce, ma è bella di questo colore rosso vivo. L’auto è aperta, quindi Vanni aziona la leva di apertura del cofano per vedere il motore ed a quel punto il verdetto è segnato….- questa non è la nostra macchina, il motore perde olio dalla testa -….che delusione! Per consolarci raggiungiamo sul “sempre più nostro” Jimmy, il paese di Lancaster , un centro un po’ più grande e con un centro storico carino ma che non vale una sosta….almeno non dopo New York. Ceniamo da Mac Donald….siamo proprio dei ragazzini, ma l’ hamburger con patate fritte qui è davvero squisito!

11 Agosto 2008

MANHEIM – OHIOPYLE

Vanni è già uscito quando mi sveglio alle 9.30….immagino sia andato a vedere di nuovo la Toyota rossa…. Quando rientra mi dice che il capo dell’officina presso la quale è parcheggiata arriverà solo alle 12…quindi abbiamo tutto il tempo di prepararci con calma e poi andare a fare un giro sulla “rossa”per vedere se vale la pena fare l’acquisto oppure no. La carrozzeria perfettamente riverniciata sembra essere l’unica cosa ok in questa macchina che va avanti a scatti e non sembra abbastanza affidabile per poter proseguire con lei il nostro viaggio….non se ne fa nulla! Partiamo nel primo pomeriggio diretti alla famosa “Casa sulla cascata” di F.L. Wright a qualche centinaio di chilometri da qui sulla 381. Per non sbagliare compriamo una cartina dettagliata della Pennsylvania e proseguiamo lungo la interstatale 67 West verso Pittsburg . Attraversiamo le verdissime Blue Mountains e poi ci spingiamo a sud verso Fallingwater, la famosa casa progettata da Wright sulla cascata….Seguendo il territorio collinare la raggiungiamo facilmente, visti i numerosi cartelli stradali che ne indicano la direzione, ma le visite terminano alle 16 e noi siamo in ritardo di circa un’ora. Cerchiamo un hotel per la notte, così domani saremo in forma per la visita, ma la ricerca non è semplice….in zona non ci sono poi tante possibilità di sistemazione per la notte. Dopo aver visto un lussuosissimo hotel con Spa, golf ed un sacco di altri confort optiamo per il Yough Plaza Motel, spartano ma più comodo perché molto più vicino all’obiettivo….certo non è il massimo ma ormai siamo abituati a camere non proprio bellissime. Due passi lungo il famoso fiume con rapide che scorre parallelo al paese di Ohiopyle, poi andiamo a cena nell’unico locale possibile, una tavola calda che fa sandwich, insalate e poco altro. Come piatto extra ipertrasgressivo ci spariamo le “onion rings” fritte …..un vero macigno! Poco dopo rientriamo in cella per la notte.

12 Agosto 2008

OHIOPYLE – BALTIMORE

Verso le 10 siamo sull’obiettivo. Nell’ attesa di essere accompagnati nel tour dalla nostra guida che dovrebbe parlare italiano, rimaniamo immersi nel bosco denso di foglie ed umido che ci circonda. Rimaniamo comodamente seduti in una delle panche del bel centro visitatori che gestisce l’attesa con una caffetteria ed un negozio di souvenir e libri, il tutto raccordato da una bella struttura di legno a pianta esagonale. Da quando casa Kaufmann è diventata monumento nazionale nel 2001, le operazioni di restauro e di organizzazione del centro visitatori sono avvenute in modo magistrale e la sensazione di trovarci in prossimità di una grande opera d’arte si percepisce dalla cura dello spazio che la precede. Dopo una bella fetta di torta al limone siamo pronti per iniziare il cammino tra i boschi per raggiungere poco dopo la casa che ci accoglie con i suoi piani chiari marcatamente orizzontali e le sue volumetrie scatolari di pietra a vista. L’acqua scorre sulla roccia a ridosso della struttura il cui aggetto crea l’effetto che l’acqua esca dal basamento della casa stessa. Il rapporto armonico dell’ambiente naturale, costituito dal bosco e dalla piccola cascata, con la casa è evidente in ogni suo angolo. Lo percepiamo percorrendone le stanze interne, o osservandone la volumetria dall’esterno, a valle della cascata, ma anche la semplice osservazione dei suoi prospetti evidenzia la perfezione del rapporto con l’intorno. La matrice progettuale è la stessa delle praerie houses di Chicago, ma la particolarità del contesto fa di questa casa un unicum che l’ha resa così celebre da diventare un capolavoro dell’architettura moderna nonché monumento nazionale! Dopo la visita alla Fallingwater scendiamo ancora sulla 381, poi seguendo le indicazioni raggiungiamo l’altra casa di Wright costruita nel 1953 sul fianco di una lieve collina qui in zona. Si chiama Kentuck Knob ed è attualmente dei signori Colombo che collezionano case d’autore…. ma non solo. La casa è piena di oggetti d’arte che spaziano dagli arredi ( ove reso possibile dai vincoli storici ) alle sculture antiche e moderne, spesso collocate nel grande parco annesso. La nostra guida, un signore di una cinquantina d’anni, è talmente acido nel parlare dei signori Colombo da far supporre a Vanni che sia al suo ultimo giorno di lavoro perché licenziato! Comunque la casa è interessante soprattutto per la distribuzione interna originalissima nel nucleo centrale compreso tra il camino, la cucina rischiarata da un lucernario esagonale, ed il soggiorno…Il tema dell’esagono è ripreso ovunque, nella pianta della casa ed anche nella copertura di legno della tettoia i cui fori lasciano passare fasci di luce esagonali che si evidenziano sul pavimento. Anche in questo caso il tema dell’interazione tra costruito ed ambiente circostante è spinta al massimo attraverso le ampie vetrate sul bosco a valle e l’uso della pietra e del legno come unici materiali visibili dall’esterno. Ci concediamo poi una lunga passeggiata nel parco tra belle sculture d’autore di legno e metallo, cabine del telefono inglesi, una latrina francese di ghisa ed un esercito di guerrieri cinesi bidimensionali e colorati di rosso, quindi recuperiamo Jimmy e partiamo diretti a Baltimore….Lo decidiamo al momento, non avremmo mai pensato di fermarci proprio lì, ma è l’unica città raggiungibile in tempi relativamente brevi partendo a quest’ora tarda del pomeriggio. Dopo un centinaio di chilometri varchiamo il confine dello stato del Maryland , poi verso le 19 entriamo in città, spingendoci nel cuore del centro storico che fino a qualche anno fa, leggiamo, era così degradato da rappresentare un pericolo per chi volesse attraversarlo anche in auto. L’hotel Days Inn è in posizione strategica a pochi isolati dall’ Inner Harbor, porto interno e cuore pulsante della vita cittadina di Baltimore. Gustiamo il panorama al tramonto dalla finestra della camera, poi usciamo e passeggiando lungo il porticciolo attrezzato con bar ristoranti e verde pubblico attrezzato arriviamo al “McCormick & Schmick’s”…la sorpresa per me di questa sera…E’ un ristorante che abbiamo già testato sia a Chicago che a Seattle e Portland e che ci ha dato sempre grandi soddisfazioni per quanto riguarda la qualità del pesce che vi viene squisitamente preparato. Vanni non resiste al richiamo delle King Crab Legs ed io a quello delle Sea Shell Scallops…è .tutto squisito così come l’ottimo Sauvignon bianco della Nuova Zelanda ed il gelato alla cannella che scegliamo per chiudere il banchetto. Deliziati per di più dalle note di un importante concerto rock all’aperto che si diffondono fino al nostro tavolo, trascorriamo una serata meravigliosa immersi nel tepore di questa serata di luna piena e di cielo terso. Rientriamo per una performance di sesso selvaggio e poi crolliamo stremati nei nostri comodi letti.

13 Agosto 2008

BALTIMORE

Del bel tempo di ieri sera non c’è traccia nel cielo nuvoloso di oggi….usciamo senza fretta dopo un paio di lavatrici fatte alla laundry del terzo piano. E’ stranamente caldo nonostante le nuvole che ricoprono gran parte del cielo…il pensiero va a Miami dove saremo tra qualche giorno probabilmente a squagliarci per le alte temperature! La nostra prima tappa del pomeriggio è la Sky View del World Trade Center. Per noi abituati ai top degli edifici più alti del mondo un 27esimo piano è l’equivalente di un mezzanino….ma andrà benissimo per vedere questa città non troppo sviluppata in verticale. Infatti quasi tutto il visibile è sotto di noi, compresa la darsena del porto e tutta l’area pedonale circostante sapientemente attrezzata con verde, percorsi pedonali , ristoranti, bar e negozi. Tra gli edifici di recente edificazione e di un certo pregio architettonico spicca il bellissimo acquario che andremo a vedere in seconda battuta. Bellissimo da questa prospettiva è l’antico edificio di mattoni dell’ex centrale elettrica, ora sede di ristoranti e bar tra cui spicca l’Hard Rock Cafè con la sua inconfondibile chitarra illuminata da neon colorati e fissata su una delle ciminiere della ex centrale. L’acquario, che raggiungiamo poco dopo, si affaccia sulle acque del Patapsco River. E’ caratterizzato da volumetrie essenziali coronate da coperture trasparenti di forma piramidale o tetraedrica. Le coperture vetrate ospitano habitat tropicali rigogliosi di vegetazione e di uccelli variopinti…le raggiungiamo dopo essere sopravvissuti ai sei piani dell’acquario pieni di bambini impazziti ed eccessivamente vocianti e di famigliole indiane con sari variopinti. Ma che soddisfazione vedere le bellissime rane blu, gli alligatori….e le tante specie di pesci piccoli e grandi, colorati e non. Le passerelle inclinate di collegamento ai piani penetrano disordinatamente nel volume libero al centro dell’edificio occupato solo dall’enorme scheletro di una balena….lo spazio è davvero ameno peccato per la folla vociante! Rientriamo in hotel per una doccia ed usciamo subito dopo per la cena. Il richiamo del sushi è forte dopo la squisitezza di quei rolls all’”Asia Khan” di New York, quindi decidiamo di raggiungere l’”Edo Sushi”dove occupiamo un tavolo sulla terrazza che si affaccia sulle acque ormai scure dell’Inner Harbor. La vista sulle coperture illuminate dell’acquario e sulla baia è davvero bella e l’oscurità che sopraggiunge finisce col confondere le idee ….potremmo essere ovunque nel mondo. Le luci si riflettono sfocate sull’acqua piatta e tutto attorno si respira la tranquillità tipica delle città di provincia… la temperatura è perfetta ed i rolls squisiti….non si può sbagliare con il tonno pinna gialla! Terminiamo la serata con una passeggiata sulla banchina dell’harbor, mentre da lontano arrivano le note di un concerto rock…sono proprio festaioli qui a Baltimore!

14 Agosto 2008

BALTIMORE – WASHINGTON

Washington è così vicina, per noi abituati a guadagnarci l’hotel successivo a colpi di centinaia di chilometri, che chiedo a Vanni se ha intenzione di sbagliare strada, così tanto per allungare un po’! Non sbagliamo ma prendiamo tempo entrando in centro città attraverso la New York Avenue ad Est percorrendo così inutilmente tutta la circonvallazione esterna da Ovest ad Est. Tra gli hotel possibili del centro, dei quali leggo sulla guida, il “Rouge” sulla 16th street NW è quello che mi ha colpita di più, quindi quello che raggiungiamo in prima battuta. Che bella sorpresa scoprire la vivace atmosfera della reception, con arredi moderni dominati dal colore rosso, e la simpatica receptionist trendy almeno quanto l’atmosfera dell’hotel! Occuperemo la 915, che di rosso ha la moquette, le altissime testate imbottite dei letti, i paralumi delle lampade da tavolo ed i tendaggi. Rosso è anche il colore dominante delle quattro grandi foto incorniciate in alluminio sulla parete di fronte ai letti, ed un paio di settori del grande puf circolare di velluto damascato posto accanto al tavolino. Internet funziona e in bagno ci sono i prodotti Aveda alla menta…che adoro per quel brividino che ti danno quando scivolano sulla pelle. Insomma tutto è perfetto qui, compreso il piccolo specchio circolare convesso sulla parete di fronte alla finestra e la sensazione di essere in un luogo particolare, progettato per sedurre, e non solo per fare dormire i clienti. Il costo contenuto di 129 $ a notte è una sorpresa ….addirittura più economico del Days Inn….per non parlare del divertente invito al party delle 17 nella hall dell’hotel dove potremo degustare un bicchiere di vino, naturalmente rosso, in compagnia degli altri ospiti. Non è semplice spostare Vanni dal computer quando internet funziona….ne approfitto per rilassarmi sfogliando il libro che trovo qui in camera sulle cose da vedere in città. Quando finalmente usciamo lo vedo parlare con il vallet dell’hotel…sarà lui ad accompagnarci all’indirizzo che Vanni ha segnato su un foglietto…immagino si tratti di andare a vedere un’altra Toyota da comprare, ma in taxista ci fa scendere in una strada centralissima piena di negozi….Vanni per nulla stupito si muove cercando il numero esatto che con mia grande sorpresa corrisponde al negozio della Church’s, le sue scarpe preferite! Entriamo e con nostra grande soddisfazione vediamo esposti anche i modelli a mocassino…è fatta…prova due paia di scarpe uguali ma di diverso colore e le acquista….il commesso si occuperà di smaltire le vecchie che cadono a pezzi. E’ meraviglioso vedere Vanni finalmente contento per aver trovato le sue scarpe predilette che inutilmente avevamo cercato anche in Italia…. il mocassino è un modello che da noi non ha un gran successo. La pioggia ci sorprende all’ uscita del negozio, così prendiamo un taxi al volo e ci dirigiamo verso la “National Gallery of Art” che chiuderà tra un’ora esatta, alle 17. Il monumentale edificio in stile neoclassico realizzato nel 1937 sembra confondersi nel paesaggio quasi monocromo della città….Washington non ci era sembrata stupenda nemmeno al nostro arrivo, quando a bordo di Jimmy avevamo notato il degrado urbano di aree abbastanza centrali….E’ come se questa città non avesse personalità, carattere, ma fosse cresciuta in modo disarmonico attorno all’area rappresentativa del potere politico, i cui edifici realizzati in un anacronistico stile neoclassico, si riassumono nei tre fondamentali… la Casa Bianca, il Lincoln Memorial ed il Capitol. Visitiamo dapprima le sale del piano terra del museo, dove si alternano sculture classiche, disegni pop art ed una piccola sequenza di bellissimi disegni russi dell’inizio dello scorso secolo. Accediamo poi al piano superiore attraverso la bellissima sala circolare coronata da cupola e circondata da una doppia fila di possenti colonne di marmo verde. Al centro dello spazio circolare una fontana di marmo chiaro è evidenziata dai disegni concentrici sul pavimento. L’ ambiente è di grande effetto, ma certo non è il Louvre! I dolori arrivano all’ingresso nelle sale che espongono opere italiane dal XIII al XVII secolo….non mi rassegnerò mai al fatto che il patrimonio artistico Italiano si sia disperso così nel mondo….tanto meno negli USA! Ci aggiriamo nelle stanze osservando attentamente le opere, ma con lo stato d’animo di chi sta facendo l’ inventario del maltolto! Ci sono quadri di Botticelli, Giotto, Lotto e Leonardo da Vinci, per citarne solo alcuni dei più noti….che dispiacere che siano finiti qui, fotografati con il flash dagli onnipresenti turisti giapponesi! Poco dopo le 17 siamo al simpatico foyer dell’hotel per il drink a base di vino rosso, poi dopo aver messo al sicuro in cassaforte un paio delle Church’s di Vanni…è sempre meglio non rischiare con gli oggetti preziosi lasciati in camera…. alle 20 usciamo e ci incamminiamo verso il ristorante etiope di Georgetown , si chiama “Zed’s”, ma per colore e stile sembra la casa bianca degli etiopi!

15 Agosto 2008

WASHINGTON

Che caldo oggi! Il cielo è nuvoloso ma si boccheggia. Da bravi turisti percorriamo l’itinerario classico che prevede la visita alla White House ed al National World War II Memorial , quindi osserviamo da lontano la facciata in stile greco classico del Lincoln Memorial e dopo aver traguardato il Washington Monument, un obelisco altissimo fatto con blocchetti di pietra e circondato da un numero imprecisato di bandiere statunitensi disposte in cerchio, raggiungiamo attraverso i prati spelacchiati della zona più rappresentativa della città, l’NGA Sculpture Garden. Di fronte alle opere di Sol Lewitt, Licktenstein, Mirò, Moore ed altri grandi artisti moderni, recuperiamo tutto il nostro buonumore e continuiamo a girovagare a lungo circondati dai capolavori di grandi maestri dell’arte moderna e contemporanea…. non mancano certo gli Italiani, tra cui i grandi Marino Marini, Arnaldo Pommodoro, Giacometti e Fontana. In questo caso però, circondati come sono da capolavori di altrettanti artisti americani ed internazionali…..suscitano in noi un effetto del tutto diverso rispetto alle opere italiane antiche esposte senza un corrispettivo locale! Teniamo per ultima la visita alla chicca di Washington…..l’East Building della Galleria Nazionale d’Arte, progettata da quel genio dell’architetto I. M. Pei, lo stesso del fantastico Museo Kennedy di Boston. E’ un peccato essere già così stanchi ancor prima di iniziare la visita….ma la fantastica grande scultura di Moore all’ingresso suona come un invito ed entriamo finalmente all’interno dello scrigno spigoloso dove il tema dell’angolo acuto regna sovrano nella composizione progettuale. Che dire…è semplicemente superbo, per la complessità geometrica dell’effetto spaziale, per la luminosità del grande volume interno, e soprattutto per la bellezza delle opere esposte, moderne e contemporanee, statunitensi e non, in un mix di raffinato gusto che ci fa resuscitare. Appesa al grande lucernaio una scultura altrettanto grande di Calder agile e colorata, in ordine sparso sul pavimento del piano terra le fantastiche sculture in materiali naturali di Martin Puryear, un bel bronzo di Max Ernst una scultura di Richard Serra….e tanto altro, al primo piano le favolose opere di Frank Stella, Licktenstein , Matisse, Picasso, Arp….In una sezione del museo non poteva mancare una mostra tematica sull’arte classica dell’Afganistan….depredata dopo i russi anche dagli statunitensi! Mentre dopo qualche ora gustiamo il nostro sushi sulla movimentata 19th St. penso a quanto è bello essere, come noi, cittadini del mondo… poter godere di tanta bellezza, e poter vivere giornate sempre diverse l’una dall’altra, conoscendo persone di diverse culture ed assaggiando i cibi di cuochi sempre diversi….che bella serata! Un breve acquazzone interrompe l’immobilità di questa serata estiva….in taxi raggiungiamo l’hotel.

16 Agosto 2008

WASHINGTON – BRISTOL

La decisione di andare a Nashville deviando dalla direttrice verso Miami arriva quando già a bordo di Jimmy stiamo uscendo da Washington. In fondo Nashville ha un nome che suona bene ed è la patria della musica country….che non ci fa impazzire ma è una delle espressioni musicali del paese che stiamo visitando e quindi, anche solo a scopo “didattico”, andremo a Nashville ad ascoltare cantautori vestiti da cowboy che suonano nei tanti localini della città. Washington in uscita è decisamente migliore che in entrata….non perché fossimo impazienti di scappare da tanta retorica politica, e da troppo stile antica Grecia, ma perché la città vista da sud, mediata dalla vegetazione rigogliosa cresciuta sulle rive del fiume Potomac sembra più interessante. Ci stiamo dirigendo verso le Appalachian Blue Ridge , la catena montuosa le cui ultime propaggini avevamo visto affondare nelle acque dell’Oceano Atlantico sotto forma di ripide scogliere……esattamente un mese fa quando visitavamo la penisola di Gaspesie in Canada. Mentre alla radio il DJ propone i classici della musica pop e rock degli anni ’70, noi ci arrampichiamo canticchiando sui lievi pendii montuosi circondati dai boschi resi ancor più verdi dal bel sole di oggi. Non c’è molto traffico sull’autostrada n° 81 che stiamo percorrendo verso il Tennessee a Sud Ovest, così poco dopo le 17 arriviamo a Bristol che vista l’ora eleggiamo come luogo di sosta per la notte….. il motivo vero però è un altro. Nella ricerca su Ebay Vanni aveva notato una vecchia Toyota Land Cruiser di colore blu scuro in vendita alla concessionaria Toyota di Bristol appunto….osservando la cartina avevo visto il nome cerchiato con penna nera e ne avevo intuito subito il motivo….I know my chicken! Appena appoggiati i trolley in hotel usciamo in missione e individuiamo subito la bella Toyota. La rimiriamo fuori, dentro, sotto e nel motore, poi la proviamo e funziona piuttosto bene anche se la marmitta è rotta e il finestrino del guidatore non sale bene. Il cambio con Jimmy presupporrebbe il pagamento di ulteriori 3.000 $ ma il problema è avere un indirizzo qui negli stati uniti per poter fare l’acquisto ed avere i documenti in regola. Insomma non se ne fa nulla….se anche trovassimo qualcuno disposto a prestarci il suo indirizzo….chi se la sente di viaggiare fuori dagli Stati Uniti con un’auto targata USA? ….troppo rischioso, meglio una pacifica targa Labrador New Foundland! Il richiamo di Mc Donald è forte questa sera e così cediamo alla tentazione del take away sparandoci un hamburger con patate fritte avvolti dalla temperatura polare del locale.

17 Agosto 2008

BRISTOL – NASHVILLE

Affrontiamo la strada che ci separa da Nashville a suon di musica. E’ un piacere ascoltare la radio qui! Negli USA la buona musica non manca…e nemmeno a Nashville dove siamo diretti, essendo la patria della musica country nonché sede di importanti concerti anche rock e pop. Immersi nelle note scendiamo dalle Appalachian Blue Ridge e dopo aver attraversato il grande Plateau, un altopiano ricco di vegetazione, arriviamo all’hotel “Holiday Inn Express” della caldissima Nashville. L’hotel è confortevole ed in posizione strategica….si affaccia sulla Broadway in pieno centro città, o “The District” come viene chiamato qui. Dalla finestra della nostra camera dell’ottavo piano vediamo i pochi alti edifici recenti, cresciuti qua e là tra il basso tessuto edilizio della città storica che si è sviluppata sulla sponda del Cumberland River. I vecchi magazzini vittoriani, sono più oltre, con le caratteristiche facciate di mattoni e ghisa lavorata in disegni a rilievo. Servivano a smistare il cotone tra l’Alabama, il Missouri ed i porti del nord est del paese, ma ora li vediamo allineati sulla 2nd street, tutti ben restaurati ed invitanti. Ospitano ristoranti e localini dai quali già a questa ora del pomeriggio esce musica a tutto volume. Le insegne pubblicitarie dei locali sono il manifesto più eloquente della natura della città e della sua musica….stivali e cappelli da cowboy tridimensionali stanno accanto alle scritte al neon colorato, statue di Elvis Presley e Merilyn Monroe a grandezza naturale inneggiano al divismo statunitense, una enorme chitarra è dipinta sulla parete di ingresso dell’immancabile Hard Rock Cafè dove ci fermiamo per un drink musicale. Non mancano certo i negozi di souvenir qui a Neshville! Propongono quanto di più kitch il mercato possa produrre…il tema dominante è sempre quello musicale, ma non mancano i negozi che vendono abbigliamento da cowboy. Camicie, cinture e stivali…tutti esageratamente pacchiani, sono proposti nei colori e nei materiali più improbabili…non ultimo un finto coccodrillo esageratamente a rilievo. Si respira un’atmosfera di grande divertimento e spensieratezza qui in città ed il desiderio di un po’ di musica dal vivo nasce immediatamente passeggiando per le poche strade “musicali”del District. Ci soffermiamo ad osservare un paio di edifici di recente costruzione e di una certa enfasi architettonica, sono il “Country Music Hall of Fame Museum” la cui facciata sembra la tastiera di un pianoforte flessa in un movimento ad onda, ed il “Gaylord Entertainement Center” che con una bella torretta high teck e la copertura ellittica flessa sui due lati corti, ricorda un bel cappello da signora. Un paio di calessi trainati da cavalli trasportano turisti per le vie del centro…. alcune facciate sobrie ma dai colori accesi risaltano sul profilo tutto in mattoni della Broadway… il sole sta scomparendo e le luci delle insegne spiccano sempre più in evidenza, invitanti. Improvvisamente, mentre sto scattando qualche foto, perdo Vanni. Non mi muovo per un po’, penso sia entrato da qualche parte e che presto tornerà, ma di Vanni nemmeno una traccia. Entro nei locali vicini dove già le band iniziano a suonare, ma non lo vedo. Nemmeno in camera in hotel c’è traccia di lui. Torno fuori e ricomincio la ricerca dal punto nel quale è sparito….ispeziono tre locali ed al quarto lo trovo. E’ da “Robert’s”, tranquillamente seduto ad un tavolo. Sta mangiando un piatto di Buffalo Wings….le sue preferite….mentre ascolta la country music che la band sta suonando. Lo raggiungo, mi siedo accanto a lui e sottovoce lo infamo! Dice di avermi cercata nei tre locali che la cameriera dell’Hard Rock Cafè ci aveva consigliato per la musica dal vivo…pensava mi fossi allontanata per fare foto…alla fine l’appetito ha avuto ragione e finalmente dopo avermi aspettata quasi un’ora ha ordinato le sue ali di pollo. La band, composta da chitarra, batteria e contrabbasso interpreta magistralmente brani di musica country con qualche punta rock. Ci divertiamo molto, ci agitiamo a ritmo di musica sul nostro sofà, ci baciamo sotto lo sguardo di disappunto di una coppia di puritani, compriamo il cd della band che suona per le sole mance, e beviamo Jack Daniel’s….impossibile non farlo, la distilleria è a 20 miglia da qui! Una volta in camera ci amiamo a lungo fino ad addormentarci stanchi nei nostri letti.

18 Agosto 2008

NASHVILLE – MERIDIEN

Sono dispiaciuta di non aver un regalino per Vanni, ma non me la sentivo di proporgli un paio di stivali da cowboy ora che ha ai piedi le sue amate Church’s, né il portacenere con l’immagine di Elvis….e la statuina di legno, africana, che vendono nel negozio all’angolo, andremo a comprarla in africa…non certo a Nashville! Auguri auguri….il viaggio verso New Orleans procede tra le telefonate di parenti ed amici e gli sms ai quali rispondo sotto dettatura mentre lui guida….all’occorrenza mi trasformo nella sua segretaria! Ma non è solo il suo telefono a squillare….Chiara mi telefona da New York dove è con Rita dal 14 agosto…ha acquistato il volo interno per New Orleans dove ci raggiungerà il 21 alle 9.45 del mattino. Che bella notizia….Chiara è la prima amica che viene a trovarci mentre siamo in viaggio… la voglia di abbracciarla è tantissima! Vanni le concede di arrivare con un bagaglio big size, anche se su Jimmy il posto disponibile per i bagagli non è poi molto pieni come siamo dei souvenir che giacevano dimenticati su Carolina….chissà come rimarrà sbalordita quando le racconteremo dell’incidente che per il momento è top secret. Preferiamo raccontare l’accaduto accompagnandolo con un buon drink, un sorriso sulle labbra e la nostra rassicurante presenza! Le tante ore di auto oggi stranamente non pesano….sarà per la bella autostrada che stiamo percorrendo verso sud, immersa nella rigogliosa vegetazione dell’Alabama, o per il gioco che ci siamo inventati un po’ di tempo fa…dello sceriffo che immaginiamo sempre in agguato ad aspettarci, nascosto tra l’erba alta, a bordo strada. Insomma dopo un paio di acquazzoni arriviamo verso le 17 a Meridien, un puntino sulla carta stradale che non andremo neppure a vedere. Troviamo una camera fumatori nel Motel “Super8”, più carina rispetto allo standard, ed andiamo a cena nel sushi, aperto da poco, indicatoci dal receptionist quasi cieco. Il ristorante si chiama “Sake Sushi” ed è ricavato all’interno di un capannone della nuova zona commerciale. Mangiamo bene come sempre… sul tavolo arrivano sushi delux per Vanni e squisiti rolls per me….quelli al tonno yellow tail rimangono i miei preferiti! Dimenticavo di annotare che entrando nello stato di Missouri, nei pressi di Meridien, abbiamo lasciato lo stato dell’Alabama, chissà se ancora infestato dei membri del Ku Klux Klan. Patria di Martin Luter King l’Alabama è stato il teatro della discriminazione razziale più feroce….tanto che alle persone di colore è stato concesso il diritto di voto solo nel 1965, in seguito a rivolte da parte della popolazione nera soffocate spesso nel sangue. Sempre in Alabama, prima del 1965, i cittadini di colore che si trovassero a viaggiare su mezzi pubblici, dovevano per legge cedere il loro posto a sedere ai bianchi!…ma la cosa più incredibile è che nonostante la popolazione nera del capoluogo superi da tempo il 65%, il primo sindaco di colore è stato eletto solo nel 2003! Entrare in Missouri….”più disteso e civile”, è stato per noi come respirare una boccata di aria pulita!

19 Agosto 2008

MERIDIEN – NEW ORLEANS

Mi sveglio con il ricordo vivissimo di un sogno….ambientato nell’800. “Facevo colazione mangiando mandarini, arance e degli ottimi muffin al cioccolato, mentre mia madre, vestita in abiti d’epoca, decisamente giovane ed affascinante non riusciva a capacitarsi del fatto che avessero potuto arrestare me e Vanni per detenzione di marijuana. Mi ritrovo ancora qualche foglia verdissima nella borsetta….sono di colore verde scuro e così fresche da sembrare finte…afferro le foglioline per gettarle da qualche parte”. Sarà per questo che questa mattina sono più rincoglionita del solito? Siamo ancora on the road sulla interstatale 59 diretti a sud, circondati dalla vegetazione rigogliosa e rilassante che ci accompagna fin da Nashville. La cosa divertente del nostro viaggiare di oggi sono i mezzi con carico speciale over size che incrociamo lungo la strada…stanno trasportando case di legno prefabbricate complete di tutto, dal tetto alle grondaie ai vetri alle finestre….sarà per i lavori di ricostruzione di New Orleans distrutta nell’agosto 2005 dall’uragano Cathrina? Certo è buffo, per noi che non siamo abituati, vedere case muoversi alla velocità di 70 miglia all’ora lungo un’autostrada!
Il maltempo arriva quando siamo nei pressi del confine con lo stato della Louisiana, qualche decina di chilometri prima di New Orleans….Il cielo grigissimo crea un’ atmosfera tetra, quasi serale, poi alle 14.30 inizia a cadere una pioggia furibonda che quasi ci impedisce di vedere dove stiamo andando. Un incidente crea un piccolo rallentamento del traffico, ma la pioggia non accenna a diminuire….non so come faremo a vedere la strada da seguire in città per raggiungere il nostro hotel nel vecchio quartiere francese! Poco dopo una leggera schiarita ci salva dal perderci ed arriviamo così all’”Hotel S.te Marie” in Toulouse Street. La facciata è segnata da una serie di balconate leggere raccordate da elementi orizzontali e verticali di ferro lavorato a piccoli disegni floreali o geometrici. Molte delle case del quartiere francese, dove siamo, presentano questa stessa scansione di facciata…è piuttosto piacevole e vagamente coloniale ed anche i colori giocano un ruolo importante nella connotazione del quartiere che risulta così piuttosto vivace. Occupiamo la nostra camera con affaccio interno su una piccola corte con piscina, non è molto luminosa ma è grande, accogliente e internet funziona! Nonostante la pioggia usciamo alla scoperta del quartiere quasi interamente ricostruito in seguito al disastro del 2005. Percorriamo Toulouse Street verso sud, fino a raggiungere la sponda del fiume Mississippi , poi entriamo in una piccola galleria commerciale per cercare un ombrello più grande. Non lo troviamo ma vediamo una serie di persone comodamente distese su grandi poltrone reclinabili ed alcuni cinesi che massaggiano loro i piedi….dopo pochi minuti siamo anche noi stesi su quelle stesse poltrone in attesa del nostro massaggio di riflessologia plantare al quale segue poi un massaggio alla schiena che loro chiamano chair, ovvero sedia. Per eseguirlo ci fanno accomodare su un sedile ergonomico con la testa affondata in un appoggio circolare e le ginocchia appoggiate su un altro cuscino. Così sbilanciati in avanti, sentiamo sulla schiena la pressione dei loro gomiti, le mani, gli avambracci….esce qualche urletto di dolore, ma alla fine usciamo rilassati e rimessi a nuovo. Percorriamo alcune strade nei pressi dell’hotel, affollate di turisti, come la Bourbon o la stessa Toulose. E’ come essere al luna park, per via della cacofonia musicale sparata a tutto volume dai numerosi locali lungo la strada…… ma non c’è ancora nessuno a suonare dal vivo. I negozi esibiscono insegne al neon colorato e vendono souvenir di dubbio gusto ….dopo Nashville anche qui! Mi sforzo di immaginare come fosse questo famoso quartiere prima del disastro, il fascino che dovevano avere i molti edifici di legno, i locali di musica Jazz e le persone che la suonavano….ora la musica dal vivo spazia dal rock al country al jazz, ma è tutto troppo finto…non c’è atmosfera….e la concorrenza tra i locali amplifica i volumi sulla strada in modo allucinante. Ma poi la troviamo…la magica atmosfera di questa Big Easy, la “grande disinvolta”, com’è soprannominata la città. Poco dopo aver bevuto un aperitivo a suon di jazz in uno di questi locali troppo ritoccati di Decatur Street decidiamo di chiedere a Jason, il garzone dell’hotel, dove andare a recuperare un po’ dell’atmosfera della New Orleans di un tempo…. la risposta è Frenchmen Street! Andiamo a piedi anche se la strada da raggiungere non è poi così vicina e New Orleans vanta il triste primato di città con un alto tasso di criminalità violenta…..Protetti dalla folla dei passanti arriviamo a Frenchmen St. ed iniziamo a risalirla in cerca di musica…..ma nulla, i locali ci sono ma non si sente nemmeno una nota…..al contrario di quelli attorno all’hotel, qui la musica viene suonata nei retro, nei soppalchi, con discrezione e la giusta atmosfera. Entriamo allo “Snug Harbor”, nella cui saletta sul retro una band di 5 strumenti ed una cantante di colore, i “The Next Generation” ci regalano un bel concerto e con esso una piacevole serata…peccato che nella saletta del concerto si potessero mangiare solo gli antipasti…..Quando usciamo vediamo il localino sull’altro lato della strada…è un amore, sembra la scenografia di un film degli anni ’30, comprensivo di vecchi sofà tutti diversi tra loro, un bancone di legno segnatissimo e polvere…. il trombettista esce in strada e rientra suonando il suo strumento, gli altri musicisti piuttosto anziani, lo assecondano….insomma un concerto davvero easy!

20 Agosto 2008

NEW ORLEANS

Le prove generali per raggiungere l’aeroporto finiscono col diventare una giornata intera in auto ad esplorare il delta del Mississippi, e con esso le zone fortemente colpite dall’uragano dove ancora vediamo case diroccate, accampamenti di roulotte o ancora rettangoli di terra  scura al centro dei  prati di pertinenza. Questa zona del grande delta  è tra le più pescose della Louisiana,  ne vediamo le specialità pubblicizzate nei cartelli di vendita delle pescherie….sono le ostriche il pezzo forte della laguna di New Orleans…ma anche i gamberi ed i Soft Shell Crabs dei quali Vanni è golosissimo. Il paesaggio pianeggiante non ci consente di ammirare suggestive prospettive, ma è divertente aggirarsi tra le distese di terreno paludoso, completamente coperto dalla vegetazione bassa….persino nei canali sulla cui superficie  una patina di colore verde acido denuncia la presenza di minuscole foglioline. Tra il verde dominante spiccano i lunghi colli degli ibis bianchi, sempre a caccia di molluschi da mangiare e qui così numerosi da segnare come pois l’ampia vallata. Ci fermiamo un attimo nel piccolo paese di “Shell Beach” il cui nome ci aveva illusi della presenza di  una  spiaggia ora inesistente… forse spazzata via anch’essa, cancellata dall’uragano…Le case sono quasi tutte prefabbricate e poste su altissime palafitte di legno, lunghe rampe inclinate le collegano al giardino….o le classiche comode rampe di scale. Andiamo ancora avanti, fino al cul de sac della strada che finisce. Una grande croce metallica conficcata oltre la riva, nelle acque scure della laguna, ed una lapide,  sono a commemorare i caduti dell’uragano Katrina. Non c’è quasi nulla a “Shell Beach” e quel poco che vediamo è funzionale alla pesca ed alla conservazione del prodotto ….la produzione di ghiaccio sintetico sembra, dopo la pesca, l’attività più praticata. Alcuni pescherecci sono ormeggiati lungo i canali, piccoli motoscafi sono appesi sotto le palafitte abitative….davvero un mondo a parte questo della palude. Lungo la strada del rientro in città  attraversiamo il Mississippi a bordo di un traghetto mentre una grande nave cinese di un fantastico colore rosso slavato risale il fiume e chiatte trainate da rimorchiatori procedono lente nelle due direzioni. Nota dolente dell’area del delta le molte raffinerie di greggio che si sa non sono mai così belle da vedere….ma siamo negli Usa e dopo aver visto la Pipe line che taglia in due l’Alaska devastandone il fantastico paesaggio…ci aspettiamo di tutto, nel nome del dio petrolio! Il quartiere periferico di Chalmette, che attraversiamo avvicinandoci al quartiere francese, ci colpisce per la bellezza delle casette di legno…. tutti pezzi unici in un puzzle di colori e forme, nelle varianti con colonnato prospiciente, timpano e tutto quanto si possa immaginare esserci nel prospetto di una casetta di legno. Bellissimo! Ceniamo nel ristorante italiano, da Carmelo, in Decatour Street….dopo Ottawa è la prima volta che sentiamo il desiderio di recuperare in un piatto di fantastici spaghetti i sapori del lontano mediterraneo…. sono talmente buoni che non siamo affatto pentiti della scelta….bravo Carmelo!

21 Agosto 2008

NEW ORLEANS

Ci svegliamo presto e arriviamo puntuali in aeroporto dove finalmente, dopo più di due mesi, alle 9.50 abbraccio Chiara! E’ in forma smagliante, abbronzata, piena di energia, ma porta con se un valigione rosso che a Vanni fa un certo effetto. Non la smettiamo più di raccontarci le cose successe negli ultimi tempi e mai condivise …il suo soggiorno a New York, il Biavati, Daniela, Sandra…..ed anch’io ho il mio bel da dire. Vanni travolto da tante chiacchiere si eclissa e trova mille scuse per lasciarci sole….una delle quali il reperimento di una bilancia per pesare le due statue. Anche a Chiara New Orleans piace, così ci perdiamo durante la nostra libera uscita, tra le stradine del quartiere francese, ammirandone le belle case decorate come trine dagli elementi metallici verticali ed orizzontali che ne ornano i terrazzi ed i colori a volte accesi nelle tonalità del rosa o del mattone. Atterriamo stanche per il caldo e per la levataccia presto di oggi, in uno dei bar più famosi del centro, il “Cafè du Monde” dove ci rilassiamo con una bella colazione a base di spremuta d’arancia ed i tipici beignets, che sono dei dolcetti fritti. Finalmente trovo i Ray Ban da sole da regalare a Vanni poi torniamo in hotel per un po’ di aria condizionata con doccia e riposino. In compagnia di Vanni, che finalmente si concede, visitiamo il famoso French Market. Che delusione ….è nuovo fiammante e lontano dall’essere il cuore pulsante del commercio della città. Pieno di bancarelle di souvenir, trovo qualcosa da acquistare….una sorta di piccolo drago di legno dipinto a mano, fatto in Messico…sul genere dell’ippogrifo che avevo già comprato tempo fa … ma nella nazione giusta! Ci fermiamo per l’ aperitivo in un localino sulla Decatur Street con jazz live ed ostriche…fresche per Vanni e Chiara, gratinate con purea di spinaci, o con polpa di granchio per me…una squisitezza! Poco dopo è già ora di mostrare a Chiara la mitica Frenchmen Street, la culla del vero jazz di New Orleans….arriviamo al tramonto e ceniamo allo “Snug Harbor” con un piatto di grossi gamberi in salsa Creola al pomodoro e per vanni la zuppa Cajun con spezie, pollo, gamberi ed un sughetto marroncino piuttosto piccante. Va da se che rimaniamo per il concerto spostandoci sul retro….alle 20 in punto la cantante Jacqui Naylor inizia ad esibirsi accompagnata dalla sua band. Il concerto che segue è entusiasmante, la sua voce meravigliosa interpreta in modo del tutto personale canzoni Jazz e Pop….persino i Pink Floyd ed un brano dei Rem, e di Peter Gabriel….seratona! Compriamo il cd autografato, prenotiamo i biglietti per il concerto di Ellis Marsalis di domani sera e ci spostiamo allo “Spotted Cat” il baretto meraviglioso qui di fronte dove suona un gruppo eterogeneo che sembra già stanco ancor prima di iniziare il tour de force che li vedrà protagonisti della serata fino alle due di notte…dopo un paio di brani usciamo, il locale è strepitoso, con le sue sedie scompagnate, le pareti marroni di fumo ed il pavimento appiccicoso, ma la band non ci convince e siamo stanchi.

22 Agosto 2008

NEW ORLEANS

Ci prepariamo con molta calma…ed usciamo solo verso le 11 ma senza il nostro cavaliere che non vede l’ora di poter stare qualche ora indisturbato su internet. Acquistiamo alla Unique Grocery store il day pass che ci consentirà di raggiungere in tram il Garden District, famoso in città perché sede delle prestigiose residenze signorili dell’800 e ‘900. Il tram è proprio old stile…con interni in legno ed una serie di finestrini scorrevoli verso l’alto, tutti aperti nelle diverse altezze. E’ quasi vuoto, forse per il caldo intenso del mezzogiorno, ma si sta così bene con quest’arietta che circola ovunque! Scendiamo e senza una cartina di riferimento ci incamminiamo lungo Washington Street come indicatoci dall’autista. Arriviamo ad un bell’edificio di legno piuttosto ampio, intravediamo una caffetteria con bowindows sul giardino ed entriamo a chiedere informazioni. Conquistate dalla bella atmosfera ci sediamo per una seconda colazione a base di tè, granatina al caffé ed un panino equamente diviso….ma poi scatta la curiosità per gli oggetti esposti tutti piuttosto interessanti. Finiamo con l’acquistare una teiera giapponese a forma di armadio in miniatura ed una tazza a disegni geometrici colorati. Accanto alla caffetteria e collegata ad essa da una scaletta c’è una piccola galleria di negozi tra cui una libreria dove acquistiamo l’opuscolo del Garden District con tanto di planimetria di riferimento che indica gli edifici storici da non perdere e li descrive attraverso schizzi ed appunti. E’ perfetto…abbiamo tutto il necessario per iniziare il nostro giro di ispezione. Io sono l’addetta alle foto, Chiara studia il libretto e traduce le caratteristiche principali degli edifici, talvolta incantevoli, del quartiere. Procediamo lente sull’itinerario indicato, cercando via via l’ombra di qualche albero per sfuggire ad un mancamento certo…..il caldo umido ci distrugge, ma la curiosità di vedere ci restituisce l’energia per proseguire. Ci torna in mente un tour analogo fatto una ventina di anni fa quando, appena laureate e sempre con il supporto di un libretto, inseguivamo le architetture della “Scuola di Amsterdam”….certo allora eravamo in bicicletta e con una temperatura decisamente diversa! Gli edifici in stile neoclassico si alternano a quelli in stile greco con colonnati possenti sul fronte, ma ci sono anche i nostri preferiti, quelli con la facciata segnata dalle balconate in ferro lavorato a disegni sempre diversi….così spagnoleggianti e cosi belli! Il quartiere è piuttosto piacevole non solo per le ville di fine ‘800 che lo caratterizzano, ma anche per la tranquillità e l’ombra dei grandi alberi che segnano i bordi delle strade non trafficate. Il tour termina al cimitero del quale gli abitanti di New Orleans vanno fieri….in una nazione dove le sepolture sono rigorosamente ipogee, un cimitero disseminato di cappelle funerarie è cosa rara e piuttosto pittoresca, considerando la ricercatezza delle architetture in miniatura nei vari stili….insomma anche quest’ultima tappa non ci delude ed anzi ci sembra la degna conclusione del nostro faticoso giro. Per recuperare le forze torniamo alla caffetteria per bere qualcosa di fresco, poi in tram ancora verso il quartiere francese ed infine l’hotel per una bella doccia ed una sano riposino. Alle 18.30 siamo al ristorante “ Horinoya” per la cena…è stata una bella sorpresa scoprire che anche Chiara adora il sushi e così siamo andati nel migliore della città, almeno a giudicare dalla guida….Ed in effetti i nostri sushi e rolls sono ottimi. Poco dopo le 19 siamo allo “Snug Harbor”….un po’ in anticipo per poter trovare un tavolo libero in occasione del concerto del mitico Ellis Marsalis, uno dei padri fondatori del jazz moderno…insomma una vera star! Alla batteria il figlio bravissimo accompagna il padre al piano, un contrabbasso e lo xilofono…ma mancano i fiati e per quanto Marsalis sia un asso del Jazz, questo concerto, ascoltato nell’ambiente caldissimo dello Snug, finisce col non farci impazzire. Di fronte invece, allo “Spotted Cat” l’atmosfera è rovente….un gruppo di trombe e tromboni intonano brani di jazz sudamericano, il pubblico si muove nell’esiguo spazio del baretto…è uno spasso… ma anche questa sera finiamo col non fermarci. Domani mattina la sveglia suonerà alle 8.30.

22 Agosto 2008

NEW ORLEANS

Ci prepariamo con molta calma…ed usciamo solo verso le 11 ma senza il nostro cavaliere che non vede l’ora di poter stare qualche ora indisturbato su internet. Acquistiamo alla Unique Grocery store il day pass che ci consentirà di raggiungere in tram il Garden District, famoso in città perché sede delle prestigiose residenze signorili dell’800 e ‘900. Il tram è proprio old stile…con interni in legno ed una serie di finestrini scorrevoli verso l’alto, tutti aperti nelle diverse altezze. E’ quasi vuoto, forse per il caldo intenso del mezzogiorno, ma si sta così bene con quest’arietta che circola ovunque! Scendiamo e senza una cartina di riferimento ci incamminiamo lungo Washington Street come indicatoci dall’autista. Arriviamo ad un bell’edificio di legno piuttosto ampio, intravediamo una caffetteria con bowindows sul giardino ed entriamo a chiedere informazioni. Conquistate dalla bella atmosfera ci sediamo per una seconda colazione a base di tè, granatina al caffé ed un panino equamente diviso….ma poi scatta la curiosità per gli oggetti esposti tutti piuttosto interessanti. Finiamo con l’acquistare una teiera giapponese a forma di armadio in miniatura ed una tazza a disegni geometrici colorati. Accanto alla caffetteria e collegata ad essa da una scaletta c’è una piccola galleria di negozi tra cui una libreria dove acquistiamo l’opuscolo del Garden District con tanto di planimetria di riferimento che indica gli edifici storici da non perdere e li descrive attraverso schizzi ed appunti. E’ perfetto…abbiamo tutto il necessario per iniziare il nostro giro di ispezione. Io sono l’addetta alle foto, Chiara studia il libretto e traduce le caratteristiche principali degli edifici, talvolta incantevoli, del quartiere. Procediamo lente sull’itinerario indicato, cercando via via l’ombra di qualche albero per sfuggire ad un mancamento certo…..il caldo umido ci distrugge, ma la curiosità di vedere ci restituisce l’energia per proseguire. Ci torna in mente un tour analogo fatto una ventina di anni fa quando, appena laureate e sempre con il supporto di un libretto, inseguivamo le architetture della “Scuola di Amsterdam”….certo allora eravamo in bicicletta e con una temperatura decisamente diversa! Gli edifici in stile neoclassico si alternano a quelli in stile greco con colonnati possenti sul fronte, ma ci sono anche i nostri preferiti, quelli con la facciata segnata dalle balconate in ferro lavorato a disegni sempre diversi….così spagnoleggianti e cosi belli! Il quartiere è piuttosto piacevole non solo per le ville di fine ‘800 che lo caratterizzano, ma anche per la tranquillità e l’ombra dei grandi alberi che segnano i bordi delle strade non trafficate. Il tour termina al cimitero del quale gli abitanti di New Orleans vanno fieri….in una nazione dove le sepolture sono rigorosamente ipogee, un cimitero disseminato di cappelle funerarie è cosa rara e piuttosto pittoresca, considerando la ricercatezza delle architetture in miniatura nei vari stili….insomma anche quest’ultima tappa non ci delude ed anzi ci sembra la degna conclusione del nostro faticoso giro. Per recuperare le forze torniamo alla caffetteria per bere qualcosa di fresco, poi in tram ancora verso il quartiere francese ed infine l’hotel per una bella doccia ed una sano riposino. Alle 18.30 siamo al ristorante “ Horinoya” per la cena…è stata una bella sorpresa scoprire che anche Chiara adora il sushi e così siamo andati nel migliore della città, almeno a giudicare dalla guida….Ed in effetti i nostri sushi e rolls sono ottimi. Poco dopo le 19 siamo allo “Snug Harbor”….un po’ in anticipo per poter trovare un tavolo libero in occasione del concerto del mitico Ellis Marsalis, uno dei padri fondatori del jazz moderno…insomma una vera star! Alla batteria il figlio bravissimo accompagna il padre al piano, un contrabbasso e lo xilofono…ma mancano i fiati e per quanto Marsalis sia un asso del Jazz, questo concerto, ascoltato nell’ambiente caldissimo dello Snug, finisce col non farci impazzire. Di fronte invece, allo “Spotted Cat” l’atmosfera è rovente….un gruppo di trombe e tromboni intonano brani di jazz sudamericano, il pubblico si muove nell’esiguo spazio del baretto…è uno spasso… ma anche questa sera finiamo col non fermarci. Domani mattina la sveglia suonerà alle 8.30.

23 Agosto 2008

NEW ORLEANS – TALLAHASSEE

Jimmy ci fa uno scherzetto….dopo un primo accenno di accensione si spegne e non riparte, la lancetta della benzina segna che il serbatoio è vuoto. Avendo fatto il pieno poco prima di arrivare in hotel due giorni fa….scatta il sospetto, che diventa presto una certezza, che qualcuno abbia vuotato il serbatoio! Un paio di vallet vanno gentilmente a prendere un gallone di benzina, ma Jimmy ancora non ne vuole sapere….solo con l’ausilio dei morsetti il rombo del motore si fa sentire e partiamo…ormai sono le 10 passate, il serbatoio è pieno e la batteria da cambiare. Il secondo problema di oggi è evitare Fay….la tempesta tropicale che ha già messo in ginocchio la Florida e che ora avanza verso New Orleans….si sta spostando seguendo la strada che dovremo fare noi per raggiungere Miami ….Se non cambieremo la nostra rotta ce lo troveremo di fronte! Vento ad 80 km/h e pioggia battente….non vorremmo proprio ritrovarci là in mezzo, quindi decidiamo di deviare verso nord e di seguire una strada parallela all’autostrada 10 che avremmo dovuto percorrere. Piove anche sul percorso alternativo, ma almeno il vento non soffia così forte. Procediamo tra le campagne allagate di pioggia, attraversiamo qualche centro abitato, attraversiamo gli stati di Mississippi, Alabama, Giorgia, mangiamo molte patatine fritte, biscotti e pop-corn poi finalmente arriviamo, dopo 10 ore di auto, a Tallahassee, la capitale della Florida. Dormiamo in un motel “Super 8” very chip e mangiamo degli ottimi filetti alla “Marie Steak house”, a due passi dal motel Comfort Inn ed a poche centinaia di metri dal nostro hotel. Continua a piovere a dirotto….che tempaccio!

24 Agosto 2008

TALLAHASSEE – MIAMI

Lasciamo la camera squallida e sporca del “Motel Super 8” per tornare a bordo di Jimmy…tutti e tre appassionatamente. Il tempo non è poi così migliorato, ma che dire…siamo in auto ed anche oggi ci aspettano un bel po’ di chilometri….nuvole o sole non fa poi tanta differenza. A metà strada ci concediamo una sosta al “Kennedy Space Center” di Cape Canaveral, la base aerospaziale della NASA statunitense. Vanni ci teneva molto ed anche Chiara, pur di ammorbidire il suo insopportabile capo con un gadget acquistato proprio qui, accetta di andare. Arriviamo nel primo pomeriggio già provati per i 450 km già percorsi, tra una sigaretta e l’altra, una chiacchiera ed un biscotto. La sosta alla base è una buona occasione per sgranchirci le gambe e, immersi in un caldo opprimente, divertirci un po’ nel vedere quanto gli statunitensi ce la vogliano raccontare circa le loro presunte escursioni sul nostro satellite Luna. Il centro è molto finto, ma questo non stupisce….entriamo dapprima nel padiglione che racconta della storia della scoperta del firmamento, con interessanti video di galassie e nebulose e missioni aerospaziali. Chiara e Vanni si divertono ad inserire il loro “passaporto dell’astronauta” in apposite macchinette disseminate lungo il percorso museale che stampano immagini ad inchiostro negli spazi rettangolari bianchi…escono contenti con il passaporto completo dei sette timbri stellari! Un pullman in partenza dal centro visitatori alle 3.30 ci accompagna al centro aerospaziale vero e proprio, là dove si assemblano gli shuttle e soprattutto dove vengono effettuati i lanci verso lo spazio….ma non entriamo mai davvero in contatto con l’essenza delle cose, ciò che ci viene mostrato è un filmato del lancio dell’apollo XI, proiettato in una grande sala arredata esattamente come lo era la sala di controllo nel 1967…..per rendere più emozionante la visione del filmato sono stati impiegati una serie di effetti speciali tra cui il tremolio dei vetri alle nostre spalle. Da quella sala una fila di transenne parallele spingono noi ed il resto del pubblico, in un ampio capannone interamente occupato dalla ricostruzione di un missile Jemini bello e possente …non mancano i negozi di gadget, la pizzeria, il bar e tutto quanto possa servire…Dalle vetrate del gigantesco capannone nel quale siamo, vediamo le due rampe di lancio, lontanissime….mi sono sembrate l’unica cosa autentica di tutto il tour. Alle 5.30 siamo di nuovo in viaggio verso Miami dove solo verso le 9 raggiungiamo il nostro “Sixty Sixty Resort” sulla Indian Creek Ave di Miami Beach. Le nostre camere sono piuttosto carine, e con terrazzo. Dietro i grattacieli intravediamo la spiaggia ed il mare, ad una cinquantina di metri da noi…. ma ci rendiamo subito conto di essere troppo lontani dal centro di Miami beach….e questo non ci piace affatto….è scomodo e non è trendy! Ceniamo benissimo in un pub poco lontano dall’hotel, da Norman’s. Sul grande schermo vediamo le belle immagini di chiusura delle Olimpiadi mentre affamati divoriamo le nostre insalate.

25 Agosto 2008

MIAMI

Alle 10 Chiara è già in fibrillazione, telefona alla nostra stanza, poi rassegnata esce per un giro di perlustrazione delle spiagge vicine…noi come sempre ce la prendiamo con molta calma e verso mezzogiorno ci ritroviamo per andare con Jimmy nel cuore pulsante di Miami Beach. Costeggiamo l’Indian Creek sul quale vediamo affacciarsi belle ville con motoscafo annesso, poi raggiungiamo la punta della penisola sulla Collins Avenue che ci colpisce per la bellezza degli edifici decò che vi si affacciano, colorati nelle tinte pastello ed articolati in svolazzanti pensiline e fieri frontoni geometrici. E’ così easy lo stile di questi edifici…..sembra la versione da spiaggia del prezioso decò europeo e newyorkese….come se geometrici castelli di sabbia si fossero materializzati lungo le strade di Miami Beach…. a due o tre piani, i prospetti ben disegnati ed i colori tenui degli elementi decorativi su campo bianco….bellissimi e divertenti, questi edifici contribuiscono a vivacizzare l’atmosfera già festosa e divertente di questa località di mare nella quale anche noi stiamo per immergerci. Parcheggiamo Jimmy, poi ci dividiamo i compiti….io e Chiara siamo addette alla ricerca di un hotel, questa volta in posizione strategica, per i prossimi giorni. Vanni va a cercare una bilancia da comprare per pesare il nostro bagaglio prima dell’imbarco…le due statue questa volta verranno con noi in Italia. In realtà io e Chiara ci perdiamo ad osservare i vari baretti e ristorantini che a quest’ora sfoggiano piatti carichi di pesce ed insalate, e non vediamo nemmeno un hotel sulla strada che in assoluto ne contiene di più al mondo….Vanni non trova la bilancia, ma trova l’”Hotel Ocean”, con una bella camera spaziosa che da domani condivideremo in tre e ad un prezzo piuttosto basso rispetto alla qualità del servizio. Io e Chiara, dopo la spedizione “andata a vuoto”, ripieghiamo nella vicinissima spiaggia dove per consolarci occupiamo un ombrellone e due lettini….poi facciamo un meraviglioso bagno nell’acqua verde e calda in attesa di Vanni che ci raggiunge con la bella notizia dell’hotel…..perfetto! Trascorriamo il pomeriggio tra bagni e sole sulla sabbia chiara e non troppo affollata di Miami….stiamo benissimo! Anche la spiaggia non è priva di oggetti architettonici divertenti…sono i punti di osservazione dei bagnini….rialzati su piccole palafitte rispetto alla sabbia, colorati e dalle volumetrie interessanti. Ne vediamo qualcuno nei pressi e naturalmente lo fotografiamo…..sono così originali! Verso le 18 Vanni torna a bordo di Jimmy nel lontano Hotel Sixty Sixty mentre io e Chiara ci fermiamo per un aperitivo in un bel localino su Ocean Drive ….Il mio gigantesco Mojito finisce con l’ubriacarmi…..ed anche Chiara mi aiuta nell’operazione….raggiungiamo, mezze brille, Vanni in hotel, poi dopo esserci riprese andiamo a cena nel ristorante sotto l’hotel Ocean …..così tanto per prendere confidenza con il luogo nel quale soggiorneremo per qualche giorno. E’ l’”Hostaria Romana”….con tovaglie a scacchi bianche e rosse, musica dal vivo rigorosamente italiana, una sorta di vecchio colonnato classico sul fondo e finti salami appesi alla tettoia. I camerieri parlano italiano….anzi romanesco e come loro la maggior parte dei clienti tra cui ecco apparire una stella del varietà…è Lopez, del trio Solenghi Marchesini. Mangiamo l’ottimo Red Snapper al forno e zuppa di mare ….bellissima serata ed atmosfera piacevolissima.

26 Agosto 2008

MIAMI

E’ il giorno del trasloco all’hotel Ocean, ma io e Vanni come sempre tergiversiamo fino alle 11 passate, mentre Chiara ha intanto raggiunto in autobus la spiaggia di fronte al nuovo hotel. Verso mezzogiorno tutte le valigie, compresa la big size rossa di Chiara sono nella nostra spaziosa 204 dell’hotel Ocean, la cui finestra affaccia sul patio a ferro di cavallo pieno dei tavolini del ristorante romano….la musica non manca…. entrano dalla finestra ermeticamente sigillata le note di orecchiabili canzoni italiane…anche molto datate, spesso napoletane… La camera è così grande che anche con la branda aggiunta per Chiara la sensazione di spazio rimane….è abbellita da un mobile a vetrinetta decò, da cornici bianche tra le pareti ed il soffitto, il pavimento di legno scuro e due tv a schermo piatto che potremmo far funzionare in stereo. Il nostro enorme letto appoggia su uno zoccolo più ampio che lascia scoperto uno scalino tutto attorno. Sulla testata di pelle trapuntata di colore avorio una serie di quattro quadretti orribili fa scendere leggermente il livello estetico della camera…..ma siamo proprio contenti di essere qui! Raggiungiamo Chiara in spiaggia, poi dopo un bel bagno decidiamo di andare insieme alla scoperta di altre zone famose di Miami beach….per esempio la Lincoln Rd dove a parte qualche edificio decò di pregio, sembra di essere in una strada commerciale di Rimini…. per via dell’atmosfera un po’ triste che vi si respira. Sopra di noi incombe il cielo plumbeo che ci costringe ad accelerare il passo…..rientriamo contente del poco shopping e dei begli edifici immortalati in un reportage fotografico da rivista di architettura….Ceniamo in un Sushi Bar delizioso al 1208 di Washington ave…si chiama Toni’s e mangiamo benissimo. Esordiamo con una insalata di avocado, tonno ed una salsina speziata, per poi continuare con le famose sea scallops con asparagi stufati ed il solito buonissimo sushi e rolls. Rientriamo in camera soddisfatti ad ascoltare, nostro malgrado fino a mezzanotte, la musica che il ristorante di sotto ci propina.

27 Agosto 2008

MIAMI

Seguiamo tutti direzioni diverse questa mattina…Chiara è in spiaggia a coltivare la sua tintarella, io esco a fare un ripassino delle architetture decò del quartiere, Vanni, contento della bilancia acquistata finalmente ieri sera, è in garage a pesare i nostri bagagli. Il caldo è soffocante anche oggi, quindi dopo la passeggiata sotto il sole ed un bel frullato di frutta con granita raggiungo Chiara sotto l’ ombrellone. La spiaggia è sempre piacevolmente ventilata e l’ombra abbatte la temperatura di diversi gradi….insomma stiamo benissimo in compagnia delle nostre chiacchiere e dei colori vivi delle postazioni dei bagnini, che come tanti piccoli capolavori di design punteggiano la spiaggia a distanza regolare. La sfumatura verde chiaro del mare in prossimità della battigia rende poi il quadro irresistibile….ma la nostra indole esplorativa ci spinge ad abbandonare il paradiso per andare in missione. La curiosità insaziabile rivolta all’ architettura decò ed il richiamo forte della spiaggia e del sole,  hanno finora circoscritto il nostro raggio d’azione alla sola Miami Beach….ma oltre la laguna sono tante le cose da esplorare, così raggiungiamo Vanni in hotel verso le 15 e poco dopo partiamo tutti insieme in missione a bordo del sempre più cigolante Jimmy.  Per raggiungere il centro città di Miami attraversiamo la laguna sulla panoramica Venetian Cosway, una strada che unisce le quattro piccole isole che occupano la parte sud della Biscayne Bay collegandole alla terraferma. Il tema veneziano ricorre anche nei nomi delle  isolette piene di vegetazione e di lussuosissime ville che vediamo passando…. I giardini delle ville  affacciano sull’acqua blu della baia e terminano con un piccolo pontile ed un adeguato motoscafo ormeggiato….è piacevolissimo vedere quanto certe persone riescano a spendere bene il loro denaro! Le isolette immerse nella laguna sembrano piccoli condensati di paradiso…..dotati di ogni possibile comfort e soprattutto della massima tranquillità. Alzando gli occhi  ed osservando davanti a noi ecco emergere all’orizzonte la bella skyline della downtown con i suoi svettanti grattacieli già visti sulle riviste di architettura di qualche anno fa….belli anch’essi e ricchi di scelte progettuali piuttosto divertenti….io e Chiara ne siamo conquistate ma passiamo oltre….Il nostro obiettivo non è questo bensì Villa Vizcaya….una favolosa villa del secondo decennio dello scorso secolo  fatta costruire in stile rinascimentale italiano da James Deering, un facoltoso uomo d’affari americano. Si affaccia sulla laguna ed è immersa in un incantevole giardino all’italiana curato e perfettamente progettato….se il Giardino dei Boboli di Firenze fosse così bello saremmo fortunati! Di fronte alla villa, è immersa nelle acque della baia, una incredibile chiatta di pietra ingentilita di sculture a tutto tondo e ad altorilievo….il tema veneziano viene ripreso nei ponticelli e  nei caratteristici pali a strisce colorate immersi nell’acqua che inquadrano i lontani grattacieli di South Beach. Dopo l’idilliaca passeggiata nel giardino all’italiana tra l’incredibile varietà di orchidee, le scalinate, i giardini segreti, le vasche d’acqua e le aiuole disegnate in modo da sottolineare la vista prospettica sulla villa…ci ritroviamo tutti e tre nei pressi dello shop  vicino all’uscita….sono già le 5 passate e la villa ha già chiuso i battenti. Una breve sosta all’Hotel Four Seasons ad ammirare le due famose sculture di Botero che ritraggono Adamo ed Eva con qualche chilo di troppo…e siamo di nuovo ad attraversare la laguna tra le tante isole abitate di questa città visceralmente legata al mare. La serata di oggi ci riserva una sorpresa annunciata. Qualche giorno fa una mail di Catia e Paolo ci informava della presenza a Miami di un loro amico di Ravenna ora cittadino del mondo ma stanziale a Miami da un paio di anni…..naturalmente io e Chiara iniziamo a fare qualche fantasia su Brando…chissà come sarà? Chiara già teme una serataccia perché è lui a proporsi per la scelta del ristorante e si sa…Chiara è piuttosto esigente e non vorrebbe uscire dal nucleo Vip di Miami Beach! Arrivati all’altezza della 89° St. entriamo al Condominio “Rimini  Beach” dove Brando ci sta aspettando affacciato al terrazzo del terzo piano….saliamo e rimaniamo piacevolmente sorpresi dalla squisita ospitalità  e dalla simpatia di Brando che non è nemmeno un brutto ragazzo. Dopo un brindisi e due chiacchiere ci avviamo in taxi al ristorante prescelto…è una steak house argentina il cui nome divertente rende giustizia alla qualità del cibo e del locale…”Las Vacas Gordas” ( 933 Normandy Drive), ovvero “le vacche grasse”, ci delizia con succulente salsicce e filetti, ottimo vino rosso ed un dolce talmente buono da commuoverci….il pan dulce flambè che la simpatica cameriera paraguaiana infiamma sul nostro tavolo. Sediamo all’esterno, sui tavolini che danno sulla piazza con palme ed obelisco, ma anche l’interno del ristorante ha un suo carattere. Felici dell’ottima scelta di Pierpaolo  e della vivace serata rientriamo tardi in hotel che però raggiungiamo in taxi, lasciando Jimmy nel parcheggio di Pierpaolo…meglio non rischiare di incorrere in un controllo della polizia!

28 Agosto 2008

MIAMI

Dormiamo poco ed alle 9.20 partiamo in taxi verso l’aeroporto….il volo per New York di Chiara partirà solo dopo mezzogiorno, ma il check-in con i bagagli al limite del peso consentito giustificano un certo anticipo…non si può mai sapere! Infatti poco dopo siamo tutti e tre davanti alle due valigie aperte per trasferire qualche peso da una parte all’altra….sono diventati così fiscali! Chiara è stata gentile a farsi carico di una parte del nostro bagaglio…qualche grosso libro e vecchie guide di paesi già visitati viaggeranno con lei fino a Bologna nel trolley di Vanni….un bel sollievo per noi che dovremo viaggiare con le due statue colombiane ed i pezzi meccanici recuperati da Carolina! Torniamo in hotel talmente distrutti dalle poche ore di sonno che Vanni crolla di nuovo sul letto ed io raggiungo il più vicino beauty center per un manicure e pedicure che mi rilassano al massimo. Una visita alla downtown di Miami ed a Little Havana, che però non ha nulla di bello da mostrarci, e siamo di nuovo in hotel, come due fantasmi vaganti…. Rinunciamo a raggiungere Brando per la cena per la quale ripieghiamo invece alla sottostante Hostaria Romana. La serata scorre tra un piatto di spaghetti troppo al dente ed una passeggiata su Ocean Drive ad ammirare i begli edifici decò illuminati a tinte forti. Rientriamo ancora presto nel caldo umido della camera senza aria condizionata…non funziona più e l’hotel non dispone di tecnici in grado di intervenire fino a domani mattina…sob….il mio bucato a mano non si asciugherà mai!

29 Agosto 2008

MIAMI

Dopo il recupero di questa notte siamo pronti per una ulteriore missione esplorativa della downtown di Miami…ci dà un certo piacere attraversare la laguna tra Miami Beach e Miami, per la bella skyline che ogni volta ci si propone e per le isolette residenziali sulle quali non ci stanchiamo di osservare le belle ville con giardino e pontile. Il primo obiettivo è quello di raggiungere il bellissimo edificio che fu del narcotrafficante colombiano Pablo Escobar …è così bello che sembra appena scivolato dalle pagine patinate di una rivista di architettura. Una delle caratteristiche dell’edificio è un’asola rettangolare vuota ritagliata al centro del parallelepipedo specchiato…contiene una palma ed una scala a chiocciola rossa. Adoro questo edificio! Scatto qualche foto sotto la pioggia di questa giornata più variabile del solito e poi proseguiamo verso Nord….visto il clima abbiamo deciso di visitare il MOCA, il museo di arte contemporanea di Miami. Attraversiamo aree suburbane nelle quali gli edifici rarefatti sembrano negare l’ idea di città….luoghi un po’ deprimenti e di nessun interesse…quello che stupisce è perché abbiano scelto un luogo così periferico come sede di un museo! La mostra dedicata all’arte che si esprime circa il fenomeno musicale, non ci fa impazzire…se non una installazione di pannelli che variamente sospesi in una stanza proiettano le immagini di musicisti alle prese con strani strumenti musicali , accompagnati da una cacofonia di suoni che trovo piacevolissima. Un bagno in spiaggia ed è quasi l’ora di raggiungere Brando per un tramonto sulla baia con aperitivo….ma il cielo nuvoloso ci fa cambiare programma ed è di Brando l’idea di andare all’Harbor Shops Mall, il centro commerciale più esclusivo di Miami Beach dove la griffe meno esclusiva è Cartier! Esordiamo con un salto da Hermes, dove Vanni si innamora di un originalissimo backgammon di cuoio che si chiude a rotolo, e di un piatto da portata da 2.500 $…..continuiamo il gioco della ricerca del backgammon più prezioso che il mercato locale possa offrire, entrando da Louis Vuitton, dove il pezzo costa la bellezza di 14.000 $….una follia! …ancora qualche vetrina poi si va a cena. Dopo il bel localino propostoci l’altra sera ci affidiamo sereni alla scelta di Pierpaolo che infatti si rivela ancora una volta strepitosa….…. un paio di cameriere cubane carine e sorridenti ci invitano ad accomodarci al tavolo del “Ristorante Fifi’s, al 6934 di Collins Ave. L’ambiente è arredato in modo semplice ma piacevole, pochi tavoli, colori sobri, luci perfette…. poco dopo ci spostiamo in uno stretto corridoio adiacente alla cucina per scegliere tra le aragoste ed i pesci quelli dai nomi impronunciabili che mangeremo…Gli antipasti invece saranno la nostra sorpresa …. Pierpaolo ne ordina di tre tipi, uno più squisito dell’altro… cominciamo con un Ceviche di gamberi e tonno, proseguiamo poi con una Tempura di gamberi condita con una meravigliosa salsa a base di maionese leggera addizionata con un goccio di salsa di soia, poi le meravigliose Sea scallops con funghi e salsa, la stessa leggerissima della tempura. Siamo conquistati dal cibo meraviglioso e dalla cortesia delle cameriere bellocce e veloci….ed anche il conto di circa 100 $ a testa ci sembra equo data la qualità del cibo…. il dolce è offerto dalla casa! Lasciamo Pierpaolo al suo venerdì sera da single salutandolo appena fuori dal ristorante….con un taxi raggiungiamo l’Hotel Ocean ormai familiare come casa, poi dopo le nostre coccole inseriamo i tappi e crolliamo a dormire.

30 Agosto 2008

MIAMI – KEY WEST

Lasciamo definitivamente la camera dell’Ocean appena in tempo sul check-out delle 11….mi dispiace lasciare questo hotel, confortevole ed in posizione strategica, ma l’obiettivo delle Lower Keys giustifica qualsiasi dipartita. Sono le isole più a sud degli Stati Uniti …tanti piccoli atolli tutti allineati a formare un ampio arco immerso nel mare verde smeraldo del golfo del Messico. Raggiungiamo in un’oretta la prima isola, Key Largo e con essa la strada che collega gli atolli più grandi con lunghi ponti fino a Key West, l’isola più estrema, che dista poco più di 100 km da Cuba. Intanto il tempo è peggiorato fino ad oscurare il cielo….anche se lontano l’uragano Gustav sparge maltempo in un raggio di centinaia di chilometri e noi gli stiamo praticamente andando incontro. La pioggia finisce col nascondere la strada e noi rallentiamo fino quasi a fermarci….non è certo il clima ideale per raggiungere le isole, ma la nostra indole di nomadi ci spingeva a lasciare Miami, ad ogni costo, per esplorare nuovi territori…Dunque éccoci qua…circondati da un paesaggio meraviglioso che però non riusciamo quasi a scorgere, con la pioggia battente lanciata a raffiche dal vento forte che nasconde ogni cosa. Verso Key West un notevole miglioramento ci consente finalmente di ammirare il colore del mare verde chiaro e la vegetazione rigogliosa di palme e mangrovie….poi il centro abitato della città vecchia sulle cui strade, parzialmente inondate dall’acqua del mare e da quella piovana, si affacciano tra gli alberi le belle casette di legno colorate o bianche, con porticato o lisce, scrostate dal tempo o perfettamente tenute. La strada topica ci rendiamo subito essere la Duval, per il numero di persone che vi circolano nonostante il maltempo e per i localini i negozi e le gallerie che ne occupano i piani terra. E’ davvero invitante questo piccolo centro storico così cerchiamo un hotel nei pressi….Considerando che la spiaggia, invasa dalle onde, oggi è improponibile, non ci resta che fare qualche passeggiata….. non c’è poi molto da fare qui. Troviamo una camera graziosa al “Southernmost Hotel” (www.southernmostresorts.com) che in bassa stagione si propone al costo di 110 $ contro i 400 $ dell’alta stagione invernale! Una follia se rapportata allo standard dell’hotel. Usciamo subito….armati di ombrello e di tanta curiosità esploriamo la Duval Ave passeggiando tra le persone fradice, che senza ombrello procedono senza fretta, e tra gli ombrelli di quelle meno temerarie. E’ così amena questa strada stretta, segnata dalle palme e dal carattere così caraibico ….alcuni bei negozi e numerose gallerie d’arte rendono interessante la passeggiata e le casette di legno diverse l’una dall’altra sono estremamente scenografiche. Passeggiamo trattenendo a fatica l’ombrello, ma un ulteriore miglioramento ci consente di procedere liberi dallo scomodo riparo e di soffermarci con più calma sui colori invitanti delle vetrine….A forza di vedere gente con la bottiglia di birra in mano viene sete anche a noi …così ci fermiamo per l’aperitivo in un piccolo bar ad angolo addossato sul lato di un edificio. E’ coperto da una tettoia ed ha pochi sgabelli, quasi tutti occupati, attorno al bancone.. Una signora con i capelli raccolti in una coda di cavallo e dall’aria fricchettona ci serve un Margarita ed una birra….poi cedo ancora incuriosita da un cocktail al pompelmo rosa buonissimo…a questo punto occorre aggiungere al menu qualcosa di solido. La pizzeria al taglio nell’angolo qui di fianco è comodissima e la sua pizza leggera e squisita. Rientriamo definitivamente in hotel felici ed un po’ umidi.

31 Agosto 2008

KEY WEST – MIAMI

Il cielo è migliorato oggi, il sole esce a tratti tra le nuvole bianche ma il vento che soffia fortissimo piega le palme e rende impraticabile la spiaggia dove più che la sabbia, inzuppata d’acqua, vola l’acqua salata del mare in burrasca….le strade sulla costa sono sempre più allagate e noi decidiamo di tornare a Miami allontanandoci dall’uragano Gustav quanto più possibile. Percorrendo a ritroso la strada di ieri, riusciamo a godere del bel paesaggio. Il colore del mare, acceso dal sole nelle sfumature del verde e dell’azzurro, i piccoli atolli coperti di mangrovie, un faro dal colore indefinibile, i pontili affollati di pescatori e le casette sulle isole, immerse nella vegetazione e circondate dalle barche…sono un piccolo paradiso queste Keys! Ci fermiamo sul mare di Islamorada, dove al Raw bar assaggiamo un’insalata con tonno mantecato davvero buona per quanto indigeribile. La mia voglia di vedere qualche pesce colorato non tramonta nemmeno di fronte al mare in burrasca e così mi informo presso l’ “Holiday Isle dive shop” che organizza immersioni e snorkeling….ma nulla da fare…il mare agitato ha reso torbida l’acqua e inutile qualsiasi escursione in mare finalizzata all’osservazione dei pesci. Arriviamo a Miami dopo un giro di ricognizione al desk Lufthansa in aeroporto…. dal quale usciamo con la notizia, fresca di giornata, dell’aumento del sovrapprezzo da 50 a 150 $, per la spedizione della statua di 31 kg…. poco male….Quasi a compensare arriva subito dopo la buona notizia di Pierpaolo, sentito nel frattempo, che ci conferma la disponibilità di un appartamento vista mare tutto per noi all’undicesimo piano del “Rimini Beach”, il palazzo dove abita lui a Surfside….lo occuperemo per una settimana al costo contenuto di 450 $. .che meraviglia….non capita spesso di sentirsi come a casa a Miami! La sorpresa non proprio bella arriva dopo, quando una volta entrati constatiamo che l’appartamento è da pulire. Brando gentilmente ci aiuta passando l’aspirapolvere sul tappeto del soggiorno con angolo cottura…io intanto pulisco bagno e antibagno mentre Vanni mette sul letto le lenzuola pulite gentilmente offerte da Pierpaolo, unitamente a qualche asciugamano e tutto il kit necessario per la pulizia della casa, aspirapolvere compreso. Inizia per me l’emergenza pulizia….detesto trovarmi nella sporcizia di sconosciuti e tutti i miei sforzi sono ora dedicati a rendere confortevole questo appartamento spoglio e sporco ma con una bellissima vista sul mare, vicinissimo, qui su un lato e la laguna disseminata di isole dall’altra….più oltre i grattacieli della downtown sono resi sfuocati dalla distanza. La comodità di avere la spiaggia a dieci metri dal portone del “Rimini Beach” ci ripagherà presto del sacrificio delle pulizie di casa che non possono prescindere da una pulitina sommaria alla grande porta finestra del soggiorno resa opaca dalla salsedine….perchè perdere la bella vista? Pian piano prendiamo possesso degli spazi mentre al notiziario in tv apprendiamo dell’evaquazione della nostra amata New Orleans sulla quale domani mattina dovrebbe abbattersi la furia dell’uragano Gustav. Ne siamo davvero dispiaciuti! Nella conquista dei vari angoli della casa arriva per ultima quella del divano d’angolo che dopo un paio di lavatrici riusciamo a ricoprire di lenzuola pulite…..la casa è nostra ora ed io mi sento finalmente libera di appoggiarmi ovunque. Usciamo a cena con Pierpaolo, che ci ha praticamente adottati, ed una coppia come ce ne sono tante qui….sono due ragazzi sui trent’anni, gay e da poco sposati a Boston….sono tenerissimi ed io contenta che qualche stato nel mondo consenta loro di coronare con il matrimonio l’ amore tra persone dello stesso sesso. Nonostante la sua borsettina Louis Vuitton, Russel guida come un pilota di formula 1 la sua mercedes coupé mentre Jack al suo fianco lo guarda con occhi sognanti…scorgere l’amore nello sguardo di qualcuno è sempre bello al di là del sesso. Ceniamo al ristorante “Adriana” al 9477 di Harding Ave, vicinissimo allo sciccosissimo Bal Harbor Mall dell’altro giorno. All’interno ci accoglie l’atmosfera vagamente sofisticata dei ristoranti alla moda con un menu che spazia dai piatti di cucina internazionale a quelli con contaminazioni peruviane. Non male. Rientriamo al “Rimini Beach” in tarda serata, alla velocità degna di un circuito.

01 Settembre 2008

MIAMI

L’operazione di rifornimento di dolcetti, carta igienica frutta e fiori avviene nel supermercato a due passi dal ristorante di ieri sera….il lungo bancone gastronomia fa impennare la nostra salivazione ma stoicamente passiamo oltre, verso il più sano reparto frutta e verdura dove ci riforniamo dei frutti più prelibati per le nostre colazioni. Facciamo una buona scorta di dolcetti e due mazzi di bellissimi fiori gialli che finiranno immersi nel contenitore di plastica ripulito del detersivo Tide. L’appartamento non è più lo stesso con questa esplosione di gialli e la frutta sparsa sulla penisola della cucina. Tergiversiamo ancora un po’ in casa poi scendiamo già in costume da bagno per raggiungere la spiaggia …che comodità! Il vento forte solleva le numerose vele colorate dei Kay surf, appesi alle quali impavidi surfisti sembrano volare sulle onde….pochi ombrelloni aperti e pochi bagnanti….ci tuffiamo nelle acque piacevolmente tiepide dell’atlantico per un bagno ristoratore, poi stesi sulla sabbia ascoltiamo il piacere di essere qui. Pierpaolo ci prepara una cena squisita nel suo appartamento che profuma di incenso ….rigatoni al ragù , carne alla griglia e verdure. Poi ci perdiamo tra le note dei brani rock più belli del suo I Pod che ballicchiamo o semplicemente ascoltiamo tra una chiacchiera e l’altra…trascorriamo una. bellissima serata casalinga che ci voleva proprio dopo quasi tre mesi ininterrotti di ristoranti .

02 Settembre 2008

MIAMI

Riscopro finalmente il piacere di una colazione ricca di frutta fresca mentre Vanni sembra aver riscoperto il piacere della spiaggia e di qualche breve bagnetto tra le onde verde smeraldo di questo incantevole mare….oggi la spiaggia è deserta, giriamo le spalle agli alti edifici sulla costa e ci concentriamo sulle fregate che passano volando in piccoli gruppi ed i piccioni che si mescolano ai numerosi gabbiani . Non c’è nient’altro che questo, ed una protuberanza di grattacieli lontani verso nord. Un po’ di sana lettura e rientriamo paonazzi, il sole qui scotta da morire ed anche la protezione 50 non mi consente di rimanere al sole per più di un’oretta alla volta….per poi tornare nell’aria fresca del nostro appartamento aria-condizionato. Oggi, con qualche giorno di anticipo, inizia il lungo rituale della preparazione dei bagagli di cui Vanni va pazzo….con la bilancia sempre a portata di mano depone sul tappeto le valigie sedimentate nel bagagliaio di Jimmy, le apre, ed inizia a sperimentare tutti gli incastri possibili per trasportare in Italia la maggior quantità di cose che rientrino nei 4 colli da 23 kg consentiti e i due bagagli a mano che però devono pesare meno di 8 kg. Sembra facile solo perché chi legge non ha idea della mole di oggetti che si sono stratificati nel tempo su Carolina prima e su Jimmy poi. A complicare ulteriormente le cose ci sono i pezzi di ricambio che Vanni ha tolto da Carolina per poter riparare Gazelle in Africa….che consistono in un semiasse della lunghezza di 120 cm e altri due ingranaggi che pesano complessivamente 16 kg….per non parlare delle grandi pigne di sequoia e della corteccia di betulla che numerosi cartelli vietavano di raccogliere dal “Sequoia National Park” e che noi invece vorremmo addirittura portare con noi in Italia. Nella peggiore delle ipotesi penseranno che gli ingranaggi dell’auto siano parti di bombe, che le due statue colombiane siano pezzi d’antiquariato o falsi pieni di cocaina e che le pigne siano effettivamente quelle che non si potevano raccogliere nel parco….quindi torneremo con i soli bagagli a mano! Ma se andrà bene potremo arricchire la nostra collezione di “oggetti dal mondo” con alcuni pezzi piuttosto belli. Dopo un paio d’ore di gioco con le valigie usciamo per un “tramonto sulla laguna” con Pierpaolo, una sua collega californiana di ritorno dalle Bahamas e la sua famiglia. Io, che nel frattempo ho avuto uno dei miei soliti attacchi, mi sento a pezzi e per nulla in vena di socializzare in inglese con questa coppia ed i loro due figli già grandini, inoltre una maldestra posizione a tavola mi vede lontana sia da Vanni che da Pierpaolo con i quali avrei almeno potuto scambiare due parole in italiano….Insomma a parte il bel tramonto abbozzato di colori rossicci che vediamo uscire dall’orizzonte nuvoloso, e la bellezza del luogo, una grande capanna aperta su uno dei canali della laguna nei pressi di Hollywood, la serata trascorre per me all’insegna della totale chiusura nei confronti degli altri. Mentre mangio i miei rolls giapponesi e bevo il mio mojito ostentando il mio silenzio… gli altri si divertono a chiacchierare di politica americana e di altro. Che noia di serata per me….poi finalmente verso le 10 torniamo a casa per un dolcetto e due coccole.

03 Settembre 2008

MIAMI

Oggi scendo in spiaggia armata di pinne e maschera per cimentarmi in una nuotata seria tra le onde dell’Atlantico. La corrente è forte e le onde tendono a buttarmi sulla battigia, ma riesco a nuotare per un centinaio di metri ed a tornare alla postazione di Vanni che intanto si lancia in qualche flessione e piegamenti per rimanere in forma. Anche oggi siamo pressoché soli di fronte all’incredibile colore verde del mare ondoso ed è fantastica la leggera brezza che ci solleva in parte del calore del sole. Vanni legge un libro in spagnolo che gli ha prestato Pierpaolo, è la storia di Pablo Escobar, il narcotrafficante colombiano, raccontata da Virginia Vallejo che lo ha amato per molto tempo…..da comprare! Rientriamo per una doccia poi usciamo di nuovo. Vanni si ferma dal barbiere per un servizio completo di capelli, barba, manicure e pedicure, mentre io lo aspetto bevendo un drink e mangiando un Tiraditos di pesce crudo da Adriana, il ristorante sulla Harding dell’altra sera. Insieme andiamo al vicino negozio Hermès per l’acquisto del profumo preferito da Brando ed un paio di foulard coloratissimi per le nostre madri. Stremati dall’incompetenza dei commessi usciamo dopo una mezzora con i nostri pacchettini arancioni…ma il servosterzo di Jimmy non funziona e non riusciamo ad uscire dal parcheggio. Rientriamo in taxi e subito ci intrufoliamo nell’appartamento di Pierpaolo per dargli il meritato regalo…. ne è entusiasta, ma non noi che vediamo uscire dal pacchetto un astuccio d’acciaio, che non avevamo chiesto, contenente l’essenza del profumo che gli piace, anziché l’eau de parfum che pensavamo di aver acquistato….che imbranati quei due commessi! Vanni inviperito vorrebbe tornare indietro a cambiarlo….ma poi lasciamo perdere ed accettiamo di buongrado l’invito a cena di Pierpaolo. Intanto la tv mostra che un paio di uragani si stanno incrociando su Miami….si chiamano Hanna ed Ike ….và a finire che saremo evacuati anche noi! Raggiungo Vanni e Pierpaolo scendendo qualche piano in ascensore, stiro un paio di camicie di Vanni sul simpatico asse da stiro che Pierpaolo dice a ragione essere quello di Barbie, poi assaggiamo i tagliolini immersi nel brodo squisito che ha preparato lui….proseguiamo la serata in salotto tra chiacchiere e barzellette….. quello che percepisco è che Pierpaolo non si vuole abbastanza bene.

04 Settembre 2008

MIAMI

Mi sveglia un ticchettio insistente alla porta che sento nonostante i tappi….è Vanni che rientra dalla missione Jimmy, poi esce immediatamente per cercare di convincere un meccanico ad andare con lui a sostituire la cinghia che si era rotta ieri…..mi racconterà poi che quel piccolo pezzetto di plastica gestisce oltre al servo sterzo, anche il generatore, il condizionatore, la ventola dell’aria e la pompa dell’acqua….considerando che per me il funzionamento di un ‘automobile rappresenta ancora un mistero inspiegabile, sapere che questa piccola cinghia gestisce tante funzioni ha l’aria di un piccolo miracolo. Contenta di sapere che siamo ancora auto muniti mi dedico alla preparazione dell’insalata di frutta arricchita con un Activia alla vaniglia….una squisitezza! Andiamo in spiaggia nonostante il cielo nuvoloso. La temperatura è perfetta e solo un kai surf spiega la sua mezzaluna colorata al vento che certo oggi non manca. Assistiamo ai voli acrobatici del ragazzo appeso alla sua vela, mentre i granelli di sabbia ci levigano la pelle. Qualche esercizio di addominali poi rientriamo. Per la cena raggiungiamo Pierpaolo poco dopo le 7 proponendogli il sushi da Toni’s a South Beach dove avevamo mangiato benissimo, ma cediamo subito di fronte alla sua controproposta di andare in un sushi più vicino verso il quale ci avviamo a bordo di Jimmy. Siamo nella piazza triangolare con palme ed obelisco dall’aria molto sudamericana della nostra prima sera insieme….proprio di fronte al ristorante “Las Vacas Gordas” che ci aveva deliziato del suo churrasco. Entriamo nel piccolo ambiente scuro del “RK – Katana Japanese Restaurant ”, al 920 di questa piazza senza nome….forse si tratta sempre della 71 street. All’interno l’attenzione cade immediatamente sull’unica cosa illuminata…. un banco piastrellato di forma ovale attorno al quale sono seduti i clienti. La cosa incredibilmente originale di questo posto è il sistema di esposizione dei piatti che scorrono non su un classico rullo, bensì su barchette di legno trasportate dal flusso d’acqua del piccolo canaletto largo circa 25 cm e rialzato di circa quaranta sopra il piano dove si mangia. Il meccanismo è semplice ed invitante….all’altezza degli occhi dei commensali seduti sfilano le barchette che trasportano piattini di diversi colori recanti gli stuzzicanti assaggi di cibo giapponese. Al volo si afferra il piattino, lo si appoggia sul banco e se ne mangia il contenuto. Ad ogni colore è associato un prezzo, il conto è la somma dei colori. Ma che bel gioco! Usciamo pieni come otri dopo aver accatastato un buon numero di piattini davanti a noi…..che sistema geniale! Si potrebbe esportare anche a Venezia, mettendo il cibo su piccole gondole, o ovunque nel mondo e con qualsiasi tipo di cibo freddo. La sosta da Pierpaolo nel dopo cena è diventata un nostro piccolo rito…ci accomodiamo sul divano ed osserviamo sbalorditi il discorso di McCain di fronte ai suoi sostenitori. A parte la scarsa capacità dialettica che si evince nel suo discorso vuoto di contenuti e di programmi, quindi estremamente retorico, la cosa che ci colpisce è l’atmosfera da terzo Raight che incalza con il fluire delle parole. Fatta di cori inneggianti – USA USA USA -, mentre lui aizza il pubblico urlando – combattere combattere combattere!- se solo riuscissero ad osservarsi così come lo stiamo facendo noi, impietriti di fronte a tanta vuota aggressività. Cosa potrà mai fare un presidente ex militare dell’esercito statunitense, un uomo che fu prigioniero per anni dei vietkong….quindi traumatizzato ed incattivito, se non spargere per il mondo ancora guerre e violenza….se vincerà lui questo sarà come un quinto mandato Bush. Per gli USA, già in piena crisi, non ci saranno speranze di crescita né di cambiamento e questo rappresenterà un disastro per il mondo intero. Speriamo che vinca Obama….sarà un bene per tutti.

05 Settembre 2008

MIAMI

Il mare oggi sembra disegnato con il pennello….di un magnifico azzurro che gradatamente sfuma nel blu dell’orizzonte. L’aria tersa rende tutto più vicino e mentre passeggio sul bagnasciuga, con la fatica di chi affonda ad ogni passo dentro la sabbia, osservo i gabbiani che raccolti in gruppi sembrano anch’essi in piena campagna elettorale per i continui cinguettii che emettono. Il mare è stranamente piatto e non tira vento, solo una leggera risacca scivola sulla sabbia dorata fino a bagnarmi le caviglie mentre procedo verso i grattacieli lontani, a sud. Ci sono pochissime persone anche oggi, in questa spiaggia semiprivata frequentata quasi esclusivamente da chi abita negli edifici che vi si affacciano, regna sovrana la tranquillità. Invogliata dal mare piatto salgo a prendere pinne e maschera per poi tuffarmi nell’acqua lattiginosa, vicina a riva, per una bella nuotata. E’ come essere immersi in un cocktail di latte di cocco e Curacao….non si vede nulla se non il denso colore azzurro dell’acqua…ma non sembrano esserci pesci da vedere qui…. quindi procedo fino alla vicina guardiola del bagnino di salvataggio per poi tornare affaticata per lo scarso allenamento. La sorpresa è l’arrivo di Vanni. Ci incrociamo in mare, poco dopo il suo tuffo….due giochi e qualche chiacchiera poi saliamo insieme sulla sabbia dove accanto al mio pareo riposa il Corriere della Sera di ieri, fresco solo dell’acquisto….il primo in tre mesi che ci capita di leggere….e, come sempre, una delusione. Come può essere una notizia da prima pagina il fatto che il ministro della giustizia francese, la signora Rachida, sia una single incinta e che Aznar dica che non è lui il padre….se volessi leggere queste cose prenderei novella 2000 e con dovizia di particolari mi gusterei il pettegolezzo. Come siamo caduti in basso! Ma torniamo a noi….verso le 4 ci raggiunge in spiaggia anche Pierpaolo per una lezione di backgammon, qualche bagno ed un po’ di sole. Si sta benissimo oggi…solo a tratti il silenzio è interrotto dal rumore dei flessibili che tagliano lastre di lamiere zincate….si stanno tutti mobilitando per l’arrivo imminente dell’uragano Ike che è già una preoccupante categoria tre….Quando saliamo dalla spiaggia l’ampia porta vetrata del nostro condominio “Rimini Beach” è già stata completamente chiusa dalle lastre , così come molte delle pareti vetrate ai vari piani dell’edificio. Insomma siamo in piena emergenza uragano e non ci resta che passare dalla porticina sul retro…..andiamo a prepararci per la gran soirée al ristorante italiano “Il Mulino” ( www.ilmulino.com) che dopo New York, Tokyo, Chicago e Las Vegas, ha aperto anche qui a Miami. Per l’occasione rispolvero il mio abitino di chiffon azzurro ed i braccialetti coordinati…..certo i sandali sono quelli guatemaltechi di cuoio che uso per andare in spiaggia…ma non si può essere perfetti! Partiamo con leggero anticipo, poco dopo le 7, per gustare un aperitivo nell’altrettanto esclusivo bar sulla spiaggia annesso, dove occupiamo una serie di poltroncine con cuscini rossi attorno ad un tavolino chiaro. Siamo su un prato un po’ sciupato a ridosso della spiaggia, protetti dalle palme che si muovono appena, sollecitate dalla brezza leggera di questa serata perfetta. Alle nostre spalle il tramonto è coperto dal grattacielo che contiene al piano rialzato anche il nostro ristorante. Stiamo benissimo. Ad una decina di metri da noi, un paio di ragazzi, illuminati dalle luci colorate dei riflettori, suonano alcune vecchie canzoni di Sting mentre il pubblico sembra non ascoltarli, tutti presi come noi dalle chiacchiere e dagli esotici drink freschi e saporiti. Poco dopo l’imbrunire entriamo nell’ambiente piuttosto elegante del ristorante. Niente tovaglie a quadretti qui, ma che peccato per quella serie di lampadari di ferro a elementi concentrici che sembrano appena usciti da un castello! Basse boiseries di legno scuro segnano le pareti chiare. Al tavolo un’ impeccabile tovaglia bianca, un piccolo fiore ed un’ ampolla di olio d’oliva. Adoro la sorpresa dei piccoli antipasti serviti prima dell’ordinazione…..zucchine fritte, bruschette al pomodoro, salame San Daniele ed una generosa porzione di formaggio grana, direttamente scavato in un pezzo di forma, finiscono col diluire il nostro appetito. Vanni ordina una bottiglia di Sangiovese mentre attenti ascoltiamo Tino che enuncia i piatti consigliati….Prosciutto, melone e mozzarella per Vanni, tortelli alla salsiccia con condimento di pomodoro e capperi per me e Pierpaolo, per poi proseguire con un filetto alle patate e funghi porcini….ma a parte la bontà della carne, i tortelli sono troppo al dente e la sfoglia troppo grossa….per non parlare del mio dolce all’ananas che altro non è che un preconfezionato dell’”antica cremeria” che da noi si trova in qualsiasi bar. Insomma la qualità del cibo non è stata dal mio punto di vista così eccelsa da giustificare il conto salatissimo di 540 $. Certo la degustazione finale di grappe, preparate dal cameriere Tino, ha rallegrato gli animi e messo a dura prova l’equilibrio di Vanni che in uscita ondeggiava sospeso tra l’estasi e la nausea. La conoscenza di un paio di belle ragazze, rapidamente agganciate all’uscita del ristorante dal nostro amico single, ha riacceso la serata ormai alla fine. Dorine, canadese di origine portoghese, affascinante e mediterranea, e Margarite, svedese di Miami, condividono con noi una serie di fette di torta al cioccolato, risate e chiacchiere di conoscenza reciproca. Sono simpatiche, eleganti ed affascinanti…spero che Pierpaolo non si lasci sfuggire Dorine.

06 Settembre 2008

MIAMI

La confusione in soggiorno rivela la partenza imminente. Sportine di plastica, sacchetti vuoti e pieni, pigne, cortecce di betulla e le valigie che comprendono ora anche i due pesanti trolley delle statue di pietra colombiane recuperati per la pesatura dal bagagliaio di Jimmy. La giornata scorre nel torpore di chi, sentendosi già un pò a casa, non ha più molto entusiasmo nel vivere il presente altrove. Se aggiungiamo a questo i postumi della serata di ieri non stupisce che Vanni resti disteso sul divano tutto il pomeriggio ed io mi decida ad uscire per una passeggiata sulla spiaggia solo verso le 18, quando ormai le ombre lunghe degli edifici coprono parte della bella sabbia chiara del bagnasciuga sul quale cammino faticosamente verso i grattacieli irraggiungibili laggiù all’orizzonte. Nemmeno l’appetito che riaffiora verso sera riesce a convincere Vanni ad uscire….e nemmeno io ho più voglia di ristoranti. Ancora una volta il gentile Pierpaolo ci viene incontro proponendosi con un risotto al parmigiano ed una fettina di carne. Trascorriamo la serata come vecchi amici che si ritrovano per un backgammon ed una cena dopo una serie di giornate condivise….senza molte parole ma con la serenità di chi non deve essere simpatico a tutti i costi. Ci congediamo presto, dopo aver ascoltato l’ennesimo discorso delirante di McCain. L’appuntamento è per domani mattina alle 11.30 quando raggiungeremo, tutti e tre insieme, l’aeroporto.

07 Settembre 2008

MIAMI – BOLOGNA

Il taxi si dirige spedito verso il vicino aeroporto che raggiungiamo in una mezz’oretta accompagnati dalla bella giornata di sole. Il distacco da Miami è mitigato dalla certezza del nostro prossimo ritorno, probabilmente tra un anno…solo così riusciamo a lasciarla senza troppi rimpianti mentre l’auto ci allontana dal mare, dalle palme e dalle belle isolette ….siamo stati davvero bene qui! Con un caloroso saluto ci congediamo anche da Pierpaolo che parte diretto a Seattle per impegni di lavoro… mentre noi rimaniamo ancora per un po’ a bordo dell’auto gialla che si fermerà poco dopo in corrispondenza dei voli internazionali Lufthansa. Ci viene addebitato il sovrapprezzo di 150 $ per l’eccesso di peso di una delle due statue, poi le nostre valigie partono trasportate dal rullo nero….speriamo che non ci chiamino per accertamenti sul contenuto dei bagagli….sarebbe una bella seccatura dover dimostrare l’indimostrabile! Invece tutto scorre liscio e noi ci imbarchiamo sereni per il lungo volo verso casa.


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13 Dicembre 2009

BOLOGNA – MIAMI

La lunga fila al check-in Lufthansa ci sveglia come una doccia fredda. Nonostante le poche ore di sonno la tensione ci fa rinvenire dal torpore delle cinque del mattino proiettandoci nella terrificante possibilità di perdere il volo per Francoforte. Possibilità sottolineata dalle due hostess ai desk che incitano la folla ad utilizzare le macchinette del check-in automatico che però non funzionano. Dopo un’oretta, svegli come grilli nonostante lo scampato pericolo ci accomodiamo sulle poltroncine di bordo, per poi abbandonarci con un sorriso sulle labbra alla pressione del decollo che sembra schiacciarci contro gli schienali…. La bella sensazione di libertà che ci dà volare verso Miami ci rende felici e ci proietta con entusiasmo sulla nostra sesta tappa americana che ci vedrà raggiungere il Messico e poi il centro America dopo un relativamente lungo soggiorno a Miami…. che piacevole città! I programmi per il proseguimento del viaggio sono come sempre vaghi….come una promessa che sappiamo non manterremo. Abbiamo già goduto a lungo del Messico un paio di anni fa…. certo ci farebbe un gran piacere tornare in Baja California per un saluto a Paolo e Catia e per godere della bellezza delle coste selvagge e dei giardini di Cactus per non dire delle mangrovie o le palme che fanno da sfondo all’oceano intensamente blu. Quando poco dopo le 14 arriviamo all’aeroporto di Miami siamo ancora immersi nei nostri sogni, il cielo è azzurro e la temperatura estiva. Ci liberiamo velocemente degli strati di lana ancora aderenti alla nostra pelle mentre sostiamo in coda alla lunga fila che precede lo scrupoloso controllo di polizia. Lasciamo per l’ennesima volta in archivio le impronte digitali delle dieci dita rilevate elettronicamente e le fotografie dei nostri visi stanchi immortalati dalla mini telecamera sferica discretamente posizionata sul separé di vetro di fronte a noi. Piccola soddisfazione in barba al disagio arrecatoci, nonostante tutti i controlli e la dichiarazione firmata che non importiamo alimenti o altro, Vanni riesce a farla franca con il vasetto di tartufi per Pierpaolo che nonostante l’odore intenso passa tranquillamente la dogana e poi la grande porta a vetri dell’uscita. Finalmente accettati dal sistema americano ci tuffiamo con piacere nella precoce estate che ci accoglie, negata solo dalla data sul calendario. Sfrecciamo a bordo del taxi attraverso la città e poi sull’ampia baia disseminata di isolette dove le belle ville con pontili si mimetizzano tra la vegetazione lussureggiante dei giardini. Che piacere essere di nuovo qui! Non è della stessa opinione il mio sposo che forse solo per via della stanchezza mi stoppa dicendo che a lui Miami non è mai piaciuta…. mettendo così le mani avanti circa la durata del nostro soggiorno qui nell’eterna lotta tra il mio voler restare per assaporare i luoghi nei quali arriviamo ed il suo sistematico desiderio di ripartire immediatamente. Il condominio “Rimini Beach” sulla Collins Ave è esattamente come lo avevamo lasciato 15 mesi fa ed anche Pierpaolo non sembra aver avuto variazioni sostanziali… Ci accoglie con l’entusiasmo di chi è appena uscito da una pennichella bruscamente interrotta e noi siamo sempre più a pezzi. Ci accomodiamo per due chiacchiere nel suo accogliente appartamento al terzo piano e poco dopo raggiungiamo il vicinissimo Hotel Plaza Howard Jonson dove ha prenotato per noi una camera con vista all’ultimo piano che senza troppi fronzoli contiene però tutto il necessario…. compresa la bella vista su South Beach e sui lontani grattacieli della downtown e poi sulla spiaggia accanto a noi e l’Oceano ora illuminato appena da un fantastico tramonto. Che bello essere qui, ripeto incessantemente tra me … nella rilassatezza di Miami, così accogliente e discreta, così bella e poliedrica. Alle 18.30 il cielo è completamente nero mentre la skyline si incendia delle luci emanate dagli edifici…. stesi sui nostri letti a riposare, trattenendoci dal chiudere gli occhi per non piombare nel sonno, aspettiamo l’ora di cena…. per nulla al mondo ci perderemmo il fantastico brodo con quadrettini di pasta di Pierpaolo! Quando poco dopo lo raggiungiamo ci accoglie con il calore di un tempo e ci coccola con una cena squisita e romagnolissima a base di brodo, lesso e la piadina preparata da una vicina di casa pesarese. I racconti del nostro recente viaggio in Asia si susseguono nel corso della serata senza mai interessarlo davvero molto, ma Vanni difficilmente si contiene una volta lanciatosi nei suoi resoconti e così Pierpaolo devia presto la conversazione sullo stato di salute di Jimmy, parcheggiato sulla terrazza al piano rialzato. Ha una gomma a terra ed il motorino di avviamento da sostituire. Il vederlo non mi emoziona….come se tutto il viaggio di un anno fa da Labrador City a Miami lo avessimo fatto a piedi anziché sui suoi comodi sedili. E’ come se non lo avessimo mai perdonato di essersi sostituito alla nostra amata ma ahimè distrutta Carolina. Per via degli occhi che non riescono più a stare aperti, poco dopo le nove ci congediamo da Pierpaolo e raggiungiamo a piedi il vicinissimo hotel al cui nono piano i nostri comodi letti ci accolgono per il meritato sonno.

14 Dicembre 2009

MIAMI

Il vantaggio delle sei ora di fuso orario ci consente di vedere il sole sorgere dietro la tavola scura dell’Oceano inquadrato nella vetrata della nostra camera. Tanto meraviglioso quanto inusuale per noi gufetti mai svegli prima delle undici… i sorrisi tornano sui nostri visi riposati e felici ed anche Vanni non sembra poi così dispiaciuto di essere qui, ed aspetta fremente le otto per uscire e dedicarsi alla messa su strada di Jimmy senza il quale siamo bloccati qui…. sulla spiaggia di Surfside. Esco anch’io poco dopo, per sdraiarmi sulla sabbia chiara ancora umida della notte e per immergermi nelle acque troppo fredde dell’Atlantico….una leggera brezza soffia da Nord portando con se i gabbiani che volteggiano giocandovi. Solo poche persone sono stese sulla lunga lingua di sabbia sul fondo della quale emerge come una quinta lontana un gruppo di grattacieli….là dove la costa piega formando una lieve baia. Qualche grosso nuvolone smorza la luce abbagliante di questa mattina d’inverno ed interrompe il pizzicore del sole sulla mia pelle chiarissima. Considerando quanto i dermatologi sconsiglino di esporsi ai raggi solari, mi concedo queste poche ore come una piacevole trasgressione che mi riempie di energia. Sembra passato un secolo dall’ultima volta…. proprio qui a Miami in compagnia di Chiara che già mi manca. Il piacere del mare ed il sole e la spiaggia mi riporta indietro a tutte le estati della mia vita. Nel primo pomeriggio Vanni torna vittorioso…. ha trovato un appartamento disponibile proprio sopra a quello di Pierpaolo e lo ha affittato fino al primo gennaio per 1500 $. Era stato proprio Pierpaolo ad indirizzarlo verso l’agenzia immobiliare che si occupa di locazioni anche per brevi periodi…. dopo averne visti un paio in zona Vanni è rimasto piacevolmente sorpreso nel ritrovarsi a vederne uno al Rimini Beach sul quale la scelta è ricaduta senza esitazioni. Elvira, la vicina di casa di Pierpaolo che lavora all’agenzia, ce lo subaffitterà illegalmente per far quadrare il suo bilancio familiare, come ci fa notare Nemo, il portiere cubano che l’anno scorso ci aveva procurato l’appartamento lercio del decimo piano e che ora sentendosi tagliato fuori oppone una leggera resistenza.
La seconda buona notizia è che Jmmy sarà pronto domani mattina, dopo di che saremo liberi di spaziare nei quartieri della città, dalla bella South Beach a Surfside, da downtown a Coral Bay tra una puntatina in spiaggia e l’altra. A parte tutte queste entusiasmanti novità ciò che più a colpito Pierpaolo e Vanni è la bellezza di Elvira a casa della quale ci trasferiremo domani. Il termine “figona” che entrambi hanno usato per definirla non lascia ombra di dubbio….ed ha suscitato in me la gran curiosità di conoscere la dea venezuelana. Il centro commerciale “Bal Harbour” sulla Collins Ave è un luogo nel quale è sempre piacevole fare due passi osservando le vetrine che espongono le griffe internazionali più prestigiose che occupano i due piani dell’elegante edificio a corte che si articola attorno ad un curatissimo giardino con fontane e vasche d’acqua. Lo raggiungiamo a piedi dall’hotel con una passeggiata di un paio di chilometri attraverso la strada pedonale che costeggia i grandi e recenti condomini sorti a ridosso della spiaggia. Al riparo dal traffico della caotica Collins che corre parallela oltre la barriera di edifici camminiamo tranquilli, gustando la leggera brezza che soffia costante da questa mattina. Tra i giganti di vetro e cemento vista mare vediamo come incastrati alcuni bassi edifici risalenti ai primi decenni dello scorso secolo, del tutto analoghi ai loro coetanei di South Beach dove il decò americano si è espresso in molti bellissimi edifici colorati nelle tipiche tonalità pastello. Anche in questi pochi esemplari che stiamo osservando lungo la spiaggia leggere pensiline e marcapiani giocano creando geometrismi eleganti che inglobano le finestre dai sottili profili metallici nei divertenti disegni di facciata. Il Mall di Bal Harbour è in versione natalizia con sobri decori piuttosto d’effetto come gli alberi conici costituiti da decine di stelle di natale e le renne create con filo di ferro bianco e risplendenti di lucine. Conquistati entrambi da una scultura esposta in una galleria d’arte atterriamo poi da Adrianas, il vicino ristorante che coniuga piatti di cucina internazionale ed aromi peruviani in un mix che ci stuzzica.

15 Dicembre 2009

MIAMI

Vanni si prepara in fretta e con mezz’ora di anticipo è pronto per affrontare la “figona” che raggiungiamo insieme all’appartamento del Rimini Beach. Piuttosto delusa dall’aspetto fisico di Elvira, ma contenta dell’appartamento piacevolmente arredato e dotato di ogni confort, ne prendo possesso mentre Vanni approfitta di un passaggio per raggiungere l’officina e prendere Jimmy. Con il passare delle ore qualche difetto emerge….come il rumore che arriva dalla Collins ave, compensato però ampiamente dalla libertà che ci da poter uscire scalzi ed in costume da casa per raggiungere la spiaggia a due passi dal portone… Ci preoccupa invece leggermente quello che ci dice Nemo, il portiere cubano…. Elvira non è la proprietaria dell’immobile ed il subaffitto è vietato dal regolamento condominiale che solo lui può evidentemente infrangere…. come fece l’anno scorso, chiedendoci 450 $ in cambio dell’uso per una settimana di un appartamento non suo e sporchissimo al decimo piano. Lo avrà detto per scucire una mancia in cambio del suo silenzio? ….probabile, ma non cediamo! Quando Vanni rientra mi raggiunge in spiaggia dove rimaniamo a goderci il sole ormai tiepido di metà pomeriggio e la vista del mare blu solcato da qualche motoscafo lontano. Una formazione di gabbiani si alza improvvisamente per evitare il profilo alto di un edificio sulla sua rotta. Non c’è più nessuno quando rientriamo a casa, la spiaggia ora è deserta, ma sulla stradina di sabbia compatta che si snoda parallela sono molti gli sportivi che corrono all’ombra degli edifici. Anche noi percorriamo la pista a piedi fino al supermercato dove facciamo rifornimento per la colazione di domani…. l’ipotesi di un frullato di frutta fresca a South Beach essendo sfumata perché Jimmy non è ancora assicurato.

16 Dicembre 2009

MIAMI

Mi godo la spiaggia semideserta in compagnia del mio libro sulla vita di Frank Lloyd Wright fino al tardo pomeriggio quando Vanni torna dopo ore di lotta spese nel tentativo di assicurare Jimmy. Scopro così che le compagnie assicurative della Florida non possono emettere polizze per auto che non abbiano la targa di questo stato….questa la laconica risposta sempre propinata dagli impiegati a Vanni che si presentava negli uffici delle compagnie con la targa canadese di Jimmy in mano. Solo infine alla All Stars la zelante impiegata riesce a trovare l’ escamotage giusto….stipulando una polizza di quattro mesi ci sono trenta giorni di tempo per fare la revisione ed ottenere in seguito la targa della Florida. In questi trenta giorni l’auto è comunque coperta da assicurazione….. perfetto! Potremo rimanere in Florida trenta giorni…. del resto non era nei nostri progetti rimanere oltre. E’ davvero un problema qui negli Usa come in Canada stipulare una polizza Rc auto se non si è cittadini residenti e con targa adeguata…. il motivo di tante complicazioni sfugge, a meno che non gli si voglia attribuire attribuire la necessità di un controllo sistematico degli individui non statunitensi muniti di auto propria. Contenti della ritrovata libertà di movimento, a bordo del nostro Jimmy assicurato e tirato a lucido andiamo subito a fare un bel giro a South Beach, il quartiere più votato al turismo di tutta la città, nonché culla del decò americano che qui si è espresso nelle volumetrie discrete dei bassi edifici color pastello tra i quali ci troviamo a passeggiare piacevolmente. Mentre la luce va scomparendo lasciando un lieve bagliore ad Ovest, i tubi al neon colorati evidenziano le speciali geometrie dei prospetti ed i tanti bar e ristoranti sulla Ocean drive. Sull’altro lato della strada file di palme segnano la spiaggia piegandosi al vento sostenuto di questa tiepida serata. Ci fermiamo per un drink in uno dei piacevoli salottini collocati sulle terrazze che precedono l’hotel Tides e mentre cerchiamo di ripararci dal vento sprofondando sempre più nei divani, gustiamo gli ottimi Guava Mojito dal piacevole sapore di frutta e chiacchieriamo felici tra un bacetto e l’altro facendo anche qualche ipotesi sul ristorante di questa sera. E’ Pierpaolo infine a risolvere il dilemma riproponendoci con una telefonata il fantastico sushi sulla 71° street che l’anno scorso ci aveva conquistati per l’originalità del servizio e la bontà delle portate. Il Katana Japanese restaurant, 920 – 71° st. tel. 305 864 0037 ci conquista ancora….anche per la bellezza del cuoco orientale che con il capo coperto da un alto cilindro di tessuto nero sembra appena uscito da un film di Kurosawa. Dopo una decina di minuti spesi ad aspettare che uno spazio libero attorno al bancone, godiamo dell’atmosfera underground di questo ex garage tutto dipinto di nero nel quale risaltano i colori dei filetti di pesce crudo ed il bianco del riso. L’escalation di note positive della giornata finisce con l’amplificare la familiarità con la città che ci accompagna da quando siamo atterrati ….. la sensazione è paradossalmente quella di essere tornati a casa.

17 Dicembre 2009

MIAMI

Il cielo grigio della mattina degenera in un nubifragio persistente per tutta la giornata che trascorriamo in compagnia di una coppia di amici di Vanni nella sofisticata Palm Beach, un centinaio di chilometri a Nord di Miami. Le chiacchiere fitte con Angela seduta accanto a me finiscono col cancellare tutto ciò che scorre fuori dai finestrini lungo le 66 miglia di strada che percorriamo per raggiungere l’obiettivo. Scopriamo di avere una passione comune per l’arte e l’architettura e finiamo col ricordare alcune delle tante opere contemporanee viste nei musei americani nel corso dei nostri rispettivi viaggi. Stimolate dalla complicità che ora ci lega facciamo progetti su eventuali prossime visite ad alcuni dei più begli edifici di Miami che lei conosce e che a me erano sfuggiti nel corso del nostro soggiorno dell’anno scorso. La sete di reciproca conoscenza non si sopisce nemmeno una volta giunte al ristorante Taboo sulla sofisticata Worth avenue nel quale ci rifugiamo appena arrivati per sfuggire alla pioggia che continua a scendere copiosa. Ci accoglie l’atmosfera avvolgente delle sale affollate di americani seduti a pranzare. Angela e Maurizio che da anni trascorrono gli inverni qui a Miami conoscono tutti i luoghi più piacevoli della Florida compreso l’esclusivo quartiere di West Palm Beach che raggiungiamo poco dopo e che Angela vuole mostrarci per la bellezza delle alte siepi che circondano proteggendole da sguardi indiscreti le ville miliardarie spesso in stile neoclassico che fanno di questa località una delle più esclusive mete della Florida. Sagomate a formare alti bastioni verdi, le siepi si aprono in ampi portali in corrispondenza dei cancelli di ingresso che lasciano intravedere gli edifici patinati ed i giardini curatissimi. Impossibile scendere a fare due passi….ci accontentiamo di un giro in auto a velocità ridotta lungo le strade bordate di verde del quartiere mentre fuori il vento soffia forte soprattutto in prossimità del mare increspato di onde. La cura quasi maniacale dei giardini e delle siepi ci fa pensare con un sorriso al business dei giardinieri locali che senza dubbio saranno tutti ampiamente benestanti. la varietà delle barriere verdi ci sorprende con performance degne di Versailles, dove le spesse siepi sono sagomate in alto in un susseguirsi di grandi sfere o parallelepipedi….altre sono doppie ed uno scalino in alto ne giustifica il diverso colore, altre ancora sono ravvivate alla base da file di piantine fiorite, poi ancora vegetazione a losanghe che creano disegni a graticcio sui muri di cinta. Sazi di siepi lasciamo il quartiere per tornare sulla Worth Ave dove approfittando del clima migliore ci concediamo una passeggiata inseguendo le vetrine delle firme più esclusive e raggiungendo infine una galleria d’arte completamente dedicata ad Andy Wharol, la Contempogallery che trova posto in una delle corti interne dal sapore messicano che si aprono sulla strada principale. Lasciamo Palm Beach nel tardo pomeriggio per rientrare tra le strade allagate di Miami beach….. il seminterrato dove Jimmy era parcheggiato è stato fortunatamente risparmiato.

18 Dicembre 2008

MIAMI

Il cielo ancora nuvoloso di oggi allontana il progetto di una bella nuotata ottimisticamente ipotizzato questa mattina quando appena svegli non avevamo ancora divaricato le tende della camera per osservare il grigiore nel quale eravamo immersi. Ne approfittiamo per fare un giro con Pierpaolo in vena di acquisti…. ci spingiamo così verso Nord attraversando alcuni pittoreschi quartieri ritagliati nelle terre emerse che si susseguono oltre la punta di Miami beach in un articolato gioco di ponti, specchi d’acqua ed isole che caratterizzano l’intera fascia costiera della città e che la rendono così speciale anche dal punto di vista della morfologia del suo territorio. Qui le terre emerse dialogano costantemente con il mare che vi si insinua in baie e canali moltiplicando la linea costiera all’infinito. Pittoreschi porticcioli sono sparsi un po’ ovunque e la vegetazione sempre accompagna gli insediamenti abitativi non perdendo mai di vista il dialogo con la natura. Raggiungiamo il parcheggio del centro commerciale miracolosamente non allagato come gli altri visti arrivando ed entriamo per il necessario acquisto di un computer da viaggio per Vanni che ormai considera internet un amico inseparabile, e tende bianche per il soggiorno troppo cupo di Pierpaolo. Sulla via del ritorno una sosta al supermercato vicino a casa preannuncia la cena di questa sera che si trasforma grazie alla scelta musicale di Pierpaolo che seleziona il meglio dal suo Ipod, in una delle serate danzanti più divertenti degli ultimi tempi. La nostra voglia di ballare esplode questa sera sulle note dei brani topici della Baia degli Angeli negli anni ’70. Le note di “do you know do you wonna know it” finiscono con l’immergere il terzo piano del Rimini beach in un’atmosfera psichedelica e magica che ci fa sognare…..serata a 5 stelle!

19 Dicembre 2009

MIAMI

Il sole di oggi non riesce a compensare la caduta termica di alcuni gradi che ha accompagnato il maltempo dei giorni scorsi, ma ci consente di fare una bella passeggiata lungo la spiaggia. Un paio di foto agli edifici decò sopravvissuti alla edificazione degli alti condomini talvolta piacevoli lungo la costa ed è già ora di raggiungere Angela e Maurizio al 2201 Collins Ave dove ci hanno dato appuntamento. La generosità di Angela nel condividere i luoghi che ama perché fashion e modaioli oltre che allestiti dai designer più in voga del momento, ci consente di godere del foyer, della piscina e del living room del “W Hotel” inaugurato in seguito alla ristrutturazione recente dello scorso luglio. Mentre ci aggiriamo tra le sale immagino come doveva essere l’atmosfera di questi spazi sofisticati in occasione della fiera Art Basel tenutasi la prima settimana di dicembre, quando l’ordine gigante dei pilastri rivestiti di pietra bianca faceva da sfondo agli abiti chic degli artisti, dei galleristi e del jet set internazionale giunto a Miami per l’occasione. Ciò che colpisce ora degli ambienti disseminati di opere d’arte di artisti contemporanei è la verticalità dei marmi scuri che rivestono le pareti di fondo conferendo all’ambiente un atmosfera quasi templare. Non mancano citazioni decò rivisitate nei tagli a zig zag di alcuni rivestimenti marmorei e nei pannelli metallici addossati alle pareti dei salotti dove circonferenze sottili si inseguono in sequenze regolari. Salotti chiari trovano la propria intimità negli angoli appartati della pianta articolata mentre composizioni di orchidee bianche restituiscono morbidezza ai geometrismi volumetrici colloquiando armoniosamente con i toni dell’avorio e del nero che caratterizzano incontrastati gli ambienti interni. Uniche note di colore i miei pantaloni variopinti ed i jeans arancioni di Vanni che spiccano sui toni scuri dello sfondo. Mentre Maurizio e Vanni tergiversano chiacchierando nel foyer d’ingresso io ed Angela ci spingiamo in esplorazione fino alle vasche d’acqua circondate da salottini ora deserti appena visibili per via delle luci estremamente soffuse degli spazi esterni. Indecisi se fermarci per un aperitivo decidiamo di andare direttamente al “Joe’s Stone Crab restaurant” sulla Biscayne street dove Angela è riuscita a strappare una specie di prenotazione per le otto. La fila di persone che attendono di entrare è piuttosto lunga e pare che tutti abbiano prenotato esattamente come noi….ma dopo una decina di minuti troviamo posto nella saletta adiacente l’ampia sala principale straripante di persone sedute ai tavoli…. stanno tutti mangiando i famosi granchi. Seduti ad un tavolo del più originale e vecchio ristorante di Miami Beach non possiamo che ordinare la specialità che lo ha reso famoso…. lo stone crab. Grande una decina di centimetri lo si pesca lungo un tratto di costa piuttosto esteso che va dal North Carolina al Belize comprese le isole di Cuba e le Bahamas. La sua particolarità è quella di avere le chele piuttosto sviluppate e che ricrescono se amputate….. insomma ciò che i pescatori fanno ai poveri granchi è una vera tortura. Per scongiurarne l’estinzione anziché ucciderli i pescatori ne strappano una delle chele che poi ricrescerà in tempi che non conosciamo. Il piatto ricolmo di chele fredde arriva al centro del tavolo, accompagnato da una salsa a base di senape che ne insaporisce un po’ i filetti altrimenti quasi completamente insapori. Delusi dopo le esaltanti esperienze della Centolla assaggiata in Terra del Fuoco e del King Crab dell’Alaska affondiamo gli anonimi filetti nella senape accompagnando generosamente con ottimo vino rosso. La serata scorre piacevole nell’atmosfera vivace del ristorante in compagnia dei nostri due amici con i quali la conversazione non ha soste per la curiosità che abbiamo di conoscerci meglio e di condividere le nostre rispettive esperienze di viaggio. Usciti poi nell’aria gelida decidiamo di proseguire la serata all’Hotel Setai dove potremmo prendere un drink digestivo rimanendo nell’ambito caro ai nostri amici, dei locali di grido del quartiere. Bellissimo anche se meno recente del “W” ci accoglie con un allestimento minimalista forse troppo deja vu, e dato che abbiamo un’altra carta da giocare ci dirigiamo senza indugio verso l’esclusivo hotel “Delano”, al 1685 di Collins ave. Costruito negli anni ’50 in stile decò ed allestito di recente da Philippe Stark colpiscono gli alti tendaggi bianchi che separano le aree del foyer e che accompagnano come un leitmotif la nostra visita fino all’ampia piscina all’aperto dal sapore vagamente magrebino forse solo per le file di alte palme che ne segnano l’asse longitudinale. Comodi sofà bianchi ne bordano il perimetro così come alcuni privée isolati da alti teli bianchi che si muovono al vento….peccato non aver scattato nemmeno una foto!

20 Dicembre 2009

MIAMI

E’ freddo, anzi freddissimo oggi…. se avessimo indossato i cappotti avremmo resistito più a lungo nella passeggiata in downtown del pomeriggio. Tra grattacieli anni ’50 ed altri più recenti di una bellezza da rivista di architettura passeggiamo veloci nell’inutile tentativo di scaldarci. E’ così diverso il fascino di questa parte di città rispetto alla tranquilla South Beach….. attraversata da importanti arterie di traffico downtown non è certo il luogo ideale dove passeggiare. Caratterizzata dalla verticalità di piacevoli edifici concentrati tra Biscayne e Brickell Ave, a ridosso dell’ampia baia che la separa dall’isola di Miami Beach il quartiere è visibile come un faro da ogni angolo della città. Un edificio in particolare mi conquista…. è un enorme parallelepipedo grigio segnato da evidenti marcapiani orizzontali che ne rallentano la spinta verticale. In alto un setto rettangolare arretrato rispetto al filo della facciata è colorato a macchie azzurre, rosse e grigie così come le possenti colonne tortili del piano terra. Ho la sensazione di averlo già visto tanto tempo fa, forse immortalato nelle pagine di una rivista di architettura quando ancora era solo un bel progetto da realizzare. Attraversando un giardino pubblico che si protende sulla baia osserviamo le tre enormi navi da crociera ormeggiate alla banchina lontana del porto e le centinaia di motoscafi affollati attorno ai pontili di legno del porticciolo davanti a noi. A giudicare dalla densità dei natanti presenti in questa città così visceralmente legata al mare si direbbe che almeno un terzo dei suoi quattro milioni di abitanti ne possieda uno….una città di marinai insomma! Ci spingiamo passeggiando fino all’ “Arena America Airlines” dove la folla in attesa di entrare presuppone che vi si svolgerà una partita di basket. Costituito da alti setti bianchi flessi a creare il volume cilindrico, l’edificio ha un enorme pannello in entrata i cui led restituiscono le immagini di una partita già giocata. La rivediamo sfilare anche poco dopo sulla nostra sinistra, quando a bordo di Jimmy percorriamo la Mac Arthur Causeway, una delle tre arterie sull’ acqua che collegano Miami beach alla terraferma. Imbottigliati poco dopo nel traffico lentissimo di Ocean Drive, la passerella di South Beach, osserviamo la vivacità che anima questa domenica pomeriggio tardi…. i bar ed i ristoranti all’aperto sono saturi di clienti così come i marciapiedi ai lati dei quali vediamo parcheggiate qualche bella auto d’epoca ed un paio di Ferrari Scaglietti che piacciono tanto a Vanni. Il nostro cigolante Jimmy non è forse all’altezza della ricca passerella di questa sera….ma percorrerà strade che quei bolidi non avranno la fortuna di toccare.

21 Dicembre 2009

MIAMI

Stretto tra la Miami Ave ed il Biscayne Boulevard il Miami Design District è un piacevole quartiere costituito da bassi edifici ed un reticolo di strade comprese tra la NE 41° e la NE 38° street. Grazie alle poche auto che vi circolano e le poche persone a passeggio perlopiù concentrate nei tavolini dei pochi bar all’aperto, vista l’ora, vi si respira una piacevole atmosfera rilassata. Uno dei ristoranti occupa parte del bell’edificio ottocentesco che conteneva gli uffici postali….lo vedremo più tardi pensiamo mentre gli passiamo di fronte. Parcheggiamo proprio di fronte ad una galleria d’arte. All’esterno una scultura di filo di ferro che ritrae una figura femminile appoggiata a terra su ginocchia e mani è fissata in una posa che la rende sexy nonostante il materiale freddo che ne definisce le forme in grovigli compatti. La vetrina della Ricart Gallery che fa da sfondo inquadra un grande dipinto indefinibilmente sospeso tra l’arte di strada e l’opera d’arte in un mix che tanto ricorda Basquiat, il grande artista newyorchese pupillo di Andy Warhol. Una tela bellissima così come altre che vediamo sbirciando all’interno della porta vetri purtroppo chiusa. Alcuni edifici del quartiere hanno il sapore della storia…. i prospetti segnati da cornici marcapiano e paraste appena accennate. I piani terra del quartiere sono prevalentemente occupati da gallerie e negozi di arredamento che talvolta ospitano i migliori prodotti del design contemporaneo…..c’è anche l’atelier Bisazza nel quale entriamo incuriositi dai maxi oggetti esposti rivestiti di mosaico color argento. Un enorme cucchiaio è appeso ad una parete nera ed una bugia enorme che contiene al centro un cero alto due metri che per le dimensioni sembra piuttosto una colonna. Oggetti di grande effetto e divertenti creati da un gruppo di designer tedeschi, ci spiega la venditrice che mi concede di scattare un paio di foto. Eccoci poco dopo entrare nello spazio interno dello storico Moore Building dove i cromatismi chiari delle assi di legno del pavimento e delle ringhiere modanate dei ballatoi si armonizzano con l’allestimento bianco del vuoto centrale nel quale elementi aerei dalle forme plastiche creano collegamenti spaziali tra i tre ordini di ballatoi. Il magnifico ambiente accoglie al piano terra i preziosi oggetti vintage esposti in allestimenti originali fatti di fogli di giornale incollati a cartoni o di vecchie assi di legno e porte inchiodate alle pareti. Tutto concorre alla bellezza di questo interno che ci rapisce così come la struttura aerea dello spazio centrale degno di una biennale d’arte. Ancora passeggiando lungo la 40° street ci fermiamo ad osservare la vetrina di una galleria dove campeggia una scultura ad anello fatta di viti e bulloni nelle tonalità ottone, nero ed argento. Sentendo i nostri commenti divertiti il gallerista italiano ci invita ad entrare mostrandoci alcune interessanti resine variopinte eseguite da un’artista colombiana che le produce sovrapponendo decine di strati colorati a macchie sgargianti che evidenziano fiori quando non texture in rilievo a creare effetti di profondità piuttosto interessanti. Ci fermiamo a chiacchierare con lui dei suoi viaggi e dei nostri. Ci scoraggia dall’entrare in Messico dagli Usa se non attraverso la California per via delle stragi che i narcotrafficanti mettono in atto nei villaggi di confine per difendere i propri laboratori ed il traffico di stupefacenti verso Nord. Ci mostra poi il catalogo del suo artista messicano preferito…. si tratta di Alejandro Santiago originario di un piccolo villaggio nei pressi di Oaxaca che vedendo svuotarsi il pueblo natale a causa della emigrazione dei suoi abitanti verso gli Stati Uniti, ha ripopolato quel villaggio di sculture di argilla…. i “Migrantes” dalle forti valenze espressive che riproducono anche per numero quei fuoriusciti . Parte della installazione sarà esposta a San Diego, ci dice. Dopo una mezz’ora di interessanti chiacchiere che hanno finito col convincerci ad andare a cercare i Migrantes in Messico, torniamo sui nostri passi e con Jimmy ci allontaniamo dal Design District spingendoci verso Sud sulla Miami Ave alla ricerca del localino Tobacco Road dove vorremmo andare ad ascoltare musica dal vivo. Si tratta di un locale storico della città risalente al primo decennio dello scorso secolo. Tutte le sere vi si esibiscono gruppi musicali che spaziano dal Jazz al Blues…. andiamo a vedere di cosa si tratta. Lo troviamo con qualche difficoltà al 626 di S Miami Ave… l’interno piccolo, anzi piccolissimo sembra sproporzionato rispetto alla metropoli nella quale è come incastrato, non so come possa contenere il pubblico nei pochi tavolini che contiene, ma mercoledì vedremo svelato il mistero…..ci sarà una serata Jazz! Stiamo risalendo la Brickell Ave quando Vanni vede sulla destra i pilastri sagomati come i volti ancestrali dei totem dell’isola di pasqua alla base di un grattacielo. Meravigliati ed incuriositi ci fermiamo per godere più da vicino di questa divertente soluzione. Le teste hanno i lineamenti appena sbozzati, come consumati dal tempo e sono di colori diversi, dal grigio all’ottone al verde. L’originale allestimento del Viceroy Hotel & Spa 485 Brickell Avenue è una delle opere più riuscite di Philippe Starck qui in città…. deve piacere molto agli investitori il suo stile trasgressivo e spiritoso. Anche qui la foresta di pilastri che sostengono le decine di piani dell’edificio sono stati mascherati, nel vero senso della parola, rivestiti di enormi maschere in materiali che ricordano la pietra sbozzata e levigata. Tutti diversi per colore e forma riproducono visi liquefatti, appartenenti a culture lontanissime da questa americana, nella quale sono calati solo come puro divertissement. Che dire degli sgabelli a forma di gnomo, ed i tavolini troppo bassi del foyer, o le luci al neon gialle e rosse che intravediamo dietro le tende…. il linguaggio di Starck è riconoscibile ma volte un pò stucchevole anche se divertente.
Ci accolgono al rientro le ottime polpette di bollito di Pierpaolo preparate in collaborazione con Vanni mentre io al piano di sopra mi esprimevo con i peperoni arrosto.

22 Dicembre 2009

MIAMI

Cielo nuvoloso ed ancora troppo freddo (23°c) per poter affrontare la spiaggia in costume. Intanto dall’Italia stretta nella morsa di gelo e neve di un inverno che si prospetta durissimo arrivano gli sms disperati di chi a fatica resiste al termometro scivolato abbondantemente sotto lo zero. Anche noi relativamente spiazzati dal maltempo approfittiamo della giornata per fare progetti sul nuovo anno che inizierà lasciando Miami…. dove andremo dopo? La voglia di estate ci proietta su méte caraibiche come Cuba, Puerto Rico oppure quelle più semplici da raggiungere con Jimmy come il Texas che nel nostro immaginario è un luogo caldo…. chi può sapere dove andremo? Passeggiando ben coperti lungo la spiaggia ventosa, mentre osserviamo l’orizzonte ondulato dove l’oceano si impenna in onde così alte da essere visibili ad occhio nudo anche se lontanissime, fantastichiamo sulle varie possibilità. Camminiamo ancora a lungo sulla sabbia ormai familiare di questo quartiere Surf Side che sentiamo nostro poi scatta la necessità di muoverci almeno per la cena rispolverando un ristorante sushi di South Beach del quale conserviamo un ottimo ricordo. Toni’s ci conquista ancora con la fantastica insalata di tonno ed avocado e gli ottimi soft shell crab. Che giornata noiosa!

23 Dicembre 2009

MIAMI

Il sole splendente ci invita ad uscire per esplorare nuovi territori…. è così che ci troviamo dopo circa quaranta minuti di auto a Coral Gable, il quartiere della città creato all’inizio dello scorso secolo per accogliere le eleganti residenze in stile neoclassico che vediamo ordinate sui due lati del Granada Boulevard, il tranquillo viale alberato verso il quale si protendono i prati all’inglese prospicienti gli edifici. L’ingresso al quartiere è segnato, sui due lati delle strade principali che lo attraversano, da bassi elementi architettonici neobarocchi…quasi a sottolineare la preziosità di questa oasi rispetto al tessuto urbano della città che chissà come doveva essere un secolo fa. Inserite nella vegetazione rigogliosa del quartiere favorita dal clima caldo e umido tipico di quest’area geografica, le ville sono talmente perfette da sembrare appena costruite ed al di là dello stile architettonico di alcune che sembrano ispirarsi all’architettura italiana dell’ ‘800, restituiscono una immagine di ordine, equilibrio e di piacevole benessere, volutamente avulso dal relativo disordine della metropoli pulsante nella quale Coral Gable è inserito. Lo stupore tocca l’apice quando iniziamo a scorgere la torre quadrata infiocchettata di pinnacoli e guglie sovrastante l’imponente Hotel Baltimore, vero plagio architettonico realizzato nel 1945. Di stile eclettico, riprende alcuni elementi della tradizione classica veneta, come le bellissime “serliane” che scandiscono le aperture sui quattro lato della torre. Di colore giallo bruno, vi spiccano i marcapiano, le cornice e tutti gli elementi aggettanti di colore bianco. La volumetria imponente fa da quinta al grande campo da golf che occupa tutta la parte Sud del quartiere. Entriamo nell’ambiente gotico della reception, rivestito di boiserie scure e coperto da un soffitto di volte a crociera con costolonature bianche che inquadrano un cielo stellato simile a quello affrescato sulle volte della basilica di San Francesco ad Assisi. Senza parole per gli eccessi di questo anacronistico interno proseguiamo verso la piscina esterna sul bordo della quale ci accomodiamo per uno spuntino. Una fila di arcate inquadrano ninfe di gesso che sembrano galleggiare sull’aqua azzurra della vasca poligonale….di fronte a noi una serie di edifici di servizio tra i quali spicca un prospetto decisamente fiorentino con elementi di pietra serena scura su fondo giallo chiaro….quella speciale tonalità che distingue come un marchio DOC la maggior parte degli edifici storici di Firenze. Usciamo dal viaggio nello spazio-tempo dirigendoci ora verso Little Havana e poi puntando sul nostro nido sulla spiaggia. La bella sorpresa di oggi è la skyline di downtown rilucente dei watt dei grattacieli che anche di notte sembrano in competizione fra loro per il miglior effetto speciale. E’ la prima volta che attraversiamo la baia di sera…. ci immergiamo nella sua oscurità lasciando Miami Beach alle nostre spalle. Tra i grattacieli che vediamo di fronte a noi ce n’è uno con un look davvero speciale …. è la Bank of America. Il suo volume ci appare come un corpo luminoso color azzurro, qua e la sparse sulla facciata enormi stelle di neve risplendono di luce bianca restituendo un meraviglioso effetto natalizio. Mai vista una decorazione più grandiosa di questa….semplicemente fantastica! L’edificio ad un solo piano del locale più vecchio della città dove ascoltare musica live è stretto tra i grattacieli che lo sovrastano circondandolo. Al 626 di S Miami Ave fin dal 1912, l’ambiente stretto e lungo del Tobacco Road ospiterà questa sera un gruppo jazz locale che si esibirà a partire dalle 22…..abbiamo appena il tempo di mangiare qualcosa nel cortile esterno dove alcuni sono seduti a bere qualcosa. C’è un solo tavolino libero quando rientriamo e la band è già impegnata nello sforzo di sovrastare il vocio degli avventori incuranti della musica piacevolmente diffusa nel locale. Quando sulla via del ritorno cerchiamo tra la foresta di grattacieli il più bello, lo troviamo spento….proprio adesso che volevo fotografarlo !

24 Dicembre 2009

MIAMI

Il vento che soffia forte dall’oceano ha spazzato via le nuvole e resa appetibile una breve sosta in spiaggia dove una leggera pioggerellina salata arriva dal mare molto mosso. Restiamo a guardare i gabbiani resi immobili dall’incontrastabile forza del vento…poi ci avviamo per una bella passeggiata lungo la riva. Il mare è bellissimo nelle sue striature verdi e azzurre e la linea dell’orizzonte sempre ondulata per gli alti marosi lontani. Che bello essere qui, ai margini di una metropoli che garantisce un contatto forte con la natura dirompente e selvaggia del mare e della vegetazione spontanea cresciuta a ridosso della spiaggia. L’appuntamento con Maurizio ed Angela al ristorante cinese del “W” Hotel è abbastanza tardi da consentirci di stappare una bottiglia di Moet a casa di Pierpaolo con la quale iniziamo ufficialmente i festeggiamenti della vigilia di Natale….la musica diffusa dal suo Ipod rende sempre speciali le visite al suo appartamento che anche ora si trasforma in una sorta di sala da ballo dove solo Vanni rimane immobile a sedere mentre guarda pietrificato, le labbra contratte in un abbozzo di sorriso, noi due scatenati. Consumiamo il secondo aperitivo nell’ambiente poco illuminato dell’elegante W dove occupiamo un comodo divano d’angolo. Attorno a noi i marmi scuri delle alte pareti ed i pannelli new-decò le cui decine di circonferenze metalliche inanellate rimandano deboli chiarori sul fondo scuro. Sulla parete di fronte una vetrinetta appesa contenente confezioni di medicinali rappresenta la fatica di un ipocondriaco artista contemporaneo. C’è una bella energia questa sera, ed una dose di stravagante eleganza nella quale anche il setter irlandese steso su un soffice tappeto bianco diventa la comparsa di questa sorta di palcoscenico. Il W non finisce di stupire per originalità….me ne rendo conto poco più tardi quando scoprirò l’espediente impiegato per rendere divertente anche la sosta in bagno…. dove la rigida separazione degli ambienti dedicati ai due sessi viene negata dal vetro leggermente satinato che unisce pur separandoli i due bagni. Avendo visto solo uomini entrando avevo creduto di aver sbagliato porta…solo dopo mi sono accorta che erano oltre il vetro! Trovo piacevole il leggero imbarazzo che può dare il gioco di trasparenze in un bagno pubblico, là dove tutti desidererebbero trovare il massimo della privacy. Avevo trovato geniali anche i bagni del ristorante Mantra di Boston dove un vetro specchiato sulla porta dava l’illusione di essere visti da chi sostava nell’antibagno. Angela pensa che sia troppo forte sentirsi in vetrina anche in bagno, io invece trovo originale ed intrigante questa insolita promiscuità visiva. La cena cinese da Mr Choux, il ristorante modaiolo del W che raggiungiamo più tardi, inizia solo alle 22 perché il tavolo prenotato per le 21 si libera con ritardo…. e solo la preziosa collezione di quadri di Mr Choux, non certo la qualità scadente del cibo può giustificare il conto esorbitante. La serata scorre piacevolmente…presa dalla conversazione con Angela, finiamo con l’interagire poco con i nostri mariti e con Pierpaolo che forse si sta annoiando molto…ma come resistere dal dedicare la conversazione alle nostre grandi passioni….arte architettura e fotografia? Quando dopo l’una rientriamo in taxi al Rimini Beach ci sorprende un incendio vicino alla spiaggia… i rigogliosi cespugli di mangrovie sono divorati dalle fiamme e la polizia è ad attendere i pompieri che speriamo arrivino presto. Con questo vento forte l’incendio si potrebbe allargare a tutta Surf Side.

25 Dicembre 2009

MIAMI

Le nostre coccole ci fanno uscire dal letto tardissimo e quando all’una Pierpaolo bussa alla nostra porta io sono appena uscita dalla doccia e Vanni si è riaddormentato. Siamo in ritardo per il pranzo di Natale organizzato come ogni anno dagli inquilini italiani del condominio “Rimini Beach”. Scendo io per prima nella sala condominiale al piano terra che si apre sulla terrazza con piscina e la spiaggia. Porto con me la ciotola di peperoni arrosto preparati espressamente per l’occasione….. un gruppetto di bambini americani sgrana gli occhi in ascensore vedendomi scendere con la pietanza in bellavista, forse non sanno del pranzo di Natale. Sui tavolini da giardino che occupano un lato della sala non c’è traccia di decorazioni natalizie…. e soprattutto mancano i cuochi ancora alle prese con la cottura dell’agnello e dell’oca farcita ma i partecipanti, quelli che mangeranno i manicaretti, sono già tutti presenti. Poiché il tempo sta migliorando usciamo sulla terrazza per qualche chiacchiera di reciproca conoscenza che sfocia poco dopo in un lieve diverbio con uno degli ospiti sul tema della caccia. Risolviamo brevemente il battibecco perché due ragazze appena arrivate attirano la nostra attenzione… sono cubane, bellissime e parlando italiano si integrano velocemente nel gruppo. Bambini, genitori anziani arrivati qui a Miami per un saluto ai figli residenti, simpatici signori con le loro mogli, infine arrivano anche Vanni e Pierpaolo con i cosciotti d’agnello appena sfornati…per fortuna ci sono le patate al forno, e qualcuno ha pensato anche al pesce! Sparpagliati in piccoli gruppi diamo inizio al pranzo, leggermente esclusi dalla conversazione di chi si conosce da tempo, poi troviamo anche noi il nostro interlocutore… un signore italiano che per lavoro ha viaggiato in Asia Centrale. Iniziamo così a viaggiare tutti e tre ripercorrendo con il ricordo le avventure della scorsa estate…. A metà pomeriggio dopo una breve puntatina in spiaggia a rilassarci stesi sulla sabbia, è pronto il pesce al cartoccio cotto sul barbecue…una squisitezza che allungando i tempi del pranzo lo fa sembrare piuttosto una grande abbuffata. Va da sé che saltiamo la cena e non usciamo nemmeno per due passi…. insomma anche in assenza ti atmosfera natalizia seguiamo il copione stereotipato della giornata tradizionalmente casalinga… e non usufruiamo nemmeno della classica serata al cinema…troppo difficile l’americano per noi!

26 Dicembre 2009

MIAMI

La bella giornata presupporrebbe di cogliere l’attimo andando in spiaggia appena svegli, anche se in forma lieve è pur sempre inverno anche qui…. la mia priorità è invece quella di recuperare una batteria nuova per la macchina fotografica senza la quale mi sento come castrata, senza la possibilità di ricordare in futuro le meravigliose sfumature del mare e della città. Nonostante la promessa implicita dei megastore che ci illudiamo debbano contenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno, in quelli perlustrati qualche giorno fa non c’era traccia di batterie Panasonic, così dopo una breve ricerca in internet trovo un paio di rivenditori lontanissimi nel Dadeland Mall che raggiungiamo con un viaggio di un’ora per la sola andata. Durante il tragitto attraversiamo quelle aree della città alle quali non si dedica mai nemmeno un’occhiata….quelle anonime e leggermente squallide che pur facendone parte ne sembrano avulse, quelle negate dalle guide turistiche così come dai discorsi della gente, quelle insomma nelle quali si vive senza apparire. Ma ecco che all’ennesimo sorrisetto di sufficienza di Vanni che avrebbe voluto essere in spiaggia mi scende la catena e divento di pessimo umore….a maggior ragione per il fatto che una volta tornati dalla missione dopo tre ore, il sole è sparito, nascosto da uno strato leggero di nuvole grigie. Insomma trascorro tutto il pomeriggio nell’inutile tentativo di ritrovare il sorriso, poi alle sette usciamo per raggiungere Vittorio e Cristiana per un aperitivo nel loro magnifico appartamento di South Beach e dopo a cena al “ Fogo de Chao “ il ristorante brasiliano al 836 della 1° traversa nel quale ci deliziamo con l’ottimo churrasco. Di nuovo soli dopo la piacevole serata torniamo a curiosare tra i grattacieli di downtown alla ricerca del nostro preferito. La sagoma luminosa azzurra ci appare come un miraggio da lontano. Come una stella osservata dal deserto, la Bank of America spicca incontrastata nella semioscurità, e crea con la luna piena di questa sera un poetico binomio. Scendo a scattare foto a raffica con l’avidità di chi desidera conservare a lungo la magia di questa sorta di miracolo…. l’apoteosi americana dell’immagine, la stella cometa di Miami. Tornando verso casa ci fermiamo sul ponte della Mac Arthur coseway ad osservare l’ampia baia scura ed i giganti che vi si affacciano lontani allineati di fronte a noi.

27 Dicembre 2009

MIAMI

Sono ancora di pessimo umore, non so cosa darei per stare meglio, per non sentire la cupezza che mi morde. Scendiamo per una passeggiata in spiaggia. Il mare colpito dal sole si tinge di incantevoli sfumature azzurre che si mescolano all’avorio della sabbia. I colori tutti più accesi trovano la loro apoteosi nelle belle palafitte di legno che ospitano gli addetti al salvataggio. Variopinte e tutte diverse le vediamo sfilare mentre camminiamo, piccoli capolavori di design sparsi sulla spiaggia in rapporto dialettico di reciproca valorizzazione. Oggi i gabbiani sono particolarmente agitati per via degli omaggi di cibo che alcuni bagnanti lanciano in aria. Pochi pezzetti di pane scatenano volteggianti combattimenti tra chi non è disposto a cedere il boccone e così ne vediamo a decine lanciarsi all’inseguimento del più abile in fuga con il suo pezzetto di pane stretto nel becco nell’eterna lotta per la sopravvivenza. Il pomeriggio scorre nell’alternanza tra la lettura dei nostri libri a qualche partita di backgammon…. fino alle quattro, quando puntualmente il sole scendendo dietro gli alti edifici che fanno da quinta alla spiaggia stende una fredda ombra sulla sabbia. Rientriamo in tempo per ricevere la telefonata di Angela e Maurizio in partenza per il Cile e poi torniamo ai nostri malumori….che disastro, ora anche Vanni è contagiato! Con Pierpaolo andiamo al ristorante Fifi sulla Collins, circa all’incrocio con la 69° street. Il ricordo dell’insegna al neon color rosa e dell’ottima tempura di pesce condita con una speciale salsina è ancora vivissimo dall’anno scorso, ma questa sera andiamo oltre concedendoci una piccola abbuffata a base di cheviche e pargo ai ferri. Stiamo benissimo seduti nel nostro tavolino sul marciapiede nonostante il traffico intenso che continua a sfilarci accanto. Il sole di oggi ha scaldato abbastanza l’aria da renderla piacevolmente tiepida, e così tra bicchieri di vino e gustosi manicaretti la serata scorre all’insegna del buonumore ritrovato, mentre osserviamo divertiti Pierpaolo che non si trattiene dal fissare, tra un boccone e l’altro, la bella signora con marito seduta nel tavolo accanto.

28 Dicembre 2009

MIAMI

Mi sveglio inquieta per il sogno terminato al risveglio…..l’ultimo delirio del mio inconscio malato. Sogno che Vanni, innamorato da tempo di un travestito, una mora che indossa un abito bianco e nero e che ora rivendica il loro amore ed il suo desiderio di averlo tutto per se, Vanni dicevo, mi chiede in lacrime il divorzio….tragedia! Avrei preferito sognare altro… Vanni non è qui accanto a me, sta dormendo sul divano e fuori il cielo è grigio….non male come inizio! Tutto evapora in un baleno quando avendolo di nuovo accanto a me godiamo delle nostre meravigliose coccole….che sollievo! Così come gli incubi, poco dopo se ne sono andate anche le nuvole lasciando il cielo terso completamente azzurro. Memori della variabilità del clima invernale scendiamo subito in spiaggia dove oltre a noi e pochi altri umani vi sono decine di gabbiani fermi attorno ad un signore in vena di lanciare i golosi bocconcini. Circondati dal blu ci guardiamo intorno stupiti da tanta bellezza, compreso il gruppo di grattacieli lontani che oggi sembra di poter toccare con la mano tesa. Con una sorta di compiacimento immagino il team di progettisti intenti a creare questa città urbanisticamente così interessante ed equilibrata dalla palude che un tempo caratterizzava il paesaggio. Questa città che pur mantenendo uno stretto legame con il territorio sul quale si è formata, sabbia, oceano e canali, riesce a stupire con meravigliosi grattacieli tutti diversi, uno più divertente dell’altro, tra i quali passeggiare ed assorbire l’energia che emanano….è forse per questo che amo tanto alcune città statunitensi…. trovarmi tra questi meravigliosi giganti mi fa stare bene e mi fa sognare. Non sembrano partoriti dalla pura speculazione edilizia bensì dalla fantasia e dall’immaginazione, dal sogno di progettisti che hanno voluto gratificare chi passando avesse voglia di alzare lo sguardo verso l’alto. Questa sera invece lo sguardo è tutto concentrato sulle lunghe zampe del King Crab che fuoriescono dai nostri piatti….le ho trovate al Publix, il supermercato vicino a casa.

29/30/31 Dicembre 2009

MIAMI

Nulla di significativo da segnalare nei giorni che hanno preceduto l’ultimo dell’anno se non il brusco risveglio di una mattina, quando i segnali acustici in sequenza dell’allarme antincendio diffusi attraverso discreti altoparlanti nascosti nel controsoffitto, riescono a penetrare i tappi gialli che sigillano le nostre orecchie. Né presto né tardi, circa verso le undici dalle bocchette di ventilazione esce la voce amplificata che scandisce parole a noi incomprensibili anche per via dei tappi, ma che per il tono duro e imperativo col quale vengono pronunciate ci fanno percepire la situazione di pericolo. Incalzati dalla sirena ci precipitiamo fuori dal letto e ci affacciamo alla porta di uscita verso il corridoio, ma nulla sembra succedere nel letargico condominio Rimini Beach…. il corridoio è deserto. Capiamo immediatamente trattarsi della periodica esercitazione antincendio della quale ci aveva accennato Pierpaolo, fatta per tenere allenati gli inquilini nell’evacuazione dell’edificio in caso di pericolo, ma che non gradito viene sistematicamente ignorato creando anzi una sorta di assoluta indifferenza nei confronti di questo tipo di allarme. Proprio non ci siamo…. un sistema come questo rischia di generare delle catastrofi oltre che di procurare lesioni permanenti alle orecchie dei cittadini che abitano in edifici plurifamiliari. A vivacizzare la già elettrizzante atmosfera di fine d’anno è l’arrivo di un gruppo di amici riminesi e di Abi, un’amica di Pierpaolo…. tutti qui per il festeggiare avvolti nel clima mite di questa fantastica città che proprio l’ultimo giorno dell’anno ci regala un sole strepitoso in totale assenza di vento, un clima estivo che accogliamo con grande soddisfazione come un regalo. Va da se che trascorriamo gran parte della giornata stesi sulla sabbia chiara di fronte a casa, la lunga lingua resa sottile dalle mareggiate dei giorni scorsi. Qualche motoscafo sfila inseguito dalla sua onda, una grossa trave di legno ancorata al trattore spiana la sabbia, attorno a noi il paesaggio familiare e qualche residente che come noi approfitta della bella giornata. Arriva anche Pierpaolo con il suo inseparabile Iphone che anche adesso usa per ricevere telefonate di lavoro, poi poco prima dell’ombra che anche oggi arriva puntuale alle quattro, Pierpaolo e Vanni vanno in missione al supermercato…. devono recuperare qualche bollicina e stuzzichini per festeggiare il capodanno delle sei, la mezzanotte in Italia, con il gruppo di amici riminesi che arriveranno qui da noi. Quando anch’io li raggiungo nella piscina del condominio che si affaccia sulla spiaggia e sul mare, la luna è appena sorta dall’oceano….grande ed ancora giallastra. La osservo alzarsi inquadrata fra due palme e pian piano stendere sulla superficie increspata dell’acqua la sua scia argentata….com’è bella! I bicchieri e gli stuzzichini sono pronti sui tavolini ….mancano solo i ragazzi che ancora in attesa di un taxi a South Beach arriveranno solo verso le sette. Alle sei meno qualche secondo il tappo esce impaziente dalla bottiglia di Moet e poco dopo alcuni bicchieri sono pieni. Festeggiamo noi tre ed Enrico, un simpatico italiano residente qui….poi arriva Clio, la sua bellissima moglie somala, con un impiantino per la musica che si diffonde subito sulle note del mio brano preferito che Pierpaolo ha selezionato per primo dal suo Ipod….quello molto Baia degli Angeli che adoro! Quando verso le sette arrivano finalmente i ragazzi scattano gli ultimi brindisi e le chiacchiere e le risate….insomma quando alle otto lasciamo il gruppo per andare alla festa alla quale siamo stati invitati da Vittorio e Cristiana siamo già abbastanza euforici da riuscire ad affrontare con leggerezza il traffico verso Island Ave e poi il gruppo di italiani appartenenti al jet set bolognese che troviamo riuniti in un appartamento da favola con vista mozzafiato sulla baia e la downtown risplendente di luci. Immersi nell’ambiente chiaro della zona giorno che si sviluppa parallela alla terrazza in un susseguirsi di salotti e tavoli da pranzo, godiamo dell’atmosfera avvolgente resa ancor più piacevole dalle opere d’arte disposte con sobrietà sulle pareti bianche e da una piccola figura femminile seduta, scolpita nel metallo lucente ed inserita in una nicchia nera. Tra un sorso e l’altro socializziamo con alcuni ospiti, tutti italiani ad eccezione di una signora olandese piacevolissima, che vive a Miami da quattordici anni e con la quale mi intrattengo a lungo a parlare di viaggi, di città americane e di Miami naturalmente! Molti i volti già visti, forse incontrati a passeggio per le vie del centro di Bologna….ma la vera attrazione della serata è la vista dalla terrazza dalla quale non mi muovo se non per assaggiare le ottime pietanze preparate in collaborazione con la padrona di casa e servite ai tavoli apparecchiati con elegante misura sui quali spiccano meravigliosi bicchieri con inserti di vetro nero. Dopo aver assaggiato un Malbec argentino al quale assegnerei un premio per il meraviglioso bouquet che sprigiona assaggiandolo, prendo uno dei pacchetti che una signora sta distribuendo a tutti. Contengono frivoli indumenti intimi tra cui giarrettiere rosse, reggiseni e perizomi di tulle viola ornati di strass e piume di struzzo mentre agli uomini sono riservate le manette ingentilite con piume nere. Ai ricchi premi seguono pochi minuti prima della mezzanotte i cotillon…. non potevano mancare in una festa perfetta come questa che sembra partorita da un manuale del buongusto….Servite su un vassoio d’argento le trombette finiscono presto con l’emettere i caratteristici suoni striduli suonate da tutti i presenti ormai in preda all’euforia delle bollicine e della mezzanotte vicinissima. Allegramente felici vi si esibiscono fino all’apoteosi che esplode senza troppe patinature in una allegria di auguri sinceri e di bacetti sulle guance mentre fuori la baia si incendia dei fuochi d’artificio e la downtown sembra esplodere in uno scoppiettare di botti che si placano solo molto più tardi, quando anche l’energia di tutti noi va affievolendosi. Una serata davvero unica anche per la suggestione di quella immagine notturna da favola che sempre conserveremo nella nostra memoria come una delle più belle…..la migliore cornice possibile per il nostro capodanno 2010.

01/02 Gennaio 2010

MIAMI – TAMPA – PANAMA CITY

Partiamo ancora carichi dell’energia residua della serata di ieri e per quella che si aggiunge nell’attraversare ancora una volta questa piacevole città e la downtown di alti grattacieli. La giornata nuvolosa e la temperatura scesa ancora di qualche grado ci consentono di partire senza troppi rimpianti…. abbiamo voglia di muoverci e questi diciotto giorni di soggiorno in città sono stati più che sufficienti per noi ormai irrimediabilmente nomadi. Procedendo verso Nord attraversiamo gli acquitrini delle Everglades dove un paio di temporali ci sorprendono tuffandoci nel clima invernale evitato fino ad ora. Molti uccelli bianchi di palude, le bellissime “garze” dal collo lunghissimo sono appollaiate sui rami aggettanti verso l’acqua scura ed i cormorani dei quali vediamo solo il collo nero e sottile affiorante dalla superficie livida dello specchio d’acqua adiacente la strada. Ma il parco naturale che stiamo attraversando sulla 40 Hwy verso Ovest non è popolato di soli uccelli…. diversi pescatori fermi sull’argine sono in attesa del movimento della lenza mentre i natanti dalla caratteristica grande elica a poppa scivolano rumorosi sui canali, tra le canne e la vegetazione di palude che sembra volerli trattenere. Le Everglades terminano ma non il freddo pungente che ci accompagna fino a Tampa. Raggiungiamo la città quando ormai è troppo buio per visitare il suo quartiere più caratteristico, Ybor City, popolato da cubani che diversi decenni fa vi hanno esportato l’arte del produrre i famosi sigari oltre ai laboratori e le case tipicamente caraibiche. E’ il quartiere più vivace di questa modesta cittadina ma è piuttosto decentrato e noi troppo stanchi per la deviazione che ci consentirebbe di trovare un localino con musica caraibica dal vivo ma non un hotel decente, leggiamo sulla guida. Dormiamo nella camera squallida e che odora di fumo di un Best Western scelto a caso…. Ripartiamo presto dimenticandoci dei cubani e dei sigari. Puntiamo verso Nord sulla 75 Hwy intasata a tratti per il traffico del rientro da parte delle migliaia di turisti americani scesi nella calda Florida in occasione delle feste. Circondati dal paesaggio di pianura mai particolarmente interessante arriviamo nella cittadina di Panama City verso le quattro del pomeriggio col vantaggio di aver sottratto un’altra ora di fuso orario ai nostri orologi. Abbiamo così il tempo di scegliere una camera vista mare all’Holiday Inn che sorge a ridosso della spiaggia bianca come la neve e che scricchiola sotto le nostre suole nella breve passeggiata che nonostante il freddo facciamo poco prima del tramonto, bellissimo, sul mare del Golfo del Messico. Non vedo l’ora di vederlo alla luce del sole di domani mattina questo mare, famoso per il suo colore verde smeraldo. Per il momento ci accontentiamo del tramonto che osserviamo dal Sunset Lounge bevendo il mojito offertoci gentilmente dalla casa.

03 Gennaio 2010

PANAMA CITY – NEW ORLEANS

Il cielo di questa mattina è velato ed il mare che vediamo dal terrazzino della camera è una superficie piatta verde perlaceo…poi c’è la neve. E’ incredibile quanto sia bianca questa sabbia! Dopo averne prelevato un campione e continuato ad osservare il paesaggio surreale di questo tratto di costa, ripartiamo seguendo la strada costiera, la famosa 10 Hwy dalla quale leggiamo, si può godere di meravigliosi scorci sulla costa e sul mare….ma trattandosi di una strada non in quota le viste sul mare sono pressoché inesistenti dato che si procede sullo stesso livello, e per un bel tratto alti edifici costruiti a ridosso del mare, proprio come nella Panama City che abbiamo lasciato poco fa, nascondono anche quel poco che si potrebbe vedere. Per continuare a costeggiare il mare lasciamo la 10 Hwy deviando verso Sea Side, la cittadina che fu set cinematografico per il film “The Truman Show”. Il primo centro abitato che raggiungiamo è Santa Rosa, patinata di edifici nuovissimi e così bianchi da mandare in tilt l’esposimetro della mia macchina fotografica. Disseminata di siepi scure che contrastano con il bianco e dall’arredo urbano così curato da sembrare finto. Alcune pretenziose ville negli stili che spaziano dal vittoriano all’organico alla F.O.Gehry, sono in prima fila sulla spiaggia alla quale sono collegate da rampe di scale di legno. Passeggiare sulla spiaggia bianchissima con questo freddo è oltre che una sofferenza un piacere al quale non mi sottraggo. Poche impronte di scarpe sulla sabbia compatta vicina al mare sono sempre accompagnate dalle orme di qualche cane portato al guinzaglio…come quello che vedo camminare divertito ed incurante del gelo a fianco del suo padrone. Mi dirigo decisa verso la casa che mi interessava vedere da vicino e che l’ampio muro di cinta verso il centro abitato non mi aveva concesso di osservare…. Vanni intanto mi aspetta al calduccio a bordo di Jimmy. Poi finalmente esce il sole a rendere ancora più abbagliante il fondo morbido sul quale mi muovo. Il mare ora è verdissimo…. cerco di immaginarne la bellezza in piena estate, quando il sole alto deve esaltarne la trasparenza…. ma anche ora non è male ed il vantaggio di questo freddo è che non c’è nessuno qui ora a parte me ed un cane randagio che mi segue da lontano. Dopo la parentesi di Santa Rosa proseguiamo ancora verso Ovest lungo la costa e ci fermiamo nella famosa Sea Side, la cittadina tranquilla ed ordinata che incontriamo dopo una ventina di chilometri. Si sviluppa attorno ad una piazza circolare tangente alla strada principale, con reticoli di vialetti alberati sui quali gli edifici a doghe di legno sfoggiano le volumetrie tradizionali con colori talvolta accesi e bianche torrette panoramiche che spuntano oltre i tetti. Nonostante la guida dicesse che i residenti non fanno uso dell’auto per spostarsi all’interno del centro abitato, di auto ne vediamo diverse….ed anche qualche roulotte, quelle bellissime degli anni ’70 tutte bombate e rilucenti nel loro paramento di alluminio lucidato. Sono ferme al bordo della strada ed usate come simpatici baretti. Poco oltre, raggiungibile attraverso brevi percorsi pedonali c’è la spiaggia bellissima ora in pieno sole…con il freddo di oggi sembra davvero sia caduta da poco la neve. Qua e la ciuffetti scuri di vegetazione spontanea spuntano dalle basse dune che precedono la fila di case…. altro che ombrelloni in prima fila! Qui non ci si accontenta di così poco…. La costa è articolata nel tratto che segue da ampie baie ed acquitrini che attraversiamo su lunghi ponti. Proprio come a Miami la costa si moltiplica in una miriade di insenature e canali che entrano a creare paludi ed acquitrini…là ricondotti ad una logica urbana, qui invece percepibili nella loro natura più selvaggia… i colori riassumibili nelle due tonalità del blu scuro ed il ruggine della vegetazione spontanea secca per l’inverno incombente. Alle paludi si susseguono le pianure e poi ancora le acque dell’estuario del Mississippi che attraversiamo nel tardo pomeriggio traguardando New Orleans. Il quartiere Francese ci accoglie bello come sempre ed oggi con la sorpresa di un gruppo di ragazzi che sfidando i pochi gradi sfilano lungo il marciapiede suonando i loro strumenti a fiato in un motivetto dixiland molto anni ’30. Quasi come un ritorno a casa troviamo facilmente fra le strette stradine del quartiere storico il nostro “Chateau Hotel” e la camera 114 troppo piccola dalla quale usciamo subito alla ricerca di un pò di sano jazz live.

04 Gennaio 2010

NEW ORLEANS

La colazione all’aperto non è esattamente ciò che avremmo desiderato subito dopo il risveglio, a maggior ragione per la temperatura di oggi che si aggira attorno ai 5°c e non accenna a salire per tutta la giornata che trascorriamo in parte ad acquistare guanti e calzini nel centro commerciale molto ben riscaldato del quartiere. Sciabolate di vento ci sorprendono ad ogni incrocio mentre passeggiamo intirizziti tra le stradine pittoresche del French Quarter a fotografare le belle facciate degli edifici a due o tre piani che formano quinte continue variamente colorate dalle quali sporgono gli eleganti terrazzi incorniciati da strutture metalliche che come merletti inamidati creano stupendi loggiati sostenuti a terra da sottili pilastri circolari. Alle due del pomeriggio siamo già al caldo nella nostra camera che per compensare teniamo a temperatura da sauna… dopo un pò esco sola alla ricerca di un cioccolato in tazza che trovo in un simpatico bar frequentato prevalentemente da locali straccionati…. forse è stata l’atmosfera vagamente bohèmienne del locale a convincermi a rimanere seduta a lungo ad osservare le dinamiche di questi gruppetti che sembrano annegare nella birra. Per ingannare il tempo leggo gli articoli che non capisco di un giornale locale ed osservo con una certa soddisfazione, filtrati dalle ampie finestre che mi proteggono, i passanti camminare infreddoliti. Quando infine esco dalla tana calda sono immediatamente attirata da un centro massaggi sulla cui soglia una ragazza cinese mi invita ad entrare. Unica cliente coccolatissima mi sottopongo ad un bel massaggio ai piedi…. avevo dimenticato ahimè quanto è dolorosa la riflessologia plantare!Comunque resisto ed anzi mi rilasso, ma venti minuti passano velocemente ed i miei piedi si mantengono piuttosto freddi nonostante gli sforzi della simpatica signora di Pechino. Raggiungiamo poi in taxi lo Snug Harbor al 626 di Frenchmen Street (“http://www.snugjazz.com” www.snugjazz.com ) per una cenetta musicale. E’ uno dei locali più veraci dove ascoltare jazz in città senza dover temere per la propria incolumità. Questa sera si esibiscono i Charmaine Neville & Friends, un gruppo di quattro elementi + la simpatica cantante che più che altro intrattiene il pubblico. L’ambiente raccolto dello Snug vede esibirsi la band sul palco che occupa tutto il fondo del piccolo locale….noi ci accomodiamo nel ballatoio, in un tavolino laterale al palco che ora vediamo dall’alto mentre gustiamo i nostri hamburger. Che bel ritmo! Nonostante il jazz inviti al movimento nella saletta di sotto nessuno si muove, sono talmente pigiati nelle loro sedie appiccicate le une alle altre che sarebbe impossibile farlo. Nel ballatoio siamo più comodi ma se vogliamo vedere la band mentre si esibisce dobbiamo stare vicini alla balaustra di legno, ovvero seduti come gli altri al tavolino. Che bella serata! ne avevo nostalgia fin dall’estate scorsa quando dopo il concerto di Ellis Marsalis ci congedammo dalla città pensando che forse non saremmo mai più tornati.

05 Gennaio 2010

NEW ORLEANS

La bella giornata di sole ci invita ad esplorare ancora un pò la città iniziando dal Contemporary Art Center ospitato in un bell’edificio datato, forse un vecchio magazzino, reinterpretato all’interno con una struttura di legno lamellare nello spazio a tutta altezza della hall. Peccato che la collezione contenuta nelle sale del museo non sia fruibile oggi essendo aperte al pubblico solo dal giovedì alla domenica. Delusi attraversiamo a piedi la city con i suoi alti edifici recenti giustapposti ai più antichi, bassi e tutti in mattoni a vista o intonacati nelle tinte pastello…. fino a ritrovarci di nuovo nel French Quarter che ormai conosciamo troppo bene per potervi passeggiare ancora con piacere nonostante il freddo che non molla. Ci rintaniamo allora in hotel a consolidare il progetto di viaggio più plausibile che ha sbaragliato le altre ipotesi improponibili per via del clima inaspettatamente rigido. Rinunceremo così alla visita del New Mexico per via dei -12°c che leggiamo in internet aver precipitato lo stato americano nel gelo…. punteremo invece subito verso Sud costeggiando il Golfo del Messico fino a Mérida dalla quale raggiungeremo Cuba. Credo di essere una delle poche italiane a non avervi mai messo piede! Con il New Mexico abbandoniamo anche l’idea di poter tornare in Baja California. Per non trasformare questo in un viaggio di troppi déja vu ci atterremo al programma originario che prevede di seguire dopo la costa Pacifica, quella Atlantica delle Americhe per chiudere il circuito a Buenos Aires, la città dalla quale partimmo cinque anni fa. Tra una partita a backgammon e l’altra, nel tepore della nostra cameretta al piano terra direttamente accessibile con un’ampia porta a vetri dal cortile con piscina dell’hotel e che odora di muffa, pian piano si fa sera e così raggiungiamo in taxi il ristorante Adolfo’s sulla Frenchman Street, caldamente raccomandatoci dalla gentile signora della reception per via dei piatti di cucina italiana mixati con fragranze creole….del resto questa città sembra appartenere al territorio statunitense per uno strano scherzo del destino chissà se fortunato oppure no. L’atmosfera caraibica dell’Adolfo’s si tinge della nota accesa dell’aglio che ci stende appena entrati nell’ambiente raccolto e fatiscente del locale al primo piano di uno sgangherato edificio di legno. Colore dominante il rosa acceso che tende al rosso presente anche nel controsoffitto di lastre di compensato tutte un pò sberciate e che speriamo non crollino proprio ora. Considerata la sporcizia visibile nonostante la luce soffusa del localino che ora sembra anche vagamente bohèmien, mi sarei aspettata pietanze più saporite, ma Vanni assicura che le sue costolette di agnello sono strepitose! Al piano di sotto tre musicisti strimpellano un motivetto senza troppa convinzione, quindi dato che nemmeno al favoloso “The Spotted Cat” stanno suonando ripieghiamo all’ormai familiare Snug dove i tre ragazzi giovanissimi che formano il Bridge Trio si esibiscono con l’intervento di amici che estemporaneamente salgono sul palco a cantare o a suonare altri strumenti integrando la band che di volta in volta si colora di nuove note. Il batterista sembra Arnold, quello dei telefilm di più di trenta anni fa, da grande… sembrano tutti leggermente timidi e poco convinti di ciò che stanno facendo, ma è tutto un atteggiamento che svanisce negli assolo eseguiti con forza e determinazione. Bravi i ragazzi!

06 Gennaio 2010

NEW ORLEANS – HOUSTON

La Hwy 10 che seguiamo per diverse ore attraversa oggi paesaggi piuttosto monotoni soprattutto nel tratto texano, quando abbandonate le paludi della Louisiana ed i boschetti di alberi spogli arriviamo nella pianura desolata punteggiata di raffinerie nelle quali arriva il greggio estratto in Texas e più in generale dagli Usa. Del resto Pierpaolo ci aveva avvisati…. il Texas può essere attraversato senza noia solo con l’ausilio di droghe pesanti…. Il cielo grigio non aiuta a ravvivare il viaggio sull’autostrada a cinque corsie che corre verso Ovest, ma poi poco prima dell’imbrunire arriviamo a Houston che contrariamente alle aspettative non ci sembra poi così male. Ordinatissima e con un boschetto di grattacieli che ne movimentano con forza la downtown, arriviamo senza nemmeno un errore al 5701 di Main Street dove dovrebbe trovarsi il Worwick, un hotel storico che la guida consiglia…. ma poi scopriamo con piacere che il vecchio hotel è stato ristrutturato con grande cura tre anni fa ed ora si chiama Monarch Zaza Hotel…. finalmente l’ennesima pecca della Lonely Planet anziché crearci un disagio gioca a nostro favore ! Sofisticata ed avvolgente, la hall è dominata dai colori scuri sui quali si inseriscono i quadri coloratissimi, i ridondanti lampadari a gocce di vetro, le poltrone rivestite di pelle di zebra…candele e vasche d’acqua, poi anche l’ascensore ci riserva una sorpresa…. il pannello di fondo è un dipinto a olio! Il piacere della perlustrazione prosegue fino alla nostra camera che è bella, avvolgente…. e con citazioni esotiche come il lettone sostenuto da quattro zampe di leone argentate ed una vetrinetta che contiene un piccolo museo….. vasi di vetro di ottima fattura, un piccolo Buddha di bronzo, un lume antico ed altro ancora. A compensazione del lettino che ci aveva accolti i giorni scorsi questo king size pieno di cuscini ci sembra ora un letto da pascià. Le belle sorprese non sono finite qui…al ristorante dell’hotel occupiamo un tavolo vicinissimo a quello di una signora distinta sui 55 anni. Biondo platino e vestita di nero. Approfitta di una breve assenza di Vanni per rompere il silenzio esprimendo il suo gradimento…. le piace molto la rosa di avorio che porto al dito…. nel breve colloquio che segue mi dice che è qui a Houston per occupare la cattedra di progettazione presso la facoltà di architettura dell’Università…. che sorpresa! Quando nel corso della conversazione mi dice che è stata una stretta collaboratrice di F.O. Gehry seguono chiacchiere fitte ed estremamente gratificanti….finiamo col parlare dell’architettura contemporanea negli Usa ed in particolare delle opere del grande genio che entrambe adoriamo…. il Guggenheim di Bilbao rimane per entrambe il suo capolavoro, ma anche la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles non è da meno, così come il Museo Weisman di Minneapolis. Nonostante io non svolga più per scelta la libera professione di architetto, l’architettura rimane per me una grande passione e trovarmi ora a parlare con lei è come essere al cospetto di Maria Maddalena, ovvero la donna che più è stata vicina all’incarnazione di Dio…. o parlare con un aiutante della bottega di Leonardo da Vinci o del Botticelli! Lei ha lavorato gomito a gomito con un genio dell’architettura per decenni…. ed io sono qui con lei a chiacchierare… anche solo questo mi fa levitare! Già che ci sono le allungo il mio bigliettino da visita, nel caso le venisse in mente di dare una sbirciatina al nostro sito internet…che emozione!

07 Gennaio 2010

HOUSTON

Il “Museum of Fine Arts” di Houston è proprio di fianco al nostro hotel, sul lato opposto della strada secondaria che li separa. Questo ci risparmia di prendere un bel pò di freddo. Le opere che spaziano dal contemporaneo americano e dal ‘200 all’ ‘800 europeo sono contenute nell’edificio recente ed essenziale del museo dove le pareti di cemento a vista si mescolano a quelle bianche ed ai pannelli di acciaio Cortin che rivestono il piano inclinato della lunga scala mobile che conduce alle sale del primo piano. Non è la prima volta che vediamo esposte nei musei statunitensi i capolavori della nostra storia dell’arte italiana ed europea…ogni volta una rabbia sorda mi stringe lo stomaco…oggi cerco di non pensarci troppo scattando foto ad una bella tela del 1400 ferrarese che descrive nei toni dominanti del rosa e dell’ azzurro con inserti in foglia d’oro, l’incontro della Regina di Saba con il Re Salomone…o un favoloso Hieronymus Bosch che potremmo definire il precursore del surrealismo che si consoliderà poi solo sei secoli più tardi, nel 1900. Poche le opere di arte contemporanea ed un paio di ampie sale sono dedicate alla luna ed agli eventi ad essa correlati come ad esempio immagini, studi ed oggetti relativi all’allunaggio o i dipinti di ogni epoca aventi la luna come soggetto…. una profusione di chiari di luna risalenti al romanticismo. Interessante invece la proiezione del cortometraggio girato da Georges Meliès nel 1902 nel quale un gruppo di “scienziati” con i cappellini a punta ed armati di ombrelli intraprendono il viaggio verso il satellite a bordo di una navicella a forma di pallottola gigante. Il viaggio andrà bene ma l’aggressività dei venusiani li costringerà a ripartire in fretta per tornare sulla terra dove precipitano in mare ancora a bordo della navicella. Insomma nel 1969 il copione si ripete senza troppe variazioni, cambiano solo gli effetti speciali ed è fatta….l’idea non è nemmeno originale, scopriamo osservando questo simpatico filmetto in bianco e nero. Uscendo dal museo diretti alla Rothko Chapel, ci fermiamo attratti dal bel giardino di sculture la cui visita ci trattiene nel vento gelido per una quindicina di minuti. Delle poche opere esposte, una mi conquista…. un fascio di lunghi profili di ferro leggermente e diversamente flessi ritti sul prato verdissimo suggeriscono un movimento imploso non completamente espresso… stupendo! In balia del vento che soffia fortissimo e le cui raffiche talvolta ci impediscono di avanzare raggiungiamo tramortiti la Cappella Rothko. Con la testa che gira per via delle orecchie congelate entriamo nello spazio ottagonale della cappella…. alle pareti dell’ambiente piccolo e raccolto i dipinti monocromi di quel genio di Rothko, uno dei miei pittori preferiti. Le tele ricoprono quasi l’intera superficie delle otto pareti che formano il perimetro dell’unico volume alto circa cinque metri. Quattro sono blu scuro, le altre nere sono bordate da fasce quasi impercettibili marrone scuro. L’assenza di immagini conferisce a questo luogo una sacralità avulsa da particolari riferimenti religiosi ed allo stesso tempo lo rende estremamente adatto alla meditazione….. così mistico come solo il deserto riesce ad essere. Sulle due sobrie panche in legno dell’ingresso sono disponibili due file di testi sacri delle varie religioni, dal Corano alla Bibbia al Vangelo, fino a testi sul Buddismo, il Taoismo ed altro ancora… questo luogo è aperto alla preghiera ed alla meditazione per persone di ogni fede religiosa nel rispetto di tutte le altre, che grande esempio di civiltà ! Un grande artista accostandosi all’infinito ha avuto il coraggio di dipingere il nulla e lo ha fatto in modo magistrale polverizzando la familiare identità delle immagini nell’intento di distruggere le associazioni finite delle quali la nostra società sempre più si circonda in ogni suo aspetto. La magia di questo prisma ottagonale gradatamente ci conquista e seduti su una delle poche panche nere non vorremmo più andare via…. Usciamo poi per raggiungere in taxi la downtown e con lei quel gruppetto di grattacieli svettanti, non particolarmente attraenti se considerati singolarmente, ma di un certo effetto complessivo. Il vento qui è ancora più veloce, come accelerato dai giganti sopra di noi ed il frastuono che arriva dalle impalcature di un edificio in ristrutturazione, piuttosto preoccupante…. se qualcosa dovesse sfuggire alla protezione e scagliarsi a terra alla velocità delle raffiche sarebbe un disastro ! Scampato il pericolo conquistiamo una bella doccia bollente in hotel e la cena ottima al ristorante dell’hotel dove Francisco, il cameriere messicano ci coccola con mille attenzioni e poi ci serve gli ottimi filetti….. chissà se appartenevano alle famose mucche Longhorn texane? Questa sera c’è un gran fermento qui al ristorante, con musica dopo le ore 20 ed un gran andirivieni di persone…. chissà dove sarà il nostro architetto!?

08 Gennaio 2010

HOUSTON – BROWNSVILLE

Gentilissimi al Zaza Hotel…. al check-out ci fanno dono di una coppia di porta indirizzo di metallo per valigie, troppo belli per i nostri due trolley che preferiamo lasciare spogli come sempre! Usciamo senza errori da Houston, scegliendo la 59 South fra tutte le possibilità che dalla downtown si dipartono a 360° verso l’entroterra…. poi ci troviamo immersi in un groviglio di sopraelevate che si sfiorano sopra di noi…. è come essere in un circuito di montagne russe in scala gigante nel quale manca solo il giro della morte! Che viaggio bigio quello di oggi…. approfittiamo delle nuvole e del freddo per avvicinarci il più possibile al confine con il Messico che raggiungiamo dopo aver percorso poche centinaia di chilometri di terre arate e pascoli di mucche, verso le cinque del pomeriggio. Sosta al La Quinta Hotel e cena al vicino Burger King….. Dopo l’hamburger con patate fritte che ci fa sempre sentire come ragazzini, leggiamo la mail di Paolo e Catia con la quale ci invitano a trascorrere qualche giorno da loro nella tiepida Baja California prima di proseguire insieme il viaggio attraverso il Messico. Il prossimo volo utile da Monterrey a La Paz in Baja California partirà alle 15.30 dell’ 11 gennaio ….. molto probabilmente noi saremo su quel volo.


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26 Messico


09 Gennaio 2010

BROWNSVILLE – MONTERREY

L’ingresso di Jimmy in territorio messicano è leggermente laborioso….. con la targa canadese scaduta fin dallo scorso giugno è stato già un miracolo aver circolato per quasi un mese negli Usa senza pagare ammenda per questo problemino non da poco che avrebbe richiesto nel caso di un controllo per strada da parte della polizia una dialettica da arringa anche in Italia…. figuriamoci doverci difendere in lingua americana! I messicani dimostrano subito il loro buon cuore ed una disponibilità esemplare fornendo a Vanni la soluzione condita con una valanga di sorrisi rassicuranti al costo accessibilissimo di una cinquantina di dollari. Non sono solo i sorrisi ad annunciare il passaggio da un “pianeta” ad un altro…. anche i bagni della dogana, senza carta igienica e con le porte sconnesse sono senz’altro il rovescio della medaglia del nostro ingresso nello stato ospitale e rassicurante di Mexico. L’aria messicana ci dà una sferzata di energia ed aumenta la nostra capacità di comunicazione con i locali … il passaggio dall’inglese ancora ostico, allo spagnolo con il quale almeno condividiamo la matrice latina ci fa sentire enormemente a nostro agio…. impossibile non capire o non essere capiti d’ora in poi. Similmente agli africani, i messicani si mostrano senza troppi fronzoli né maschere, spontanei nel bene e nel male ma senz’altro piacevoli. Nonostante la temperatura non sia cambiata rispetto a ieri, oggi sembra più caldo ed il paesaggio pianeggiante leggermente flesso in ondulate increspature ha il colore marroncino della vegetazione bruciata dal sole. Qualche fungo di fumo che si alza lontano fa pensare alle raffinerie della droga estremamente attive qui nel Nord del Messico, ma chissà di cosa si tratta veramente…è più probabile che siano i fuochi di incenerimento fai da te dei rifiuti dei villaggi. Il cielo azzurrissimo ci accompagna lungo i 300 km che percorriamo per raggiungere Monterrey sulla comoda autostrada che si interrompe però all’altezza dei centri abitati più grandi. Entriamo così nostro malgrado in labirintici tessuti urbani le cui stradine disseminate da ripidi dissuasori e carenti di cartelli stradali ci portano un paio di volte fuori strada…. perderci però è impossibile…. il nostro obiettivo è esattamente alla base delle alte montagne scure della Sierra Madre che vediamo spuntare senza mediazioni dalla pianura , direttamente dalla linea dell’orizzonte perfettamente piatta. Infine siamo fortunati…. l’autostrada corre tangente al centro storico della città di Monterrey e con poche deviazioni arriviamo all’hotel Santa Rosa che abbiamo scelto per evitare gli hotel internazionali che se da un lato offrono standard altissimi dall’altro ti proiettano in una dimensione totalmente avulsa dal contesto. Per 80 $ occupiamo una suite al quarto piano del Santa Rosa che a dire il vero non ha molto di messicano se non lo standard decisamente basso per un cinque stelle…. compresa la trapunta di lana compressa, così pesante da schiacciare. La tv di fronte al letto non certo a schermo piatto e con una definizione dell’immagine così scarsa ci fa tornare indietro nel tempo di parecchi anni, ma Antonio il custode è simpaticissimo e ci dice che possiamo fumare in camera se vogliamo…. che peccato…. gli statunitensi erano quali riusciti a farci smettere! Figuriamoci che Francisco, il cameriere messicano dell’hotel di Houston ci aveva comunicato con un certo imbarazzo che dopo le dieci di sera era fuorilegge fumare anche per la strada…. insomma in Usa come in Turkmenistan…. con la differenza che loro non si nascondono dietro a statue della libertà o a presidenti democraticamente eletti. Tutto si può mettere in discussione del Santa Rosa tranne il suo sistema wireless che ci consente di aprire la mail di Catia e Paolo con la quale ci consigliano di andare a mangiare da un loro amico calabrese che risiede da anni qui in città. La ricerca del “Pizza Pazza” impegna il nostro tassista per una buona mezz’ora ma poi eccoci stringere la mano di Pietro che ci invita amichevolmente ad accomodarci in cucina. Mentre Pietro stende un paio di pizze e risponde al telefono per prendere le ordinazioni, io collaboro in parte alla preparazione degli spaghetti alla bolognese che verranno a ritirare tra una decina di minuti. La pizza che Pietro prepara per noi piroettando tra i fornelli ed il piano di lavoro è davvero ottima, così come la sua ospitalità, peccato che negli anni la sua attività di ristoratore abbia subito un grande declino, dal modaiolo T Rey di Soverato, al ristorante di pesce di Todos Santos ai pochi metri quadrati del Pizza Pazza di Monterrey…. del resto nella vita è necessario avere anche un pò di fortuna.

10 Gennaio 2010

MONTERREY

La giornata si apre con la ricerca di un Internet point dove stampare la nostra prenotazione per il volo Monterrey – La Paz acquistato sul sito www.vivaaerobus.com ed in partenza domani pomeriggio…. poi ci dedichiamo alla perlustrazione del centro cittadino iniziando dalla Zona Rosa, il quartiere pedonale nel quale il nostro hotel è immerso. Disseminata di fast food, di negozi e di locali a passeggio la domenica mattina, non è un gran buon inizio. Gli edifici, quasi tutti recenti, necessiterebbero di manutenzione e di un pò di quello stile che troviamo nel vicinissimo Barrio Antiguo, sull’altro lato della Gran Plaza. Cuore della città antica, il quartiere si sviluppa su una serie di stradine lastricate ortogonali tra loro e bordate di vecchie case coloniali a due piani spesso colorate a tinte vivaci e con sobrie modanature a rilievo. Con sorpresa ci troviamo a passeggiare in un mercatino delle pulci che occupa una strada resa pedonale per l’occasione. Ma le sorprese di questa domenica fredda ed assolata non si limitano a questo… per intrattenere i messicani a passeggio il comune ha organizzato una serie di spettacoli nella Gran Plaza, la piazza più grande del mondo ma che sembra piuttosto un grande giardino attrezzato con percorsi pedonali, fontane, panchine e bordato di edifici nuovi e già fuori moda. Molti i venditori ambulanti che vendono sacchetti di patatine fritte e tortillas o coloratissime nuvolette di zucchero filato e molte anche le giovani coppie che si esibiscono in effusioni appassionate. Decidiamo poi di entrare al MARCO, il Museo de Arte Contemporaneo de Monterrey, la cui esposizione è ospitata in un superbo edificio progettato dal famoso architetto messicano Ricardo Legorreta, allievo del più celebre Barragan le cui contaminazioni linguistiche sono evidenti soprattutto negli interni dove gli elementi architettonici geometrici e colorati formano composizioni volumetriche di grande rigore ma anche di gioco per chi osserva. La bellezza dell’edificio è all’altezza dell’interesse delle tele del famoso artista messicano Rodolfo Nieto scomparso nel 1985. Le sue tele coloratissime ed altamente espressive della cultura messicana più antica, risentono delle contaminazioni europee successive ad una sua visita a Parigi negli anni ’60. Difficile esprimere a parole o cercare di descrivere le sue opere se non accennando ai cromatismi accesi stesi a creare opere astratte o figurative nelle quali emergono qua e la citazioni di arte precolombiana. Gli stessi colori vivaci avvolgono il ristorante “La casa de maiz” al n. 870 della ruta Abasolo…. un localino che sembra una piccola opera d’arte, non solo per i tavoli tutti dipinti a mano, ma anche per i quadri appesi alle pareti rosse, compresi quelli a soggetto religioso incorniciati con bordure di garofani finti rossi o rosa. Mangiamo anche piuttosto bene…. naturalmente specialità messicane a base di tortillas di mais e due dolci squisiti. Vanni tutto concentrato sul freddo che sente quasi non si accorge del bel posto che ho scelto per lui…. del resto quando la colonnina del mercurio non è sopra i 20 gradi lui è sempre deliziosamente insopportabile.

11 Gennaio 2010

MONTERREY – TODOS SANTOS

Seguiamo Ovidio, il nostro tassista di fiducia, fino al terminal C dell’aeroporto al cui parcheggio lasciamo Jimmy in sosta a tempo indeterminato…. nel senso che non sappiamo esattamente quanto ci fermeremo a Todos Santos da Catia e Paolo….Vanni è così traumatizzato dal freddo che stenta a credere che in Baja California si possa stare meglio…. e poi non vorremmo abusare della gentile offerta di soccorso…. pur sapendo che Paolo e Catia sono persone squisite accettiamo sempre con una certa reticenza gli inviti… per non sentirci vincolati e meno liberi…. Ma sappiamo già per esperienza che con loro non sarà così ed io sono molto curiosa di entrare nella loro casa ora terminata, che hanno letteralmente conquistato in anni di lotte con le maestranze messicane impreparate e svogliate. Insomma ci imbarchiamo sul volo VIV 440 e sfruttando l’ora di fuso orario dopo quaranta minuti atterriamo sulla meravigliosamente tiepida La Paz. Ci liberiamo in fretta degli inutili strati di lana nei quali siamo avvolti ed ecco che appena usciti nell’atrio vediamo Catia raggiante ed abbronzata venirci incontro…. sembra una ragazzina nel suo coordinato bianco ed i ribelli riccioli biondi. Una abbracciatona e raggiungiamo Paolo che sta passando in auto proprio qui davanti all’uscita in una sincronizzazione praticamente perfetta. Partiamo subito verso Todos Santos …. la conversazione di aggiornamento sulle rispettive esistenze ci accompagna fino alla sterrata che aggirando il centro abitato conduce direttamente verso l’estesa macchia di cactus sul leggero pendio che precede la spiaggia. Paolo e Catia hanno pensato davvero a tutto, considero divertita mentre vediamo l’oceano Pacifico salutarci con gli spruzzi di un paio di balene di passaggio. La serra che vediamo invece luccicante e lontana sulla spiaggia serve a proteggere le uova delle tartarughe marine dai predatori, ci racconta Catia soddisfatta …. va da se che chi sceglie di vivere in un luogo tanto selvaggio deve amare molto la natura e cerca quindi di entrare in armonia con essa. Anche la casa a patio ad un solo piano sembra cercarla questa armonia…. aprendosi sull’oceano che domina dall’alto del leggero declivio affollato di cactus ed altre varietà di piante grasse cresciute spontaneamente. La doppia fila di agavi grigie ed affusolate che circondano la piscina sulla terrazza leggermente ribassata mediano il passaggio tra la vegetazione spontanea ed il costruito e creano una bassa quinta verso il mare del quale arrivano i tonfi sordi delle onde. Arrivati appena in tempo per godere del fantastico tramonto sul Pacifico, ci accomodiamo allegramente nel patio per un brindisi accompagnato dal guacamole che Catia ha preparato con gli avocado saporiti di qui. Rimaniamo a lungo seduti a godere della fantastica atmosfera, del buon vino e della gioia di rivederci, protetti dal brise soleil bianco che raccorda le due ali dell’edificio contenenti le camere. Un paio di candele sono accese. Davanti a noi un rettangolo di prato, una bella scultura di bronzo, la piscina ed il mare incendiato dei toni caldi del sole che scende. Siamo arrivati in paradiso. Avevo dimenticato quanto fosse gustoso il “callo de Ace”, ovvero il muscolo delle conchiglie a forma di cozza gigante che si può gustare in tutta la penisola…. finalmente dopo un paio di anni ecco di nuovo i medaglioni bianchi arrostiti sulla griglia dal cuoco del ristorante “Santa Fe” dove siamo venuti solo per portare i saluti di Maurizio al borioso proprietario. Poi di nuovo a casa a contemplare le stelle vicinissime e poi nella bella camera color rosso mattone dalla cui grande porta a vetri bianca di fronte al lettone vediamo il mare.

12 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

Sono le tre del pomeriggio ed il mare sembra ricoperto di pagliuzze d’argento. La pelle arrossata dal sole ed il cielo perfettamente azzurro fin da questa mattina, quando dopo aver salutato i nostri amici che partivano in missione per La Paz, ci siamo accomodati sui lettini di legno disposti attorno alla piscina ed abbiamo gioito della bellezza attorno a noi. Osservando i rapaci volteggiare nel cielo e cercando le balene oggi latitanti anche dopo una attenta analisi con il binocolo, inseparabile compagno di viaggio di Vanni. Liberi di rimanere nudi, in armonia con la natura selvaggia, continuiamo a stupirci della bellezza di questo luogo e della comodità di questa casa in posizione strategica. Oltre il tappeto di cactus alcuni rilievi sfumano verso Sud in profili articolati e decrescenti verso il mare, scuri e come appannati per la relativa lontananza. A Nord invece il colore blu dell’oceano disegna una profonda ansa contenuta dalla sottile linea chiara di sabbia che va scomparendo lontanissima dentro il blu. Avendo tutto il tempo che vogliamo per osservare e godere del contesto, vicino e lontano, ci accorgiamo delle decine di farfalle colorate che si aggirano fra le aiuole fiorite attorno alla casa…. e dei grossi ragni argentati che hanno scelto come tana i cuscini delle poltroncine attorno alla piscina. Non mancano le cavallette perennemente all’attacco del giardino di Catia, ma per fortuna non ci sono più le capre, quelle tre molestissime che intrufolatesi nel recinto della proprietà l’estate scorsa avevano finito col distruggere le aiuole fiorite, i limoni, gli aranci ed in generale tutto il commestibile, vanificando così le cure che avevano reso rigoglioso il giardino nonostante il clima così poco favorevole. Incontriamo Paolo e Catia solo a metà pomeriggio, quando desiderosi di calpestare quella sabbia contemplata tutta la mattina, ci siamo avviati lungo la sterrata che porta al mare. La scorciatoia che parte dalla breccia nella recinzione di un rancho vicino alla spiaggia ci porta a calpestare campi aridi ed a mescolarci con gli animali al pascolo…. un paio di mucche ci guardano con sospetto mentre noi cerchiamo di passare inosservati di fronte al toro dalle lunghe corna che potrebbe trovare interessanti i pantaloncini rossi di Vanni. il cane che custodisce un gruppo di capre ci avvisa di stare alla larga con una serie di latrati, infine arriviamo all’oceano impetuoso ed alla collinetta di sabbia che lo precede, la barriera naturale che protegge la costa dai cavalloni spumeggianti. Lo contempliamo in silenzio, seduti di fronte al sole che tra un’ora sparirà inghiottito dalla linea dell’orizzonte, rispettosi della sua forza, avidi della sua energia. Una leggera nebbiolina segue la linea della costa sfuocando il profilo della montagna giù in fondo, alle spalle del pueblito di Todos Santos, mentre in primo piano gruppi di pellicani si spostano bassi sull’acqua sfidando le creste dei cavalloni alla ricerca di cibo. La spiaggia completamente deserta contiene le tracce dei pneumatici e le impronte di piedi non nostri….. aspettiamo che il sole scenda ancora un pò sull’orizzonte seduti di fronte al mare inaccessibile, poi sfidando ancora la pazienza del toro e del cane saliamo a ritroso la stradina che porta a casa dove Paolo e Catia ci attendono per una parillada speciale…. noi italiani non avremmo mai immaginato che il sottocollo della mucca fosse così gustoso perché nessuna macelleria da noi la propone…. Mentre gustiamo la carne tenerissima e saporita della “arrachera” ci chiediamo che fine faccia da noi tutto questo ben di Dio…. senz’altro considerato un taglio di scarso pregio… quando rientreremo proverò ad intervistare un macellaio italiano al riguardo. Gustiamo l’ottima cena e continuiamo a chiacchierare bevendo un ottimo rosso francese…. fino a quando stanchi ci ritiriamo nelle nostre camere che si aprono sul patio centrale della casa.

13 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

Ancora una magnifica giornata spesa a prendere il sole tra una bracciata e l’altra in piscina e poi in un sopralluogo in paese per due passi ed un drink al bar del famoso “Hotel California” cui segue puntatina al ristorante Santa Fe per recuperare una bottiglia di frizzantino per la cena di questa sera. Catia e Paolo hanno avuto la bella idea di organizzare una cena sushi da loro. Sarà il cuoco già testato ieri sera a preparare per noi e per gli amici europei trasferitisi qui a Todos Santos i suoi speciali rolls al granchio ed altre squisitezze giapponesi. Quando verso le sei del pomeriggio rientriamo a casa Ciupin è già al lavoro in cucina. Sta preparando un bel numero di rotoli di riso che a me sembra esagerato…. con il suo sorriso aperto ed i movimenti sicuri che rivelano una indubbia competenza, risponde alle mie domande curiose che cercano di carpire qualche inutile segreto. Poco dopo le sette arriva il gruppo di amici tra cui anche Jenny che avevamo conosciuto due anni fa nel bell’hotelito in stile Barragàn dove occupavamo una camera. Con lei c’è la figlia arrivata da Londra per le vacanze di Natale ed una sua amica. Emanuela invece è una fotografa romana di fama, si è trasferita qui un paio di anni fa con il figlio Thomas, un bel ragazzo simpatico ed educatissimo che ora vive a Rio De Janero. Ci accomodiamo tutti attorno al tavolo allestito con lumi a petrolio e candele nella zona più riparata del giardino, ovvero nel patio, accanto all’ampia vetrata del soggiorno. L’atmosfera avvolgente del lume di candela ed i manicaretti del bravissimo Ciupin accompagnano la serata così come la conversazione in una babele di idiomi che spaziano dall’inglese allo spagnolo, dall’italiano al francese…. l’unica lingua con la quale riesco a parlare speditamente con Jenny. A chiudere la serata, quando già gli ospiti sono ripartiti, un bellissimo film di Terry Gilliam, “Il Barone di Munchausen” che Paolo adora e che finiamo col vedere noi due mentre Vanni e Catia si ritirano stanchi nelle rispettive camere. Il film è una bellissima fiaba per adulti…. così poetica da commuovere ma anche buffa da strappare sorrisi e con scenografie degne di Peter Greenway. Felice della visione lascio Paolo già intento a caricare un altro film, un noir di Ferrara che gli piace molto ma che vista l’ora di notte non riesco proprio ad affrontare nonostante l’insistenza un pò molesta …..deve piacergli davvero molto questo film e deve essere così noir da non poterlo vedere da solo!

14 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

La giornata inizia tardissimo e con un ritmo lento che potremmo definire alla messicana interrotto solo nel primo pomeriggio dall’idea di Catia e Paolo di spostarci verso le spiagge più a Sud, riparate dal vento teso di oggi da quel promontorio che vediamo lontano ed il cui profilo ricorda la figura stesa di un indio. E’ così che dopo poco ci avviamo sulla strada polverosa diretti verso Arancio Pescadero con il progetto di un bel massaggio sulla spiaggia, l’ideale dopo la nottata di ieri…. ma poi dopo aver raggiunto il cancello della Spa, l’auto immobile che aspetta solo il turn off della chiave, scatta una sorta di delirio collettivo innescato dalla parola magica sparata come un proiettile da Paolo…. patate fritte! L’auto riprende così la corsa verso “Los Cerritos”, la favolosa baia che contiene tra gli altri un baretto con tavolini sulla spiaggia, il primo oltre lo sperone di roccia che la protegge dal vento che soffia da Nord. Contenti come quattro bambini golosi ci accomodiamo sulle comode poltrone attorno ad un tavolo protetto dall’ombrellone…. e mentre aspettiamo con impazienza che le patate escano dalla cucina del locale, osserviamo basiti un gruppetto di surfisti che sfidano le onde del mare freddo almeno quanto l’aria che li avvolge una volta emersi. I nostri progetti sono ben più interessanti …. e così mentre godiamo della bellezza della bellezza della costa gustando le nostre patate tagliate a mano e croccanti all’esterno, ricominciamo a prendere in considerazione il massaggio , comodamente accessibile nel gazebo a pochi metri da noi. Finisco col farlo solo io e senza tanta soddisfazione dato che il mio uomo è più che altro forte e pasticcione e la mia schiena contiene più nodi di un tappeto. Quando riemergo dal massacro i ragazzi sono ancora seduti al tavolo, infreddoliti per via del sole ormai al tramonto…. si torna casa per una doccia calda ed un sano relax…. di cenare non se ne parla neanche. Ne approfitto invece per terminare il bel libro consigliatomi da Paolo….”A ovest di Roma” di John Fante, e per iniziarne un altro, “A scuola dai salmoni” di Herman Ahara, Macro editore… una chicca che mi appassiona fin dalle prime righe per l’originalità del soggetto, ovvero la macrobiotica nella cultura giapponese usata quasi come un pretesto dall’autore per sviscerare in modo chiaro ed intelligente le problematiche legate alla vita di ogni individuo sempre in bilico nell’eterno dualismo tra Yin e Yang, la ricerca del cui equilibrio permea talvolta inconsapevolmente l’esistenza di tutti noi. Mi addormento confortata dalla lettura, come se quelle perle di saggezza millenaria avessero agito rilassandomi come sonniferi, regalandomi una sorta di equilibrio virtuale …. un placebo che però sembra funzionare.

15 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

Oggi è il giorno della ceretta…. un evento ogni volta che mi trovo all’estero, dal quale difficilmente esco soddisfatta e del quale potrei scrivere un saggio intitolandolo “La ceretta nel mondo”…. le risate sarebbero assicurate! Catia si è generosamente prodigata nei giorni scorsi per trovare il contatto giusto, ovvero la signora Lourdes che avrebbe dovuto insospettirci anche solo per il fatto di averle dato indicazioni non precise per rintracciare il suo salone. Quando poco dopo l’una riusciamo a raggiungere la casetta di mattoni su due piani dopo una serie di telefonate fatte per avere indicazioni più precise, Lourdes ci appare dalla fessura della porta, che tiene semi aperta, come una signora piuttosto belloccia ed impostata. Curatissima nella sua messa in piega a riccioloni neri, ed il rossetto immacolato sulle labbra, ci fa accomodare nel salone, fiera del posticino pulito ed accogliente che è riuscita a costruirsi. Che si tratti di fumo negli occhi lo scopriamo fin dalle prime allusioni al tempo che Lourdes può dedicare alla mia depilazione prima che la cliente successiva arrivi…. due ore non le sembrano sufficienti per depilare gambe ed ascelle, quando qualsiasi estetista in Italia sbrigherebbe il tutto in un’ora esatta! Memore della ceretta in Perù costatami tre ore di tribolazioni, mi accomodo rassegnata sul lettino mentre Catia per il momento siede nella sala accanto. Come immaginavo la ricciolona non è tanto pratica, né veloce né sistematica. Affronta piccoli settori di pelle che in alcuni punti esce arrossata per strappi maldestri sui quali poi stende impercettibili goccioline di crema idratante…. insomma Lourdes è più tirchia che professionale… e nonostante usi continuamente la lente d’ingrandimento per far credere di essere una gran pignola, esco dopo due ore con un discreto numero di peli ancora ben visibili anche ad occhio nudo e con un intero polpaccio del quale deve essersi dimenticata. Dopodiché passa con nonchalance all’operazione rapina….. mi dice che le devo 60 Dollari, ma quando le dico che pagherò in Pesos i Dollari diventano 85 ed al cambio sfavorevole di 12,71 ben 1080 Pesos. Non contenta mi scarica una serie di monetine che impiegherei un’ora a contare ma che non coprono senz’altro la differenza con i 1200 Pesos che le ho dato. Quando rientro a casa Catia e Paolo stanno facendo la loro lezione di yoga …. ed a me torna la voglia del sushi di Ciupin. Andiamo quindi in paese, nel suo ristorante ricavato nell’estremità di una sobria tettoia tutta dipinta di bianco. Austera e vagamente triste, ci accomodiamo nell’unico tavolo presente, pronti ad assaggiare le prelibatezze di Ciupin che ci conquista anche questa sera con un roll tempura di gamberi leggermente fritto all’esterno per non parlare dei rolls spices e del sushi di anguilla…. che squisitezza! Quando rientriamo in auto il serpente a sonagli è ancora lì in agonia sulla sterrata che corre parallela alla proprietà. Lo avevamo schiacciato con l’ auto poco dopo essere usciti dal cancello di casa, ed ora Catia costruisce su quell’evento una favola intrisa di magia. Protagonisti della storia quel serpente e Vasco, il gattino che la scorsa estete morì proprio a causa del morso di un crotalo. Fa parte della storia anche Tony, un ragazzo portoghese che viene a Todos Santos solo di rado e che affidò loro il piccolo siamese un paio di estati fa. Il primo evento magico è legato alla morte di Vasco avvenuta esattamente un anno dopo che Tony lo aveva lasciato a loro, proprio lo stesso giorno in cui Tony tornò a Todos Santos dopo un anno di assenza. Il secondo evento magico è quello di oggi, la morte del serpente che ha coinciso con il rientro di Tony qui in paese…. proprio oggi dopo diversi mesi di assenza, come se le tre figure del dramma, Vasco, Tony ed il serpente a sonagli fossero legate indissolubilmente da un destino che li travolge. Non può essere un caso tutta questa storia, così come non può essere un caso che il centro e sudamerica abbia partorito romanzi meravigliosi nei quali la magia rappresenta l’ingrediente necessario allo svolgimento della storia che vi è raccontata. Ecco la ricetta delle BOMBE AL MASCARPONE assaggiate nel ristorante di Carmela a Città del Messico un paio di anni fa e delle quali abbiamo ora la ricetta gentilmente suggerita da Catia, amica di Carmela.
Preparare il mascarpone con lo zucchero, il rosso d’uovo e le scaglie di cioccolato. riporlo in vaschette da ghiaccio di silicone, possibilmente sferiche e fare congelare.
Preparare la pasta filo tagliandola a quadretti ed incollandoli uno sull’altro con il rosso d’uovo, tre strati al massimo a 45° l’uno sull’altro. Mettere al centro la pallina congelata ed avvolgerla chiudendola nella pasta filo. Mettere di nuovo in freezer a congelare.
Cuocere in olio bollente fino a doratura poi cospargere di zucchero a velo.

16 Gennaio 2010

TODOS SANTOS – ISLA MAGDALENA

Partiamo presto tutti ancora assonnati… chi per via degli eccessi di wasabi di ieri sera chi per l’allergia alla sveglia…. l’ idea che un allarme acustico si azionerà mentre sto dormendo mi fa stare sveglia fino all’alba. Forse c’è il sole…. sono davvero confusa questa mattina nonostante siano già le nove…. un’ora di sonno in più strappata per gentile concessione di Paolo che come me non si è addormentato prima delle quattro. Il serpente a sonagli non è più sul sentiero, forse divorato dagli avvoltoi in occasione della loro prima colazione. Seguiamo sobbalzando la litoranea circondata dalla vegetazione spontanea e tormentati dall’ormai familiare effetto greder procediamo fino all’autostrada che punta a Nord verso La Paz e poi oltre su San Carlo, a 350 km da Todos Santos. La guida scattante di Paolo ci consente di arrivare nelle vicinanze di Porto San Carlo, dove siamo diretti, in poco più di due ore ed i suoi riflessi pronti ci risparmiano di andare fuori strada quando poco prima di raggiungere la nostra destinazione finale scoppia il pneumatico posteriore destro….. quello sotto il mio sedere! Non particolarmente turbati scendiamo per far fronte all’emergenza della sostituzione del pneumatico, un leitmotif dei nostri viaggi. Vanni si tuffa con rassegnazione nell’operazione, oggi quasi sollevato per la presenza di Paolo sul quale potrà contare per un aiuto. Qualche tentennamento sul reperimento della manovella del cric e del bullone antifurto, un pezzo speciale da inserire nel complementare che fissa il cerchione, poi in un tempo brevissimo siamo di nuovo a bordo per coprire l’ultimo tratto di strada che ci porterà nel desolato pueblo di San Carlo. Sarà il nostro punto di partenza per l’esplorazione della costa, articolata in questo tratto in lingue di sabbia che si spingono verso l’oceano, isole e boschi di mangrovie. Seguendo la strada polverosa che puntando verso il mare divide in due il centro abitato, osserviamo le baracche di compensato nelle quali vivono i locali, oltre che nelle casette di forati grigi o in quelle che volendosi distinguere dalle più modeste, sono state dipinte con colori tanto chiassosi da risultare inquietanti almeno quanto la desolazione che permea in generale l’abitato. La casa di Octavio Zarabia Mendivil ( tel. (613)1360220 – cel. (613)1143531 – email: cassy1@live.com.mx ) è una di quelle pretenziose. Articolata in diversi volumi, sembra uscita dalle pagine di un fumetto per via di quei due colori…. fucsia e verde pisello, accostati in ogni elemento architettonico e persino nei ghirigori di ferro del cancello. Tavo è quasi pronto…. il piccolo incidente che abbiamo avuto ci ha consentito di ammortizzare il suo ritardo…. una caratteristica culturale forte del popolo messicano, come emerge dai racconti di Paolo e Catia. A bordo della lancia trainata dal pick up di Tavo percorriamo il breve tratto di strada fino al mare, poi lentamente scivoliamo nel liquido trasparente della laguna allontanandoci dalla costa e dal cordone di mangrovie che segue la spiaggia. I nostri sorrisi suggeriscono la felicità di essere qui, per il bel ricordo che ne conserviamo anche noi che ne godemmo un paio di anni fa nel corso di una escursione di un solo giorno che riempì i nostri occhi di immagini stupende fatte di cordoni di dune bianche, gruppi di uccelli marini, delfini e balene. Anche allora furono i nostri due amici a suggerire la visita a questo luogo particolarmente caro…ed eccoci ora tutti insieme a condividere l’ebbrezza della velocità sulla superficie piatta del mare, con il simpatico Tavo al timone che ci conduce orgoglioso di mostrarci il suo fantastico mare nel quale lavora dall’età di otto anni, sfidandone i pericoli, amandone la bellezza. Figura ormai familiare a Catia e Paolo, Tavo è un ragazzo generoso e gentile…. con il grafico delle maree sotto gli occhi valuta il momento migliore per spiaggiare là dove facilmente possiamo raccogliere le gustose Almeja Chocolate nascoste sotto la sabbia intrisa d’acqua, o le strepitose Ostiones de Manglares, le ostriche che troviamo tenacemente fissate alle radici delle mangrovie…. al limitare di questa distesa di fondo marino ora scoperto dalla bassa marea. Sulla scia di un paio di anni fa, quando proprio a Todos Santos dopo venti anni ripresi a mangiare la carne, ora dopo quarantasei anni di totale chiusura nei confronti dei molluschi crudi mi ritrovo ad assaggiare con molta soddisfazione queste fantastiche ostriche…. naturalmente pentendomi di non aver ceduto prima. Per nulla stupito del disgusto che una cena bolognese a base di ostriche mi aveva causato, Paolo sembra invece soddisfatto di questo primo risultato positivo dell’escursione che ci vedrà vagare nel paradiso costiero al largo di San Carlo per un paio di giorni. Il secondo colpo di scena di oggi è l’insospettato talento di Vanni per la pesca alla traina nella quale si esibisce accanto a Paolo mentre Catia ed io seguiamo le operazioni del “Pescator Cortese” tra lo stupore ed il divertimento. Grazie ai pesci che abboccano numerosi alla sua esca tra cui un Lenguado (sogliola) difficilmente presente nel fondale roccioso nel quale ci troviamo ora, ed un paio di Curel (ricciole) e grazie anche alla raccolta di numerose Almeja chocolate ed Ostiones abbiamo un bel bottino per la cena di questa sera che Catia si è offerta di cucinare nella casetta di Tavo sulla Isla Magdalena che raggiungiamo in pieno tramonto. E’ di Paolo l’idea di andare ad ammirare di fronte al mare aperto dell’oceano questo tramonto che ha già tinto di rosa la baia qui di fronte ed il cielo, in sfumature che sembrano spruzzate con l’aerografo, perfettamente specchiate sulla linea dell’orizzonte ora quasi impercettibile. Tutti a bordo del vecchio fuoristrada di Tavo ci avventuriamo sui sentieri dell’isola prevalentemente rocciosa per raggiungere la spiaggia selvaggia disseminata di scogli sui quali le onde dell’oceano si rifrangono spumeggianti lanciando verso l’alto i loro spruzzi bianchi. Il sole già nascosto continua a colorare il cielo e le nuvole sopra l’orizzonte esibendosi in quello che sembra un magnifico quadro astratto nei toni del giallo, viola ed una lingua rosso fuoco. Mentre torniamo verso la casetta leggermente defilata rispetto al piccolo centro abitato, l’unico sull’isola, con i fari che illuminano appena la pista altalenante, Tavo coglie l’occasione per raccontare qualche barzelletta messicana che ci fa ridere a crepapelle….. – Lo zero incontra l’otto e gli dice… ma non sei scomodo con la cintura così stretta? e quando poi incontra un altro zero gli dice…anche insieme non valiamo nulla! – e poi un’altra – Pierino torna a casa da scuola con qualche esercizio rompicapo da fare e ci rimane male quando suo fratello scappa via urlante! – Poco dopo siamo di nuovo di fronte alle due palme, trasportate sull’isola in barca da Tavo, che inquadrano il porticato della casetta di legno color rosa, semplice ma dotata di ogni confort come l’acqua calda, il frigorifero, la televisione e due camere con bagno oltre al piccolo soggiorno diviso dalla cucina da una penisola di legno. Poco dopo l’ingresso di Catia la cucina inizia a sprigionare il profumo di un ottimo sugo di pesce per condire gli spaghetti, mentre Tavo apre una decina di Almeja Chocolate e qualche Meona che gustiamo crude con una spruzzatina di profumatissimo lime….. che bontà, e quanto tempo perso finora penso io. Dopo cena siamo tutti piuttosto stanchi e così crolliamo sui lenzuoli profumati dopo aver contemplato per qualche istante le stelle vicinissime di questa serata senza luna. Come sono felice!

17 Gennaio 2010

ISLA MAGDALENA – TODOS SANTOS

I pannelli di compensato che separano senza isolare la nostra camera dalla zona giorno lasciano passare i rumori della cucina fin oltre la barriera dei nostri tappi di plastica. Il desiderio di essere di nuovo in mezzo al mare ci impone tempi rapidissimi per la colazione e così poco dopo le nove siamo già con i pantaloni arrotolati ed i piedi nell’acqua tiepida della baia, pronti per salire a bordo della lancia armata di quattro canne da pesca che spuntano come cannoni. Due sono da lancio, per la pesca del Pargo che però non abbocca, ma le due da traina iniziano fin dalle prime battute a dare una certa soddisfazione soprattutto a Vanni che pesca tre bei pesci Sierra a pois gialli ed al quale calza a pennello Il soprannome datogli ieri da Paolo. Il nostro “Gastone” se la cava benone ed inizia a prenderci gusto con la canna da pesca…. con la quale non è certo spigliato come un pescatore navigato. Quando per esempio deve tirare a bordo un pesce che tende a scappare il suo viso si contrae in espressioni di grande sforzo…. e che dire del groviglio che è riuscito a creare nel mulinello della sua canna da pesca! La sua esca, un pescetto lucido di plastica rossa soprannominato da Tavo nientemeno che Cadillac, deve piacere molto ai pesci che abboccano numerosi…. un bel da fare anche per Tavo che deve liberare dall’amo i barracuda per lasciarli di nuovo in mare così come i pesci troppo piccoli. Sulla scia di tanta soddisfazione la frenesia della pesca non lo abbandona nemmeno durante la colazione a bordo, a base di squisite Almeja Chocolate, quando immobili sul mare è impossibile pescare alla traina….. allora è lui a muoversi, in bilico sulla prua agita la canna per invogliare i pesci ad abboccare. Insomma non lo teniamo più, e dopo qualche ora si aggiunge al bottino dei tre pesci Sierra e delle tre Ricciole anche un pellicano che tenta di sottrargli il pesce mentre lui lo sta sollevando dall’acqua…. risultato, il pesce scappa ed uno degli ami si conficca nell’ala del pellicano che inspiegabilmente è ora agganciato ad un altro suo simile. Alla grande confusione che segue, generata dai due pellicani che si agitano schizzando acqua e lamentandosi, pone fine il nostro pazientissimo Tavo che con pochi gesti sicuri li libera finalmente dalla trappola. Anche Paolo se la cava alla grande pescando qualche bella ricciola mentre la lancia, tra una corsa e l’altra, raggiunge angoli sempre diversi della baia per assestarsi poi su andature piacevolissime che ci consentono di gustare il paesaggio selvaggio ed ostile delle isole rocciose, come anche quello morbidissimo delle dune di sabbia bianca che si sviluppano su una lunga lingua chiara in mezzo al mare piatto ed intensamente blu. Giovane e giocherellone, Tavo accelera ogni tanto lanciandosi a tutta velocità sulla superficie piatta della baia…. immagino lo faccia per dare una sferzata di energia all’equipaggio, quando ci vede troppo rilassati…. allora tutto sembra volare via come la giacca blu di Paolo che recuperiamo virando a 180° in un’ampia curva. Siamo ormai agli sgoccioli di questo bellissimo weekend trascorso a sondare ogni angolo della costa frastagliata, così varia da stupire ad ogni approdo…. infine dopo aver visto colonie di pellicani e di cormorani seguire la nostra corsa, o fermi e pigiati ad occupare la struttura di un pontile in disuso, così come appollaiati in cima ai pali emergenti incrostati di conchiglie e di sale, e dopo aver visto le eleganti fregate volteggiare con la loro sagoma nera ben disegnata terminante con una affusolata coda a forbice…. dopo aver visto anche i delfini inarcare il proprio dorso inseguendo una preda, e gli sbuffi lontani di due balene di passaggio nel mare aperto dell’oceano flesso in alte onde oltre l’isola Magdalena, dopo aver goduto di tutto ciò raggiungiamo di nuovo la costa in prossimità del pueblito di San Carlo dove ci congediamo dal simpatico Tavo che ci ha quasi regalato l’escursione chiedendoci in cambio la ridicola somma di 3000 Pesos, ovvero 240 Dollari per i due giorni compreso il pernottamento. Rientriamo a Todos Santos dopo una sosta per la cena a Ciudad Constitution dove l’ottima arrachera conquista ancora il mio palato…. infine siamo a casa, nella bella ed accogliente casa che si affaccia sul mare per la nostra ultima notte qui…. domani mattina partiremo infatti per raggiungere Jimmy che ci aspetta al parcheggio di Monterrey…. il tour delle Americhe continua….

19 Gennaio 2010

MONTERREY – SALTILLO

Saltillo è così vicina a Monterrey da consentirci il lusso di gozzovigliare tutta la mattina nella comoda camera dell’ Holiday Inn che occupiamo da ieri sera, poco dopo aver lasciato il vicino aeroporto. Partiamo a mezzogiorno, al limite dell’orario consentito per il check-out, ed immersi nella coltre di smog della città surriscaldata dal sole, ci inseriamo sulla comoda autostrada verso le montagne brulle le cui sfaccettature producono uno spigoloso chiaroscuro…..come se ne osservassimo invece il modello virtuale approssimato per superfici triangolari. Salendo l’aria si fa rarefatta e pulita ed il cielo torna a colorarsi di azzurro….. temiamo tuttavia che i 1600 metri di quota di Saltillo possano penalizzarci con una temperatura ancora invernale. Invece, appena arriviamo nella cittadina resa diafana dal sole forte delle 13 godiamo del fantastico tepore primaverile che ci rincuora. L’Hotel Colonial Alameda sfoggia uno stile coloniale piuttosto discutibile ed anche l’arredo spagnoleggiante è così kitsch da imbarazzarci. I mobili coronati da cascami di foglie e fiori scolpiti nel legno, sono colorati con uno smalto chiaro dall’ effetto anticato ed i letti hanno inserita nella testata una imbottitura fermata da grossi bottoni con lavorazione a trapunta, che scende a formare una sorta di appoggiatesta rigonfio. Chissà se riusciremo a prender sonno in un letto tanto ridondante….. che ricorda più la matrice cinese che non lo stile coloniale spagnolo! Ma è l’unico hotel decente del centro, suggerisce la nostra guida, e l’impiegata alla reception è gentilissima. Il costo di 65 Pesos tasse comprese ci convince poi ad occupare la 109. Usciamo subito dopo per lasciare alla camera il tempo di scaldarsi e ci dirigiamo senza indugi verso la Cattedrale, il pezzo forte del centro storico. Mentre camminiamo per raggiungere la Plaza De Armas che la contiene, notiamo le vetrine stranamente chiassose dei dentisti. Cosparse di poster che illustrano con immagini i vari tipi di intervento ed i relativi prezzi, nascondono in parte gli ambulatori sulle cui poltrone vediamo i pazienti con i volti contratti ed i dentisti al lavoro. I venditori ambulanti mostrano vetrinette piene degli immancabili sacchetti di patatine, fritte artigianalmente, e “botanas” di ogni genere…. tortillas, pannocchie arrostite e tanto altro. Molti i negozi di calzature che offrono la rateizzazione dell’acquisto in venti tranches…. poi negozi di abiti da sposa e di accessori correlati che propongono, racchiusi in scatole trasparenti, coppie di bicchieri a calice con la base cosparsa di lustrini e fiori finti in tinta fissati all’attaccatura della coppa…. insomma Saltillo sembra il manifesto del kitsch messicano ! Arriviamo infine alla piazza ombreggiata da un paio di alberi e nella quale si erge la ottocentesca Catedral de Santiago. La superba facciata in stile Churrigueresco è caratterizzata da sovrapposizioni di ordini di colonne scolpite in elaborati bassorilievi che emergono dalla superficie della facciata creando un articolatissimo chiaroscuro. Sui due lati le torri campanarie imponenti e di diverse altezze sembrano sostenere contenendolo, il volume della chiesa. Ma il vero tesoro è all’interno, racchiuso nel fondo dei due transetti ed inaccessibile fino all’orario di apertura della cattedrale…. alle tre del pomeriggio. Ne approfittiamo per visitare un paio di piccoli musei nei pressi che tracciano con cimeli ed immagini di repertorio la storia di questa regione, Cohauila. Ma poi ecco una bellissima esposizione di foto recentemente scattate in occasione delle feste religiose e pagane come la Via Crucis o la Festa de Agua….. bellissimi i colori esasperati dei costumi ed i visi dei messicani, colti nelle espressioni più diverse. Dallo stupore alla rassegnazione, dalla stanchezza alla gioia…. che belle immagini. Entriamo finalmente nella Cattedrale per vederne i famosi due altari in argento massiccio che occupano le pareti di fondo dei transetti…. ma che delusione! Troppo semplici ed insignificanti i decori in leggero bassorilievo degli altari che ci aspettavamo invece con ceselli degni di Cellini, e poi sono illuminati da tubi al neon fissati allo spigolo superiore e che rendono la loro immagine ancor più fredda. Sopra gli altari, le cui immagini cancello subito anche dalla memoria della macchina fotografica, le eleganti pale in stile moresco sembrano ai nostri occhi il vero tesoro della cattedrale…. articolate in nicchie e colonne intagliate a decori ridondanti sono tutte rivestite in foglia d’oro ed accolgono sculture di Santi e della Vergine col bambino…. bellissime. Spendiamo il nostro pomeriggio rimanendo ancora a lungo in contemplazione della Cattedrale in attesa che il sole già basso ne illumini la facciata stranamente orientata a Nord-Ovest…. Con un gelato in mano e seduti su una panchina di ghisa resa scomoda dalle ghirlande di fiori in rilievo, osserviamo il passeggio abbandonandoci al non ritmo ed alla noia, mentre un cane abbaia passando ed i piccioni svolazzano da un tetto all’altro degli edifici coloniali piuttosto dimessi che formano lo sfondo neutro della piazza. Poi esploriamo il centro storico, a zonzo tra palazzi antichi e recenti, di pregio gli uni, molto messicani gli altri. Infine lasciamo in auto l’hotel per raggiungere il ristorante consigliato dalla guida e che guarda caso troviamo chiuso….anzi, sembra che questo edificio cadente non ospiti attività da decenni!…. del tutto casualmente approdiamo al “Tampico”, un ottimo ristorante contenuto in un antico e sobrio edificio del centro. Appesi alle pareti vecchi piatti di ceramica variamente decorati, dagli alti soffitti di legno scuro scendono invece antichi lampadari a gocce di vetro. Un amore di posto ed un servizio impeccabile….Va tutto benissimo fino a quando l’operazione di pagamento con Master Card viene annullata per tre volte di seguito e così allunghiamo al cameriere come ultima chance la carta Visa. La bellissima serata finisce quasi in tragedia con Vanni furioso perché sul suo telefono sono arrivati via sms tutti e quattro gli avvisi di pagamento confermato ….. insomma una cena salatissima pagata quattro volte a quanto pare!

20 Gennaio 2010

SALTILLO – REAL DE CATORCE

Niente colazione questa mattina….. l’hotel non dispone del servizio ed in camera non c’è nemmeno il comodo bollitore per preparare il caffè americano, quello che ci ha salvati in occasione delle nostre sveglie fuori orario, anche negli hotel più modesti. Vanni, ormai un veterano della colazione fai da te, tiene sempre in una tasca del suo trolley un vasetto di emergenza pieno di Nescaffè…. oggi è costretto a miscelarne un paio di cucchiaini nella bottiglia di acqua minerale dalla quale beve qualche sorso. Dopo pochi minuti siamo pronti per lasciare la squallida città di Saltillo….ma per andare dove? Non sappiamo ancora se Catia e Paolo ci raggiungeranno a Monterrey per scendere insieme verso Oaxaca…. e non abbiamo nessuna voglia di tornare a Monterrey che abbiamo lasciato ieri avvolta in una coltre giallastra di smog…. allora perché non raggiungere la magica Real de Catorce? E’ a soli 300 km da qui e se i ragazzi decideranno di raggiungerci torneremo a prenderli senza un eccessivo dispendio di energie. Mentre ci dirigiamo verso Sud percorrendo la comoda autostrada che sale sui rilievi della Sierra Madre, tentiamo una telefonata di verifica alla quale risponde Paolo che immaginiamo polleggiato a bordo piscina…. arriveranno a Monterrey venerdì con l’aereo del primo pomeriggio…. che bello! Siamo stati benissimo con loro in Baja…. complice la stessa passione per la natura ed un pizzico di follia. Ci avviciniamo a Real de Catorce seguendo la stretta strada lastricata che sale attraverso il deserto della Sierra, disseminato di Joshua Tree, agavi ed una grande varietà di piante grasse, mentre una leggera emozione ci attraversa come un brivido. Il pueblo incastonato tra le montagne spoglie della sierra ha qualcosa di magico per noi…. ne conserviamo un ricordo speciale, legato ad Elisabetta e Valerio conosciuti tre anni fa quando arrivammo qui per la prima volta. Ed ora eccoci di nuovo di fronte all’ingresso ad arco della lunga galleria….l’antica miniera, che emozione! La percorriamo come se si trattasse del limbo, necessario per il raggiungimento del paradiso che ci appare dopo un paio di chilometri sotto forma di Real de Catorce. le case di pietra e la cattedrale, le strade ripide di acciottolato in disfacimento…. qualche nativo e pochi turisti per le strade. E’ Jimmy ad arrampicarsi ora dove già Carolina fu messa a dura prova…. stiamo percorrendo una delle due strade che attraversano il paese longitudinalmente, diretti al ristorante “El Cactus”, unico indizio per ritrovare i nostri due amici. All’insistenza del nostro bussare apre la porta un giovane inserviente che ci comunica che il ristorante di Elisabetta e Valerio apre solo i weekend…. ma potremo forse trovare Elisabetta al negozio di souvenir poco oltre l’ ”Hotel dell’Abbondanza”…. che però troviamo in giorno di chiusura….. siamo proprio sfortunati! Prendiamo una deliziosa camera con terrazzino al primo piano del vicino hotel…. graziosa ed avvolgente ma senza riscaldamento come del resto ogni edificio qui in paese, nonostante gli inverni rigidi dettati dai 2700 metri di altitudine alla quale ci troviamo. Pochi minuti dopo siamo sul nostro terrazzino a godere del tepore del sole, sporti sul davanzale di pietra. Mentre ancora stiamo rimuginando Vanni vede una figura nota percorrere il breve tratto di strada visibile – ma non è Elisabetta?-. La chiamiamo e lei per nulla sorpresa ci sorride e ci saluta con un cenno della mano. Ci precipitiamo in strada per una abbracciatona… che piacere…. la casualità di questo incontro lo ha reso ancora più magico! Dopo venti minuti siamo di nuovo insieme per una lunga passeggiata verso la vecchia miniera in compagnia di Gregorio che zampetta fiero accanto alla sua padrona, mentre il sole calante ci regala una luce bellissima sull’agglomerato di case dal quale ci allontaniamo abbastanza da poterlo percepire come un intero con un solo sguardo. Panni stesi al sole, cani abbandonati sui tetti piani delle case semi diroccate che latrano al passaggio di Gregorio, il cane più amato del paese. Parliamo di tante cose io ed Elisabetta, sviscerando in profondità gli argomenti che ci stanno più a cuore…. è una ragazza intelligente e molto sensibile e la nostra passeggiata diventa presto una sorta di seduta psicoanalitica, liberatoria e costruttiva per entrambe. Da qualche giorno sono fuori di me per le pressioni che arrivano da parte della famiglia di Vanni che ci costringe a rientrare in anticipo. Mi riesce difficile pensare che ciò non scaturisca dal capriccio della madre anziana ed egoista. Elisabetta capisce bene le mie angosce, il mio sentirmi castrata e sola. Ha vissuto una situazione analoga un anno fa quando l’anziana madre di Valerio è arrivata dall’Italia piazzandosi a casa loro e subissandoli di richieste che avevano finito col rendere la loro vita impossibile. Mi consiglia la lettura di un libro, anzi me lo regala prendendolo dallo scaffale del suo negozio che raggiungiamo appena rientrate in paese…. “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky mi darà la forza di uscire dal meccanismo alienante generato dalla negatività di una persona, mi dice Elisabetta….. quanto lo spero! Intanto, nella piazza alberata nella quale siamo sedute ancora a parlare, una ragazza Huichole sta mangiando qualcosa insieme alle sue due figlie piccolissime ed al neonato in carrozzina…. è Ofelia, vittima di stupro così come una delle sue bambine. E’ stato lo zio. Avendo denunciato la violenza al comando della polizia Ofelia è stata allontanata dalla comunità Huichole della quale faceva parte. Sola con i suoi tre figli Ofelia cerca ora di sopravvivere vendendo per la strada qualche pezzo di artigianato. Se la cultura messicana è in generale maschilista, quella antica e chiusa degli Huicholes lo è oltre ogni limite, anzi è molto peggio. Dediti da secoli allo shamanismo sollecitato dall’uso del peyote, il cactus della saggezza e dell’introspezione, vivono da sempre nel deserto della Sierra ed uniscono all’ aspetto mistico e trascendente della loro cultura quello della bestialità che si esprime con violenze sistematiche sugli individui più deboli della comunità. Quando tre anni fa conobbi Elisabetta mi parlò del forte ascendente che questa cultura esercitava su di lei, ancora inconsapevole dei suoi risvolti drammatici. Ora ne ha preso le distanze disgustata, e sta aiutando un ragazzino Huichole fuggito in paese con la madre e la sorella. Gli ha dato un lavoro, l’affetto, e gli insegna ciò che lei ha imparato studiando e vivendo in questi quarantadue anni. Ofelia non ha più di venticinque anni, il viso largo e sorridente nonostante tutto…. decido con Vanni di adottarla a distanza….. abbiamo trovato finalmente una famiglia da aiutare, e lo faremo tramite Elisabetta e Valerio con i quali definiamo le modalità nel corso della cena. Che bello essere con loro! Intanto un blackout ha oscurato il paesino…. Raggiungiamo il camino acceso nel soggiorno di casa loro illuminando i nostri passi con un paio di torce mentre le stelle vicinissime si mostrano in tutto il loro splendore e soffia un vento fresco che ci segue nel breve tragitto. Poi seduti davanti al fuoco, Gregorio disteso sui nostri piedi, continuiamo a raccontarci il vissuto di questi pochi anni. La camera è gelata e buia quando rientriamo in hotel, ma le lenzuola di flanella e la nostra borsa di acqua calda ci consentono di addormentarci al calduccio.

21 Gennaio 2010

REAL DE CATORCE – MONTERREY

Partiamo consideriamo conclusa la nostra missione a Real De Catorce. Poiché Elisabetta e Valerio saranno impegnati per l’intera giornata di oggi nella vicina cittadina di Marohua non ha molto senso rimanere considerando anche quanto fa freddo dopo il tramonto….. e non possiamo nemmeno escludere che Paolo e Catia desiderino fermarsi qui sabato come prima tappa della nostra discesa verso Veracruz. Partiamo con calma, dopo essere stati coccolati con una bella colazione in camera servitaci forse solo per compensare il disagio del blackout che continua anche oggi. Così come tre anni fa uscendo dalla lunga galleria rimanemmo colpiti dalla inaspettata fioritura dei Joshua Tree che considerammo uno speciale saluto, oggi sono le agavi ad essere fiorite, a decine, come trafitte dal lungo stelo che sporgendo verso l’alto segnerà la fine della loro vita. Percorriamo la serpeggiante autostrada 57 che si fa strada tra le cime brulle della Sierra disseminata di tavole calde, ovvero la versione messicana degli autogrill, scatolari e spesso colorate in tonalità squillanti. Poi arrivati a Monterrey inizia la complicata operazione di razionalizzazione dei bagagli accumulati nel bagagliaio di Jimmy che da domani dovrà contenere oltre ai nostri anche i trolley dei ragazzi. Quanta inutile zavorra troviamo contenuta in scatole e zainetti….. almeno sette bottiglie di sabbia, decine di pietre senza alcun pregio se non il ricordo del luogo nel quale le avevamo prelevate, così lontano nel tempo da perdersi nell’oblio. Eppure Vanni fatica a separarsene, come se lasciarle significasse per lui rinunciare a qualcosa di vitale…. patologia o eccesso di sentimentalismo?…. chi può dirlo… Finiamo col tenere le sabbie bianche di Galapagos e Las Palmas, una lastra di sale raccolta in Argentina ed una particolare formazione di gesso…. infine la pietrona verdastra che hanno venduto a Vanni come giada. Ora anche Jimmy è pronto ad accogliere i ragazzi!

22 Gennaio 2010

MONTERREY – MATEHUALA

Arriviamo in aeroporto con leggero anticipo dal vicinissimo Holiday Inn nel quale abbiamo tergiversato fino all’ora del chekout…. è ancora presto ma l’attesa del volo Vivaaerobus proveniente da La Paz scorre via lieve tra uno spuntino ed un giretto al piccolo negozio dell’aeroporto. Volendo stupire i nostri amici con un’accoglienza spiritosa Vanni scrive su un A4 bianco i loro nomi e si ferma in posa davanti all’uscita degli arrivi mentre io sfodero la macchina fotografica per un reportage da divi. Poi eccoli arrivare sorridenti, solari e divertiti dal cartello. Ci abbracciamo e partiamo subito dopo verso Sud…. anche per loro Monterrey non merita nemmeno qualche ora di sosta ! Seduto accanto a Vanni, Paolo mi sostituisce alla navigazione, mi accomodo così accanto a Catia concedendomi il lusso di proseguire il viaggio come pura zavorra. Con Catia è sempre un piacere scambiare due chiacchiere… così tanto che dopo un paio d’ore abbiamo la sensazione di essere appena partite. Anche Paolo e Vanni hanno un buon filling a giudicare dal loro parlottare che ci arriva come un brusio di fondo. Nessuno di noi ha voglia di salire a Real de Catorce, così dopo aver attraversato le distese di Joshua tree ed osservato le belle montagne scure della sierra in lontananza, poco dopo le sei del pomeriggio arriviamo a Matehuala che abbiamo scelto come trampolino di lancio verso il Sud e la costa del Golfo del Messico. Sarà una sosta tecnica per cena e pernottamento dato che la cittadina non ha proprio nulla da offrire oltre a questo hotel Las Palmas che troviamo sulla strada che stiamo percorrendo. E’ un hotel degli anni ’70 molto ben tenuto ed organizzato in casette ad un solo piano distribuite da vialetti. Il ristorante dell’hotel nel quale andiamo appena depositati i bagagli in camera, ci stupisce per l’efficienza del servizio e l’originalità delle pietanze…. almeno per noi che non conosciamo i piatti tipici di questa regione. Su suggerimento di Paolo e Catia assaggiamo l’ottima crema de elote y huitlacoche, dove l’elote è il mais e lo huitlacoche è un fungo della pannocchia che la avvolge come una polpa bitorzoluta, chiara all’esterno e bruna all’interno. Il risultato è una vera squisitezza! I ragazzi continuano con il capretto che dicono buonissimo, mentre Catia ordina una pietanza insolita quanto il suo nome, nopal …. si tratta delle foglie carnose del fico d’india sbucciate e lessate in acqua. Assaggio curiosa… il sapore ricorda quello del peperone…. gustosissimo. Siccome siamo tutti golosi e lo huitlacoche ci è piaciuto molto ordiniamo le quesadillas condite con il sugo scuro del fungo del mais… wow che cena! ….. e com’è piacevole essere con i nostri due amici…. ci sono tutte le premesse per la buona riuscita di questo nostro viaggio insieme. Usciamo dal ristorante attratti dai grandi Joshua tree illuminati da faretti che circondano le piscine…sarà forse per il vino bevuto questa sera, ma i tronchi disseminati dei residui delle foglie lanceolate sembrano le zampe di grossi mammut. Poi a nanna…. i 1600 metri di quota hanno reso questa serata freddissima.

24 Gennaio 2010

CIUDAD VALLÈ

Quando poco dopo mezzogiorno ci svegliamo siamo tutti ancora un pò ubriachi…. la testa come immersa in un liquido ed una grande spossatezza. Poi la colazione al ristorante ci rinfranca abbastanza da decidere di perlustrare questa zona ricca di corsi d’acqua e di cascate immerse nella rigogliosa vegetazione subtropicale… Vanni invece torna a letto. Nonostante la delusione bruciante di ieri e desiderosi di dare un’altra chance a Tamasopo, percorriamo in taxi i 50 km che ci separano da uno dei luoghi più belli tra i tanti analoghi visti in giro per il mondo… Il Ponte de Dios è un collegamento naturale tra due ampie pozze d’acqua turchese alimentate da cascatelle che scendono tra la vegetazione rigogliosa…. una sorta di grotta scavata nella roccia scura all’interno della quale l’acqua iridescente sembra illuminata dal basso…. un fenomeno simile a quello della famosa grotta azzurra di Capri, inserito qui in un contesto da paradiso terrestre con felci, muschi e cascatelle… così evocativa che quando vedo Catia e Paolo emergere dalle sue acque per un momento penso a Tarzan e Jane ! Dopo la risalita a piedi davvero mozzafiato visitiamo un altro gruppo di cascatelle e pozze naturali d’acqua che ricordano vagamente Agua Azul in Chapas… poi torniamo soddisfatti in hotel dove Vanni ancora in maglietta non è ancora uscito dalla camera. Ceniamo in un posticino carino e piuttosto rustico…. una bella parillada di carne che ci viene servita su un braciere di ghisa nera appoggiato al centro del tavolo. In uscita la sorpresa dei saluti calorosi di un paio di signori seduti ad un tavolo…. l’unica spiegazione possibile è che fossero ieri sera tra i clienti del night club …. abbiamo dei fans !

23 Gennaio 2010

MATEHUALA – CIUDAD VALLÈ

Vanni rientra dalla colazione stranamente poco affettuoso…. Jimmy ha uno pneumatico a terra ! Rassegnato inizia le operazioni di sostituzione mentre borbotta tra se – vita dura quella dei camionisti! – …. poi il lancio di una moneta ci convince definitivamente ad un sopralluogo ad Estation Catorce. Vicinissimo a Real de Catorce, il paesino si trova in pieno deserto, alla base delle montagne della sierra. Mulinelli di polvere sollevati dal vento lungo le strade di terra battuta rendono ancor più surreale l’agglomerato di case basse che formano quinte continue e multicolore. Tagliato in due dalla ferrovia, il paesino si è sviluppato molto negli anni successivi al film di Salvatores che annunciò al mondo che vi si potevano trovare i peyotes, i piccoli cactus dai poteri magici. Paolo e Catia che non vengono qui da tredici anni stentano a riconoscere in questo paese quello visto allora…. c’è persino un modernissimo distributore di benzina Pemex sulla strada principale…. ed alti lampioni che non fanno che accentuarne la desolazione. Nulla è cambiato però all’interno del ristorante Tokio, nemmeno Donna Margarita che vediamo entrando accanto all’altare adorno di fiori finti e dell’immagine sacra di Maria, tridimensionale e coloratissima. Donna Margarita è un’anziana signora devota a Dio ed al Peyote, qui indissolubilmente legati in un misticismo poliedrico e profondo… è così sensibile Donna Margarita che stringendo le mani di Paolo lo riconosce, poi in un momento di grande commozione per tutti noi ricorda il marito morto sei anni fa, attaccato da uno sciame di vespe in Texas…. le lacrime solcano il suo viso ed inumidiscono i nostri occhi. Rimaniamo in sua compagnia il tempo di scambiare due parole, bere un tè ed osservare il giardinetto fuori dalla porta, fatto di vecchi secchi di plastica e di alluminio contenenti piante fiorite, poi ripartiamo verso Sud ed iniziamo ad assaggiare la gomma di peyote che si ottiene dalla bollitura del cactus. Dovendo guidare Vanni si astiene mentre scivoliamo a bordo di Jimmy sulla strada stretta che conduce a Charcas e poi a Rio Verde ed infine a Ciudad Valles. Attraversiamo alcuni incantevoli paesini dal sapore tipicamente messicano, sprigionato dalle strade strette, i colori delle case, dagli intonaci scrostati resi diafani dalla luce di mezzogiorno. Ci fermiamo in piazzette dove i pochi alberi impolverati lasciano vedere le facciate elaborate di chiese barocche e gli uomini seduti sulle panche in muratura o sugli scalini, i visi coperti dai sombreri di paglia intrecciata. Qualche cavallo si muove lungo la strada dove file di bassi cactus segnano i confini di proprietà nelle periferie, poi eccoci attraversare il Tropico del Cancro ed entrare nella regione di Hidalgo. La vegetazione diviene sempre più lussureggiante man mano che procediamo verso Sud Est scendendo dalle ultime pendici della sierra…. poi leggiamo sulla guida di un bell’hotel immerso nella vegetazione e circondato di cascatelle naturali…. si trova nei pressi della cittadina di Tamasopo che raggiungiamo con una breve deviazione. E’ già il tramonto e ciò che vediamo sono campi di canna da zucchero a perdita d’occhio e squallide cabanas, per non parlare del paesino triste, sporco e senza fascino di Tamasopo. Perdiamo circa un’ora nella ricerca di un posto carino dove sostare, poi rassegnati abbandoniamo il progetto e percorriamo gli ultimi cinquanta chilometri per raggiungere Ciudad Valle che così al buio non percepiamo in tutta la sua bruttezza. Atterriamo all’Hotel Quinta Mar consigliatoci da un tassista ma le cui camere ci deludono rispetto all’impatto dell’edificio che le contiene, poi decidiamo di cenare in hotel quasi mettendo in croce il cameriere con una serie di richieste di bis di tequile a fine pasto che ci fanno fare tardi rispetto all’orario di chiusura del ristorante. Unici clienti perdipiù leggermente molesti, decidiamo di uscirne solo a mezzanotte dopo che anche la carta della pulizia dei pavimenti con una quantità di lisoformio da uccidere era stata giocata dal personale di servizio ormai sfinito. E’ di Paolo l’idea di andare al night club che raggiungiamo con una breve corsa in taxi. Qualche problema per entrare vista la presenza di noi due donne… ma poi ci infiliamo con uno stratagemma e siamo dentro. Siamo così su di giri che Vanni poco dopo sale sul palco ed inizia a muoversi accanto ai tubi della lap dance nascondendo in parte alla vista dei messicani sbavanti la vista delle ballerine mezze nude che vi si stanno esibendo….. a breve saliamo anche Catia, che si esibisce in un balletto piuttosto provocante, ed io che nel frattempo sono rimasta in reggiseno e jeans…. che ridere! Paolo intanto si è agitato un bel pò percependo che la situazione potrebbe degenerare in una rissa….. i signori presenti essendo più che altro interessati alla vista delle tristi ballerine seminude che si divincolano alla pertica… Usciamo poco prima del lancio dei pomodori, come attori di un varietà che ha cercato di portare un pò di allegria, perché il sesso è gioia e non tutta questa tristezza…. che serata divertente!

24 Gennaio 2010

CIUDAD VALLÈ

Quando poco dopo mezzogiorno ci svegliamo siamo tutti ancora un pò ubriachi…. la testa come immersa in un liquido ed una grande spossatezza. Poi la colazione al ristorante ci rinfranca abbastanza da decidere di perlustrare questa zona ricca di corsi d’acqua e di cascate immerse nella rigogliosa vegetazione subtropicale… Vanni invece torna a letto. Nonostante la delusione bruciante di ieri e desiderosi di dare un’altra chance a Tamasopo, percorriamo in taxi i 50 km che ci separano da uno dei luoghi più belli tra i tanti analoghi visti in giro per il mondo… Il Ponte de Dios è un collegamento naturale tra due ampie pozze d’acqua turchese alimentate da cascatelle che scendono tra la vegetazione rigogliosa…. una sorta di grotta scavata nella roccia scura all’interno della quale l’acqua iridescente sembra illuminata dal basso…. un fenomeno simile a quello della famosa grotta azzurra di Capri, inserito qui in un contesto da paradiso terrestre con felci, muschi e cascatelle… così evocativa che quando vedo Catia e Paolo emergere dalle sue acque per un momento penso a Tarzan e Jane ! Dopo la risalita a piedi davvero mozzafiato visitiamo un altro gruppo di cascatelle e pozze naturali d’acqua che ricordano vagamente Agua Azul in Chapas… poi torniamo soddisfatti in hotel dove Vanni ancora in maglietta non è ancora uscito dalla camera. Ceniamo in un posticino carino e piuttosto rustico…. una bella parillada di carne che ci viene servita su un braciere di ghisa nera appoggiato al centro del tavolo. In uscita la sorpresa dei saluti calorosi di un paio di signori seduti ad un tavolo…. l’unica spiegazione possibile è che fossero ieri sera tra i clienti del night club …. abbiamo dei fans !

25 Gennaio 2010

CIUDAD VALLÈ – TUXPAN

Animati dal desiderio di scoprire altri angoli paradisiaci della regione di San Luis Potosi, ci spingiamo oggi verso il Rio Gallinas, immerso nella vegetazione rigogliosa subtropicale e collegato alla Ruta 70 da una strada ancora in costruzione. Trovare l’imbarcadero ha il sapore di una caccia al tesoro, ma chiedendo ai pochi passanti in sombrero ed evitando invece quelli che sventolano depliant turistici fuori dai finestrini delle auto che ci inseguono come facili prede, arriviamo finalmente ad un incrocio presso il quale deviamo seguendo l’indicazione di un cartello pubblicitario. Usciamo poi da una cava di ghiaia nella quale ci siamo ritrovati sbagliando strada ed eccoci varcare la staccionata di legno che ci proietta su un prato all’inglese contenente una bella casa fatta di ciottoli rotondi… siamo arrivati al fiume. Quegli stessi signori che ci avevano indicato la strada all’ultimo incrocio sono qui ad attenderci con le pagaie ed i giubbotti di salvataggio in mano. Uno sguardo al fiume ce ne mostra l’acqua di uno straordinario azzurro iridescente…. circondato dalla vegetazione e dalle alte rocce del canyon che ne contiene il letto sinuoso. Ci avventuriamo poco dopo sulle sue acque tranquille a bordo della barchetta di legno stretta, lunga e coloratissima, mentre un ragazzo pagaia a poppa, così timido da sembrare muto. Il silenzio è totale… l’acqua sempre più azzurra si spinge all’interno del canyon di rocce chiare erose come lingue di fuoco pietrificato proprio come quelle dell’isola Maddalena in Sardegna. Ci rendiamo presto conto che dovremo guadagnarci la cascata pagaiando…. due brevi tratti di rapide ci costringono infatti a darci da fare con i remi e poi a scendere per percorrere a piedi brevi tratti di scomode rocce inclinate. Vanni stretto nel suo giubbotto di salvataggio è sempre più teso…. l’acqua non è il suo elemento e la barchetta raccoglie molta acqua nonostante Paolo e Catia provvedano a raccoglierla e rigettarla nel fiume. Inoltre il ragazzo “muto” non sembra particolarmente sveglio e poi avevamo sentito parlare di alligatori…. insomma è un gran brutto momento per il mio amore! Continuiamo ancora a pagaiare scivolando sullo specchio azzurro del fiume silenzioso, finché iniziamo a sentire il brusio lontano di una cascata che però continuiamo a non vedere ….tra le risate iniziamo a pensare si tratti di uno scherzo…il suono registrato e amplificato da casse nascoste tra le rocce tanto per illudere i turisti, ma poi il mistero si risolve quando avvistiamo una serie di cascatelle che scendono da bassi speroni di roccia, tra le foglie fresche di giovani felci. Approdiamo poi presso una piccola spiaggia dalla quale iniziamo la salita che ci porterà ad una meravigliosa ampia grotta. L’ ingresso coperto in parte dalle liane che scendono dall’alto, si apre su un laghetto blu iridescente…. è meraviglioso! E’ così bello che non resistiamo ad un tuffo e ad una breve nuotata nelle sue acque tiepide, blu come gli occhi di Bette Davis….. insomma la regione di San Luis Potosi continua a sorprenderci mostrandoci i suoi inaspettati tesori. Poco oltre, dopo un’ansa del fiume scorgiamo la grande cascata Tamul, un’alta caduta d’acqua che osserviamo appollaiati su uno scoglio, da lontano. Sulla via del ritorno Vanni è più rilassato, ed anche il nostro capitano inizia a rispondere con monosillabi alle nostre pressanti domande…. per esempio cosa sono quei fili che scendono tesi dalle rocce dentro l’acqua? Scopriamo così che stiamo navigando su un corso d’acqua estremamente pescoso, soprattutto di gamberoni e langostine che rimangono intrappolati alle nasse appese a quei fili. Poi incontriamo “Negro”, un simpatico cagnolino che si sposta nella nostra stessa direzione alternando al nuoto qualche breve tratto di passeggiata sulla riva. Sta seguendo a distanza il suo padrone che scende in barca verso l’approdo. Simpatico quanto il suo cane, ci consiglia un posto dove mangiare crostacei freschi…. “Il Capitain” che aprirà ufficialmente solo a Pasqua e che raggiungiamo poco dopo. Seduti sulle sedie di plastica bianca nel piccolo edificio ancora senza finestre né pavimento, gustiamo i nostri gamberoni saporiti e scambiamo due parole con la proprietaria e cuoca…. una signora sveglia ed intraprendente. Lasciamo il piccolo centro abitato per dirigerci a Sud attraverso la linea quasi impercettibile sulla carta stradale cui corrispondono stradine secondarie che sfiorano la foresta e penetrano all’interno di vivaci paesini ancora non toccati dal turismo, ma veraci ed avvolgenti come ogni luogo qui in Messico. Traguardiamo di seguito Tanchanaco ed Aquismon lambendo pascoli popolati di mucche ed evitando un paio di maialini che attraversano la strada correndo…. intonaci scrostati e tetti di lamiera, i colori forti delle case ad un solo piano. Porticati si aprono sulla piccola piazza che racchiude la vita del paesino… lo zocalo ombreggiato di alberi dove i messicani amano ritrovarsi per due chiacchiere o anche solo per una siesta ad occhi chiusi, mentre una anziana signora vende abiti tradizionali ricamati con colori vivaci… questa è Aquismon, lo stereotipo di tutti i paesini del Messico. Seguendo la strada serpeggiante tra le pendici della Sierra Madre, poco dopo aver attraversato Tamazunchale, entriamo nello stato di Veracruz e solo tardi, ormai stanchissimi raggiungiamo la cittadina di Tuxpan che si sviluppa sul fiume omonimo sfociante nel vicino Golfo del Messico. Il centro abitato non sembra un granché, sciatto come l’hotel che scegliamo dopo averne visitati un paio. Il Florida ha poco da offrire se non un paio di letti sui quali crolliamo stremati per il lungo viaggio di oggi e per la pagaiata alla quale non siamo abituati.

26 Gennaio 2010

TUXPAN – XALAPA

L’unico vantaggio di svegliarsi qui a Tuxpan è quello di poter raggiungere con un breve spostamento il famoso sito archeologico di Tajin, che fu un importante centro cerimoniale delle culture classiche del Golfo del Messico tra il 300 ed il 1200 d.c. e nel quale ci tuffiamo volentieri poco dopo la colazione. Passeggiamo curiosi tra le suggestive piramidi a gradoni, i campi per il gioco della pelota e gli edifici che furono le residenze civili dei notabili di allora, godendo della bellezza e della tranquillità immobile di questo luogo…. così in contrasto con i delitti che vi furono commessi nel nome di un Dio che ora non esiste più nemmeno nella memoria dei nativi più anziani. Impossibile non pensare alle centinaia di sacrifici umani che si svolsero su questi altari ora dilavati del sangue che vi fu versato. Sarà per questo che nei siti archeologici messicani percepisco sempre oltre alla bellezza straordinaria anche una sorta di energia negativa…tetra. Raccordati da un prato verde acceso gli edifici sono piuttosto interessanti per la particolare texture di nicchie che ne caratterizza l’involucro esterno…. il più bello è senz’altro la Piramide delle Nicchie che ne contiene 365. Il numero sottolinea il forte legame della civiltà olmeca con il susseguirsi delle stagioni all’interno dell’anno solare….. gli Olmechi infatti basarono la loro economia sull’agricoltura piuttosto che sulle guerre o il commercio. In sintonia con la vena agreste sono le venditrici all’uscita del sito che propongono sacchetti contenenti bacche di vaniglia fresca…. le compriamo naturalmente! Felici e rigenerati dalla visita a questo bel luogo continuiamo il nostro viaggio costeggiando il mare fino ad una trentina di chilometri da Veracruz, quando deviamo salendo fino ai 1400 metri di Xalapa, la capitale dello stato di Veracruz. Troviamo al primo colpo un gradevolissimo hotel, il “Clara Luna”, e poco dopo l’ottimo ristorante “Asadero Cien” dove finalmente assaggio la mia zuppa preferita…. la sopa azteca, e dove tutti noi godiamo degli ottimi piatti e del servizio avvolgente. Nel corso della serata conosciamo Antonio, un liutaio messicano dal viso celtico che ha studiato in Italia a Cramona. Molto rude per essere un liutaio, al contrario del suo giovane assistente, esile e troppo sottomesso al bruto Antonio. Finisce in chiacchiere accompagnate da troppe bottiglie di vino rosso che finiscono col generare forme di molesta aggressività che stentano a spegnersi…. peccato, la giornata era stata perfetta !

27 Gennaio 2010

XALAPA – VERACRUZ

Illuminata dal sole della mattina Xalapa si mostra in tutto il suo fascino. Spalmata sul terreno scosceso, la città è pulita nonostante il traffico intenso, orinata ed articolata in una serie di parchi uno dei quali contiene il Museo Archeologico che visitiamo approfittando del clima improvvisamente peggiorato. La visita si sviluppa all’interno delle sale piacevolmente concepite nell’alternanza con giardini circoscritti e coperti all’interno dei quali sono esposti tra la vegetazione reperti archeologici della civiltà olmeca. L’architettura leggera e geometrizzata del museo, circondata dal giardino fiorito in cespugli di gardenie, camelie, azalee e sterlizie, contiene una serie di colossali teste olmeche risalenti al 300 – 900 a.c. ed una serie di oggetti più recenti di squisita fattura…. come i meravigliosi cagnolini di terracotta su ruote o le sculture di bambini sull’altalena e gli strumenti musicali, flauti ed ocarine ornate da figure animali. Fantastiche le decine di sculture rappresentanti divinità, in pietra o argilla, espressive ed eleganti. Insomma una location perfetta che racchiude l’enorme patrimonio archeologico autoctono. Lascio Xalapa a malincuore…. avrei dedicato volentieri ancora un pò di tempo alla visita del centro storico di questa città universitaria generosa e colorata che lasciamo subito dopo la visita al museo…. fuggendo dal freddo di questi 1400 metri in odore di nevicate. Scendiamo alla vicina Veracruz, il porto più importante del Golfo del Messico e vivace città caraibica della quale il ricordo di Paolo si ferma a venticinque anni fa, ma che per noi è ancora tutta da scoprire! Entriamo nella zona del porto dopo aver avvistato dalla strada la costa non particolarmente interessante…. poi un ponte ci proietta nel centro storico caratterizzato da un mix di edifici vecchi e nuovi tra i quali emergono, saggiamente illuminati, quelli del periodo coloniale, le ampie finestre ingentilite da ricami in stucco ed elementi emergenti dalle facciate spagnoleggianti. Procediamo tra le strade attorno al cuore del centro storico cercando di evitare lo scontro con i tassisti camicaze che sfrecciano agli incroci implementando la vivacità folle di questa città che tra venti giorni si animerà del carnevale più scatenato del centro e nord America. La ricerca di un hotel ci proietta nel cuore pulsante del centro, lo zocalo, ovvero la piazza alberata sulla quale si affacciano gli edifici più rappresentativi della città compresa l’immancabile cattedrale realizzata qui in blocchi di pietra chiara e con la cupola rivestita di ceramiche policrome. Ci fermiamo al centralissimo hotel Veracruz scelto dopo una serie di sopralluoghi ai modesti hotel del centro….non è un granché ma dal terrazzo della camera vediamo la piazza affollata di gente, gli alberi e la facciata della cattedrale ben illuminata. Scendiamo subito e ci uniamo alla folla, passeggiando immersi nella musica dei mariachi che armati di chitarre sono fermi accanto ai bar a vendere qualche nota ed un pò di sana allegria. Pochi passi e siamo attratti dal ristorante Villarica, lo stesso che ieri sera a Xalapa avevamo trovato chiuso. Elegante e raffinato ci delude fin dalle prime battute…. il cameriere che sembra agire sotto l’effetto di sedativi ci serve un vino bianco caldo, le ostriche camuffate con olio d’oliva sono vecchie così come il carpaccio di tonno …. insomma sono più i piatti intonsi che rispediamo in cucina che non quelli che riusciamo ad assaggiare…. un disastro annunciato dalla postilla sul menu che non avevamo letto e che dice “ il prodotto contrassegnato dall’asterisco si serve sotto la responsabilità del cliente” …. come a dire che se finisce all’ospedale per intossicazione alimentare sono cavoli tuoi! Nel bar accanto, il Gran Bar del Portal, un locale storico che Paolo ricorda bene, ascoltiamo un bel concerto di musicanti…. suonano in tre un bellissimo xilofono con intarsi di legno tipicamente veracruzano, accompagnati da un batterista. Ancora una breve passeggiata ci porta sul Malecon dove un gruppo numeroso di ragazzi e bambini provano le danze al ritmo di samba in vista del carnevale imminente. Seduti sul marciapiede ascoltiamo l’esplosione dei tamburi cui corrispondono gli sculettamenti di ragazze e bambine…. com’è frizzante Veracruz !

28 Gennaio 2010

VERACRUZ

Perdo l’intera mattinata dormendo, poi dopo un succo di ananas espresso bevuto al bar andiamo a zonzo per il centro storico che esplode nei colori forti degli edifici di tutte le epoche. Talvolta con citazioni decò o coloniali o con geometrismi aggettanti dalle facciate che molto ricordano lo stile degli anni ’60-’70 rimarcati da accese policromie. Miriadi di negozietti occupano i piani terra con vetrine talvolta invitanti come la pasticceria nella quale entriamo ingolositi che espone su grandi vassoi di alluminio torte e paste in scala gigante. Usciamo con un piccolo ma sostanzioso bottino, una tortina di ananas che assaggeremo più tardi mentre ora ci dedichiamo all’esplorazione del mercato coperto saturo di prodotti che sporgono appesi anche sulle nostre teste mentre camminiamo lungo gli stretti percorsi lasciati liberi. Troviamo di tutto…. dall’abbigliamento tradizionale alle statue della Confraternita Santa Santissima. Sono decine quelle che riproducono in vari colori e dimensioni la figura femminile della Santa che pur ispirandosi all’iconografia classica della Madonna ne sostituisce la testa con un inquietante teschio. Catia fa qualche domanda alla ragazza grassoccia che vende i macabri feticci… scopriamo così che il culto della Santa Santissima può essere associato ad altri culti, per esempio quello cattolico, perché la Santa non è gelosa, dice lei, accompagnando l’affermazione con un sorrisino malizioso, inoltre il suo culto offre il vantaggio di vedere avverati i propri desideri…. insomma vorrebbe tanto vendercene una! Come spesso accade le bancarelle più accattivanti sono quelle di frutta e verdura che qui si colorano di profumati frutti esotici, dei piccolissimi avocado che Catia assicura essere saporitissimi e delle foglie del fico d’india già pulite delle spine, pronte per essere cotte. Poco più avanti sono accatastati su un ripiano bianco i formaggi di Oaxaca che gentilmente ci viene chiesto di assaggiare, sono meticolosamente avvolti in fresche foglie di banano….ed ecco il reparto pescheria che sfoggia pesce freschissimo al contrario di quello propinatoci ieri sera…. e ci sono anche grossi granchi dalle chele blu, ancora vivi ed intrappolati in gruppi dentro a bozzoli di fibre vegetali appesi sopra il bancone. Siccome da qualche giorno ripenso ai “machec” acquistati un paio di volte a Merida…. i meravigliosi scarafaggi ornati di perline sul dorso, mi informo presso una merceria dove sia possibile acquistarne qualcuno. E’ passato tanto tempo dall’ultimo avvistamento, risponde la gentile merciaia, ma ci da informazioni precise sul luogo dove potremmo chiedere. La ricerca si rivela inutile. Non è stagione ed inoltre il machec non fa parte delle tradizioni locali…. quindi dopo un paio di tentativi rinunciamo all’acquisto del delizioso animalino e ci ritroviamo casualmente con i ragazzi tutti belli sbarbati a colpi di spadino, seduti su una panchina dello Zocalo, tra giovani coppie che si baciano appassionatamente e lustrascarpe assopiti nella siesta. E’ di Paolo l’idea di avventurarci lungo il Malecon (lungomare), alla ricerca dei luoghi lasciati 25 anni fa e che ora stenta a riconoscere. Il massiccio recente sviluppo urbano ci fa apparire quest’area costiera come una sorta di Miami dei poveri. La lunga sequenza di spiagge selvagge delle quali Paolo ci parla inseguendo i suoi ricordi in un mix di delusione e compiacimento sono quasi nascoste ora dagli edifici che vi sono sorti a ridosso ed anche la bella punta di Boca del Rio che vediamo in prospettiva ci appare come sbocciata in un gruppo di emergenti grattacieli. La similitudine con Miami ci appare con forza in prossimità del fiume, dove la ramificazione in brevi canali è stata ricondotta ad una logica urbana con tanto di villette immerse in giardini rigogliosi…. ci sono anche i pontili, mancano solo i lussuosi motoscafi. La bella spiaggia è quasi sparita, inghiottita dalla strada e dagli edifici che ne seguono il profilo…. ed il mare non ha il bel colore intenso di quello della Florida. Rientriamo sbigottiti per la sorpresa riservataci da Veracruz che ci aspettavamo più messicana e meno allineata agli stereotipi dei “ricchi” vicini americani. La scelta del ristorante non ci coglie alla sprovvista…. Paolo e Catia hanno avuto indicazioni precise dalle diverse persone intervistate circa il miglior ristorante di pesce della città…. La Palapa Bajo è senza dubbio il migliore. Periferico e lontano dalle aree turistiche della città, ci gratifica con gamberetti, robalo e la famosa mucharra fritta… tutto squisito in questo semplice ristorante rischiarato dai tubi al neon, dove all’orario di chiusura delle 19 le cameriere raccolgono le ultime ordinazioni iniziando subito dopo a spostare le sedie sopra i tavoli ed a pulire i pavimenti…. per fortuna non usano il lisoformio!

29 Gennaio 2010

VERACRUZ – CATEMACO

Lasciamo la città spingendoci verso Sud lungo il malecon, il mare visibile solo nei brevi tratti lasciati liberi dagli edifici, i veri protagonisti della costa. Siamo diretti a Catemaco, un paese famoso per il lago attorno al quale si è sviluppato e per gli stregoni, i Brujos, che vi abitano. Una sorta di curanderi che riescono a ripulire i loro clienti dalla negatività accumulata, attraverso misteriosi riti magici. L’area attorno a Catemaco sembra inoltre racchiudere inaspettate bellezze naturali, piccoli paradisi incontaminati avvolti dalla vegetazione rigogliosa della selva, pozze d’acqua purissima nelle quali immergersi e l’isola delle scimmie stranamente giunte dalla Tahilandia. Ciò che ci colpisce invece mentre procediamo sulla litoranea verso Catemaco è l’atmosfera agreste di queste zone la cui vicinanza al mare sembra essere del tutto indifferente alla popolazione che vi abita senza nessuna intenzione di sfruttarne le potenzialità. Le spiagge rese invisibili dalle colline che si spingono fino al mare, la terra buona dal colore rossiccio, coltivata variabilmente a tabacco, pomodori, canna da zucchero e ananas, accoglie alberi maestosi, alcuni bellissimi hanno la corteccia liscia e rossiccia e sviluppano la loro chioma su rami contorti in armoniose volute. Si chiamano “mulatti”, rispondono due signori ai quali chiediamo incuriositi. Nel paesaggio agreste non potevano mancare le mucche, e le pecore talmente grasse da sembrare gonfiate. Lungo la strada decidiamo di fare una sosta a Monte Pio, un pugno di case malandate sorte nei pressi della spiaggia, là dove due corsi d’acqua sfociano nel mare. Il cielo nuvoloso contribuisce ad accentuare l’atmosfera quasi surreale di questo luogo vagamente inquietante, dove la spiaggia è occupata in parte da una fila di ampie tettoie di canne sotto le quali sono a decine i tavolini di plastica vuoti. Mentre i ristoratori allungano speranzosi i menu osserviamo un turista messicano fai da te che ha piantato la sua piccola tenda fucsia al margine di una tettoia ed ha acceso un focherello sul quale cucina gamberetti in umido. Due giovani ragazzi provano posizioni acrobatiche mentre un cane vaga sul bagnasciuga. Abbandoniamo il paesino la cui “notorietà” deriva dai pirati che vi abitarono un tempo, per scendere ancora verso l’obiettivo finale. La bellezza del lago bordato di colline verdeggianti ci sorprende come un regalo, mentre il sole già basso offre una splendida vista dalla terrazza della nostra camera, a pochi metri dall’acqua ora color rosa. Solo una palma del giardino interrompe la continuità della superficie piatta dell’acqua mentre dall’altra parte il vicino centro abitato si profila lungo la costa, la cupola della chiesa unico elemento emergente dal suo profilo. Rimaniamo a lungo a contemplare il profilo frastagliato del lago, fino a quando la luna piena alzandosi di fronte a noi stende un cono argentato sulla superficie nera dell’acqua ora leggermente increspata…. che bello spettacolo ci regala oggi Catemaco! Dopo un breve aperitivo gustato nell’ordinato giardino del nostro piacevole Hotel La Finca, percorriamo i due chilometri che ci separano dall’abitato, inseguendo uno dei ristoranti su palafitta che si alzano sulla battigia del lago tra le decine di barchette di legno per le escursioni ormeggiate con brevi cime alla vegetazione spontanea. Tutti gli abitanti del paese sembrano in possesso dei depliant pieni di foto che sventolano per invogliare ad andare, ma noi tutti proiettati sulla cena rimandiamo a domani la scelta dell’accompagnatore. Stranamente troviamo tra i piatti tipici del menu l’anguilla alla messicana, che ordiniamo curiosi. Di fronte alla strana poltiglia che ci viene servita Catia offre una sua spiegazione….essendo l’anguilla simile ad un serpente è stata preparata come se fosse un crotalo, ovvero lessata e ridotta in poltiglia, quindi passata in umido e speziata, sarebbe stato un perfetto condimento per gli spaghetti ! Seduti sotto la tettoia del ristorante Aloa conserviamo il contatto con il chiaro di luna che rischiara il cielo nell’asola rettangolare libera dal parapetto, sopra i rami della vegetazione lacustre ed i tettucci delle lance resi scuri dalla notte. Non essendo il ristorante particolarmente piacevole ne usciamo subito dopo la cena per raggiungere la piazza principale sulla quale si affaccia la chiesa che sembra modellata nel marzapane e dove i cani randagi, spelacchiati e pulciosi muoiono di fame. Con una breve passeggiata arriviamo poi alla “Osteria”, il locale più carino di questa cittadina che di sera ci appare triste come un luna park… il giardino rischiarato da qualche torcia accesa ci conduce al locale, le cui pareti di pietra ed il legno scuro del bancone gli conferiscono un’atmosfera intima e calda. Cristiana e Michele, convinti di questa loro scelta di vita quanto due esiliati, si prodigano in chiacchiere e finiscono col raccontarci una parte della loro vita…. beviamo ed ascoltiamo, poi ripieghiamo verso le nostre confortevoli camere con vista.

30 Gennaio 2010

CATEMACO – BAUTISTA TUXTEPEC

Le nuvole grigie sopra il lago ci scoraggiano dall’affrontare l’escursione all’isola delle scimmie in programma per oggi e così seguendo il consiglio di Cristiana ed il rettangolo giallo sulla carta stradale ci dirigiamo senza indugi verso Tlacotalpan, cittadina coloniale ora patrimonio dell’Unesco animata in questi giorni dalla festa della Candelaria, una ricorrenza religiosa nel corso della quale vengono benedette le candele. Ma prima di lasciare definitivamente la regione, una leggera schiarita ci invoglia a fermarci all’ultima cascata di questo viaggio a sfondo naturalistico…. il Salto de Eyipantla dove più che dalla caduta d’acqua siamo colpiti dalla professionalità di Daniel, il bambino di nove anni che ci accompagna lungo il breve sentiero e che ci racconta come se stesse recitando a memoria, tutto quanto c’è da sapere di questo luogo….. quanti metri di altezza, la larghezza del salto, la profondità della pozza sottostante e quanti film sono stati girati qui… dimenticavo del numero degli scalini per raggiungere la base…. 354, una follia scendere!… tanto più che anche dal mirador nel quale siamo la cascata non sembra particolarmente interessante. Non appena lo congediamo con una mancia proporzionata alla sua tenera età vediamo Daniel correre sorridente ai vicini videogiochi protetti sotto la tettoia di lamiera…che bimbo simpatico e professionale, una rarità qui in Messico! Inseguiti dalle nuvole arriviamo a Tlacotalpan, la città coloniale che nel ‘700 fu importante porto commerciale sul fiume Papaloapan e che ora sfoggia oltre ai colori sgargianti, anche chilometri di porticati poco profondi e diversi per stile che caratterizzano i piani terra di tutti gli edifici. I prospetti chiaroscurati in arcate variabili, le colonne più o meno bombate ed i capitelli nei diversi stili definiscono i fronti continui delle strade acciottolate creando prospettive sospese tra la metafisica alla De Chirico e la vivacità di un quadro naif. L’impatto già forte si complica del caos delle bancarelle, della musica amplificata e delle decine di visitatori, tra cui molti fricchettoni che vendono il loro artigianato, accorsi qui in occasione della Candelaria….. avremmo preferito poter gustare il singolare centro storico libero dall’ingombrante allestimento, per osservarne le architetture particolari ed i colori accesi che ne fanno un vero gioiellino ora appena percepibile. Ma la festa incalza ed alcuni ragazzi stanno allestendo le barriere di legno a protezione dei locali pubblici e dei marciapiedi…. domani alcuni tori saranno liberati nelle strade del centro in una sorta di Pamplona messicana che segnerà il culmine della festa. Decidiamo di non fermarci qui per la notte e proseguiamo invece verso Oaxaca sulla strada lenta e stretta che attraversa per chilometri campi di canna da zucchero. Non si contano le catene di rimorchi ricolmi diretti agli zuccherifici, lenti ed ingombranti non è semplice superarli, ma hanno un braciere acceso su un lato del retro che segnala l’ingombro sulla strada…. un sistema davvero un originale, ma qualcuno deve aver perso uno dei “fanali”, rotolato giù….. in basso oltre la strada c’è un bel focherello! Arriviamo a Bautista Tuxtepec all’ora di cena. Inutile proseguire, Oaxaca è ancora troppo lontana per essere raggiunta oggi, meglio cercare un hotel per la notte…. troviamo il Gran Plaza, inaspettatamente confortevole rispetto alle previsioni. Trattandosi di una cittadina di passaggio non votata al turismo e considerando anche gli standard messicani, immaginavamo di dover dormire in una topaia! La sorpresa arriva in ritardo, quando dopo aver cenato nel freddissimo ristorante “La Carretta”, praticamente all’aperto, ci stendiamo sui materassi con molle così sporgenti da farci sentire come in graticola e con cuscini alti e duri da torcicollo… ma tutto sommato è già andata bene così!

31 Gennaio 2010

BAUTISTA TUXTEPEC – OAXACA

Leggermente acciaccati ci ritroviamo al piano terra all’orario ormai consolidato delle 10.30, poi a bordo di Jimmy raggiungiamo la periferia ancora grigia di nuvole e ci spingiamo verso le montagne della Sierra che valicheremo salendovi in cima…. nessuno conosce la quota del valico, nemmeno i poliziotti che incontriamo proprio lassù dopo più di due ore di di curve tra le montagne scoscese completamente rivestite di una selva lussureggiante dove le foglie più piccole sfiorano il metro e mezzo di lunghezza, come ad esempio le bellissime “orecchie di elefante” che spuntano in ciuffi sul bordo della strada. Siamo così fortunati da vedere il bocciolo peloso che contiene la foglia, ancora arricciato su se stesso come la testa di un cigno sul lungo collo. Ci fermiamo alcune volte a contemplare la natura forte e rigogliosa che sfuma in alto inghiottita dalle nuvole basse nelle quali talvolta anche noi ci troviamo immersi, come in un oblio cromatico. Se non fosse per le centinaia di curve che contiene, la strada sarebbe molto rilassante. Alla generosità della natura si contrappone l’assoluta inospitalità degli abitanti dei pochi villaggi incastonati nella foresta…. la catena tirata a sbarrare la strada di accesso ci scoraggia dall’entrare e quando chiediamo il motivo di tanta riluttanza alla signora che gestisce un primordiale punto di ristoro sulla strada, la pelle olivastra segnata dal tempo e dalla durezza della sua esistenza. Risponde che per accedere è necessario avere il permesso dello sceriffo perché la comunità vuol essere certa che chi entra lo faccia con buone intenzioni….. come sia possibile contattare lo sceriffo rimane però un mistero. L’appetito di Paolo crea l’occasione per una sosta qualche chilometro oltre, in un contesto del tutto simile ma anche completamente diverso. Le due ragazze che gestiscono la trattoria coloratissima che incontriamo lungo la strada non fanno che sorridere mentre ci fanno accomodare al tavolo della cucina che si trova di fronte al focolare, il più caldo in assoluto di tutto il simpatico locale. Il piano orizzontale del grande camino rettangolare colorato di rosso è pieno di pentole, graticole e piastre sulle quali stanno scaldando qualche tortilla per noi. Hanno sistemato sui tavoli composizioni di fiori freschi che crescono spontaneamente su queste montagne, le più belle sono le calle, il fiore nazionale immortalato nei quadri di Frida Kalo e nei murales di Rivera. I cibi che ci propongono, semplici e gustosi comprendono anche i fagioli neri preparati con la sola aggiunta di una cipolla in cottura, ed una salsa di peperoni color arancio, leggermente piccante e dalla fragranza intensa. Soddisfatti per l’accoglienza che ha accompagnato il buon cibo, ci congediamo e continuiamo a scendere fermandoci qua e la per comprare i prodotti locali esposti lungo la strada. Profumati frutti selvatici appena raccolti ed un mazzo gigante di bellissime calle, carnose e di varie misure che Catia ed io sistemeremo nelle rispettive camere dell’Hostal De La Noria, quando poco più tardi giungiamo ad Oaxaca. L’hotel è in posizione strategica, sulla ruta Hidalgo e vicinissimo allo Zocalo che raggiungiamo dopo aver preso possesso delle due ampie camere troppo buie che si aprono sul patio interno. La bella piazza dello Zocalo è esattamente come il ricordo che ne conservo. Le aiuole fiorite di rosse stelle di Natale creano una sorta di ordinato sottobosco agli alberi dalle enormi chiome ombrose, le panchine sono tutte occupate da messicani in relax e da turisti mentre i lustrascarpe sono ancora al lavoro accanto ai loro troni metallici. Come per soddisfare l’esigenza di un veloce ripasso ci spostiamo ora nella piazza adiacente dove l’imponente cattedrale sfoggia una bella facciata barocca in pietra verde, quella tipica di Oaxaca con la quale sono realizzati tutti i palazzi storici del periodo coloniale. Che bella città e che gioia essere qui…. L’aria tiepida di questa serata invernale ci accompagna nella breve passeggiata verso la Hostaria de Alcalà, un ristorante piacevolmente curato del quale conservo l’ottimo ricordo di una sopa azteca strepitosa ma che questa sera troviamo un pò sottotono.

01 Febbraio 2010

OAXACA

Mi sveglia il rumore della porta che si richiude, sono solo le 7.30 e Vanni non è nel suo lettone. Nonostante il mio rincoglionimento capisco in un baleno che è andato a cercare il suo meccanico, Miguel, quello che tre anni fa lo conquistò smontando il cambio di Carolina per ripararlo, avendo come unici strumenti le sue mani e qualche chiave inglese. La ricerca di Miguel era partita fin da ieri sera, quando dopo avermi chiesto il nome dell’hotel dove eravamo vi era tornato per ricostruire il percorso che lo avrebbe portato all’officina. Il problema questa volta non è grave come allora, ma le sospensioni di Jimmy cigolano in modo imbarazzante e Vanni, precisino com’è, deve porvi rimedio. Sono già le 10.30 quando riemergo definitivamente dal mio sonno, il tè ormai freddo ed il piatto di ananas sono già sul mio comodino….. che amore Vanni! Mi aggiorna subito sulle novità, una delle quali è che cambieremo camera. Catia ha insistito per avere le due camere che si affacciano sulla terrazza anziché sul patio interno…. fantastico, anch’io trovavo questa eccessivamente tetra e rumorosa. La seconda notizia è che Catia mi aspetta per due passi in città mentre Vanni e Paolo, ormai inseparabili, andranno a far lavare ed ingrassare Jimmy. Il verdetto di Miguel è che le sospensioni sono perfette, il problema è dei blister che però non si possono sostituire, non qui a Oaxaca…. ma un generoso strato di grasso allevierà il cigolio! Esco con Catia verso le 11, siamo alla ricerca di indizi che ci portino sulle tracce di Alejandro Santiago, l’artista di Oaxaca i cui “2501 migrantes” rappresentano il motivo del nostro arrivo in città. Dopo averne parlato con il gallerista di Miami vogliamo assolutamente vederli. Ma la galleria Quetzalli che vende opere dell’artista non risponde al telefono, chiusa forse per via della festa della Candelaria, e non abbiamo trovato nel sito internet chiari indizi sul luogo dove poter vedere le sculture dei migrantes…. forse a Teococuilco, il suo paese natale? Alejandro Santiago è un artista indio cresciuto in un piccolo villaggio vicino alla cittadina di Etla, che si è via via spopolato dei suoi abitanti emigrati negli Stati Uniti. L’idea di realizzare 2501 figure umane in argilla, una sorta di “esercito di terracotta” messicano, nasce dal desiderio di ripopolare idealmente il villaggio e si collega anche alla denuncia delle migliaia di messicani uccisi sulla frontiera mentre tentavano di emigrare negli Usa clandestinamente. Il capolavoro generato dall’impegno di Alejandro e di decine di giovani aiutanti reclutati tra i ragazzi della provincia, è stato esposto di recente a Monterrey ed alcuni filmati dell’installazione sono visibili su You Tube, ma vorremmo vederlo dal vivo, qui dove ci aspettavamo di trovarlo, nel luogo dove è stato concepito e realizzato. Partendo dalle poche indicazioni raccolte in un negozio dove ci fermiamo a chiedere, scopriamo che la galleria sull’angolo di piazza San Domenico espone alcune sue tele oltre ai prodotti dell’artigianato locale…. seguendo la pista vediamo poi altri suoi dipinti nella galleria al primo piano dello stesso edificio. Una grande tela nei toni del giallo, nero e arancio, bella ed espressiva, ci colpisce per la figura centrale…. una sorta di lupo nero stilizzato ed inquietante. Altre opere sono raccolte nel magazzino della galleria, tra cui un paio di acquerelli trattati con cera, sempre sospesi tra astratto e figurativo e con forti valenze culturali indigene…. ma i Migrantes dove sono? Nel suo spagnolo perfetto Catia cerca di carpire qualche informazione dalla signorina addetta alla vendita….. ed insiste per avere almeno un indirizzo Email al quale contattare direttamente l’artista. Data la scarsa collaborazione chiede di parlare con il direttore della galleria che forse potrà darci informazioni più chiare….. ripasseremo domani. Chiusa almeno per oggi la parentesi investigativa ci abbandoniamo al passeggio per le strade del bel centro storico disseminato di edifici coloniali tra i quali spiccano le belle chiese tutte di pietra verdina. Ci concediamo poi una breve sosta in un bar dello Zocalo dove ci sediamo per un drink dissetante, di fronte a noi gli alberi frondosi creano macchie d’ombra sulle aiuole rosse di fiori e sui messicani fermi sulle panchine indifferentemente impegnati a mangiucchiare qualcosa, a fare tante sane chiacchiere o semplicemente a riposare, come noi. Ci raggiunge la musica di uno xilofono di legno tipicamente veracruzano, percosso da tre ragazzi vestiti con magliette variopinte, ed i numerosi venditori ambulanti di artigianato dai quali acquisto un paio di bellissime borsettine costruite intrecciando la carta stagnola riciclata degli involucri di prodotti alimentari…. divertita osservo le scritte che spuntano qua e la o i ritagli di immagini pubblicitarie. Sono simpatiche, ma non avrei mai immaginato che si trovassero in vendita anche nello shop del Moma di NY come mi conferma Catia. Segue l’acquisto un giro perlustrativo al mercato coperto dove ci accoglie un frastuono di colori e di folla. Dall’abbigliamento ai fiori alle interessanti bancarelle che vendono solo peperoni secchi in decine di varietà ed il Mole Poblano, impasto tipico della regione di Oaxaca, preparato con decine di spezie e cacao e che spesso accompagna i piatti di carne nei ristoranti della città. Tornando verso l’hotel incontriamo casualmente Vanni e Paolo a passeggio, sono appena rientrati dalla missione Jimmy che ora è pulito e silenzioso. Approfittiamo dell’incontro per chiedere loro se questa sera hanno voglia di fare il Tamezcal che Catia propone. Curiosi all’unanimità di provare il tradizionale bagno di vapore preparato secondo l’antico rituale precolombiano, fissiamo l’appuntamento per le otto di questa sera…. che curiosità! …. e ceniamo subito alla pizzeria da Angelo, squisita. E’ già buio quando in taxi raggiungiamo la periferia della città, e ci fermiamo di fronte alla casa in mattoni di terra cruda rischiarata appena dalla luce fioca di una lampadina. Due cani gironzolano svogliati tra bottiglie di plastica vuote abbandonate sotto la tettoia di lamiera che segna l’ingresso alla casa. La ragazza vestita di bianco che ci aspettava fuori sorride contenta…… non sempre i tassisti riescono a trovare la casa ci confida sollevata…. ci invita poi ad entrare nella prima modesta stanza dove ci sediamo in attesa delle indicazioni che arrivano poco dopo. Perplessi e divertiti entriamo uno alla volta nello spogliatoio arredato con una panca ed un attaccapanni di legno fissato alla parete …. i nostri corpi coperti solo da un lenzuolo bianco, sono pronti per accedere alla stanza che dà accesso al Tamezcal. Rischiarata da qualche candela e odorosa di erbe aromatiche, è il luogo nel quale si svolgerà il rito individuale di purificazione dalle energie negative che si svilupperà in due fasi come segue. In piedi su una stuoia appoggiata al pavimento ci sottoponiamo docili al rito dell’incenso eseguito facendo passare vicino al nostro corpo, ora completamente nudo, un piccolo braciere dal quale esce un fumo denso e profumato. La stessa ragazza che ci aveva accolti esegue lentamente attorno a noi il movimento a spirale che ci avvolge in una nuvoletta odorosa ….. afferra un mazzetto di erbe con il quale percuote il nostro corpo davanti e dietro, dai polpacci alla testa, quindi getta a terra quelle stesse erbe che ci invita a calpestare. Così purificati entriamo chini e di schiena attraverso la bassa porta ad arco che dà accesso al Tamezcal dove Tamez significa vapore e Calli casa. Arrivato il mio turno raggiungo Vanni e Paolo già dentro al piccolo igloo ellittico tutto rivestito di conci di pietra scura, sono seduti sulla panca in muratura che ne segue il bordo, mi sorridono ….. dopo qualche istante scoppiamo a ridere per via della confessione di Vanni che avvicinandosi al mio orecchio mi dice sottovoce dell’eccitazione scatenatasi nel vedere la mia “fustigazione” con le erbe aromatiche….che serata ! Infine siamo tutti dentro a godere del calore sprigionato da un gruppo di pietre porose precedentemente arroventate ed ora raccolte in un mucchietto sul fondo della piccola stanza. Dalla porticina di ingresso la ragazza ha introdotto una ciotola di legno contenente acqua medicinale….. Vanni che non ha mai caldo abbastanza, soprattutto in sauna che normalmente fa a 90°, ne versa un pò sulle pietre per produrre il vapore…. poi non contento afferra un lembo del suo lenzuolino e lo agita in alto per far scendere l’aria più calda…. che ragazzaccio! Nonostante gli interventi di Vanni non raggiungiamo mai temperature da capogiro e possiamo così godere appieno della magia di questo momento….. purificati dal rito ed avvolti nel calore di questo bozzolo di pietre scure, come un ventre materno nel quale viviamo una sorta di simbolica rinascita. Tra un commento e l’altro beviamo l’acqua fresca contenuta in una caraffa e cospargiamo la nostra pelle con la gelatina delle foglie fresche di aloe che la ragazza ha introdotto aprendo per un attimo la porticina di legno. Usciamo dal Tamezcal dopo circa trenta minuti, pronti per la rudimentale ma efficace doccia fredda azionata da una ragazza tirando la manovella che scende dal soffitto dello spogliatoio. Quando con Catia raggiungiamo Paolo e Vanni li vediamo già sotto massaggio, sono stesi sui lettini ospitati nella stanza dei riti preparatori, rischiarata da gruppi di candele che illuminano un crocifisso, la statua della Vergine Maria ed un idolo pagano collocati su due vecchi mobili di legno che fungono da altarini. Il massaggio rilassante rivela presto la scarsa professionalità delle due ragazze, ma siamo ormai così conquistati dall’atmosfera del luogo e dall’antica ritualità legata al Tamezcal che accettiamo anche il massaggio con estremo piacere. Mentre aspetto il mio turno leggo sul depliant che questa pratica affonda le sue radici nelle culture mesoamericane più antiche e che antichi Tamezcal si trovano nelle aree archeologiche di Palenque e di Piedras Negras in Guatemala…. poi finalmente mi stendo anch’io su uno dei lettini per il massaggio che mi rilassa così tanto da farmi sentire come liquefatta. La serata si conclude con una lode alle due ragazze che hanno trovato il modo di guadagnare denaro offrendo un servizio antichissimo, purificante e vivificante agli stranieri, facendo rivivere aspetti di una cultura davvero illuminante!

02 Febbraio 2010

OAXACA

Mi sveglio troppo tardi per andare con Catia e Paolo al tour delle 10 nel giardino botanico adiacente la basilica di San Domenico e Vanni non ancora in forma per gli acciacchi dei giorni scorsi preferisce rimanere vicino alla bouganville fiorita in compagnia del suo Mac comodamente posizionato su un tavolino della terrazza assolata che condividiamo con i ragazzi….. decido così di uscire sola. Vorrei andare alla galleria Quetzalli per avere notizie dei Migrantes, ed approfittare della passeggiata per godere ancora un pò degli edifici in stile coloniale variamente colorati che creano fronti continui sulle strade del centro storico. Mentre cammino approfitto dell’incontro con una signora indio per acquistare, sulla scia di Catia che me li aveva mostrati nella sua cucina a Todos Santos, una serie di preziosi stuzzicadenti di legno lavorati in cima con animali bidimensionali stilizzati e colorati. Mentre passeggio con la simpatica signora immagino quelle figurine sulle olive o i cubetti di pecorino in occasione delle nostre cene con gli amici… approfitto della sua compagnia per un gelato insieme e due chiacchiere nelle quali riassume la storia della sua famiglia. E’ così bello per me restituire un’anima ai venditori ambulanti, conoscere anche loro oltre ai prodotti che propongono…capire le differenze assaporando le affinità, le donne poi sono le più disposte a mostrarsi e le più curiose di sapere come si vive altrove. Quando più tardi risalgo il corso verso la galleria incontro Catia e Paolo reduci dal tour botanico del quale sono estremamente soddisfatti….. mi comunicano subito che alla galleria Quetzalli non sanno nulla dei Migrantes, mentre sono riusciti a parlare con il proprietario di quella visitata ieri il quale si è subito attivato mettendosi in contatto telefonico con la moglie di Alejandro Santiago. Le notizie sono buone…. la prima è che i Migrantes sono tornati a Santiago Suchilquitongo, nei pressi di Oaxaca provenienti dall’esposizione di Monterrey. La seconda è che ci aspettano domani per mostrarcele! Non potevamo essere più fortunati! Torniamo insieme in hotel per comunicare a Vanni, già abbronzatissimo, la buona notizia che non sembra però esaltarlo…. si tratta di rimandare di un giorno la nostra partenza da Oaxaca accorciando così il tempo già ridotto all’osso a nostra disposizione per raggiungere Managua. Accetta di buon grado, contento soprattutto come me di trascorrere ancora un giorno in compagnia dei ragazzi con i quali si è instaurato un rapporto di perfetto equilibrio e di divertente complicità. Ancora due chiacchiere tutti insieme in terrazza e partiamo in missione…. andremo a Teotitlan del Valle dove è pronto il tappeto che completerà il loro soggiorno, commissionato diversi mesi fa ad uno dei numerosi laboratori locali che si dedicano alla tessitura dei tradizionali tappeti di lana colorata con pigmenti naturali….. prodotti tipici dell’artigianato che da questa cittadina vengono poi esposti in tutto il mondo. Arriviamo in poco più di mezz’ora nel paesino reso deserto dalla siesta….. ne approfittiamo per una breve passeggiata esplorativa alla cattedrale dipinta di bianco sulla quale risaltano i pochi elementi aggettanti colorati di rosso, blu e giallo. … poi arriviamo all’appuntamento delle 14.15 presso il laboratorio dove è pronto il bellissimo tappeto eseguito con disegno a caracol nei toni dei rossi….. starà benissimo nel loro soggiorno! Mentre lo contempliamo cercando comprendere le obiezioni di Paolo che lo aveva immaginato leggermente diverso da così, Catia mi spiega che le tonalità del rosso sono ricavate da una muffa, la Cochinilla, che si forma nelle foglie del fico d’india, insomma ogni continente ha i suoi segreti in fatto di colori! Contenti del buon risultato partorito in cinque mesi di lavoro, risaliamo in auto per raggiungere la vicina cittadina di El Tule, famosa per gli alberi millenari che contiene. Il più antico dei due che fiancheggiano la deliziosa chiesetta bianca ha un’età stimata di 2000 anni ed un tronco enorme articolato in elementi sporgenti che sembrano naturali contrafforti di sostegno. Quando lo vidi per la prima volta nel 1989 il contesto era molto più selvaggio e non organizzato come ora in giardinetti protetti da inferriate. Pensare che questo antichissimo esemplare di Cipresso di Montezuma anche detto Huahuauete, era già nato quando Gesù Cristo fu crocefisso, ed aveva già più di 1500 anni quando gli spagnoli colonizzarono il Messico, fa un certo effetto a tutti noi che gli giriamo intorno ammirandone oltre alla chioma estesissima anche il tronco che pare come una enorme costruzione scultorea nella quale si possono leggere profili di animali e la morbidezza di una capigliatura un pò mossa, suggerita dai fasci verticali delle fibre della corteccia. Il suo figlioletto di circa 1000 anni è sull’altro lato della chiesa seicentesca, bellissima e sobria nei pochi pochi decori riassunti nelle due torrette laterali. Il cielo sempre più grigio e l’appetito che incalza…. decidiamo di pranzare qui, ma dove? Inseguendo un indizio di Catia e Paolo raggiungiamo la “Marisqueria El Camaron” che troviamo proprio di fronte al cimitero. Poco più di una baracca di lamiera, ma con un pappagallo in gabbia, una vasca per i pesci ed un gruppetto di musicanti del Nord che intonano le canzoni un pò noiose della tradizione nortenia, il locale è affollato di messicani….. una sorta di garanzia per noi che qui mangeremo bene. I tavolini sono tutti occupati da messicani DOC, a parte noi quattro che seduti al tavolo di plastica bianca ci mimetizziamo a fatica contro la parete di canne. La vispa cameriera inizia col farci assaggiare una salsina piccante color verde ed una rossa di pomodoro e verdure accompagnata con totopos, ovvero le tortillas fritte. Arriva poi con quattro assaggi di sopa de gambas, una squisitezza che lei specifica essere una cortesia della casa. A questo punto sono già sazia, ma arriva l’ineluttabile ananas ripiena di mariscos, una pietanza che avevo notato su un altro tavolo e che mi aveva ingolosita….. un misto di gamberi, calamaro e verdure varie tagliate finemente compreso l’ottimo coriandolo, il tutto cucinato alla griglia all’interno di mezzo ananas tagliato longitudinalmente e svuotato in parte della polpa. Il mix di gamberi, coriandolo ed ananas è perfetto ma la dimensione della portata avrebbe messo a dura prova anche due persone digiune! Un acquazzone ci coglie all’improvviso e qualche schizzo ci raggiunge dal tetto di canne che però tutto sommato tiene, forse rinforzato da un lamierino che non vediamo…. il pappagallo chiuso nella gabbia troppo piccola inizia ad urlare come impazzito ad ogni nota proveniente dal gruppo di musicisti armati di chitarre e contrabbasso, poi quando le mie mascelle alzano bandiera bianca di fronte all’ananas ripiena ancora semipiena e la pioggia smette di scendere lasciamo soddisfatti la Marisqueria e quasi rotolando raggiungiamo Jimmy parcheggiato vicino al famoso albero. Niente cena oggi e nemmeno due passi fuori dall’hotel visto il maltempo che nel frattempo ha raggiunto anche Oaxaca. Protetti nella nostra bella camera ascoltiamo i botti dei fuochi d’artificio che segnano l’apice della festa della Candelaria ed immaginiamo le signore che portano alla benedizione i loro personalissimi Gesù bambini. Sono solo le 21.30 quando spegnamo la luce…. cenare alle quattro del pomeriggio ci ha confuso un pò le idee!

03 Febbraio 2010

OAXACA

La pappa reale presa ieri pomeriggio su suggerimento di Catia allevia lo stordimento della sveglia presto e alle 8.30 mi sorprendo già pimpante sotto la doccia…. oggi non voglio perdere la visita delle 10 al Giardino Etnobotanico che i ragazzi mi avevano consigliato vivamente di vedere. Mi accompagna Catia, mai sazia di notizie sulle essenze della flora autoctona con le quali potrebbe arricchire il suo bel giardino di Todos Santos. Ci avviamo insieme lungo la strada lastricata che conduce alla basilica di San Domenico, accompagnate dal tepore del sole che fa capolino dietro lo strato sottile di nuvole. La visita al Jardin Etnobotanico de Oaxaca si snoda attraverso un percorso disegnato tra piante ed alberi rigorosamente autoctoni, iniziando dalle specie coltivabili come il mais ed i fagioli e proseguendo poi in una miriade di varietà di alberi, cactus, agavi e molto altro che ci sorprendono talvolta per l’insolita bellezza dei fiori o dei baccelli che li contengono. Tra le tante vediamo anche la pianta della vaniglia, un rampicante della specie delle orchidee ed un basso gigantesco cactus soprannominato “la sedia della suocera” la cui immagine stampigliata sui biglietti di ingresso è stata scelta come simbolo del giardino. Troviamo anche il tronco rossiccio in fase di spellatura dell’”albero mulatto” visto per strada qualche giorno fa ed un albero reso favoloso dai suoi fiori a scopetta color fucsia…. e che dire delle tante varietà di agavi spesso fiorite, talvolta con sfumature rosa sulle loro foglie carnose. Lascio ben presto il gruppo per scattare foto rapita dalla bellezza di questa natura perfetta riassunta nell’ampio giardino…..sacrificando volentieri le spiegazioni della guida a vantaggio della contemplazione della pura bellezza, dell’armonia delle forme, della perfezione. Ne esco sollevata e felice, anzi felicissima di aver trascorso due ore in questo accessibile paradiso, poi torniamo sui nostri passi ripercorrendo il corso verso lo Zocalo ma deviando verso la boutique della galleria Quetzalli dove avevo visto esposti originali abiti costruiti con materiali riciclati. Eccoli ancora in vetrina gli abiti a balze realizzati con sporte di tela plastificata delle quali sporgono qua e la i manici…. e la collana fatta con i bozzoli dei bachi da seta della regione… un paio di acquisti ed usciamo…. Di nuovo all’inseguimento delle opere di Alejandro Santiago percorriamo le strade del centro storico, tra stucchi bianchi che risaltano sulle facciate colorate e le ampie finestre dei piani terra protette da inferriate leggermente spanciate verso la strada. Sulle porte dei piccoli negozi alimentari sono appese file di sacchetti colorati contenenti decine di varietà di botanas nei diversi aromi, altrove le porte nascondono i negozi di rigattieri o cliniche dentistiche, infine arriviamo alla sede distaccata della galleria Quetzalli dove ammiriamo ancora qualche tela del nostro artista dai prezzi purtroppo inavvicinabili. Le ampie dimensioni dello spazio espositivo fanno pensare ad un vecchio magazzino riadattato per poter accogliere grandi opere ed installazioni…. il pavimento di cemento lucidato e le pareti bianche lo rendono poi estremamente fashion ed internazionale. Sondato il sondabile non ci resta che andare a visitare l’atelier di Santiago, quello per capirci nel quale l’artista realizzò i 2501 migrantes. Tutti a bordo di Jimmy ci avviamo verso Santiago Suchilquitongo, un villaggio del municipio di Etla che raggiungiamo dopo circa trenta minuti di pellegrinaggio. Non abbiamo nessuna certezza di trovare qualcuno ad accoglierci, tanto meno di trovare l’azienda che contiene il laboratorio viste le indicazioni sommarie che Noel Cayetano, il direttore della galleria di Oaxaca ( M.Alcalà 407-30, Plaza Santo Domingo. Tel 951 5148338. noelcayetanoart@yahoo.com ) ha gentilmente fornito a Paolo e Catia. Ci avventuriamo alla cieca tra le strade del villaggio, poi cerchiamo l’aiuto dei locali chiedendo informazioni, ma solo una signora sembra sapere di cosa stiamo parlando…. e dire che si tratta di un artista di fama internazionale! Seguendo le nuove indicazioni passiamo di fronte al municipio e vi giriamo attorno costeggiandone il fianco…. ci troviamo così a percorrere una strada sterrata che passando sotto il ponte dell’autostrada si allontana dal centro abitato. Immersi nel desolato paesaggio collinare cerchiamo la diga di riferimento vicino alla quale troviamo come da indicazioni il grande setaccio per l’argilla e la casa colonica colorata di rosso che adocchiamo da lontano. Sui toni gialli dell’ erba secca, dei rovi e dei pochi arbusti, il tetto di lamiera del magazzino laboratorio spicca almeno quanto il cielo finalmente azzurro. Senza mai perderlo di vista seguiamo la sterrata che supera un fitto canneto e ci fermiamo di fronte alla catena tirata che sbarra la strada….. siamo arrivati. Proseguiamo a piedi attraverso il sentiero che conduce alla casa, invitante e preceduta da una profonda tettoia che ne segue tutta la facciata. Il sentiero è segnato sui due lati da alcuni Migrantes ritti tra l’erba secca che li nasconde in parte….. maschere inquietanti dilaniate da ferite, i sessi esposti, gli occhi sporgenti, sembrano lì per introdurre l’antro di uno stregone. Onorio ci viene incontro. E’ un giovane ragazzo del luogo che si occupa della custodia del laboratorio e dei Migrantes che dopo l’esposizione di Monterrey nel 2007 riposano stesi tra l’erba secca, uno accanto all’altro come in un cimitero. Gentile e disponibile Onorio ci racconta di aver fatto parte del team di giovani che lavorò attivamente alla realizzazione delle statue di argilla…. una diversa dall’altra. Modellavano il corpo fino al collo poi il maestro eseguiva la testa e caratterizzava il corpo con tagli inferti a colpi di machete…. poi venivano cotti e colorati spiega mostrandoci il forno ed una serie di corpicini ancora da colorare…. forse a sostituzione dei pezzi danneggiati dal trasporto. Non fa un bell’effetto vederli ancora tutti uguali uno accanto all’altro e grigi di argilla…. la sensazione è quella di essere di fronte a copie male eseguite e pronte per la vendita. Ma di vendere i migrantes non se ne parla dice Onorio…. continueranno a migrare da una installazione e l’altra in giro per il mondo…. presto 50 andranno a Londra ed altri 50 a Mexico City. Il denaro per finanziare “Atlantide” il nuovo progetto del maestro arriverà invece dalla vendita delle tele e dal ricavato delle installazioni…. ne vediamo alcuni enormi prototipi ancora in fase di studio. Di grandi dimensioni i corpi arrivati da Atlantide sono cosparsi di altre piccole figure in rilievo aggrappate in superficie o incise nell’argilla…. figure di santi e madonne, animali e fiori. Quelle che vediamo ancora smontate, dove i busti sono adagiati accanto alle alte gambe, sono le matrici dalle quali verranno ricavati gli stampi per i bronzi. Chissà che effetto faranno realizzate in metallo scuro…. finiranno col perdersi i tagli e le figure in bassorilievo che popolano le alte figure umane…. che grande privilegio essere tra i primi a vederle ! Potrò sempre vendere le foto a qualche rivista d’arte penso … magari con la complicità di Gaia! Ma torniamo alla distesa di Migrantes stesi a terra tra l’erba in file ordinate per altezza, visti dall’alto della tettoia sembrano i cadaveri di uno sterminio…. una sorta di Auschwitz messicana, ma poi avvicinandoci ne vediamo i colori e le forme così lontane dalle fisionomie umane, piuttosto fantocci irrigiditi nell’argilla, volti sospesi tra la caricatura umana e l’iconografia delle culture precolombiane. Tutt’altro che realistici ma inquietanti per il dolore che si legge in quei corpi non finiti e già logorati dal breve tempo della loro esistenza. Corpi che sembrano racchiudere il germe della loro distruzione e che odorano di morte, i Migrantes che se ne vanno in cerca di fortuna, carichi di sogni e di miseria sono 2501, il numero esatto di quelli che hanno lasciato Teocoquilco, il villaggio natale del maestro….. è una grande soddisfazione per noi averli visti qui dove sono stati realizzati! Alejandro Santiago non c’è ma tornerà a Oaxaca sabato…. troppo tardi sia per noi che per Catia e Paolo che partiranno per la Paz proprio sabato mattina…. ma la visita di oggi ha stimolato in loro qualche progetto, come quello di portare i migrantes in Baja California perché diventino protagonisti di una installazione tra i cactus di Todos Santos…. sarebbe strepitosa, o a Cabo San Lucas…. ne parleranno domani con la moglie di Alejandro che li ha invitati a cena. Che peccato non poter partecipare anche noi…. ma hanno promesso che ci terranno informati sugli sviluppi del caso Migrantes. Contenti di aver finalmente toccato con mano le sculture che abbiamo sognato vedendole su You Tube o raffigurate sul catalogo mostratoci a Miami che ha generato l’idea di cercarle….. torniamo ad Oaxaca giusto in tempo per un sacchetto di patate fritte gustate presso il carretto ambulante “Cara de papas” dove un paio di ragazzi ne estraggono in continuazione dal pentolone di olio bollente. Per strada nei pressi dello zocalo. Paolo ed io siamo i primi a contenderci i sacchettini pieni dopo l’arrivo del carretto alle 17….. lo consideriamo un antipasto gustoso alla cena che seguirà dopo un paio d’ore in un ristorante senza nome perché caduto nell’oblio così come le pietanze non eccelse come ce le aspettavamo. A nanna presto…. domani si parte!

04 Febbraio 2010

OAXACA – SANTO DOMINGO TEHUANTEPEC

Alle 10 è già l’ora di lasciare la piacevolissima Oaxaca e con lei i ragazzi dai quali non vorremmo separarci così presto…..la condivisione di un percorso in queste due settimane fitte di scoperte, emozioni e piccole avventure ci ha dato l’opportunità di conoscerci nel migliore dei modi possibile …. girovagando…. ma ora è difficile accettare l’idea di non ritrovarli domani mattina al nostro risveglio così come nascondere gli occhi lucidi di lacrime ….. almeno per i più sensibili di noi. Di nuovo soli sistemo lo schienale troppo inclinato del mio sedile ed affrontiamo il traffico di Oaxaca che ci spinge fuori dal centro e poi dalla periferia lungo la strada che conduce a Mitla e che già conosciamo. Continui saliscendi ci aspettano sulle montagne della Sierra Madre Sur, la quota dei valichi come sempre sconosciuta…. unici indizi dell’altitudine i boschi di conifere che improvvisamente si sostituiscono alla vegetazione tipicamente subtropicale, e le orecchie che talvolta sembrano immerse in un liquido. Le montagne che si aprono ai lati della strada serpeggiante sono coperte di alberi… tra i più belli quelli argentei e senza foglie dai cui rami spuntano bellissimi fiori gialli , radi e preziosi. Altri hanno bacche ovoidali penzolanti e fiori bianchi a ventaglio…. insomma nonostante le curve è un piacere essere qui. Dopo diverse ore di viaggio un lungo rettilineo annuncia la città di Santo Domingo Tehuantepec che ci appare piuttosto anonima fin dalle prime battute…. decidiamo così di proseguire fino a Salina Cruz, sul mare a soli 11 chilometri da qui. Peccato che al promettente cerchietto sulla carta stradale non corrisponda una ridente località balneare bensì un’area interamente dedicata alle raffinerie che occupano l’intera costa, ed il mare che a fatica riusciamo a scorgere dietro gli impianti è ora affollato di petroliere alla fonda….. alla luce di ciò non stupisce la strana reazione del gestore del ristorante dell’hotel Calli di Santo Domingo che abbiamo nel frattempo raggiunto tornando sui nostri passi. Di fronte alla nostra legittima richiesta di avere per cena una dozzina di ostriche eventualmente reperite nella bancarella che le vende all’esterno della struttura dell’hotel, il responsabile ha posto un secco rifiuto….. col senno di poi credo ci abbia salvato la vita ! L’hotel è confortevole ed organizzato attorno ad un bel giardino ordinato e fiorito, tra cui un paio di alberi che esibiscono sui loro rami cuscinetti di fiori color malva…. uno spettacolo. Atterrati in questa sorta di paradiso non ne usciamo nemmeno per la ricerca di un ristorante con ostriche alternativo a quello dell’hotel….. ciò che abbiamo visto della cittadina è sufficiente per abbandonare ogni tentazione esplorativa!

05 Febbraio 2010

SANTO DOMINGO TEHUANTEPEC – TAPACHULA

Per evitare che a Vanni venga un esaurimento nervoso, preso com’è dal suo progetto di raggiungere Managua nel più breve tempo possibile, rinuncio alla visita dello Zocalo nel centro storico di Tehuantepec nonostante la chiesa carina intravista ieri dalla strada potesse valere una sosta anche breve. Il fatto poi che la receptionist abbia prospettato dalle dieci alle undici ore di viaggio per raggiungere Tapachula, la cittadina sul confine guatemalteco che ci siamo proposti di raggiungere oggi, finisce col togliermi ogni speranza di diversivi costringendomi a salire in auto subito dopo la colazione. Partiamo poco dopo le 10 …. il cielo completamente coperto di nubi non riesce comunque a smorzare il caldo umido quasi soffocante che ci avvolge da quando ieri abbiamo raggiunto la pianura scendendo dalle montagne della Sierra. Il piacevole clima primaverile di Oaxaca ci mancherà forse per tutto il resto del breve viaggio che rimane da compiere…..abbiamo deciso infatti di raggiungere il Nicaragua costeggiando l’oceano Pacifico, senza mai risalire sulle montagne che si snodano fino al profondo Sud delle Americhe…. e poi che importa, nonostante le goccioline di sudore che imperlano le nostre fronti ci procurino un certo fastidio, sarà piacevole ricordarle quando entreremo nella morsa di gelo che stringe l’Italia fin dalla nostra partenza. Ancora immersi nella vegetazione rigogliosa della fascia collinare ci abbandoniamo alle belle sorprese che ci riserva la natura generosa….fiori ed alberi dai profili accattivanti o dalle enormi chiome si susseguono a boschi di manghi e palme in un piacevole mix, rilassante quanto una buona tisana. Dopo cinque ore di viaggio arriva l’ultima piacevole sorpresa di oggi…. ovvero la città di Tapachula che raggiungiamo con cinque ore di anticipo rispetto ai pronostici della signorina dell’hotel Calli ….. che vien da pensare non sia mai stata qui! Questa città non è nulla di speciale, penso quando esco dall’hotel per visitare lo Zocalo e fare una puntatina al mercato dove vorrei acquistare qualche mango abbastanza maturo da poter essere mangiato nonostante non sia ancora la stagione giusta. Il tessuto urbano del centro storico è quasi tutto molto recente ed in stato di pesante degrado. Uniche eccezioni la cattedrale fin troppo patinata nel suo uniforme intonaco color crema, il palazzo che contiene il museo ed il nostro hotel “La Casa Mexicana”( 8° av. Sur 19 Esquina 2° Poniente. Tel. 01(962)6266605.www.casamexicanachiapas.com hotel@casamexicanachiapas.com ) ospitato nei due piani di un antico edificio coloniale. Fu costruito in adobe, mattoni crudi, ed arricchito con colonne di legno intarsiato che ne sostengono il porticato al piano terra. Interamente colorato di rosso, ha le poche camere disposte attorno ad un piccolo patio occupato per metà da una sorta di foresta tropicale e da una piccola piscina. Una serie di arcate ribassate seguono i tre lati del perimetro al piano terra, mentre al piano superiore un ballatoio conduce alla nostra bella camera “Maria Bonita”, dedicata come le altre nove a donne messicane che si sono distinte nel corso della storia per impegno civile e sociale. E’ una vera chicca questo hotel boutique, disseminato di quadri, sculture e di meravigliosi fiori tropicali, carnosi e coloratissimi! Dopo il breve e deludente giro di ricognizione in città ci assestiamo all’ombra del porticato di legno al piano terra di fronte alla piccola foresta, dove sorseggiando il nostro Campari Orange ghiacciato gustiamo la splendida location di oggi…. una vera fortuna vista la stanchezza e l’incazzatura sopraggiunta poco prima del nostro ingresso in città, quando un paio di signori ci avevano fermati lungo la strada mostrando come referenza i tesserini di un’ agenzia della dogana. Vedendo che Vanni dava loro ascolto e gli mostrava i documenti di Jimmy perdendo solo del tempo sotto il sole cocente ed il caldo soffocante, sbotto dicendogli di proseguire senza indugi. Chiaro che per i due, assolutamente non impiegati della dogana bensì di una agenzia a caccia di polli cui affibbiare un paio di fogli inutili in cambio di denaro, il caldo non doveva sembrare così insopportabile, e nemmeno per Vanni che aveva letto sulla guida qualcosa in merito…. che dire…. sbottiamo entrambi per opposti motivi, ma poi dopo una piacevole doccia fredda tutto torna tranquillo, soprattutto dopo che il Vanni avendo parlato con un distinto signore alla reception che lo rassicurava circa l’inutilità di quel documento, torna finalmente sereno. Nelle ore che seguono rimaniamo a godere della frescura del patio dal quale usciamo solo verso sera quando raggiungiamo il vicino ristorante Casas Viajas tanto sponsorizzato dalla guida Lonely Planet. Tanto per cambiare il ristorante è chiuso da tempo come ci conferma uno dei due soci dell’hotel….. mancano i turisti qui a Tapachula ed i pochi che si fermano passando tra il Guatemala ed il Messico non sono sufficienti a far sopravvivere queste strutture adatte soprattutto ad un pubblico straniero. I locali non sono disposti a spendere tanto per un pasto per quanto raffinato possa essere. Anche il ristorante francese dell’hotel è stato un flap per gli stessi motivi ed ha chiuso nell’arco di sei mesi. Siccome dobbiamo nutrirci opzioniamo il ristorante che il cameriere ci ha consigliato, quello dell’hotel Don Miguel, così finto da proporre gli spaghetti e la punta di filetto alla maionese come piatti tradizionali …. per non parlare dell’Amaretto di Saronno che viene proposto a Vanni come digestivo tipico! Non abbiamo mai riso così tanto….. risate alle quali si unisce anche il cameriere resosi forse conto della gaffe. Illuminato dalla luce artificiale il chiostro dell’hotel è ancora più intrigante perché sono più visibili i tanti oggetti d’arte ospitati nelle nicchie o appoggiati su antiche credenze di legno scuro….. infine ci ritiriamo presto in camera per un fine serata d’amore.

06 Febbraio 2010

TAPACHULA

Al risveglio il mio ventre sembra un blocco di pietra….. la consapevolezza di avere una infezione gastrointestinale piuttosto seria arriva pochi minuti dopo con una serie di sintomi devastanti tra cui una spossatezza da febbre a 40. Per ovvi motivi non lascio la camera, è Vanni invece a raggiungermi poco dopo la colazione. La notizia che sta leggendo sulla prima pagina del giornale non è incoraggiante…. il titolo a caratteri cubitali dice “ Mal no identificado satura los hospitales. Al dia mas de 200 enfermos con diarrea, vomito e intensos dolores”….preoccupato e con gli occhi sgranati prosegue la lettura sull’articolo in seconda pagina, così tanto per incoraggiarmi…. nel quale il giornalista spiega che è stato dichiarato l’arrivo della “marea rossa” in seguito alla morte di una bambina che aveva consumato una zuppa di vongole….proibito il consumo di conchiglie, caracol ed ostriche. Ora è tutto chiaro! il responsabile del ristorante dell’hotel Calli di Tehuantepec ci ha effettivamente salvato la vita rifiutandosi di acquistare per noi le ostriche un paio di sere fa, ma non si è preoccupato del caracol (lumaca di mare) contenuto nella mia insalata di pesce…. ne avevo assaggiato un solo pezzetto perché il sapore vagamente metallico non mi aveva convinta….. ed ecco il risultato che ha scaturito! Dopo essere uscito di nuovo Vanni torna questa volta con una buona notizia, anzi con un certificato doganale che ci consentirà di uscire dal Messico con Jimmy….. aveva ragione lui alla fine…. ed uno sciroppo disinfettante nauseabondo che devo bere tre volte al giorno. Null’altro da dire della giornata di oggi che trascorro a digiuno chiusa nella nostra camera tra un crampo e l’altro. La sera Vanni esce a cercare consolazione negli squisiti tagliolini al ragù preparati da Emanuele, il cuoco del ristorante Italia con il quale intrattiene anche una piacevole e lunga conversazione. Mentre ancora non so dove è sparito arriva a tranquillizzarmi dopo circa tre ore un sms sul suo telefono. E’ l’avviso di pagamento della cena con carta di credito…. solo ora realizzo che non è stato rapito né malmenato…. ripiombo così serenamente nella mia agonia!


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27 Guatemala


07 Febbraio 2010

MONTERRICO

Dando ascolto ai consigli dei due soci dell’hotel scegliamo di entrare in Guatemala dalla frontiera di Ciudad Hidalgo dove allo svantaggio dei 40 km di distanza fanno da contraltare le più semplici le formalità di ingresso. Il passaggio tra il vivace Messico ed il povero e cupo Guatemala ci impegna per una buona mezz’ora…. con il Carnet de Passage sarebbe stato tutto molto più semplice, ma il nostro Jimmy non ne è ancora dotato. Subito dopo l’ingresso in Guatemala ci è chiaro che non abbiamo intenzione di rivedere i suoi epicentri archeologici e storici già ampiamente sondati durante lo scorso passaggio qui…. preferiamo invece cercare un luogo carino nel quale fermarci sulla costa pacifica a noi ancora sconosciuta. Nonostante le informazioni prese qua e la non siano incoraggianti circa questa regione dove il colonialismo spagnolo non ha lasciato tracce pregevoli come anche le civiltà più antiche Olmeca e Maya. Tutto il bello sembra concentrato a Nord della Panamericana, ce ne rendiamo presto conto attraversando i centri abitati sporchi e fatiscenti di Mazatenango ed Escuintla per citare solo i maggiori dei tanti nei quali entriamo e che lasciamo subito dopo senza rimpianti. Anche le persone che vi abitano sembrano tristi e poco gentili, disinformati e maldestri nel dare indicazioni sbagliate pronunciate con una sorta di soggezione…. come se in qualche modo ci temessero. Procediamo comunque fiduciosi ben sapendo che qualcosa di bello deve pur esserci da qualche parte qui attorno…. evitiamo di raggiungere la costa nel tratto più vicino al confine perché caratterizzata da baraccopoli pericolose abitate da gente poverissima. Alcuni di loro per sfuggire alla misera condizione nella quale vivono tentano di raggiungere il Messico salendo al volo sui treni merci in corsa verso il Nord. Insomma in tutto il mondo c’è un Nord migliore da raggiungere ed anche il Messico famoso per l’emigrazione clandestina verso gli Usa è a sua volta gettonatissimo dagli stati del centro America, primo fra tutti il confinante e poverissimo Guatemala. Del resto le migrazioni stimolate dalla ricerca di una vita migliore fanno parte del nostro patrimonio culturale da millenni….se così non fosse non ci saremmo evoluti ed Apple non esisterebbe nemmeno nei sogni di qualcuno di noi. Se è evidente che in questa regione il costruito dell’uomo ha qualche pecca evidente la natura si esprime invece a tinte forti esplodendo in paesaggi rigogliosi di selve tropicali che sembrano inviolate. Enormi chiome di una bellezza sconcertante segnano le skyline del paesaggio… ci sono anche i miei preferiti…. i grandi alberi senza foglie ma pieni di fiori gialli che spuntano come fiaccole nel verde diffuso…. ettari di banani e distese di canna da zucchero che vediamo anche stipata nei rimorchi debordanti o che schiacciamo passando lungo la strada. L’odore intenso sprigionato dai fumi degli zuccherifici rappresenta l’ultimo anello della catena produttiva che ci appare oggi nella sua interezza. I bordi della strada si colorano poi di mazzi di fiori tropicali, carnosi e variopinti, raccolti dentro a secchi…. indecisa se fermarmi osservo le venditrici sedute accanto ai secchi su bassi rudimentali sedili…. resisto a malapena alla tentazione di un acquisto, pentendomene poi subito dopo, quando di fiori in vendita non c’è più traccia lungo la strada che continuiamo a seguire verso Sud e che si trasforma in una comoda autostrada a due corsie nei pressi di Escuintla, la cittadina che si trova a Sud della capitale, Guatemala City. Poco dopo usciamo dalla Panamericana puntando decisamente la nostra prua verso Monterrico ed il mare…. dopo nemmeno 20 km raggiungiamo un piccolo villaggio dove forzatamente ci fermiamo sorpresi. Se come desideriamo vogliamo raggiungere il mare dovremo imbarcare Jimmy su una chiatta di legno ed attraversare la laguna che ci separa dalla località balneare. Finiamo col gustare infinitamente questa sorta di diversivo…. dopo cinque ore di viaggio su strada, sfiniti dal caldo umido che sempre ci accompagna, la navigazione lenta sul tranquillo canale della laguna delimitato da mangrovie e popolato da uccelli bianchi dal lungo collo, ci restituisce il giusto comfort ed il relax del quale avevamo bisogno…. soprattutto a me ancora convalescente. Trascorriamo un quarto d’ora di benessere osservando le poche chiatte e le lance che incrociamo sulla via d’acqua, gustando la natura ancora una volta forte di questo magnifico territorio, consapevoli di aver scelto il posto giusto nel quale rimanere un paio di giorni nonostante le deboli obiezioni di Vanni. Raggiungiamo infine Monterrico, piacevolmente variopinto e dall’aria vivace e vacanziera…. il turismo proveniente dalla vicina capitale deve aver dato un buon impulso a questa località offrendo alla gente che vi abita buone opportunità di benessere…. lo percepiamo nei volti sorridenti e nella vivacità diffusa di questo luogo. Seguendo la sterrata che corre lungo la lingua di sabbia schiacciata tra la laguna e l’oceano raggiungiamo il “Resort Pez de Oro” scelto tra i tanti perché gestito da italiani. Diciotto bungalow a ridosso della spiaggia nera, organizzati attorno a due piccole piscine ed ombreggiati da un fitto palmeto. Il nostro è colorato di un blu squillante, con le persiane arancio ed una porta di legno intarsiato. C’è anche un’amaca appesa ai due pilastri che sostengono il makuti, la copertura fatta di foglie di palma inserite nella struttura di legno. All’interno un grande ventilatore a soffitto ci difenderà dal calore intenso e le zanzariere sui due letti dalla molestia delle zanzare…. e che belli i copriletto guatemaltechi! I mobili di legno intarsiato sembrano balinesi….. chissà se sono quelli importati da Giorgio in Nicaragua? Contenti della bella location osserviamo l’Oceano ed il tramonto che arriva presto sopra la linea dell’orizzonte… godiamo di tutto, anche della gentilezza della cameriera guatemalteca che oltre all’ottimo Pargo alla plancia ci serve uno zampirone acceso ed un repellente per insetti a soli 60 quetzal. Quando andiamo a letto sono solo le nove di sera ed io mi sento finalmente in forma dopo la cena che mi ha restituito qualche energia. Ci coccoliamo appassionatamente, incollati dal sudore ma almeno protetti dalle zanzariere…. poi è troppo caldo per dormire, così ascoltiamo a lungo i rombi della potente risacca, come tuoni di una tempesta senza fulmini.

07 Febbraio 2010

MONTERRICO

Il sole splendente ci offre cromatismi accesi ed una bella energia che gustiamo all’ombra della tettoia del nostro bungalow…. da qui l’oceano è solo una striscia blu oltre la spiaggia nera che si delinea tra le palme in primo piano. La nostra tranquillità garantita dalla presenza oltre a noi di una sola famigliola di francesi, l’allegria suggerita dalle risate grasse del personale tutto riunito nella fresca cucina in attesa di clienti. Esordiamo con due ottimi frullati di ananas fresco ed una deliziosa insalata di frutta con yogurt…. la frutta sarà sempre saporitissima d’ora in poi nel nostro lento girovagare verso Buenos Aires che raggiungeremo chissà quando. Alcune brevi passeggiate lungo il bagnasciuga ci mostrano la spiaggia scura deserta e rovente snodarsi a perdita d’occhio…. solo qualche barca ne interrompe la monotonia cromatica con colori slavati dal sole e dalla salsedine. Sono state portate al sicuro oltre la lunga duna creata dalla forza delle onde in cima alla quale una striscia di rifiuti segna il limite massimo della mareggiata. Ancora oltre la fila di palmeti accoglie le cabanas dei residence che seguono la spiaggia in tutta la sua lunghezza, discretamente inseriti tra la vegetazione che li nasconde in parte. Ferma sul basso bagnasciuga aspetto che un’onda dia un fresco sollievo ai miei alluci ustionati nonostante le ciabatte…. arriva e quasi mi travolge, anche solo la coda di apparentemente innoqua di questo oceano inaccessibile, adatto forse solo ai surfisti più audaci. Rimaniamo in ozio all’ombra, ascoltando il rumore delle onde e godendo della leggera brezza che si alza a metà pomeriggio a muovere le grandi foglie sfrangiate e le lenzuola stese accanto alla cucina….. che sollievo, si creano le premesse perché la nostra escursione in barca sulla laguna sia perfetta. Ma poi ecco che Vanni non si sente bene…. il viso contratto, la mascella irrigidita ed un dolorino all’addome….. nonostante il corso di primo soccorso non ho le idee chiare, spero di sbagliare ma potrebbero essere i sintomi di un infartino…. ipotesi che però scartiamo a priori dato che Vanni ha un cuore da atleta…. come confermato da un recente controllo medico. Per fortuna tutto si risolve in una leggera spossatezza ed è così che lo lascio alle quattro…. steso sull’amaca, sorridente e rilassato. Io seguo invece il signore col quale ci eravamo accordati per il tour sulla laguna…. camminiamo parlottando fino alla casa costruita a ridosso delle mangrovie vicino alla quale ha il suo porticciolo personale. Protetta dalla rete metallica anti intrusione la veranda sembra piuttosto un bunker ventilato. Colorata di verde la casa si mimetizza sullo sfondo della vegetazione e si distingue dalle altre case del villaggio per il tetto in lamiera anziché il tradizionale makuti. Le barchette affusolate e colorate sono adagiate nell’acqua marroncina della laguna, all’estremità del piccolo canale, stretto fra le radici delle mangrovie, che iniziamo a percorrere con la spinta del lungo bastone che lui usa conficcandolo nel fondo melmoso. Mentre procediamo verso il canale più ampio mi racconta diverse cose circa i due diversi tipi di manglares presenti nella laguna… il rojo ed il blanco. Il primo ha radici più sviluppate che scendono da ogni ramo della pianta e sono caratterizzate da diversi tronchi accostati…. il blanco invece ha un solo tronco e le radici meno evidenti. Entrambe le specie hanno ottimo legno con il quale costruire i tetti delle case…. ma essendo questa un’area protetta chi desidera raccogliere il legno deve farne richiesta presso l’ufficio del parco che accorderà il permesso in cambio della piantumazione del numero di mangrovie estratte nel periodo dell’anno che precede la stagione delle piogge…. durante l’inverno e la primavera. Appollaiate tra le radici o sui rami verdi di foglie spiccano per l’eleganza del profilo e per il loro colore le garze bianche, seconde per grandezza alle garze grigie che però saltano meno all’occhio come del resto quelle azzurre e le verdi, più piccole ed estremamente avvantaggiate dalla mimesi. Che incanto questa laguna silenziosa e tranquilla dove solo l’improvviso movimento di un uccello che prende il volo, spaventato dal nostro procedere, rompe per un attimo l’immobilità che ci circonda. Ci sono anche le rondini, piccolissime, e dei buffi pesci chiamati quattrocchi che si spostano veloci sulla superficie dell’acqua…. estremamente attenti ai predatori usano i due occhi posizionati sul dorso per osservare ciò che succede fuori dall’acqua e quelli sotto invece per controllare se arrivano pesci più grossi ed affamati. Sono divertenti perché sembrano volare sulla superficie dell’acqua quando si spostano veloci per brevi tratti…. si nutrono degli insetti appoggiati in superficie e non sono buoni da mangiare…. per questo sono cos’ numerosi. Il Robalo e la Mucharra invece sono i preferiti dai pescatori che stendono le loro reti sul perimetro di gruppi di mangrovie. Un’altra cosa divertente che mi spiega di fronte ad un termitaio costruito aggrappato ad un paio di tronchi di manglares è che c’è un uccello che vi deposita le sue uova dopo avere praticato un foro che dalla superficie esterna arriva fino al nucleo…. così quando le uova si schiudono i piccoli hanno già il cibo pronto attorno a loro…. non si può dire che non siano intelligenti questi uccelli! Ci spingiamo fin dove le mangrovie sfumano per lasciare il posto alle canne di palude…. i colori sempre più intensi per via del sole calante…. che bellezza racchiusa in questo luogo! Quando dopo un paio d’ore rientro al resort trovo Vanni a letto con la febbre ed un calzino bagnato appoggiato sulla fronte…. povero cucciolo, oggi non è proprio giornata…. forse è stato un colpo di calore! Calandomi nel ruolo di infermiera provvedo a nutrirlo imboccandolo con gli ottimi ravioli al ragù della cuoca che sembra non aver nulla da imparare dalle migliori zdore romagnole…. forse non è il menu più adatto per un malato ma come opporsi al desiderio di un moribondo?


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28 El Salvador


09 febbraio 2010

MONTERRICO – SAN MIGUEL

Rimaniamo ancora mezz’ora immersi nel paradiso che attraversiamo a bordo di una chiatta di legno rossa e scrostata…. l’acqua scura della laguna è assolutamente immobile ed il silenzio è violato solo dal motore dieci cavalli che ci spinge verso la terraferma, quattro chilometri più in là. Decine di eleganti garze bianche sono immobili sotto le mangrovie o sui rami più alti della loro chioma…. che bel saluto ci regalano questa mattina. Dopo aver percorso a ritroso i venti chilometri di strada che ci separano dalla strada principale, la CA2, puntiamo decisamente sulla frontiera salvadoregna che raggiungiamo dopo soli 45 chilometri. Com’era bello il paesaggio di questa mattina… la laguna e poi la campagna disseminata di mucche grasse a colazione sui prati e qualche cavallo usato come mezzo di trasporto da chi preferisce non inquinare…. si fa per dire…. ai lati delle strade sfilano chilometri di rifiuti gettati dalle auto e nei centri abitati semplicemente abbandonato a terra da chi vi abita…. il Messico se la cava molto meglio anche in questo. Un centinaio di metri prima degli uffici della frontiera guatemalteca siamo quasi assaltati da un paio di ragazzi che si propongono di offrirci il loro aiuto in cambio di pochi dollari…. aiuto che Vanni accetta di buon grado…. in fondo hanno bisogno di lavorare anche loro, e noi di farci guidare una volta tanto da chi conosce l’esatta collocazione degli uffici e della copisteria per le copie dei documenti. Uno dei due si da particolarmente da fare ed è anche piuttosto belloccio, Vanni ne è quasi conquistato. Biondo, occhi azzurri, alto, muscoloso e protettivo, ci segue in bicicletta fino ai vicini uffici della frontiera salvadoregna dove nonostante il suo aiuto impieghiamo un bel pò di tempo per via della lunga fila allo sportello della dogana che rilascia i permessi di accesso per i mezzi di trasporto…. i camionisti sembrano essere arrivati tutti quanti un attimo prima di noi! Che squallore questi posti di frontiera…. edifici cadenti, impiegati svogliati e qualche ambulante dall’aria stanca e triste che cerca di vendere i suoi prodotti…. dall’altra parte i viaggiatori mai contenti di essere qui a perdere almeno un paio d’ore di prezioso tempo. L’attesa finisce proprio dopo un paio d’ore, le più calde della giornata che trascorriamo cercando un cono d’ombra senza perdere di vista il bellone che Vanni segue da uno sportello all’altro…. poi gli scatto anche qualche foto per le nostre amiche italiane. Il messaggio che Vanni aveva pronunciati ieri prima del suo crollo fisico era chiaro…. io non mi fermo fino a San Miguel! E’ così che ci troviamo a sfrecciare lungo i 260 chilometri di strada che ci separano dalla seconda città di questa piccola nazione lunga appena 300 chilometri. Le spiaggette di sabbia nera popolate di palme che vediamo racchiuse tra i promontori rocciosi, per quanto carine non sviluppano in noi desideri particolari e così continuiamo imperterriti il nostro saliscendi tra le montagne che scivolano nel mare. Il paesaggio verrebbe forse una sosta, ma il cielo si è annuvolato e noi abbiamo un obiettivo relativamente ambizioso…. raggiungere San Miguel la cui unica piacevolezza sembra racchiusa nell’hotel Comfort Inn che ci conforta quando dopo otto ore di viaggio senza soste se non alla frontiera, arriviamo in città. Io sono nera di rabbia perché sfinita da questi tour de force che ci eravamo ripromessi di non ripetere ma che sembrano estremamente congeniali a Vanni che spinge sull’acceleratore ogni volta che io invece vorrei fermarmi anche solo per fare due passi godendo dei luoghi che attraversiamo. Ormai sappiamo che le lunghe tappe nuociono alla nostra salute psicofisica e non vorrei ritrovarmi ancora in preda a crisi convulsive dovute allo stress ed alla stanchezza…. insomma sono furiosa e così cerco di recuperare facendo una lavatrice che di solito mi rilassa. A nulla valgono però i miei tentativi di sedarmi con artifizi, quindi aspetto leggendo che il sonno arrivi, verso l’una di notte!


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