09 Panama


12 Maggio 2006

CARTAGENA – PANAMA

Ci svegliamo presto consapevoli di aver dormito poco e male…mentre andiamo alla colazione con un occhio aperto ed uno chiuso ognuno pensa ai propri compiti..io all’acquisto dei biglietti aerei per Panama e Vanni di nuovo al porto per l’antinarcotici. Penso anche a quanto mi dispiace di lasciare questa città…non solo per la sua bellezza ma anche per il calore delle persone e la bontà dei cibi e per il clima caldo e umido e per questo accogliente hotel con Jesus simpatico receptionist..per la vivacità del suo mercato e dei suoi bravi ciabattini…insomma per tutto questo ed altro vorrei rimanere ancora a lungo, qui a Cartagena…città che mi ha letteralmente affascinata. Alle 12.30 vanni non è ancora rientrato.. col passare dei muniti vedo sfumare il suo desiderio di una bella doccia prima della partenza. Intanto al telefono Matteo e Salomè , incontrati per caso ieri sera al ristorante, vogliono sapere se riusciamo a rivederci prima della nostra partenza…sono davvero carini questi due biologi innamorati del mare, dei delfini e molto l’uno dell’altra. All’una in punto ecco Vanni ..trafelato entra…il viso stanco ed i vestiti così bagnati di sudore da sembrare appena uscito dalla lavatrice…è ancora sotto la doccia quando inizia a raccontare il calvario dell’operazione di controllo antinarcotici della macchina. Hanno ispezionato tutto, con la sistematicità di un chirurgo esperto, aperte tutte le valigie, tutte le buste di tabacco, smontato gli sportelli, controllato il tetto, sgonfiato la gomma di scorta… insomma proprio tutta la macchina è stata aperta come una grande matrioska dal grande al piccolo ..il contenitore ed il contenuto…mentre i cani marcavano il territorio con pisciatine sparse qua e la dentro la macchina e vicino alle valigie…ma la tragedia si è sfiorata quando, aperti gli imballaggi, hanno visto le due statue di San Augustin. E’ stata interpellata la sovrintendenza dei beni storici che ha subito mandato una signorina vestita di bianco e munita di ombrellino para sole stile Vietnam. Le ha guardate con aria saccente e scalfite con un coltellino …quindi ha certificato che si trattava di copie. Non paghi quelli della narcotici hanno voluto telefonare allo scultore, il cui nome e numero di identificazione, compariva nella sua dichiarazione richiestagli al momento dell’acquisto… per fortuna che abbiamo avuto questa intuizione! Hanno poi voluto sapere chi ci aveva condotti dallo scultore…insomma un terzo grado stile gestapo sotto il sole che diventava via via sempre più cocente. Vanni esce finalmente dalla doccia, sembra lo spettro di se stesso ma non rimane molto tempo per riposare…alle 14.30 dobbiamo essere all’aeroporto per il chek-in con COPA Airlines…si ripete l’operazione di investigazione delle valigie..vediamo quelli prima di noi davanti alle loro borse ormai svuotate del contenuto e montagnole di schiuma da barba sotto il bancone…e i visi di questi, sottoposti a questa strana forma di violenza sulla privacy! Arriva il nostro turno ma baipassiamo questo primo blocco perché non intendiamo spedire il bagaglio…siamo un po’ agitati per quei due ciondoli d’oro che Fabio ci ha fatto comprare dal tombarolo..siamo quasi certi che si tratti di un falso..ma anche le statue lo erano!..e in questo caso non abbiamo nessun documento comprovante…- voglio il mio avvocato! –
All’ingresso al gate ecco che anche noi dobbiamo sottoporci alla perquisizione ed anche i miei tamponi OB vengono toccati uno ad uno, annusati e poi riposti…ma i ciondoli, che sono nel mio beauty, sembrano non interessare il militare di turno…per fortuna! Mentre aspettiamo l’aereo in ritardo di un’ora ci consoliamo con un paio di partite a backgammon e le patatine comperate con gli ultimi spiccioli. Mentre sorvoliamo Cartagena al tramonto percepisco tutto il suo fascino anche da questa insolita prospettiva..la luna piena intanto fa capolino dietro l’ala. Arriviamo a panama dopo un’ora ma sono già le sette..andiamo diretti al Best Western Las Huacas nella zona nuova di questa immensa e sconosciuta città.

13 Maggio 2006

PANAMA’ CITY

Ci svegliamo nella suite più originale che ci sia mai capitata…su due livelli con una scala a chiocciola di metallo per salire alla zona notte ..sembra una discoteca di qualche decennio fa con molti colori alle pareti e sopra il comodo lettone con testata di lamiera mandorlata, una serie di travi reticolari color argento, mancano solo le luci psichedeliche!…la vista però da questo ottavo piano non è affatto male ed i giovani ragazzi che gestiscono l’hotel si mostrano piuttosto disponibili con Vanni che deve aver confuso la reception con l’ufficio informazioni turistiche di panama. Ci rendiamo conto dopo essere arrivati nel Barrio Viejo che Panama sarà solo una meta di passaggio e non certo una città nella quale varrà la pena sostare per il nostro piacere..visto che non ci interessa trascorrere le nostre serate nei casinò né fare shopping sfrenato. Comunque siamo qui e dovremo restare fino a lunedì per ritirare il certificato della macchina…dopo aver gironzolato un po’ tra le stradine di questo quartiere storico fatiscente e povero ci infiliamo nel Museo del Canale per farci un’idea almeno di quello…una bellissima lanterna di un vecchio faro campeggia all’ingresso, siamo rapiti ad osservare i colori della luce come arcobaleni sulle decine di grossi vetri che ne costituiscono la struttura. Chiediamo se esiste un museo di arte contemporanea e, indirizzo alla mano saliamo sul taxi. E’ subito evidente che l’autista non solo non sa leggere il biglietto che gli diamo..ma non ha nemmeno idea di dove sia quel museo. Chiede informazioni a molti ma dopo almeno un quarto d’ora ci scarica arrabbiato di aver perso tanto tempo, cioè denaro, per cercare un posto fuori dalla sua zona. Non eravamo poi così lontani dall’obiettivo, ma è stato un grande piacere scendere da quel taxi scassato. Il museo contiene qualche bel quadro di artisti sudamericani…poi ci fermiamo a parlare con il direttore ed è un piacere confrontarci con lui conversando di arte moderna ..da Guayasamin a Botero, da Pablo Neruda alla Mystral ed infine all’arte italiana. Soprattutto qui è molto sentito ed apprezzato l’impegno sociale e politico degli artisti…per ovvie ragioni!
La cena al Sushi Itto non ci appesantisce e per finire ci concediamo un succulento “postre”..in pratica una bella fetta di torta al cioccolato calda con gelato di vaniglia…che meraviglia!

14 Maggio 2006

PANAMA’ CITY

E’ domenica oggi ed il gran premio di Spagna inizia alle 7 della mattina…alle 7 in punto la sveglia suona e mentre riprendo a dormire sento il frastuono delle auto alla partenza gentilmente offertoci da Sport Fox. Al risveglio definitivo la tv è ancora accesa ma senza volume..vedo le auto che ancora girano sul circuito mentre Vanni riposa sotto l’ immancabile mascherina. E’ il giorno dedicato alla visita del canale opera terminata nel 1914 e che costituisce la ricchezza di questo piccolo stato. Andiamo alla chiusa di Miraflor dove non intendiamo fermarci a lungo..diciamo al taxi di aspettare ma poi come due bambini ci perdiamo a vedere quelle enormi navi passare attraverso gli stretti corridoi dai livelli variabili e con grossi portelloni di ferro a contenerne l’acqua. Solo verso le 18 quando la chiusa chiude al pubblico usciamo tra gli ultimi visitatori. Non vedo l’ora di vedere le tante foto scattate e di una doccia tiepida per allontanare il calore accumulato durante il pomeriggio. Cena in camera con pizza succulenta e l’immancabile History Channel che ci racconta le sempre noiose guerre Puniche…è come essere ancora alle scuole elementari!

15 Maggio 2006

PANAMA’ CITY – COLON

Vanni esce presto a recuperare i certificati dell’auto nell’ufficio della Costa Container Line..io ne approfitto per preparare oltre a me stessa anche i bagagli ed un’abbondante colazione scaldando al microonde la pizza rimasta ieri sera…sarebbe stata una sciocchezza gettarla!
Quando Vanni rientra sembra un efficientissimo manager giunto alle ore 11 della sua lunga giornata di lavoro, ha persino il numero di telefono di Leo, un simpatico tassista che verrà a prenderci tra mezz’ora…ed eccolo saldare il conto ed esibire la tessera Best Western per i punti. Il cielo è grigio quando usciamo, ma ecco che già sulla strada superiamo senza fermarci le chiuse di Miraflores e proseguiamo per Gamboa dove faremo l’escursione in teleferica dentro la foresta pluviale…siamo eccitati all’idea di essere dei Tarzan senza liane ! Arriviamo al Gamboa Resort ,che organizza i tour, dopo una mezz’ora..ma che jella!..il lunedì questo tour non parte! Dovremo ripassare domani dopo aver ritirato la Carolina dal porto di Colon. Un’ altra mezz’ora e siamo a destinazione. Vanni, previdente, decide di andare subito agli uffici del porto anche se fino a domani non se ne parla di ritirare qualsiasi cosa…ma ecco che i documenti preparati dall’ufficio di Panama non sono corretti e così inizia il calvario tra un ufficio e l’altro dove Vanni e Leo vanno mentre io resto a custodia del taxi senza sigarette né acqua e nessun tabaccaio all’orizzonte..intanto i camion di tutti i tipi sfrecciano a pochi metri da me e l’aria si sta facendo irrespirabile..ma in fondo è un po’ come fumare! Sono già le tre e mezzo quando arriviamo all’ Hotel più lussuoso di Colon…il Melià Panama Canal, un 5 stelle all’americana tutto fumo e niente arrosto, con arredi in stile e le tendine con le frange alla doccia…ma senza il frigobar e con il business center in ristrutturazione..quindi anche di internet non se ne fa nulla per non parlare della cassaforte digitale che guarda caso non funziona! Spero almeno domani di aver il tempo di andare nella piscina che non è affatto male…Vanni riposa felice sul lettone mentre ascoltiamo un bellissimo concerto di Hendel alla tv ..ma c’è il motivo… poco fa ha ricevuto dalla receptionist l’ennesima tessera a punti per la catena degli hotel Melià..e subito dopo mi ha battuta per due volte di seguito a backgammon…quel culone!
Anche la cena al bel ristorante dell’ hotel è decisamente in linea con la gestione …cibo ottimo ma servizio pessimo…anzi imbarazzante, il cameriere voleva a tutti i costi che ci sedessimo in un piccolissimo tavolo da due…ed ha insistito perché io mangiassi la carne anche dopo avergli detto che sono vegetariana..insomma non proprio il massimo.

16 Maggio 2006

COLON – GAMBOA – VALLE DE ANTON

Alle 10 è già quasi tardi per la colazione..senza ancora capire dove sono e perché cerco Vanni ma nessuno risponde al mio appello…mi precipito al ristorante dove recupero qualche prelibatezza mentre i vassoi del buffet vengono portati via dai camerieri..Poco dopo mentre preparo i bagagli prima di uscire per una perlustrazione di Colon vedo dalla finestra la Carolina che fiera si dirige verso il parcheggio dell’ hotel…mi emoziona rivederla! …e sono felice di vedere Vanni, è ormai tanta l’abitudine di svegliarmi vicina a lui che quando non lo vedo mi viene l’ansia. Entra trionfante in camera…nessun controllo della Carolina qui…ma solo una bella affumicatura dell’interno per evitare di importare insetti non graditi. Partiamo per Gamboa dove ci aspetta la Teleferica per un bel giro in mezzo alla foresta. Arriviamo in tempo per l’escursione delle 13.30 che inizia pateticamente ad un paio di capanne “finte” occupate solo a scopo turistico da qualche indigena che però vive altrove…vediamo le bancarelle che espongono gli oggetti di artigianato che sicuramente non hanno fatto loro…ma poi ci riprendiamo entrando nel rettilario, nel farfallario, nell’orchideario..per poi proseguire in furgoncino verso la teleferica che scopriamo ideata da un canadese ed un gringo una ventina di anni fa. Fa molto luna park salire su queste gabbie di ferro senza soffitto, colorate di verde, che procedono lentissime verso la meta finale..una torre panoramica alta una ventina di metri dalla quale si domina il famoso canale di Panama. Saliamo procedendo lungo la rampa che si sviluppa sui quattro lati del perimetro…mentre ammiriamo la foresta sulla quale virtualmente stiamo salendo fino ad arrivare in cima agli alberi più alti..nel frattempo incrociamo un paio dei serpenti lunghi sottili e verdi che avevamo visti pochi minuti prima protetti dai cristalli spessi del rettilario! E’ sempre molto imbarazzante per me incontrare un serpente in libertà….anzi mi impressionano anche se li vedo in televisione!…questa volta l’effetto è strano..inizio a fotografarli e questo mi fa da scudo..mi sento protetta dalla piccola Minolta…la curiosità del reporter ha vinto sulla paura! Arriviamo alla Valle di Anton quando è già sera..Vanni insiste per l’hotel Campestre che si rivela una ciofeca con lavori in corso ..ma l’alternativa chissà dov’è! Quando entro in camera impallidisco alla vista del soffitto che è tutto di eternit….non posso credere di essere finita in una camera squallida e per di più cancerogena! Sono incazzata e preoccupata..Vanni invece non trova la cosa così preoccupante…non chiudo occhio per ore mentre sento che l’aria attorno a me è irrespirabile e mi fa tossire spesso…che incazzatura!

17 Maggio 2006

VALLE DE ANTON – BOCA DE TOROS

Al risveglio andiamo a piedi lungo un sentiero che ci porterà ad un boschetto di alberi quadrati…si proprio quadrati! Sembra incredibile ma è vero …e così per far fronte alla perplessità degli amici quando sentiranno i racconti del viaggio…inizio a fare foto mentre Vanni appoggia due bastoncini sui due lati ad angolo retto del tronco, sembra un test scientifico! Proseguiamo andando all’orchideario del paese dove però ci prendono di più gli uccelli esotici che vediamo purtroppo nelle gabbie….pavoni, pappagalli ara..etc. La strada è lunghissima per raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati ..ma si sa..Vanni l’obiettivo lo raggiunge a tutti i costi..quindi non mi pronuncio e a denti stretti per il mal di pancia che nel frattempo mi è venuto, accompagnato da una emorragia da guinnes cerco di resistere sperando in un hotel decente per la nottata…Ma quale hotel decente! L’unico qui ad Almirante è il Francisco..una topaia senza finestre che ci costerà ben 27.50 USD..praticamente un furto…Prendo con me le lenzuola pulite che la Raffa ci ha lasciato in una borsa sull’ auto mentre penso che almeno riposeremo senza pericolo di prendere i pidocchi. Domani mattina il traghetto partirà alle 6 in punto, ci dice il comandante russo mentre scende dal traghetto appena arrivato a destinazione, ma la Carolina in pochi minuti è già a bordo…ci avventuriamo a piedi per le strade polverose di Almirante per raggiungere un ristorantino sul mare, proprio di fianco al traghetto. Un odore familiare si fa subito sentire…ci sembra di essere un po’ anche a Venezia questa sera!

18 Maggio 2006

BOCA DE TOROS

La sveglia è durissima alle 5 in punto. Recuperiamo le lenzuola e via, in strada Vanni ha già fermato un taxi che veloce raggiunge il traghetto sul quale c’è già una certo fermento di uomini e di mezzi. Non riesco a scendere dall’auto per la stanchezza del sonno lasciato a metà…Vanni è già con un caffè in mano sul ponte del traghetto che mi urla di salire per un tè. Vado ed è subito meglio..l’aria fresca del mattino qualcosa riesce a fare. Ci introduciamo subito tra le isole di mangrovie dell’arcipelago e ci sentiamo pirati…quando dopo qualche ora immersi nella sfavillante vegetazione aggrediamo con Carolina i fuori strada dell’isola. Mentre io cerco assistenza ad un ospedale per quell’emorragia che mi depaupera le forze, Vanni telefona a casa e la Germana lo aggredisce…..risultato : 5 whisky bevuti al ristorante italiano di Nanni tra le 14 e le 16 e due canne più riga qualche ora dopo sulla barca che nel frattempo avevamo affittato. Solo alle 17 la “alegria” che non abbiamo ancora visto ma che sappiamo ci costerà 500 USD sarà disponibile ad accoglierci…quando dopo tanto bere arriviamo a bordo pensiamo che potevamo almeno prima darle un’occhiata! E’ scassatissima ma almeno i due ragazzi che vi abitano da anni sono simpatici…Joel, ventunenne panamense è ospite fisso di Bolivar, cileno e diciannovenne, insieme formano una coppia di figli dei fiori new-style anni 2000. Occupiamo la cabina di poppa che non contiene quasi il nostro bagaglio tanto è piccola, divideremo con loro il bagnetto di questo 30 piedi che invece è molto old-style. Tramortita dalla canna mi accuccio sulla branda senza accorgermi che Vanni si era piazzato bellamente al centro…che scomodità, ma cadiamo in un sonno profondo senza sogni.

19 Maggio 2006

ISLA GRANDE – CAYAS ZAPATILLAS

Le magagne della barca saltano all’occhio meglio alla luce di questa mattinata nuvolosa. Ci svegliamo al suono della musica a tutto volume che nel frattempo i due fricchettoni ascoltano navigando…credo siano i “red hot chili pepper” che riescono ad entrare persino attraverso i nostri immancabili tappi gialli. Stupiti della nostra sveglia tardi mentre loro seppure frik sono al timone dalle 8, ci accolgono con un sorriso complice..ora sanno che si può essere belli rilassati anche se un po’ cresciutelli…e soprattutto che con noi non ci saranno problemi. La mancanza del profondimetro li fa cautamente ormeggiare ad almeno 100 metri dall’isola della quale vediamo la spiaggia chiara e la vegetazione rigogliosa. Parto per prima armata di pinne e maschera ad affrontare la distanza che procedendo sembra aumentare… pensando che un po’ di pre allenamento non guasterebbe arrivo finalmente a toccare il suolo di questo fiore all’occhiello tra i parchi marini panamensi. Pinne in mano inizio a percorrere la spiaggia deserta. L’armonia che sento mentre l’occhio si perde ad osservare questo paradiso, è forte. Dopo una decina di minuti tornando sui miei passi vedo Vanni, nel suo costumino blu, venirmi incontro lungo la spiaggia con un bel sorriso….mi solleva l’idea di non essere l’unico essere umano sull’isola! Vanni è bellissimo, abbronzato e con la barba così alla pirata sembra vivere qui da anni. Ci incamminiamo insieme verso il luogo dove ha nascosto le sue pinne, conserva ancora in mano il fischietto di soccorso che i ragazzi prima che si avventurasse a nuoto gli avevano lasciato. Ma che bella nuotata! Siamo ormai certi che i ragazzi hanno approdato lontani dalla costa per costringerci a muovere un po’ le chiappe! Bolivar e Joel come due personal trainer ci osservano dalla barca. Iniziamo il giro dell’isola. Sulla sabbia bianca solo le nostre impronte e qualche grosso granchio che fa capolino dalla sua tana, mentre a tratti scavalchiamo le mangrovie che si spingono sull’azzurro dell’oceano. Tornati al punto di partenza mentre io faccio snorkeling Vanni inizia la costruzione della sua zattera di salvataggio utilizzando ciò che il mare ha lasciato nel tempo sul bagnasciuga. Dopo una mezz’ora è tutto pronto per la lunga nuotata di ritorno, pezzi di polistirolo logoro sono legati con un filo di nylon attorno ad un cilindro di legno, un’altra corda, sottratta alla scialuppa dei ragazzi che intanto erano arrivati remando, gli consente di legare a sé il galleggiante. Parto per prima spazientita di dover aspettare che la costruzione del salvagente sia finita…poco dopo lo vedo arrivare veloce verso la barca, inseguito da un piccolo barracuda. Con l’agilità di un’acrobata sale sul giardinetto e poi si fionda nel pozzetto dove concitato, inizia a raccontare il momento dell’avvistamento.
Un tè caldo è quello che ci vuole per recuperare le energie, mi faccio largo tra le stoviglie sporche della colazione e recupero il bollitore mentre Vanni prepara il backgammon sul quale tra poco avrà luogo la mia disfatta. Alle 18.30 è già buio, ma la temperatura è perfetta come sempre, una delle meraviglie dei Caraibi è proprio questo tepore che ci avvolge come una carezza, sempre della stessa intensità…ovviamente tacendo dell’umidità che invece accompagna le nostre notti, mitigata appena dal piccolo ventilatore scassato che Bolivar ha fissato sopra la cuccetta.
La cena a bordo è a base di pasta con verdure, servita nelle consumate ciotole di plastica arancioni…è qui che scopriamo il talento culinario di Joel, che gode di esperienze passate nelle cucine di un paio di ristoranti di Panama City…preciso e determinato ha tagliuzzato le verdure come un virtuoso cuoco giapponese..ma che pazienza! Bissiamo tutti poi sazi ci rilassiamo stravaccati nel pozzetto ascoltando i Pink Floyd.

20 Maggio 2006

CAYAS ZAPATILLAS – BASTIMENTO

Questa mattina ci alziamo dopo aver ampiamente goduto dei nostri corpi…la barca è sempre molto stimolante anche in questo senso. I ragazzi si svegliano tardissimo e solo alle 11 è pronta la nostra colazione..senza il caffè sul cui acquisto Vanni si era molto raccomandato…ma so’ ragazzi!..per di più abituati a fare a meno di molte cose…figuriamoci se possono capire che per quasi tutti il caffè alla mattina è una sacrosanta necessità! Estraggo dal mio trolley le bustine di tè che , proprio per non dover rinunciare a questo grande piacere, porto sempre con me ed a ragione. Partiamo subito dopo verso l’isola bastimento facendo una sosta snorkeling in una zona dai fondali meravigliosi, dove vediamo piante acquatiche bellissime ed estremamente varie per forme e colori, pesciolini colorati e conchiglie come vongole giganti dall’interno arancione e baffetti trasparenti che..ricordano molto le piante carnivore. Sembra davvero di nuotare sopra ad un tesoro dimenticato in questo mare da uno dei tanti pirati al seguito di Morgan.
Entriamo nella baia dell’isola Bastimento quando già il sole fa capolino dietro i palmeti dell’isola magazzino che i pirati usavano anche come punto di appoggio per la manutenzione dei loro veloci velieri. Decidiamo di trascorrere la serata a terra e così tutti e 4 sulla barchetta a remi ci dirigiamo verso il paese dal quale ci arriva musica caraibica a tutto volume….in fondo è sabato sera!
Bastimento ci ricorda un po’ Puerto Eden in Cile, le poche case di legno sono tutte a ridosso del mare e collegate tra loro da un percorso pedonale, alcune a palafitta, altre sulla terraferma…ma tutte molto colorate…questa vivacità si riflette anche sui residenti, tutti rigorosamente nerissimi e dinamici. Vivono questo luogo come fosse una grande casa, vi si muovono così come sono, spesso con i bigodini ai capelli o in mutande, sembra di violare entrando la loro privacy, ma loro ci accolgono incuranti di questo.

21 Maggio 2006

ISOLA BASTIMENTO

Rimaniamo ormeggiati nella tranquilla baia dell’isola, i ragazzi vogliono portarci nella spiaggia dei surfisti che raggiungeremo a piedi sull’altro lato dell’isola dietro il paese,solo 15 minuti a piedi dice Bolivar…contagiati dalle modalità indigene decidiamo di andare scalzi. La pavimentazione di cemento termina quasi subito per lasciare il posto ad uno stretto sentiero di terra che si snoda in mezzo alla foresta. Non camminiamo a piedi scalzi sulla nuda terra da una vita…e la sensazione non è poi così piacevole..in fondo siamo un po’ cresciuti. I nostri piedi appoggiano sul terreno che via via si fa sempre più fangoso,si fanno largo tra escrementi di mucche e cavalli e cercano di non pestare le formiche che numerose attraversano il sentiero per raggiungere le loro tane cariche di foglioline verdi. Mentre Joel ci rassicura che non pizzicano ecco una prima puntura sul mio piede…in realtà fanno un male incredibile! La spiaggia di sabbia color biscotto si affaccia su una bella baia circondata dalla vegetazione, le potenti onde dell’oceano sono irresistibili per i pochi surfisti che vi si avventurano. Anche i nostri due amici spariscono come inghiottiti dal mare poco dopo. Intanto all’orizzonte una fascia di nuvole nere minaccia un inevitabile acquazzone mentre noi ancora sotto un pallido sole ci tuffiamo dentro le onde.
La pioggia è gelata e forte quando ci ripariamo sotto una mangrovia dalle grandi foglie, ma non basta e dopo pochi minuti fuggiamo di corsa verso il macuti del baretto poco distante, dove una piccola comunità di neri rasta sta comodamente stravaccata sulle amache a bere birre e chiacchierare. Mi accomodo anch’io su un sedile fatto con due assi incrociate, mentre Vanni non ha pace e continua a camminare sotto la pioggia tra la spiaggia ed il bar, tuffandosi ogni tanto nelle tiepide acque del caribe. Rientriamo soli, percorrendo il sentiero a ritroso che ora sembra più che altro un acquitrino, i piedi affondano fino alla caviglia nelle pozzanghere di melma puzzolente, scivolando nei tratti in discesa in derapage, usiamo i piedi come fossero sci. Le formiche incazzate ci assestano una serie di dolorose punture, ma la foresta bagnata dalla pioggia è così verde da incantarci mentre percorriamo il sentiero che sembra non avere più fine. In paese troviamo un rubinetto ed un water taxi, tutto quello che ci serviva! Arriviamo in barca e finalmente soli facciamo una bella “doccia” sopracoperta nudi, mentre le piccole lance dei locali sfrecciano nella baia ed è di nuovo l’ora del tè. Arrivano poi anche i ragazzi come su un guscio di noce, remano distrutti per le tante ore di surf, in silenzio, lentamente. L’acqua della baia è immobile come i loro visi. Una merenda veloce e ripartiamo per Boca dove scenderemo a terra per la cena da Nanni.
Carolina è ancora lì, parcheggiata al comando di polizia, inviolata!


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10 Costa Rica


22 Maggio 2006

BOCA DE TOROS – ALMIRANTE – COSTA RICA

Dopo aver attraversato due ponti in ferro costruiti molti anni fa per il treno bananiero e oggi riadattati alla meglio, eccoci di nuovo in frontiera ad esibire i nostri passaporti ormai consumati dall’uso.
Arriviamo a Bribri ed optiamo per una sosta in banca che anche qui come in tutti i paesi arretrati sono affollatissime, ci congeliamo ma raggiungiamo l’obiettivo uscendo con un bel gruzzolo. Puerto Viejo da lontano non sembra cambiato ma entrando in paese percepisco la negativita’ della modernizzazione. C’e’ l’asfalto ora ed i piccoli dislivelli dei marciapiedi di Helmut mi riportano indietro nel tempo. Cerco la casa di Giorgio il veneziano,la casa e’ li ma lui no chissa’ dov’è finito col suo viso da furetto. Nulla, il passato e’ passato ed il presente e’ migliore dice Vanni … il futuro lo sarà ancora di più. Vado a casa di Cesare per cercare Jenny, poi mi fiondo da Leo il bresciano, ed è una incantevole certezza. Come sempre fiori, fiori, e ancora fiori una marea di fiori, e poi ancora il verde, verde, e ancora i suoni della prima foresta , che uno sconosciuto maestro armonizza in un unico concerto. E’ tutto ok.

23 Maggio 2006

PUERTO VIEJO

Svegliarsi nella cabana del Cariblu di Leonardo non è male, una densa penombra ci protegge dalla luce forte di questa giornata di sole, mentre dalle finestre a graticcio si intravede il verde del giardino che ci circonda. Siamo stanchissimi senza motivo, come se percepissimo solo ora il disagio delle nostre notti in barca. Decidiamo di fare esattamente ciò che abbiamo voglia di fare..cioè poco più di nulla, ci sistemiamo nella veranda qui fuori e mentre Vanni si culla sull’amaca io archivio qualche foto. Rivedendole mi rendo conto di quanto sia stata bella la Bolivia. Usciamo solo nel primo pomeriggio, arrivando alla spiaggia qui di fronte. Poche persone assistono allo show di grandi onde in sequenza, cautamente ci avventuriamo tra la schiuma che ancora con forza ci trascina verso riva. Ecco Vanni che ritorna con due piadine al salame ed una coca, proprio sembra di essere in Romagna qui a Puerto Viejo…anche ieri sera abbiamo cenato in un ristorante di un paio di ragazzi riminesi…mi chiedo come si possa vivere qui così a lungo…in fondo non c’è nulla di veramente bello qui. La scelta di Jenny per la cena è davvero ottima, il livornese della “pecora nera” ci conquista con i suoi manicaretti ed il buon vino, ma la vera squisitezza della serata è proprio Jenny, simpatica e intelligente, sento un bel feeling con lei e mi accorgo di quanto mi manca il femminile…le mie care amiche italiane. Serena, la figlia di tre anni è un amore di bambina e sopporta stoicamente le nostre interminabili chiacchiere senza disturbare…poi si perde curiosa all’inseguimento di un grosso granchio che cammina nel ristorante…vorrei poter provare anch’io come lei, la gioia di essere madre.

24 Maggio 2006

PUERTO VIEJO – SAN JOSE’ DE COSTA RICA

Le zanzare mi hanno divorata. Il caldo è un peso enorme sopra di noi..mi sembra di pesare 200 kg quando provo a scendere dal letto per accendere la pala che dal centro della stanza lentamente inizia a spingere l’aria verso di noi come una carezza. Quando mi avvicino a Vanni sento dal suo respiro che è ancora troppo presto per una coccola ma inizio a tormentarlo un po’ per accelerare i tempi e lui reagisce, come sempre positivamente.
Partiamo con calma verso Puerto Limon , prima tappa sulla strada per la capitale. Percorriamo la litoranea martoriata dalle buche che costeggia un bellissimo oceano spumeggiante che intravediamo dietro i palmeti sul lungomare. Entriamo a dare un’occhiata, ma Puerto Limon assomiglia alle tante altre piccole cittadine del Centroamerica viste strada facendo…solo qualche bella bancarella carica di frutta ne vivacizza la povertà dell’immagine. Iniziamo a salire …la capitale è in quota, credo 1600m, arrivano i soliti nuvoloni neri e la temperatura inizia a scendere. Vanni continua a tossire, è serio e non parla quasi nemmeno se interrogato…malattia depressione o misoginia? Chi può dirlo? Una prima passeggiata per le strade del centro di San Josè non ci convince…questo Costa Rica finora non mi è piaciuto…forse sono un po’ viziata dai bellissimi posti visti in passato.

25 Maggio 2006

SAN JOSE’ DE COSTA RICA

La giornata inizia all’insegna della ricerca di voli aerei per New York o Bologna o entrambe le destinazioni…la necessità di lasciarci alle spalle le troppe giornate di pioggia ed i cieli che improvvisamente si tingono di un grigio cupo è forte. Alitalia, American airlines, Iberia, e poi Eurofly in internet, la ricerca è sistematica ma i risultati ci portano verso costi altissimi, e siccome l’idea di una anche se breve sosta a New York ci alletta prendiamo tempo per non abbandonare subito il progetto. Da mesi Vanni anela alla visione di un musical e quale migliore opportunità se non questa.. Decidiamo di lasciare sedimentare le informazioni raccolte in fondo abbiamo la fortuna di avere tempo e potrebbe sempre succedere che qualcosa di nuovo e imprevisto ci risolva il dilemma. Ci dedichiamo quindi alle cose che amiamo…e per recuperare un po’ di sano buonumore Vanni si dedica alla Carolina ed io al museo di disegno ed arte contemporanea. Ci ritroviamo al nostro nido presso il Best Western Down Town solo qualche ora più tardi con una sorpresa, Vanni sfoggia un paio di baffetti alla commissario Montalbano, la cosa ci fa ridere da morire ma non credo alla sua promessa di andare domani a lasciare anche quelli oltre alla bellissima barba che giace scomposta nel bidone del barbiere! Un vecchio amico di Vanni,Claudio, l’ennesimo romagnolo sottrattosi una decina di anni fa alle angherie della società occidentale, ci invita a cena in un bel posticino gestito da un siculo-toscano magro come un chiodo. E’ accompagnato dalla sua ultima moglie, Maria, cubana, di 23 anni più giovane di lui e che non capisce nulla dell’italiano che le propiniamo per tutta la serata…la sua termina volontariamente con una fuga in auto mentre noi ancora seduti al tavolo ci divertiamo a parlare confrontandoci sulle esperienze recenti e non, sulle scelte, le difficoltà…insomma per noi tre italiani è davvero una bella serata. Questi fuggitivi dimostrano una disponibilità infinita nel confronto con chi invece anche solo apparentemente è rimasto in patria . Risaliti in auto, Maria ostenta un bel muso per tutto il viaggio di ritorno in hotel..non so come farà ad affrontare la serata di domani che ci vedrà ospiti a casa loro…per di più armati delle 5000 fotografie del viaggio!

26 Maggio 2006

SAN JOSE’ DI COSTA RICA

Quando sentiamo squillare il telefono è già mezzogiorno … Claudio da un luogo imprecisato di San Josè ci chiede a che ora siamo disponibili per trasferirci da lui…oltre ad aver provveduto con calamari e gamberoni per la cena, ha fatto preparare per noi la camera degli ospiti, che cordialmente rifiutiamo. La nostra privacy è sacra e in fondo questa camera d’albergo ci offre tutti i comfort di cui abbiamo bisogno, aggiungiamo anche il fatto che non rinunceremmo mai alla nostra consolidata libertà ed otteniamo il risultato di queste frasi di diniego che automaticamente escono dalle mie labbra. Ci accordiamo per le 4 del pomeriggio, Claudio carinissimo verrà a prenderci in hotel. Vanni si defila con Carolina per un lavaggio rapido ed un salto in dogana per capire se è vero che il permesso di entrata vale solo tre mesi, come Claudio aveva accennato ieri, io vado verso il centro a piedi…ho in programma l’ennesimo Museo dell’Oro. L’opinione che già mi ero fatta la prima sera arrivando non migliora, questa città proprio non ha nulla di così piacevole da meritare una sosta se non tecnica. Mi perdo tra i numerosi reperti archeologici d’oro, sono bellissimi ed originali nelle loro espressioni antropomorfe, vedo anche un pendente a forma di lucertola molto assomigliante alla nostra, presa dal tombarolo a San Augustin. Ma qui l’originalità si spinge ben oltre la descrizione degli animali già visti in altri musei analoghi, il pipistrello, l’aragosta, il ragno e tante altre news luccicano nelle teche su velluto nero. Le vorrei tutte nel mio beauty..assieme alle altre, il mio pensiero va a quella bellona di Eva Kant , nei cui panni vorrei calarmi per mettere a punto questa notte un furto perfetto. Ma il solo distogliere lo sguardo da quelle bellezze mi riporta alla mia realtà ed esco poco dopo con un libro della Fundacion Museos Banco Central come unico bottino. L’ottocentesco teatro nazionale è così vicino da necessitare una sosta, prima di tutto alla sua caffetteria anch’essa arredata in stile neoclassico, poi al teatro vero e proprio che trovo sinceramente molto bello con le sue dorature ed i velluti rossi. Ma iella, mentre sto salendo le scale che portano al foyer mi si rompe un sandalo cosa che mi costringe a proseguire scalza e poco dopo a rientrare in taxi in hotel, ma sono già quasi le quattro e Vanni è già nella hall impegnato a cercare un volo in internet. Claudio purtroppo aveva ragione, la macchina non può rimanere in costa rica oltre la data riportata sul foglio di ingresso, nel nostro caso non oltre i 30 giorni richiesti da noi in frontiera…un non senso per noi tornare qui così presto! Si apre un dilemma da cui solo Claudio riesce a farci uscire con una ulteriore informazione..l’auto può essere depositata presso un garage governativo per tutto il tempo che vogliamo, dovremo informarci dei costi relativi. Claudio arriva puntuale come sempre ed infinitamente gentile e protettivo, ci spiega che Maria è desolata della sua figuretta di ieri sera ma per la prima volta da quando è arrivata a San Jose ha sofferto di mancanza di attenzioni da parte di Claudio e così va da sé la sua crisi è stata automatica. Arriviamo nella casa in stile altoatesino procedendo per un groviglio di strade, ad accoglierci due bellissimi bassotti, Valentina con la sua piccola Sofia e Maria decisamente ospitale e sorridente che ci accoglie con un caldo abbraccio. Il loro calore è avvolgente e in pochi minuti ci sentiamo come a casa, vediamo qualche nostra foto, ascoltiamo musica, Claudio ci fa vedere su mia richiesta le tele che importa da Cuba per lavoro. Un’ astratto che contiene tutto ciò che mi piace in un quadro, colori, lettere..mi affascina, è di Pango un pittore cubano che nonostante i suoi 35 anni, gode già di un invidiabile curriculum tra l’altro invitato anche all’ultima biennale di Venezia. LO VOGLIO! Vanni amorevole non oppone la minima resistenza…ed è già nostro, arrotolato in un angolo del soggiorno nel quale stanno per arrivare gli spaghetti al pesce, fumanti ed ottimi. Alle 9 siamo già tutti distrutti, richiede energie socializzare per 5 ore con persone sconosciute, e Sofia per quanto buona ha pur sempre la tranquillità di una bambina di due anni. Quando usciamo, per rientrare in hotel, penso a quanto siano belle queste persone, alla loro generosità nel dare, alla loro necessità di socializzare con chi rappresenta la loro nostalgia verso una patria lontana, che per quanto abbandonata per scelta, rimane come un’eco nel fondo dei loro cuori.

27 Maggio 2006

SAN JOSE’ – MONTEZUMA

Una breve sosta in banca per gli 800 USD del saldo della tela, poi un ultimo saluto a Claudio & C.
La meta di oggi sono le terme Tabacon del vulcano Arenal. Claudio ci aveva caldamente consigliato l’hotel omonimo con accesso diretto alle terme. Dopo almeno tre ore di viaggio attraverso le nuvole e la pioggia arriviamo spompati e con quella punta di sofferenza metereopatica che rappresenta per entrambi una costante, al mega hotel Tabacon che però è full…e le terme vediamo stipate di gente. La decisione è unanime ed immediata…si prosegue verso Montezuma!…traghettiamo ed eccoci alle prese con l’ennesima strada a colabrodo che ci costringe a sostare per la notte all’ all inclusive Barcelò dove ci sorbiamo lo spettacolino di ballerine brasiliane molto seguito dall’omogeneo pubblico dei clienti Barcelò e tollerato da noi solo grazie al whisky che, compreso nel prezzo, ci sorbiamo. Mentre rientriamo in camera pensiamo che da molto tempo non vedevamo una tale concentrazione di brutta gente, ma davvero triste. Andiamo a letto distrutti dopo una sfida all’ultimo sangue a backgammon e due risate, tramortiti anche dall’odore di muffa e ammoniaca della nostra camera, anch’esso compreso nel prezzo!

28 Maggio 2006

MONTEZUMA

Vanni ronfa ancora quando io già mi sollazzo al buffet delle innumerevoli delizie disposte a piramide sul mio piattino. La vista di questo zoo umano alla luce del sole è ancora più deprimente, all’unanimità decidiamo di partire per la destinazione finale di Montezuma che fa capolino tra le montagne della costa a soli 20 km da noi. Poche le case, la spiaggia nera è circondata da scogli appuntiti. Vedo Vanni un po’ agitato dai ricordi di qualche anno fa…in fondo è un gran sentimentalone! Immediata parte la ricerca dei suoi vecchi amici ed i primi nell’elenco sono Francesca e Ivan, due simpatici italiani che a giudicare dall’entusiasmo, conservano di lui un bellissimo ricordo .- Ci rechiamo all’ hotel Jardin per salutare Fabrizio e Alejandra ma non ci sono, allora prenoto la cabinas n° 10 dove ho soggiornato per alcuni mesi, è libera ne sono felice , faro’ vedere ad Ale il posto a lungo descrittole con molta dovizia di particolari nei lunghi racconti europei.
Alle 6 pm, quando scendiamo dalla n°10 sono tutti li ad aspettarlo, sulla strada davanti alla reception non manca nessuno al rendez-vous di benvenuto. Sono tutti così diversi…Enrico detto Quindi fuma una canna, Ivan e sua moglie Francesca ex danzatrice ed arredatrice d’interni aspiranti alla perfezione familiare ed imprenditoriale, Alejandra, bellissima costaricenia nonché proprietaria assieme all’ex br Fabrizio dell’ hotel Jardin dove risediamo, sembra uscita da una tela di Gauguin, Michele, del gruppo dei leccesi come anche Francesca e Fabrizio possiede tutte le rotondità di chi ha vissuto dei piaceri della vita oltre che della buona tavola e sfoggia un buon umore quasi goliardico per tutta la serata. Maurizio il veneziano si defila quasi subito tutto occupato ad inseguire la sua recente libertà di separato di fatto dal matrimonio con Barbara anch’essa veneziana ed ancora ahimè innamorata di Maurizio. Arriva poi una simpatica e magrissima Jennifer, francese trasferitasi da Milano dove certamente era modella per qualche agenzia legata alla moda, simpatica e di ottimo umore. Vanni lancia un invito a cena al quale aderiscono in cinque, si va al Coconaco un bel localino sul mare dove la buona cucina accompagna i racconti di ognuno e le risate legate ai ricordi del passato lungo soggiorno qui a Montezuma di Vanni che è palesemente felicissimo di aver ritrovato la complicità ed il calore dei suoi vecchi amici. La serata prosegue nella terrazza di Alejandra, di qualche metro più a valle della nostra e molto ben congegnata per l’ atmosfera calda e soffusa che riesce a creare. Arriva dopo poco anche Maurizio il fuggitivo, è un tenerone con crisi di coscienza nei confronti della moglie alla quale sembra voler un gran bene…ma non più innamorato di lei. In fondo la sua decisione lo salverà da anni di tormento e di terapie psicanalitiche..bravo Michele! Ha ceduto la sua pizzeria qualche anno fa ed ora fa parte di una band che suona nei vari localini della zona. Ci invita ad andare mercoledì sera ad ascoltarlo, come un sedicenne inizia a citare i testi di alcuni brani composti da uno della band, sono i fraseggi più sottilmente erotici, le più romantiche espressioni della band.
Guardo Alejandra con curiosità, la sua bellezza esotica mi affascina almeno quanto la sua enigmaticità, la sua cortesia mi suona formale, il suo sguardo a volte duro sembra negare la dolcezza delle cose che dice..

29 Maggio 2006

MONTEZUMA

Arrivando a Montezuma abbiamo lasciato alle spalle il maltempo sistematico della costa pacifica per godere del clima più mite anche se molto umido di questo angolo di paradiso che scarica solo la notte gli inevitabili acquazzoni stagionali. Siamo come a casa qui alla 10, ci sono familiari questa fantastica vista mare, la veranda di legno,la zanzariera sul letto, la vegetazione rigogliosa che ci circonda ed il suono costante delle onde dell’oceano che si rifrangono ad un centinaio di metri da noi. Santa Lucia, Diani, Fontane bianche, Puerto Lopez, questi elementi ci accompagnano come un filo rosso nelle recenti esperienze di vita insieme. La giornata scorre lenta , dopo una breve colazione da Nesh, cocainomane di vecchia data, non facciamo quasi nulla se non andare in spiaggia nelle prime ore del pomeriggio per un bagno tra le onde forti dell’oceano. Poi una breve passeggiata tra le poche case del paese i cui piani terra sono occupati da negozietti ed uffici di turismo che propongono escursioni in barca nelle isole vicine. Bancherelle espongono le produzioni artigianali dei tanti rasta che popolano la zona, mentre per strada vediamo soprattutto giovani europei e nord americani sfoggiare sorrisi e cordialità da tutti i pori. In questo paese dei balocchi c’è anche il matto del villaggio che trascorre le sue giornate inveendo contro i suoi fantasmi, con la sua voce resa roca dall’alcool, e citando qua e là qualche salmo della bibbia.
Accettiamo l’invito di Francesca ed Ivan per la cena dove arriviamo verso le 8 pm. dopo aver bevuto un aperitivo in un localino sulla spiaggia. La loro casa è li a due passi da noi, anch’essa sulla spiaggia, colorata e mediterranea ci accoglie con le sue amache nella veranda ed un grande kikoyo giallo sul tavolo di legno scuro. Francesca è al piano di sopra con le due bambine mentre Ivan ai fornelli ci mostra i cartocci che contengono i pesci dorados che mangeremo.
Nel corso della piacevole serata si finisce col parlare di Maurizio e Barbara come simbolo delle tante coppie scoppiate negli ultimi anni qui a Montezuma, quasi ad introdurre il fatto che loro invece no, sono immuni da scoppi e solidali nel loro progetto di avere successo per loro e per le loro bellissime figlie di sei e tre anni, Giulia ed Eva Luna. Ci raccontano dei loro progetti, della nuova casa in costruzione in stile rustico inglese, dell’architetto che ne sta seguendo i lavori, del loro eventuale necessario trasferimento negli stati uniti quando le bimbe già grandi avranno bisogno di avere scuole adatte per proseguire i loro studi, dell’inevitabilità della droga qui a Montezuma, e del furto la notte scorsa proprio qui nella loro casa, mentre dormivano, neo imperdonabile nella perfezione della loro esistenza.

30 Maggio 2006

MONTEZUMA

Il telefono che suona alle 7.30 attraversa come una ferita la tranquillità del nostro sonno, mentre Vanni si precipita realizzo che non si tratta della sveglia che suonerà tra un’ora esatta per l’escursione all’isola Tortuga. Ci accompagnano su una lancia i dipendenti di Ivan. A prua cinque giovani americane ed una coppia di giovani inglesi, mentre noi a poppa affondiamo nel solco profondo del mare creato dalla velocità di questo Suzuki 150 lanciato a tutta birra. Arriviamo sull’isola approdando alla bianca spiaggia cui fa da sfondo un fitto e alto palmeto. Lo snorkeling ci da grandi soddisfazioni come anche il buonissimo Marlin in umido che ci viene servito poco dopo su una larga foglia verde all’ombra della tettoia di legno costruita in stile naufrago con qualche asse di legno e foglie di palma. Il cocinero fratello dello skipper aveva viaggiato con noi sulla lancia portando con sé tutto ciò di cui aveva bisogno per il pranzo. Lo scarichiamo a terra e proseguiamo per l’ agognato snorkeling verso un piccolissimo atollo dove il mondo marino ci appare in tutta la sua immensità di specie , misure, colori, forme di vita che popolano questo tratto di mare. – Dopo una breve nuotata ed aver goduto di questa meravigliosa vista, rientro in barca non senza qualche difficoltà di salita. Pennichella dopo pranzo poi socializziamo con uno strano cinghialotto con cui giochiamo divertiti… lui ci guardava come per suggerirci qualcosa e noi eseguivamo, ricoprendolo di sabbia. A proposito di animali mi sembra di aver visto Vamos la cagna con cui aveva socializzato Gaia quando era venuta a trovarmi, sei anno fa, ma forse è solo un ricordo indotto scaturito dalla sua mancanza! Reimbarcatici sul nostro gozzo a tutta forza ci dirigiamo alla baia dei delfini, si chiama così per la loro presenza massiccia qui, a branchi di tre quattro saltellano atletici e felici trasferendoci quell’ energia di libertà e spensieratezza da cui attingiamo a piene mani, ma i momenti migliori devono ancora arrivare. Dopo una doccia, non ricordo il motivo, scendo incerto i gradini. La sveglia, si la sveglia che riporta dal mondo dei sogni, tutti i giorni, migliaia miliardi di persone alla crudele realtà dell’ essere! Dicevamo, arrivo in paese e incontro ancora Wolf ex ragazzo di Roberta e altre, trasferitosi qui in pianta stabile. Condividiamo una birra e poco altro mentre all’improvviso mi assale la sindrome dell’ignoranza linguistica vedendolo chiacchierare in almeno tre idiomi diversi con i suoi amici. Fuggo via dall’ Ale per una carezza di calda consolazione. Ma il mio umore è ormai compromesso e finisco col tediare la mia amata rosa con un fondo di tristezza che solo l’oblio del sonno potrà cancellare.

31 Maggio 2006

MONTEZUMA

Alle 11 la colazione è in veranda, con tè caldo, e mango appena tagliato dalla cui polpa si sprigionano fragranze della pesca e noce moscata. Arrivano curiosi un paio di scoiattoli dalla lunga coda bianca e nera ci osservano mangiare. Rientro da una breve sosta all’internet point e trovo Vanni a conversare con Maruska, la donna di servizio di 6 anni fa. Il pomeriggio trascorre nella molle inerzia di questo caldo umido paralizzante, Non facciamo quasi nulla fino alle quattro quando con Carolina affrontiamo i 12 km sterrati che ci condurranno al tramonto sul mare di Mal Pays. Arrivati in fondo alla stradina entriamo in un baretto che si affaccia sulla baia quasi cancellata dalle grandi onde dell’oceano che attirano qui i surfisti più esperti. L’incanto di questa baia ci conquista anche se il cielo nuvoloso lascia appena intravedere qualche striatura rosa verso Ovest. Nel tavolo vicino un europeo ubriaco consuma la sua cena seduto nel tavolino accanto in compagnia di una vecchia cagna dalle mammelle gonfie di latte. La luce è quasi del tutto scomparsa quando riusciamo ancora a vedere due coraggiosi surfisti cavalcare instancabili quel mare diventato ora plumbeo…che coraggio!
Quando ormai un buio pesto avvolge Mal pays, percorriamo la strada a ritroso per andare all’appuntamento con Maurizio che questa sera suonerà con la sua band al Bahia Ballena, un localino tipo balera sul mare dove un mediocre buffet a base di carne e verdure con mosche in salamoia è tutto ciò che passa il convento…mentre la Band strimpella qualche accordo di prova osserviamo la cameriera Irene che sembra russa ma che ostenta una nazionalità statunitense…come se non ci fosse da vergognarsi più di quest’ultima che della prima! Poi la serata decolla adeguandosi al ritmo rock-caraibico della musica che i pochi ascoltano …solo una coppia di hippy incanutiti dall’età accenna qualche movimento lento, come seguendo un’onda immaginaria. Noi a turno voliamo in bagno a consumare il regalino che Maurizio nel frattempo ha fatto a Vanni..la migliore che abbia mai sentito! Poi l’amore nella nostra n°10 e l’oblio di un sonno senza sogni.

01 Maggio 2006

MONTEZUMA – SAN JOSE’

Ormai è deciso, si rientra in Italia appena possibile, ma la partenza da Montezuma ce la concediamo all’insegna di una lentezza da bradipi. Ci dispiace lasciare questa nostra casetta di legno dalla quale abbiamo dominato per giorni tutto il paese ….e l’ angolo di mare qui di fronte. Dilatiamo il più possibile questo tempo apparentemente limitato, ponendo tra l’ora ed il poi una serie di commissioni necessarie Passeggiamo tra la lavanderia e la pizzeria e poi i saluti agli amici . Riusciamo a perdere il traghetto da Pachera delle 14.30, ma poco importa, in fondo l’abbiamo voluto. Incontriamo anche Ivan e Francesca che hanno perso lo stesso traghetto per mancanza di posti auto a bordo, reduci da un Pargo fritto alla marisqueria qui vicino. Un secondo tramonto mozzafiato ci stupisce con effetti speciali dalla coperta del traghetto, mentre una deliziosa brezza compensa il caldo della giornata…insomma arriviamo all’immancabile Best western di San Jose dopo le 8 pm, stanchi riusciamo ad arrivare solo al Danny’s all’angolo per divorare alcune delle pietanze fritte pesantissime del menu. Domani si torna in Italia.


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11 Costa Rica


06 Dicembre 2006

BOLOGNA-MADRID-SAN JOSE’ DE COSTA RICA

La sveglia come un’eco nella camera ancora buia di Bologna sembra rimbalzare da una parete all’altra. Sono le 4.30 del mattino ma in cucina le tazze fumanti della veloce colazione sono già pronte. Quando appoggio le labbra alla tazza molto calda, solo allora sono abbastanza cosciente da capire che stiamo partendo per quello che sarà il nostro terzo avventuroso viaggio attraverso il continente americano. Siamo veloci nonostante le poche ore di sonno, l’entusiasmo per la partenza non lascia spazio all’ozio. Chiudiamo definitivamente il valigione contenente tra l’altro anche due panettoni ed almeno 3 kg di formaggio grana, ed i tre trolley, telefono al Radiotaxi ed in cinque minuti siamo già tutti e tre a bordo del macchinone bianco, diretti all’ormai familiare aeroporto Marconi. Vanni non si è ancora completamente ripreso dalla labirintite che lo infastidisce da una decina di giorni, ma ostenta un improbabile benessere per non preoccupare Gaia e me. E’ proprio lei, Gaia , la bella novità di questa partenza, con i suoi diciotto anni sta già rendendo questo viaggio più leggero e felice. Leggo negli occhi di Vanni la soddisfazione e la gioia legate a quella che è la cosa più bella del mondo, poter trascorrere dopo tanti anni quasi un mese con sua figlia, poter provvedere per lei, proteggerla e darle la possibilità di crescere attraverso un’esperienza che non è solo divertimento ma anche una grande lezione di vita. Imbarchiamo tutti i bagagli e passiamo veloci il controllo di sicurezza. Ora si parte. L’aereo decolla e noi iniziamo a sonnecchiare sereni di non dover far nulla per quasi due ore. Colazione a bordo ed è già quasi ora di atterrare per poi ripartire. Nel bell’aeroporto di Madrid rimane poco più di un’ora di tempo per un po’ di relax, non ricordiamo mai quanto è lontano il gate USR per raggiungere il quale abbiamo impiegato ben 40 minuti. Gaia fa scorta di profumi ed io mi concedo una colazione di tapas salate…buonissime . All’uscita 7 poco prima dell’imbarco Vanni ce la mette tutta per convincere una hostess della necessità per lui convalescente, di viaggiare in business. Lo osserviamo interpretare lo show, degno di un attore consumato con tanto di occhi lucidi ed orecchie abbassate, dal quale torna sorridente…ce l’ha fatta! Viaggerà in business. Siamo sinceramente contente per Lui ….ma anche invidiose da morire per cui iniziamo subito ad infamarlo e poco dopo ad elaborare una qualche forma di terribile vendetta. Vendetta che si colorirà nelle nostre fantasie di sfumature sempre più cupe parallelamente al trascorrere lento, troppo lento, delle ore a bordo, relegate come eravamo in quei pochi centimetri quadrati concessi a noi viaggiatori vittime della “disparità di classe” in tutti i sensi del termine. Nel frattempo leggo Terzani, l’ultimo suo libro che mi piace, ma che per gli argomenti trattati non fa che rimandarmi sempre a questo problema della disparità e dell’ingiustizia che l’uomo immancabilmente ripone e subisce …e questo aumenta il pathos del momento. Comunque ce la facciamo …dopo 10 ore di viaggio, alle 23.45 ora italiana, arriviamo a San Josè, stremati. Scendo e non li vedo…immagino siano davanti a me ma arrivano al ritiro bagagli dopo un tempo che mi sembra un’eternità visto il mio bisogno impellente di fumare. Li vedo e mi esce uno scatto d’ira poi mollo loro il carrello con i bagagli e mi precipito verso la libertà di una sigaretta che prende fuoco. Arrivano poco dopo mentre io già saluto Claudio che gentilissimo è venuto a prenderci, insieme andiamo verso il suo gippone ma siamo così goffi nei movimenti da sembrare delle papere. L’hotel verso il quale ci dirigiamo è il Best Western Irazù dove il rapporto qualità prezzo è buono e dove ci eravamo trovati bene nel corso del nostro soggiorno qui lo scorso maggio.
Ma siamo a Las Vegas o a San Josè? L’hotel in versione natalizia sembra illuminato a giorno dalle migliaia di lucine di tutti i colori…proprio non me l’ aspettavo tanta opulenza decorativa, dovunque lo sguardo si posi vede sempre rametti verdi, nastrini rossi, neve finta e luci, tante luci. Le camere 295 e 297 ci accolgono senza pretese in fondo ad un corridoio che sarebbe molto piaciuto a Kubrick….è lunghissimo. Da un momento all’altro ci aspettiamo di veder uscire da una delle camere che vi si affacciano quel matto di Jack Nicholson! Tra due ore Claudio tornerà a prenderci …per offrirci la cena nella sua nuova caffetteria adiacente alla galleria d’arte che ha inaugurato un mese fa. Una doccia ed un pò di riposo poi via alla reception dove arriva puntualissimo con Maria, la sua bellissima compagna cubana. La caffetteria è accogliente e tra i quadri appesi alle pareti riconosco quelli bellissimi di Pangio, ne vedo uno tra i tanti che vorrei tanto portarmi via! La cena è veloce ma ha tutto il sapore di un ritrovo familiare, caldo e rassicurante. Unica nota dolente per me, l’odore del tartufo che Vanni ha portato dall’Italia sul quale tutti si abbuffano entusiasti…mi consola pensare che se ne riparlerà solo tra un anno di tartufi puzzolenti! Rientriamo come degli spettri sonnecchianti finalmente nel nostro accogliente letto sul quale ci abbandoniamo esausti, sono le 4.30 ora italiana , svegli da 24 ore. Buona notte.

07 Dicembre 2006

SAN JOSE’

Dopo quattro ore mi sveglio, sono le 3.30 di notte…non ci posso credere! Devo aver esagerato ieri con i tè e le Coca cole. Ci alziamo dopo altre quattro ore di sonnellini ancora stanchi. Vanni esce quasi subito in missione per recuperare Carolina, mentre io rimango a letto a leggere Terzani. Gaia forse dorme ancora nella camera a fianco. Ma poi ecco..suona il telefono verso mezzogiorno, è lei, mi propone un idromassaggio in piscina ed io accetto volentieri. Il cielo è nuvoloso e a tratti spunta un sole potentissimo, l’estate qui stenta a decollare. Comunque in un’oretta riesco ad acquisire un sano colorito roseo. Di Vanni ancora nessuna notizia nonostante siano già le tre del pomeriggio…decidiamo di andare noi due in città a fare due passi ed un po’ di acquisti…in fondo siamo cresciute in una società consumista, pensiamo come per giustificarci. Il centro si riempie via via di persone ed anche lungo le strade pedonali l’affollamento è tale da rendere difficile trovare un proprio spazio di movimento…all’ingresso dei negozi giovani ragazzi indossano le magliette pubblicitarie delle attività che promuovono e ci invitano ad entrare. Musica esce dalle porte dei negozi più audaci e dagli amplificatori dei baskers lungo le strade…la vivacità è alle stelle ora mentre la luce si ritrae via via fino a scomparire. Alle 17 è già buio ed il centro si anima delle tante luci di natale e non, mentre la folla sembra in costante aumento. Facciamo qualche acquisto poi rientriamo accompagnate da un traffico sostenuto…Vanni ci è mancato oggi, ma lo troviamo in camera, seminudo in relax sul letto. E’ felice di essere riuscito ad avere Carolina ….finalmente domani inizierà il vero viaggio.

08 Dicembre 2006

SAN JOSE’ – PLAYA TAMARINDO

Non si può partire da San Josè senza una sosta alla caffetteria per un saluto a Maria e Valentina. Vanni non so come riesce a districarsi tra il labirinto di strade che ci separano da loro…è bravissimo come sempre penso mentre dal finestrino questa capitale fatta di casette basse e viali alberati sembra estendersi all’infinito. L’accoglienza è caldissima così come il tè che mi viene offerto accompagnato con la buona ciambella fatta secondo la ricetta della nonna di Claudio…ma dopo poco eccomi stesa su un materasso senza lenzuola sul retro in preda ad un mio attacco. Che palle, nemmeno in vacanza mi da tregua… ma poi panico per che cosa?…quale situazione di costrizione?….ma siamo matti?…si, a questo punto credo proprio di si! Valentina è in forma smagliante evidentemente avere un’occupazione la rende felice , la sua esuberanza è incontenibile, mentre Maria timida e riservata la subisce un po’ e fa delle facce strane ad ogni eccesso di lei…Comunque dopo una mezz’ora ripartiamo con obiettivo Playa Tamarindo dove il Best Western Vista Villa ha per noi due camere riservate…ma strada facendo vediamo oltre ad un lussureggiante paesaggio di prati e foreste anche il depliant degli hotel Barcelò ed a quel punto il BW non è più appetibile. Il piccolo paesino si snoda lungo una strada asfaltata che costeggia la lunga spiaggia, mentre lo percorriamo in auto vediamo sfilare i molti bar, negozi tra i quali a tratti scorgiamo qualche spicchio di mare. Non è azzurro come lo avevamo immaginato…del resto il pacifico non è il mar dei Caraibi e nonostante la Isla Tortuga ci avesse stupiti per le sabbie bianche ed il mare cristallino, rappresentava senz’altro, per la sua incredibile bellezza, una fantastica eccezione. Sfilando lungo l’unica via del paese vediamo che il Best Western non ha l’accesso diretto al mare, va da se che Carolina si dirige verso il Barcelò che però è full…iella massima…l’impatto era stato ottimo. Io e Gaia prendiamo un aperitivo per riprenderci dalla delusione mentre Vanni aspetta in auto un po’ stizzito. Anche il lussuoso Hotel Diria, presso il quale ci informiamo, non fa per noi…173$ a camera ci sembrano troppi…quindi torniamo sui nostri passi virando a 180° verso il Vista Villas dove con 173$ avremo entrambe le camere, ovvero i mini appartamenti confortevoli con vista mare che immediatamente occupiamo. Ignari di ciò che ci aspetterà al rientro andiamo a cena in un ristorantino del paese dove consumiamo, in compagnia di un bel gatto randagio che invece gradisce, la nostra cena davvero non esaltante. Ma rieccoci all’hotel , arrivo per prima nel piccolo disimpegno che dà accesso alle nostre camere e cosa vedo? …quattro cavallette giganti che iniziano a svolazzare spaventate mostrando le loro bellissime ali rosse. Immaginando la reazione di Gaia inizio a scacciarle con una ciabatta ma loro arrivano prima che la pulizia si sia conclusa e scatta la crisi di panico della piccola….sta malissimo, piange e trema come una foglia. Baipassiamo il problema entrando dalla porta finestra della veranda, cercando un passaggio tra i cespugli che delimitano il prato all’inglese di nostra pertinenza. Ma Gaia non si riprende….e Vanni amorevolmente dorme con lei aggiungendo allo stress di Gaia il pericolo oggettivo di finire in ospedale con una broncopolmonite per via dell’aria condizionata gelida che lui in cambio le impone. Mi addormento tranquilla, accarezzata dall’alito leggero della pala che gira al minimo sopra il mio letto, il mio ultimo pensiero va a Vanni che almeno questa sera non mi sfinirà con quella sua necessità tutta estiva di dormire a temperature polari.

09 Dicembre 2006

PLAYA TAMARINDO

Quando Vanni rientra in camera, con la mascherina alzata sulla fronte ed i tappi ancora inseriti nelle orecchie, mi trova china sul microonde. Avrei tanto voluto bere un tè….ma mi accorgo poco dopo che le bustine sono rimaste in auto. In preda ad uno strano attacco di operosità preparo il caffé per lui e mi infilo di nuovo sotto le lenzuola dove mi avvolge un riconoscente, tenero abbraccio. Finalmente frutta fresca a colazione poi arriva Gaia e partiamo per la spiaggia. La bassa marea ci mostra una distesa di sabbia lunghissima oltre la quale una striscia d’acqua blu scuro è affollata di improbabili surfisti, distesi sulle tavole allineate, in attesa delle onde che arriveranno solo nel pomeriggio. Prendiamo un ombrellone e due lettini ed io mi avventuro a piedi lungo l’ ampio bagnasciuga disseminato di piccoli speroni di rocce marrone scuro. La bassa marea ha lasciato scoperti almeno cinquanta metri di sabbia, dalla cui superficie dorata emergono venature scure a formare disegni che ricordano il movimento dell’acqua che gradatamente si ritira. Rimango all’ombra del piccolo ombrellone chiaro mentre Gaia invece protesta all’arrivo di ogni nuvola …un divario di melanina ci rende, in questo senso, inconciliabili. Vanni nel frattempo si è dedicato a Carolina con l’amore di sempre, ma quando lo incontriamo in hotel verso l’una sembra estremamente affaticato. La labirintite non gli dà tregua ed ogni suo sforzo fisico si ripercuote su di lui come un boomerang. Ci prendiamo una siesta di coccole sotto il ventilatore, nella penombra della camera poi di nuovo il mare dove vediamo finalmente le grandi onde ma non i surfisti che forse nel frattempo ne sono stati inghiottiti. Una passeggiata di ricognizione lungo il paese poi un fantastico baretto che Gaia vede tra la vegetazione a ridosso della spiaggia. E’ nostro, sento di appartenere a quel luogo, mentre ci accomodiamo sulle poltroncine di plastica arancione decisamente anni ’70, all’ombra del fogliame alto sopra di noi. A qualche metro poche bancarelle espongono i prodotti di alcuni rasta creando una vivacità tutta caraibica. Pina colada per Gaia e un daikiri per me, il pomeriggio scorre piacevole mentre godiamo della splendida atmosfera tra chiacchiere e patatine fritte fino quasi al tramonto che vediamo rientrando attraverso la spiaggia, ora cortissima, verso l’hotel. Il rosa del cielo colora via via tutto ciò che ci circonda di tinte sempre più accese, ci sentiamo gradatamente proiettate in un’atmosfera irreale mentre anche i suoni si fanno sempre più ovattati, stiamo svenendo? no siamo felici. Vanni è sempre più sofferente, tanto da dover rinunciare al tavolo già prenotato al ristorante dell’hotel Diari. Il colpo di grazia glielo assesto io con una schiacciante vittoria a backgammon …che lo fa fuggire immediatamente verso la camera da letto.

10 Dicembre 2006

PLAYA TAMARINDO

Giornata un po’ moscia sulla spiaggia…il cielo è velato e circola poca energia. Alle quattro del pomeriggio arriva Vanni e insieme andiamo al “copacabana”, il localino di ieri sulla spiaggia. La giornata prende quota con un buon Cuba libre e le solite patate fritte. Ci accompagnano le note di un bravo cantante brasiliano…sulle note di “alegria es mejor que tristesa”. Cena al ristorante super dell’hotel Diari. Vanni quasi si strozza per la Tbone che proprio non gli scende ma i nostri piatti sono fantastici.


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12 Nicaragua


11 Dicembre 2006

PLAYA TAMARINDO – GRANADA

Ci avviamo presto verso il confine Nicaraguese ed in nemmeno due ore siamo sul posto. Qui tutto sembra essere vicino…le grandi distanze del Sudamerica sono ormai solo un ricordo. Al confine le solite formalità ci fanno perdere tempo mentre i bambini quasi ci assalgono con le loro più o meno velate richieste di qualcosa…due chiacchiere, una caramella…insomma qualsiasi cosa che possa alleviare questa povertà che percepiamo spalmata sui visi della gente. Granada è a poco più di un’ora di viaggio ora…Vanni cede volentieri la guida ed io mi accomodo al volante claudicante di Carolina. Le strade non sono male..solo qualche buca qua e la e poco traffico, per lo più camion pieno di cose o di persone, anche qui il trasporto di passeggeri nei cassoni dei camion sembra essere la norma. Il verde c i circonda, campi coltivati e a tratti la vegetazione si fa rigogliosa di fiori arancioni e gialli. Vanni è stanchissimo ed ancora dondola, Gaia legge e sonnecchia sul sedile posteriore. Verso le 4 del pomeriggio arriviamo nella bella Granata e dopo aver visti un paio di alberghi scegliamo l’ “hotel Gran France” prospiciente la piazza de la indipendencia.. Questa piazza mi ricorda quelle messicane, sonnacchiose e piene di vegetazione dove la gente va a riposare al fresco degli alberi, con molti bambini dalla pelle scura che corrono giocando da una panchina all’altra. Al centro un grande albero piuttosto brutto, praticamente una struttura a cono rigida rivestita di finti rami verdi e qualche pallina. C’è anche un babbo natale che intrattiene un piccolo gruppo di bambini…con questo caldo sinceramente stona un po’. L’hotel odora di antico e questo ci piace, realizzato attraverso il recupero di un edificio coloniale, si articola su due piani disimpegnati da ballatoi di legno scuro che affacciano su una corte lunga e stretta a cielo aperto. In basso una piccola piscina rettangolare azzurrissima spicca sulle tonalità avorio dei pavimenti. Qua e là piante esotiche ad indicare la latitudine alla quale ci troviamo. La nostra camera, perfettamente allineata allo stile delle parti comuni, è a qualche passo dalla piscina e contiene due invitanti lettoni ed alcuni mobili di legno scuro. Inoltre è l’unico hotel ad avere una linea privata di elettricità ci dice il portiere…e oggi la luce manca per tutto il resto del paese. Vanni sparisce senza proferire parola…immaginiamo sia alla pelucheria per un taglio a barba e capelli, noi usciamo per un giro di ricognizione alla ricerca tra l’altro, di un internet point. Il piccolo paese coloniale sembra impazzito, sui marciapiedi decine di generatori rumorosi sopperiscono all’elettricità mancante, e le strade sono intasate di traffico. Ripieghiamo verso un bell’edificio coloniale color ocra con un doppio ordine di colonne bianche in facciata. La bellezza di questi edifici è anche nelle corti interne rigogliose di vegetazione e di silenzio. Sono solo le 5 del pomeriggio e la luce bassa è già quella dell’imbrunire. Rientriamo in hotel curiose di vedere il nuovo look di Vanni che vediamo arrivare …sembra un marine americano, del resto qui la contaminazione è loro malgrado alta. Un breve riposo e si esce per la cena. Si va al “Club”, dove mangiamo cucina spagnola sui bordi di un bel giardino.


Percorso della tappa

Fotografie
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Cambia Tappa

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13 Honduras


12 Dicembre 2006

GRANADA – TEGUCIGALPA

Non possiamo ripartire da Granata senza prima avere percorso la calle La Calzada verso il lago Nicaragua. Vi si affacciano alcuni edifici coloniali a due piani decorati in stile moresco che si stagliano tra le costruzioni recenti, più basse e decisamente sobrie. E’ una bella giornata di sole quella che ci accompagna nella passeggiata mattutina, cerchiamo l’ombra dei pochi alberi ed arriviamo in una ventina di minuti alle acque livide del lago dal quale si innalzano le alte montagne. Il lungolago è sotto tono … almeno la mattina…non c’è anima viva! Passiamo quindi al museo ospitato all’interno dello storico convento di San Francisco, dove vediamo alcuni petroglifi recuperati sull’Isla Zapatera. Il cattivo stato di conservazione delle statue, ci fa appena riconoscere le figure sbozzate nel basalto vulcanico più di 1000 anni fa. Sono figure antropomorfe metà uomo e metà animale ( lucertola, giaguaro o tartaruga). Partiamo poi da Granada verso il confine di nuovo…questo nostro soggiorno in Nicaragua è stato un lampo, praticamente solo una notte. Del resto nemmeno da un punto di vista paesaggistico ci sembra che valga la pena esplorarlo più a lungo…nemmeno una sosta al mercatino di Masaya ci fa cambiare idea. Anche qui tutto sembra essere finto, anche gli oggetti in vendita nei tanti negozietti del mercato sembrano genuini, comunque comperiamo un porta sigari ed una custodia per occhiali di coccodrillo come regalo di Natale per Vanni….e passiamo oltre. Dopo il confine le cose non cambiano poi molto, se non per le montagne sulle quali Carolina si arrampica infaticabile…La vegetazione gradualmente si trasforma ed ora dal finestrino vediamo solo abeti….siamo quasi a 2000 metri di altitudine. 1000 metri più in basso adagiata su di una grande vallata, Tegucigalpa ci appare sotto le luci del tramonto. Ricorda un po’ La Paz con i suoi tentacoli di case protesi verso le colline limitrofe. Siamo arrivati nella capitale dell’Honduras, incasinata e puzzolente….ma l’hotel Honduras Maya, moderno e lussuoso ce la mostra dal suo punto di vista migliore…dall’alto del nostro ottavo piano ne percepiamo la morfologia complessa fatta di luci e insegne al neon degli edifici più alti. Ceniamo al ristorante dell’hotel, decisamente sotto tono ma con apparecchiatura natalizia. Gaia freme per raggiungere al più presto il mare.

13 Dicembre 2006

TEGUCIGALPA – LA CEIBA

Siamo tutti di pessimo umore. Il tempo instabile alterna acquazzoni a pioggerelline lievi, ma il cielo è costantemente grigio e la strada che ci separa dalla costa sembra non finire mai per via delle strade un po’ disconnesse e strette. Arriviamo alle 4 del pomeriggio in quello che dovrebbe essere il centro più vivace sulla costa honduregna, ma lo troviamo sporco e triste, anche La Ceiba non ci piace. Ci avviamo veloci al traghetto che partirà tra soli 30 minuti ma scopriamo nostro malgrado che non possiamo imbarcare l’auto. Tragedia, ovvero pausa di riflessione. Vanni si informa presso un grasso meticcio di nome Miguel che gli dice che l’auto può viaggiare ma su un’altra barca che arriverà domani mattina e che salperà solo alle 10 di sera ad un costo di 300 $ andata e ritorno. Ma cosa faremo nella triste La Ceiba fino a domani sera? Inoltre spenderemmo 100 $ in più rispetto al costo dei nostri biglietti di passeggeri ed il parcheggio sicuro di Carolina in garage. Va da sé che Carolina rimarrà sulla terraferma mentre noi andremo domani mattina con il ferry all’isola di Roàtan . Nel frattempo l’hotel migliore della cittadina è davvero ordinario, si tratta dell’hotel Paris, caldamente consigliato dalla guida come il migliore del centro. Comunque costa poco, ci diciamo come per consolarci, e domani ci aspetta l’isola mozzafiato. Anche Gaia sembra accettare di buon grado la sistemazione in vista del tanto agognato mare… Nel frattempo cerco in internet una sistemazione sull’isola….e vedo il top : l’ “Island Pearl Resort” mi appare come un miraggio, con le sue quattro cabanas di legno a due piani collocate all’ombra delle palme a due passi dalla spiaggia bianchissima. Faccio telefonare dal ragazzo della reception ed è fatta! Domani ci aspettano…ci sarà una cabana tutta per noi. Comunico a Vanni e Gaia la bella notizia ed i loro sorrisi mi rispondono in modo eloquente. Ceniamo benissimo nel ristorante da Ricardo’s, con ottime bruschette ed una favolosa corvina a la plancia con papas a la frenceisa. Poi a nanna , tra le grigie lenzuola ed i cuscini grumosi…cosa pretendiamo…siamo in Honduras!

14 Dicembre 2006

LA CEIBA – ROATAN

Alle 8.45 della mattina siamo al porto per l’imbarco. Scendiamo a fatica dal taxi per via del fango sulla stradina, e quando Gaia ed io proviamo a camminare le nostre infradito sembrano incollate a terra. Meglio muoverci con decisione o non saliremo mai su quel ferry. Saliamo a bordo e via, l’aliscafo parte sul mare piatto ma con onda lunga, chiudiamo gli occhi e dopo poco più di un’ora eccoci a ritirare i bagagli tra le orde dei locali come noi appena sbarcati. Siamo arrivati dall’altra parte dell’isola, a Port Royal, tra due relitti arrugginiti di navi affondate. Patteggiamo per un costo di 25 $ con il taxista e dopo mezz’ora circa siamo ad affrontare le enormi pozzanghere della stradina di ingresso al resort, sembrano delle piccole paludi, più adatte agli hovercraft che non ad una berlina. Comunque ce la facciamo e Lilà, la gentilissima gestrice del Pearl Island , ci accoglie con calore. E’ canadese, del Quebec, e nota positiva, parla francese. Entriamo nella nostra casetta costruita con pietra e legno su un lato del giardino di palme ed altri alberi tropicali. E’ accogliente e colorata, con una serie di spazi esterni a complicarne la volumetria e l’uso. Entriamo dalla veranda tutta di legno arredata con divanetti di legno con cuscini dai tessuti colorati ed amache e attraverso la porta scolpita a bassorilievo con foglie ed animali accediamo alla zona giorno . Gli stessi motivi decorativi scopriamo sulla porta del bagno che ci sorprende per la bellezza della doccia alla quale si accede scendendo un paio di scalini che portano ad un grande invaso a mosaico azzurro. Sui lati ancora mosaico ma fatto di grandi piastrelle rotte ( alla Gaudì ) dai colori in sintonia con il colore arancio delle pareti. La camera di Gaia contiene solo un paio di lettini ma si affaccia sull’ombrosa veranda, la nostra invece è in cima ad una stretta scala di legno , grande quanto tutto il piano terra e con un profumato pavimento di legno rosato. Sulle pareti verdi alcuni quadri di artisti locali ed al centro del soffitto a capanna un ventilatore dalle pale di legno che fa molto old-stile coloniale. Una grande porta vetri accede al nostro terrazzino privato che riprende la forma semicircolare del bagno sottostante. La luce qui arriva fioca, filtrata dai frangisole di legno che lasciano intravedere la vegetazione e la spiaggia di sabbia bianca a non più di dieci passi dalla porta di casa. E’ tutto perfetto qui…tranne il tempo che oggi ci riserva solo nuvole. Da giorni, dice Lilà, non si vede il sole qui a Roatàn…Gaia ne sembra preoccupata..in fondo siamo venuti fin qui proprio per questo! Vado comunque alla barriera corallina dove capisco quanto sarà divertente per me questo soggiorno alla isla.

15 Dicembre 2006

ISLA ROATAN

Ci svegliamo presto accarezzati dalla luce fioca che entra dalle finestre, ancora stesa vedo le foglie verdi degli alberi vicinissimi. Abbraccio Vanni che al contatto si risveglia in tutti i sensi mentre Gaia al piano di sotto sta facendo colazione. Scopro che con il mio cellulare non riesco a telefonare in Italia…insomma questa Vodafone mi ha già delusa… volevo proprio fare gli auguri a mia madre! Oggi non c’è nemmeno una nuvola ed il sole alto esalta il bianco della sabbia ed il turchese del mare. Non resisto oltre ed armata di pinne, maschera e macchina fotografica vado nuotando verso la barriera corallina. Descrivere la meraviglia di pesci colorati e di vegetazione che mi si offrono è riduttivo rispetto all’emozione che sempre sento quando mi trovo immersa in tanta bellezza! Al ritorno verso riva vedo anche una grande manta, la mia prima, che piega l’estremità delle sue ali in un movimento armonioso con il resto del corpo e della lunga coda nera. Ma ecco vedo anche il pungiglione e mi allontano velocemente guardando ogni tanto alle mie spalle. Che emozione! Torno una seconda volta con una nuova macchina fotografica ma della bellissima manta non c’è traccia . Sob! C’è ancora un sole meraviglioso eppure l’aria è perfetta… né calda né fredda, si sente solo un gradevolissimo tepore. Gioco con una bimba nera di nome Ester, ha quattro anni ed è bellissima con tutte le sue treccine con fermagli colorati . Le insegno qualche gioco e poi le apro un file sconosciuto facendole provare la mia maschera con boccaglio. Ne è entusiasta e la usa fin quasi al tramonto, ma quando gliela sottraggo direi con la forza scoppia in lacrime. Le regalo allora una vecchia maschera di Vanni ma lei se ne lamenta dicendo che le è grande…cosa non vera. Certo le piaceva di più la mia trasparente e seminuova. Mi sento perseguitata e non ne posso più di questo esserino appiccicoso che finalmente ad un certo punto inizia a seguire la madre. Nel frattempo Gaia ha conosciuto tutti i ragazzi papabili della spiaggia che non le lasciano un momento libero…ma uno in particolare le piace , un certo Willy che lavora al ristorante Pomodoro a due passi da noi. E’ paraguaiano ed in effetti il più carino …va da se che anche questa sera consumeremo lì la nostra comida , tra sguardi rubati e qualche battito insistente delle ciglia….ma che carini. A cena finita mentre stiamo uscendo dal ristorante il commento è unanime : Willy è come quasi tutti i maschi un po’ stronzo! Studio le istruzioni della nuova camera da sub digitale…fino a quando non mi si chiudono gli occhi.. mi sostiene il pensiero che domani sarà un gran giorno con quei 75 fotogrammi a disposizione.

16 Dicembre 2006

ISLA ROATAN

Esco tardi con Vanni per una passeggiata lungo la spiaggia. Il sole è abbagliante ed il mare sempre turchese. Lilà mi chiama appena rientrati….è arrivato il pescivendolo che ci aspetta con un macchinone in fondo all’ingresso della proprietà, vendere pesci deve essere un’attività estremamente redditizia qui sull’isola! Comunque con 15 $ riesco a comprare 4 aragoste e più di una libbra di grossi gamberi…ma senza troppo entusiasmo di Vanni che mi lascia sola nel mio pranzetto prelibato a base di aragosta e ananas…strano accostamento ma è. l’unica cosa trovata nel frigorifero che pensavo di poter abbinare…la spesa dell’altro ieri non prevedeva grandi performances ai fornelli, così avevamo provveduto solo alle colazioni ed ad una eventuale spaghettata in casa se una sera non avessimo avuto voglia di uscire., ma ora un po’ di salsa rosa l’avrei davvero apprezzata. Esco finalmente alla recife con la digitale e mi scateno…ben 70 foto scattate con grande soddisfazione. Rientro e senza quasi asciugarmi cerco di scaricarle sul pc…ma che difficoltà! Devo installare un programma e poi ancora fare dei tentativi ed eccole tutte 70 orribili più che mai sullo schermo. Sono arrabbiatissima! …. tutte fuori fuoco e con i colori smorzati! La messa a fuoco sembra essere un’opinione per questo cessetto di macchina. Ci prendiamo un aperitivo al baretto di fianco mentre il sole scende in un bellissimo tramonto. La cena sarà al Pomodoro per una terza puntata della love story.

17 Dicembre 2006

ISLA ROATAN

Sono già le 4 del mattino e Gaia non è ancora rientrata….sono preoccupata non tanto per Gaia che immagino starà divertendosi con i suoi nuovi amici, ma per la porta d’ingresso lasciata aperta mentre dormivamo ed ora ecco l’ansia è già arrivata. La paura di essere stata in pericolo o di poterlo essere ancora nel corso della notte …chiudiamo la serratura e dopo 5 minuti Gaia bussa alla porta. e chiede 15 $ per il tassista, ha l’aria felice…credo sia stata bene. Ma io non riesco a ritrovare la necessaria serenità e dopo mezz’ora di tentativi inutili mi alzo e fino all’alba rimango nel l’accogliente terrazzino, protetta dai pannelli frangisole leggendo un po’ mentre fuori il silenzio della notte è interrotto solo dalla risacca del mare. L’alba arriva con un concerto di cinguettii che pian piano raggiungono intensità quasi assordanti….in pratica sono in mezzo a loro, a pochi centimetri dai rami degli alberi del giardino e li sento come se anch’io fossi in un nido, ma molto più grande del loro e di legno. Improvvisamente sento tutta la stanchezza delle poche ore di sonno e così mi infilo vicino a Vanni e mi dormo fino alle 11. Non male come recupero! Nuotando lungo la costa Un incontro ravvicinato con un grosso pesce mi spaventa un bel po’…sembra uno squalo ma ha due grossi occhi neri…non può essere lui, sono salva! Il mare qui è davvero meraviglioso…ogni volta che lo guardo me ne stupisco…soprattutto la mattina quando i reggi del sole ne esaltano le sfumature dell’intera gamma degli azzurri. Dopo una bella nuotata un po’ di sole e spaghetti all’aragosta che preparo tanto per non perdere l’abitudine al cucinare ed al mangiare pesce, qui a West Bay i ristoranti non fanno pesce ed il “Pomodoro” è un ristorante italiano dove si può mangiare pizza, pasta e qualche insalata. Verso il tramonto vado con Gaia, armate di backgammon , al baretto di fianco e per la prima volta assaggio la buonissima Pinacolada. Anche se sono quasi ubriaca la batto 3 a 2 quando ormai le luci del tramonto si sono spente ed un grande rotvailer riposa accovacciato di fianco a noi. Andiamo quindi alla piscina del Pomodoro dove ormai siamo di casa e sbagliando ordino una Caipirina anziché la Pinacolada mentre Gaia decide per un tuffo e viene subito intortata da un ragazzo americano che fa il water…e che non la molla un attimo. Batto in ritirata lasciandole a bordo piscina il drink ed un po’ di privacy. Vanni è ancora a casa…non si è mosso oggi ed ha finito di leggere “La porta proibita” di Terzani iniziato ieri. Ha trovato pare in questo autore che anch’io adoro, un buon filone da seguire. Ancora non si è ripreso principalmente dalla sua pigrizia, in secondo luogo dalla labirintite che ancora lo rende instabile. Povero cucciolo. Inizio ad essere insofferente a questa sosta forzata in questa parte dell’isola anche se ne è la parte migliore vorrei spaziare un po’ di più, vedere gli altri cayos, anche se non sono vicinissimi, ma tutti hanno detto che gli spostamenti in idrotaxi sono carissimi e in vacanza con due pigroni così cercare di fare altro sarebbe donchisciottesco, dovrò rassegnarmi quindi a trascorrere un’altra settimana tra questi 100 metri di spiaggia bellissima , la barriera corallina, la nostra villetta ed il ristorante Pomodoro!……ogni commento è superfluo…so che c’è di molto peggio!

18 Dicembre 2006

ISLA ROATAN

Mi sveglio con la sensazione di aver dormito moltissimo, cerco la mia tazza di tè sul comodino ma anche oggi non la trovo…Vanni deve essere in ferie. Arriviamo tutti sulla spiaggia in ordine sparso e dopo poco passa Pascal, il gestore del resort assieme a Lilà, che si ferma per un saluto…la lingua che userà per parlare è sempre una sorpresa, più o meno gradita a noi, visto che ne conosce tre a menadito. Ne approfitto per chiedergli, in un mix di inglese e francese, tanto lui capisce tutto, se nella baia ci sono squali, e la risposta mi solleva moltissimo. Va da sé che subito dopo, partivo in perlustrazione , ed anche Vanni mi ha accompagnata per un po’, di tutte le varietà dei bellissimi pesci del rif e delle favolose concrezioni di corallo e della vegetazione tutta. Che soddisfazione infinita ora che posso fare tutte le nuotate che voglio serenamente. Figuriamoci che a questo punto non avrei disdegnato nemmeno di rivedere la grande manta dell’altro giorno…che un po’ di timore me l’aveva pur fatto venire. Sole …sole… sole..- Lilà dice che è quasi un miracolo questo bel tempo in questa stagione. Abbiamo delle buone vibrazioni, dice quando la incontriamo al “Pomodoro” mentre beve una birra aspettando un gruppo di ospiti. Noi invece siamo in attesa di un taxi , questa sera ci concediamo un colpo di vita: andremo a cena al ristorante “ Lighthouse” a West End., ad una manciata di chilometri in linea d’aria ma collegato da una strada che si arrampica sulla montagna che ci divide. West End non ha nemmeno le strade asfaltate ed alle 19.30 non c’è quasi più nessuno per strada. Ci incamminiamo con Vanni sempre dondolante verso il ristorante, abbandoniamo la strada principale, ed attraverso stretti passaggi tra le case arriviamo sulla spiaggia in quello che ci appare come una grande palafitta con terrazze aggettanti sul mare. Ci colpisce subito un odore misto di cucina ed acqua stagnante, e considerando che siamo all’aperto, la cosa non ci rassicura. All’unanimità decidiamo per un tavolo nella terrazza coperta, il più vicino alla staccionata, mentre Gaia ed io ordiniamo due Mojito forse nella speranza di cadere in uno stato di oblio che ci intorpidisca l’olfatto, per Vanni il solito vaso de vino tinto. L’appuntamento con il taxi è alle 22, ma alle 21 abbiamo già terminato, accompagnata da pioggia scrosciante, quella che è stata una cena senza infamia né lode. Vanni conclude bellamente con un paio di Jegermaister, non si sa come finito sulla mensola del bar, che gli costano la cifra spropositata di 8 $. Si incazza ed usciamo. Ancora una piccola passeggiata e per fortuna il taxi arriva con anticipo…siamo salvi!

19 Dicembre 2006

ISLA ROATAN

Oggi diluvia ma per fortuna l’internet del Resort è connesso e mi precipito a scrivere con grande soddisfazione alle mie amiche più care. E’ un tale piacere per me comunicare con loro quando sono lontana, che oggi rimango incollata alla tastiera per più di un’ora…mentre Lilà e suo marito circolano discreti nell’ office. Per giorni non ho potuto farlo e questa giornata di cielo, mare e tutto quanto grigio è adatta a tirare le fila delle varie situazioni italiane…sono così carine le mie amiche che se potessi le porterei con me. Comunque la giornata, nemmeno tanto lentamente, scorre tra e-mail, aggiornamento del diario ed archiviazione delle foto, lettura e merende a base di panettone (portato in valigia dall’Italia) e pinia. Poi al baretto di fianco dove Manuel ci prepara due pinacolade con troppo rum che beviamo ascoltando Bob Marley….tutto sembra essere troppo da copione, ma in fondo queste cose sono diventate un mast perché è un piacere farle! Cena come sempre al “Pomodoro” ed a casa presto.

20 Dicembre 2006

ISLA ROATAN

Oggi il sole ci saluta con un caldo buongiorno. Colazione in veranda con visita di Lilà che vorrebbe essere pagata oggi per il nostro soggiorno che terminerà solo il 23 mattina, incazzatura di Vanni che non vuole pagare il 4% di commissioni per la carta di credito, mio sopralluogo alla barriera corallina per vedere i bellissimi pesci colorati che amo. Quando sono tra loro il mio piacere è assimilabile a quello che proverei ascoltando un bel concerto di Hayden o vedendo un bel quadro di Lissisky….insomma credo che la naturaleza raggiunga qui una delle sue espressioni più alte, per la vivacità dei colori, la molteplicità delle forme, per l’eleganza dei movimenti e per la leggerezza legata al galleggiamento ed alla perdita del peso e quindi la percezione inusuale della propria corporeità… io ne approfitto più che posso e ne esco sempre più felice di prima. Potrebbe essere una buona terapia anti stress…. credo. Vanni arriva in spiaggia dopo essere stato in banca con Lilà, come sempre inizia a leggere un libro e si isola così da tutto, me compresa. Nessuna reazione se non un laconico monosillabo di risposta alle parole che ogni tanto gli lancio…lui invece non è nel suo elemento…ma presto raggiungeremo Carolina ed i chilometri di strade da percorrere, attraverso i quali proprio come una dinamo lui si ricaricherà di energia.

23 Dicembre 2006

ISLA ROATAN – RUINAS DE COPAN

Alle 5.45 del mattino il tassista aspetta all’ingresso del resort…tramortiti ci congediamo da quella che è stata la nostra casa per 10 giorni salendo sull’auto scassata che chissà se riuscirà a superare il lago sulla strada. Arrivati al ferry vediamo una grande massa umana in fila per il biglietto e immediatamente il torpore lascia il posto all’agitazione. Possibile che per noi turisti non esista una qualche scorciatoia, un qualche privilegio? Mi metto alla fine di quella che stranamente appare come una fila ordinata mentre Vanni in qualche modo si mobilita per trovare la scorciatoia e Gaia controlla i bagagli. Dopo 20 minuti abbiamo i biglietti, comprati da un bagarino per 40 $ in più ( l’equivalente di due biglietti di sola andata), che ci consentiranno di non perdere il prossimo ferry che partirà solo alle 9 anziché alle 7 come previsto. Le tre ore che seguono, trascorse nella stipata sala d’attesa, rappresentano per noi uno stress incredibile ma allo stesso tempo una grande lezione sulla stupidità e sporcizia del popolo hondurenio. Diventare razzisti è un attimo, e noi abbiamo avuto ben tre ore per diventarlo….ferocemente. Rumore, un acidulo odore di pelle scura, look natalizi kitch da morire, allattamento di bambini sudaticci avvolti nei loro pannolini sporchi. Li vediamo attendere bovinamente in fila per ore quando avrebbero tranquillamente potuto aspettare seduti, il ferry che tutti noi avremmo preso, mentre i bambini sfrecciano da tutte le parti urlanti, a volte in lacrime, ma sempre terribilmente sporchi e dai visi ebeti …tutti stipati gli uni sugli altri in file inutili. Quello che ci ha infastidito in seguito, quando la fila per salire era necessaria, è stato il contatto fisico con loro, che sempre ci aderivano irrispettosi dei minimi spazi vitali…un disastro!…ma finalmente saliamo e dopo poco scatta il privilegio di essere europei…Gaia ed io veniamo invitate in prima classe, mentre Vanni nel frattempo si era perso nel bar del ferry. Ritrovare Carolina a La Ceiba è stato per noi come ritrovare casa. Il lungo viaggio verso la Ruinas de Copan scorre lento ma poi dopo quasi sette ore atterriamo già tardi all’ hotel Marina de Copan, il migliore qui, pieno di cortiletti e piccoli giardini con piante e fiori tropicali , fontanelle e percorsi d’acqua, dove ci sistemano in una grande stanza con tre letti matrimoniali. Dopo una breve cena ci addormentiamo ognuno nel suo lettone, fino al mattino.

24 Dicembre 2006

RUINAS DE COPAN

Giornata dedicata alla visita di quella che è stata la più estesa città Maya del Centro America, sviluppatasi nel periodo compreso tra il 426 d.c. e l’800. Tra gli edifici vediamo ritte sul terreno innumerevoli bellissime enormi stele decorate ad altorilievo e rappresentanti i vari re che si sono succeduti nel corso dei pochi ma intensi secoli di splendore della città. Sculture che fanno di questo sito un unicum all’interno della cultura maya. Siamo tutti molto interessati a ciò che ci mostra Modesto, la nostra guida indio, non più giovane ma preparata ed estremamente cordiale, che ci accompagna tra le varie costruzioni tra cui bellissima la piazza del gioco della pelota , l’acropoli e la grande scalinata sulle cui alzate vediamo scolpiti i simboli che tracciano la storia delle varie dinastie che si sono susseguite nei secoli in questa città. Interessante anche il museo dove sono state ricostruiti vari edifici tra cui bello quello dello scrivano ed alcune notevoli sculture. Rientriamo stanchi per la lunga passeggiata e per il caldo che ci ha accompagnati nel corso della visita ma andiamo comunque io e Gaia ad esplorare il paesino che si sviluppa attorno al nostro hotel e vediamo un bel mercato, quasi nascosto all’interno di un anonimo quartierino, molto verace e dove la presenza di turisti, capiamo nel frattempo non deve essere così frequente, ma è comunque tollerata, ed un cortile, sul quale affacciano povere abitazioni, tutto ricoperto di chicchi di caffè ancora chiari, stesi ad essiccare. Ceniamo in hotel con un sottofondo musicale discutibile, eseguito da un gruppo di signori del luogo che strimpellano numerosi su di un grande xilofono. Ma ormai è buio pesto e là fuori è tutto un esplodere di petardi ….sentiamo che è arrivato il momento di far esplodere i nostri fuochi d’artificio comprati questa mattina in una bancarella del paese …ma dove? Pensiamo al parcheggio dell’hotel e andiamo…il custode ci guarda divertito mentre Vanni prende una cassa di bottiglie vuote dove infilare i bastoncini di legno alla base di quelli che sembrano dei piccoli razzi. Le sei esplosioni colorate…le mie prime…mi rendono felice come ogni volta che faccio qualcosa che mi fa sentire un’adolescente….e poi questo stupore che accompagna il vedere i fuochi come tanti piccoli miracoli. Insomma ci divertiamo tutti molto, forse per motivi diversi o forse no. Decidiamo di rientrare quando un razzo, lanciato nella nostra direzione e ad altezza d’uomo da un idiota locale, quasi ci colpisce . Il paese sembra impazzito…strano modo di festeggiare il natale… Gli scoppi proseguono anche dopo il nostro rientro, come se fossero lanciati sotto le finestre della nostra camera, fino alle due del mattino….un delirio!


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14 Guatemala


25 Dicembre 2006

COPAN – ANTIGUA GUATEMALA

Le notizie che Vanni raccoglie per il viaggio verso Antigua sono discordanti…chi dice che occorrono 7 ore di viaggio, chi 4…insomma partiamo tutti un po’ ombrosi ( il Natale è sempre un giorno difficile) verso la frontiera che sappiamo distare 12 km. E’ semi deserta a quest’ora della mattina, solo un’auto oltre la nostra, i festeggiamenti di ieri devono aver messo a dura prova i locali, e anch’io ho dormito solo poche ore…ma la prospettiva di arrivare in quella che per 300 anni è stata la capitale del Guatemala mi restituisce qualche energia. Scegliamo l’hotel migliore ovviamente…ed è anche il primo che incontriamo entrando in città, il meraviglioso Casa Santo Domingo che ci accoglie pieno di storia e di lusso. Ricavato sul sito occupato dall’antico monastero spagnolo ne accorpa le vecchie strutture ormai solo ruderi, in un ampio progetto che ne restituisce in parte l’antico splendore. Nulla è lasciato al caso, gli spazi comuni sono ricchi di opere d’arte nuove ed antiche..statue di santi, colonne di legno finemente lavorate, vasche d’acqua ornate di bassorilievi, tutti oggetti probabilmente scampati ai disastrosi terremoti che si sono susseguiti nel corso del 700. Raggiungiamo la nostra camera accompagnati da un sottofondo di musica barocca che viene diffusa in ogni angolo del grandissimo hotel…riconosco uno dei miei brani preferiti, una sonata di Hendel, che ben si intona a questo ambiente così vagamente barocco. Ampi e numerosi gli spazi a giardino e lunghi i corridoi con pavimenti di antico cotto lucidato che disimpegnano le diverse aree funzionali dell’hotel dove niente sembra essere al chiuso se non le camere. I vari ambienti sono separati dall’esterno dai vecchi porticati in pietra, compreso il ristorante dove gli ospiti vengono confortati durante la cena con piccoli bracieri collocati dai camerieri sul pavimento vicini ai tavoli. E’ davvero freddo qui la sera, mentre le giornate sono intiepidite da un sole che brucia la pelle. Piscina ed Hammam non sono che un paio degli optional dell’hotel, che contiene anche 3 musei, un laboratorio artigianale dove vengono prodotte candele ed uno di lavorazione dell’argilla. Accediamo alla nostra camera da un ballatoio di legno che si sviluppa a corte attorno ad un rigoglioso giardino con antiche vasche d’acqua e sculture di pietra, camminando sul pavimento che alcuni uomini stanno ancora lucidando, notiamo antichi lavatoi di pietra pieni d’acqua sulla cui superficie galleggiano i fiori recisi di stelle di natale bianche o rosse che crescono in rigogliosi cespugli nei giardini e che troviamo qua e la disseminate. La camera è confortevole, con due lettoni, un camino in angolo, un terrazzino arredato ed un comodo bagno con vasca ovale in nicchia. Nel corso della lunga passeggiata per arrivare alla abitation 230 avevamo già raccolto indizi sufficienti per capire che avremmo trascorso un paio di giorni davvero confortevoli qui ad Antigua. Poi Vanni vede un cartellino vicino alla cassaforte che riporta a chiare lettere una cifra di 400 $ a notte come costo giornaliero esclusa la colazione e….quasi sviene! Gaia in attacco di fame nera coinvolge Vanni in una merenda al bar mentre io esco, curiosa, per un primo sopralluogo in questa città che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità….percorrendo le strade acciottolate scorgo a tratti i resti di quelle che sono state le chiese costruite dagli spagnoli nel corso del ‘600, tutta la cittadina trasuda decadenza…e ciò che mi viene da pensare è che tutti i finanziamenti internazionali siano stati spesi nella realizzazione del nostro bellissimo Hotel. Rientro dopo un paio d’ore per un sano relax. Cena in Hotel con scaldino pieno di braci a lato tavolo….mangiamo benissimo e Vanni riesce ad avere la sua tartare de lomo anche se mignon.

26 Dicembre 2006

ANTIGUA

Usciamo tutti per un giro tra le viuzze della città che oggi si vivacizzano dei colori delle gallerie d’arte e dei negozi aperti. Gaia cammina trascinando le sue scarpe da ginnastica…non deve essere molto interessata alla cosa…ma Vanni insiste che ci segua. Dopo non molto però lo convince a dirottare il loro tour verso i negozi per eventuali acquisti ed io proseguo sola. Libera di andare a cercare i tesori della città vago per un’oretta ma poi casualmente ci ritroviamo e dopo una visita insieme alla Iglesia de San Francisco rientriamo. Con Vanni esploro i Musei interni all’hotel , senz’altro i migliori della città, dove vediamo molte urne funerarie in terracotta risalenti al periodo compreso tra il 600 e il 900 d.c., l’epoca classica della cultura Maya. Cena in hotel, angolo camino, ancora con scaldini ai piedi del tavolo. Ma che notti fredde!

27 Dicembre 2006

ANTIGUA – CHICHICASTENANGO

Chissà come sarà il mercato indio di Chichicastenango dopo venti anni ! Era l’ ’89 quando venni in vacanza da queste parti ed il Guatemala mi parve bellissimo, particolarmente questo mercato indio pieno di colori e di antiche tradizioni, compresi gli sciamani fuori dalla Iglesia de Santo Tomàs che ricordo fumosa di incensi e adorna a terra di candele e petali di fiori. Andiamo all’Hotel Santo Tomàs costruito in stile coloniale non molto lontano dalla piazza principale, con acqua calda razionata dalle 5 pm alle 11 del mattino. Anche qui il camino in camera non è un gran buon segno…ma infondo questo è il loro inverno e qui siamo a 2100 m. di altitudine! Andiamo per un primo sopralluogo nella piazza dove già vediamo gli indios costruire le loro bancarelle con pali di legno portati chissà da dove. In altri casi le bancarelle sono già pronte ma sono altri i commercianti che espongono le belle coperte di cotone colorato ed altri infiniti oggetti di artigianato e non. Ci sono poche persone dentro la chiesa ora e nessun petalo di fiore,..ma domani ci assicura un lustrascarpe li vedremo….mi chiede qualche soldo ed io gli regalo 100 Quetzal, circa 13 $, ed è l’inizio della fine! Dopo qualche passo siamo circondati da una decina di bambini questuanti che rivendicano il diritto ad avere anche loro qualcosa…Io e Gaia fuggiamo verso l’ hotel dove dalle finestre del bar li vediamo piantonare l’hotel….domani dovrò uscire con una parrucca! Al calare del sole la temperatura calda del giorno lascia il posto ad un freddo terribile e anche se sono solo le 6 del pomeriggio decidiamo di far accendere il camino che è di fronte al letto di quella culona di Gaia. Ceniamo in hotel e quando già le palpebre diventano pesanti scatta la battuta ormai classica: – sono per caso già le 9 di sera? – guardo l’ora e sono le 9.02…il nostro orologio biologico non sbaglia! Ci accomodiamo davanti al camino del bar per un drink e Vanni estrae uno dei sigari hondureni che gli abbiamo regalato a Natale, poi a nanna nel gelo della camera dove il camino non ha fatto miracoli.

28 Dicembre 2006

CHICHICASTENANGO – LAGO ATITLAN

Mi sveglio come sempre ultima, Gaia e Vanni sono già pronti per la colazione alla quale io non ho nessuna voglia di andare…preferisco cambiarmi con calma. La camera è ancora molto fredda ma l’acqua che esce dalla doccia è a dir poco bollente e dopo un paio di minuti il bagno è fumoso come un bagno turco. Si trattengono parecchio alla colazione così riesco a raggiungerli per il mio piattino di frutta fresca, mentre fuori sentiamo esplodere dei botti Ed ecco passeggiamo al tepore del sole delle 10, immersi in un cocktail di abiti colorati e profumo di incenso. Sono davvero belli gli abiti di questi indios…le donne indossano lunghe gonne a piccoli disegni geometrici di colore blu-grigio fermate in vita da cinture a tinte vivaci ricamate con fiori o altri disegni. Sopra hanno camicie ricamate o tessute al telaio, anch’esse colorate, spesso a disegni geometrici in stile Maya…in effetti loro ne sono i diretti discendenti: piccoli di statura, dal viso un po’ allungato e con la pelle olivastra. Ricordano i visi dei loro antenati riprodotti nelle sculture di Copàn. Il mercato pullula di bei tessuti colorati e oggetti di legno, per lo più maschere rituali accanto ad alcune statue di santi ma la nostra attenzione va tutta alle belle coperte di cotone i cui teli sono uniti da fasce decorate con cordoncino a rilievo….e i cuscini ricamati a mano. Ci aggiriamo per le bancarelle dove non mancano gli spazi riservati ai ristorantini improvvisati con quattro panche, due tavolacci ed una piastra dove cucinano tortillas. Ne escono odori non sempre gradevoli e gli impasti per le tortillas sono spesso grigio chiaro….chissà con quali ingredienti le impastano. Ma il vero spettacolo è attorno alla chiesa sugli scalini della quale ancora vengono fatti esplodere dentro a rozzi mortai di ferro colorati di blu e rosso dei grossi petardi che fanno tremare l’intero paese…il motivo di tante esplosioni è presto svelato….servono a salutare i santi che vengono introdotti uno ad uno nella chiesa seguiti da piccolo corteo di indios . Le sculture dei santi si stagliano sulla parete bianca della chiesa,in cima ad una scalinata semicircolare. Appoggiano su portantine di legno colorato, sopra di esse archi di ferro sono adorni di grandi piume che riproducono i colori dell’arcobaleno…insomma un buon mix tra i riti popolari Maya preesistenti ed il cattolicesimo introdotto a forza dal ‘600 in poi. L’interno della chiesa è denso dei fumi dell’incenso che esce dagli oscillanti contenitori di latta…alcuni di loro pregano inginocchiati sul pavimento o sulle panche di legno, altro parlano tra di loro. Alcuni bambini piangono stretti ai seni delle loro madri mentre un gruppo di uomini esegue uno strano rito davanti alle statue dei santi ora collocati su un lato dell’unica navata. Hanno in mano degli oggetti dorati che a me sembrano dei portacandele vuoti. Sulle grandi pale che vediamo alle spalle dell’altare e sulle pareti laterali, non si riconoscono ormai più i soggetti che ritraevano…. nere del fumo depositatosi in decenni di riti. Nessun prete è presente, nessuna omelia viene pronunciata…l’atmosfera magica del rito pagano ci coinvolge nella sua allegria e vivacità….ma siamo a Chichicastenango o in un film di Bertolucci? Che meraviglia! Non smetterei più di osservare la bellezza di questi indios e dell’atmosfera che riescono a creare…sono dei geni. Alcune donne sedute sulle pietre rotte e sporche di cera degli scalini, vendono fiori bianchi arancioni e lilla. Al centro della scalinata un piano orizzontale è occupato da un fuoco sempre acceso sul quale vengono bruciate palle di una qualche erba imprecisata che avevamo visto su alcune bancarelle e che ne amplifica il fumo. Comperiamo alcune coperte, una camicia tutta ricamata a mano, una fionda, orecchini, piccolissime bambole indio, borsette di seta ricamata, e paschmine made in china. Soddisfatti rientriamo in hotel dopo almeno tre ore di mercato per riprendere Carolina che ci condurrà al vicino lago di Atitlan. Alle 14 siamo già a Panajachel, uno dei paesi che si affacciano sul meraviglioso lago circondato da tre alti vulcani a cono. Andiamo alla ricerca dell’hotel nel quale avevo soggiornato anni fa, ma il capodanno ci frega ed i due migliori hotel, l’ Atitlan e la Posada de Don Rodrigo, sono full. Ripieghiamo all’Hotel Portal del Lago recente, ma di scarso spessore, dove troviamo una 409 vista lago che tutto sommato ci soddisfa. I vulcani sono coperti dalle nuvole…che peccato! Speriamo domani di godere di un tramonto migliore.

29 Dicembre 2006

PANAJACHEL – LAGO DE ATITLAN

Io ancora riposo come un cadavere ( dicono loro ) quando loro già rientrano dalla colazione per una  sigaretta sul terrazzo della camera. Li raggiungo e vedo con grande commozione i tre grandi vulcani a cono stagliarsi sul cielo azzurro di questa giornata assolata. Sono enormi e perfetti nella loro geometria conica. Conservavo un ricordo vago della loro  bellezza ma ora tutto torna alla memoria e propongo subito a Gaia un tour  in battello sul lago, mentre Vanni ha già programmato una saldaturina alla marmitta di Carolina. Poco distante dall’hotel, in un piccolo porticciolo troviamo la nostra piccola  lancia con un simpatico locale che ci accompagnerà per un giro di un’ora a 300 quetzal, circa 40 $. Costeggiamo  la riva per una mezz’ora vedendo le sontuose ville dei politici guatemaltechi, compreso l’ex presidente del Guatemala e di alcuni americani, ci spiega la nostra guida. A pochi passi dal mare, con curatissimi giardini e motoscafi ai pontili stridono enormemente con la povertà del paesino nel quale siamo , per non parlare delle baracche appena fuori del centro abitato….ma questo è il centro e sud america….e buona parte del mondo! Arriviamo fino ad un punto in cui aguas calientes dovute all’attività del sottosuolo creano un angolo di piacevole tepore. L’acqua è limpidissima…se avessimo avuto il buonsenso di mettere il costume avremmo accettato di buongrado l’invito della guida a tuffarci…invece inverte la rotta, siamo arrivati al capolinea. Ci concediamo un frullato di ananas nella terrazza sul lago poco distante e poi rientriamo in hotel dove poco dopo arriva anche Vanni, evidentemente soddisfatto della saldatura. Una breve siesta e alle 3 del pomeriggio andiamo per un ulteriore shopping al mercato  artigianale del paese dove trovo due ponchos di lana con cappuccio, che andranno ad incrementare il numero già sostanzioso di quelli presenti nell’armadio di Bologna, trovo anche una bella scultura di terra cotta, un amuleto, mi spiega il negoziante, che le famiglie di contadini  usano per tenere lontani i predatori di galline e tacchini che fanno stragi nei loro pollai. E’ un oggetto davvero carino, lungo poco più di una spanna. Praticamente un cilindro con piccole ruote e testa di faina smontabile e coda arricciata, interamente di terracotta. Ne sono fierissima e già lo immagino sulla mensola del camino a Bologna…o da qualche parte a Forlì.  Rientriamo tardi dal mercato.. appena  in tempo per vedere un bel tramonto dal terrazzo della nostra camera. Ceniamo malino al ristorante Tocoyal che poi scopriamo essere sempre dell’hotel  Portal del lago. Vanni è furioso per la sua sopa de pescado che non solo non era granchè ma con la quale ha ridotto la felpa ad un mosaico di macchie di unto misto pesce.  Certo ancora una volta abbiamo la riprova che la  guida Lonely Planet non è attendibile….il ristorante era caldamente consigliato per l’ ottima qualità del cibo! Come sempre dormiamo presto…la partenza di domani per Città del Guatemala è prevista alle 8.30 circa.

30 Dicembre 2006

PANAJACHEL – CITTA’ DEL GUATEMALA

Come previsto la sveglia suona alle 7.30 ed io piuttosto che alzarmi farei qualsiasi cosa….penso tra me mentre il trillo miracolosamente si interrompe….ma abbiamo promesso a Gaia di partire con enorme anticipo per evitare che un eventuale inconveniente possa farle perdere l’aereo delle 18.30 per Madrid. Ma alle 11 siamo già all’ hotel Radisson della capitale forse meno interessante di tutto il Centroamerica. Quindi ne approfitto per un po’ di cura personale e faccio prendere la prenotazione per una necessaria ceretta all’ affollatissimo salon de beleza Rebecana nel centro commerciale Proceres a 10 minuti di taxi da qui. Stranamente l’operazione è rapida ed efficace, non posso fare a meno di paragonare questa alle altre esperienze analoghe di Santiago e Lima ed al primo strappo un sorriso di soddisfazione mi si stampa automatico sul viso. Quando rientro in hotel trovo Gaia e Vanni al sushi bar con un paio di invitanti sandwich sui rispettivi piatti…ma che golosi! Poco dopo alla tv della suite 701 l’annuncio della terribile notizia dell’attentato all’aeroporto di Madrid di questa mattina da parte dell’ETA …la situazione si fa complicata per Gaia che dovrà transitare proprio da quell’aeroporto tra una manciata di ore. Infatti all’aeroporto dove la accompagnamo alle 16.30 per il check-in l’aereo è previsto in partenza per Madrid con 4 ore di ritardo. Inutili i tentativi di Vanni di farle avere un posto in business class, lascia il trolley e rientriamo tutti in hotel. Le immagini che vediamo alla CNN e a Rai International non sono incoraggianti, una parte del padiglione 4, proprio quello che gestisce i voli da e per il centro e sud America è in parte crollato. Il bilancio è di un equadoregno disperso e 14 feriti. Da brava ottimista le dico che ora l’aeroporto di Madrid è il più sicuro del mondo …ed è vero almeno per la scienza statistica. Comunque quando la riaccompagnamo alle 21 , un’altra ora si è sommata al ritardo già considerevole….a questo punto diventa dubbia la coincidenza per Barcellona delle 19.15 , ma è una certezza che il bagaglio non arriverà con lei per via dei pochi minuti di tempo tra un volo e l’altro. Una bella abbracciatona e via….si parte. La suite ora sembra infinitamente grande e Gaia decisamente manca ad entrambi…ma, lato positivo, ora potremo fare sesso ogni volta che ne avremo voglia. Negli ultimi 10 giorni infatti abbiamo sempre condiviso la camera con lei ed astenersi dal farlo è stata per lo meno una decisione di buon gusto. Siamo così mogi che non abbiamo nemmeno voglia di uscire ad esplorare un qualche localino della città….ordiniamo una cena in camera al sushi restaurant dell’hotel e via a letto….ma senza sesso….un classico!

21 Dicembre 2006

CITTA’ DEL GUATEMALA – FLORES

Partiamo presto, alle 9 siamo già alla periferia della città per il lungo viaggio verso Flores, il paese che sorge sull’isola del lago Petèn Itzà, che un tempo fu la capitale del popolo Maya denominato Itzà. 10 ore di corriera per raggiungere Flores, leggiamo sulla Lonely Planet almeno 8 in auto, pensiamo noi…ma con la guida audace di Vanni che sfreccia tra le montagne del Guatemala con la nostra Carolina arriviamo dopo nemmeno 6 ore all’hotel Petèn del ridente paesino. Mezz’ora alla reception perché non trovano la prenotazione per poi scoprire che c’è comunque una camera vista lago libera al terzo piano che ci costerà 50 $ Non sembrano molto svegli qui a Flores! Il paese, vediamo, è in preparativi per la festa di questa sera, stanno allestendo un palco con tanto di riflettori in uno slargo all’ingresso del paese…per fortuna piuttosto lontano dal nostro piccolo hotel che ha l’aria di essere più che altro una pensioncina. Un aperitivo accompagnato con papas fritas nel bar del Petèn,di fronte ad un bel tramonto vista lago ovviamente, e poi relax in camera dove mentre io scrivo Vanni dorme. Certo un’altra cosa rispetto all’anno scorso a Valparaiso….dove con quei fuochi spettacolari e l’atmosfera in generale da evento storico…avevamo vissuto un capodanno davvero alla grande. Non si può mai sapere….vedremo cosa ci riserverà Flores ammesso che Vanni si svegli in tempo per i festeggiamenti! Andiamo verso la festa ma alle 20 non c’è quasi nessuno e la musica a tutto volume rende il quadretto fastidioso oltre che triste…ci incamminiamo allora verso un ristorante che avevamo visto qualche ora fa in fondo ad una stradina di case colorate….c’è gente, decidiamo all’unanimità che questo sarà il nostro localino mentre andiamo ad occupare l’unico tavolo libero da turisti. Le tovaglie sono a righe e coloratissime, il cameriere simpatico e mangiamo due zuppe buonissime un bel robalo alla plancia e un’hamburghesa .Alle 22.30 siamo già nella terrazza dell’hotel per un drink che non arriva mai, ad osservare i lampi che si intravedono tra le nuvole, ed i fuochi d’artificio che per l’umidità stentano ad esplodere. Un gruppo numeroso di americani che cenano sotto la tettoia , saluta il nuovo anno con un’ ora di anticipo….il solito falso allarme! Noi alle 24 siamo in camera quasi con i tappi infilati nelle orecchie….del resto da almeno due ore ci facevamo gli auguri di buon anno.

01 Gennaio 2007

FLORES – TIKAL

Lasciamo l’isola a metà mattina ma sotto un sole già cocente. L’aria condizionata in auto è necessaria a queste latitudini non solo per il calore ma soprattutto per l’ altissimo tasso di umidità. L’obiettivo di oggi è raggiungere un grande sito archeologico Maya, solo 63 km ci separano da Tikal….un gioco da ragazzi per noi viaggiatori instancabili. La cabana 11b dell’ hotel Tikal Inn è accogliente ed arieggiata, una fascia di basse aperture protette solo da zanzariere ne segna il perimetro dividendo la bianca muratura sottostante dal tetto a capanna fatto di fogliame all’esterno e di pannelli bianchi intelaiati in legno scuro all’interno. Due grandi letti sui quali campeggia una pala di ventilazione, il bagno sul retro e una veranda con sedute di legno, il tutto alla modica cifra di 110 $ compresa cena, colazione ed erogazione della luce dalle 6 alle 10 pm. L’hotel è costituito da un piccolo corpo centrale con reception, ristorante e cucina, e da una serie di cabanas disposte in file lungo la piscina o il giardino. Sono le 13 quando prendiamo possesso della nostra location, dopo poco siamo già operativi per la visita del piccolo museo con interessanti oggetti di giada e ceramica che però non posso fotografare. Segue una lunga passeggiata non sempre comoda tra i templi immersi nella foresta. Questa in effetti è una delle caratteristiche che distinguono Tikal dagli altri siti archeologici, la fitta foresta nella quale è immersa. Tikal fu abitata dai Maya fino al X secolo d.c. ed era estremamente estesa. Ciò che noi vediamo nella nostra passeggiata è la parte legata ai cerimoniali religiosi costituita da grandi piazze disseminate di stele consunte dal tempo, sulle quali affacciano le alte piramidi nelle cui sommità piccoli recinti in muratura reggono alti coronamenti in pietra, originariamente adorni di rilievi e colorati. La Gran Plaza, con le sue due alte piramidi è la più suggestiva del complesso, forse per i 44 m. di altezza di una delle piramidi o perché qui i restauri ne hanno ricostruite le parti mancanti, restituendoci un’immagine piuttosto simile a quella che dovette essere fino a 1000 anni fa. Saliamo attraverso piccole scale di legno così ripide da sembrare a pioli, sul tempio 2 della Gran Plaza e da lì contempliamo il tempio 1 proprio di fronte a noi. Che meraviglia! Continuiamo la visita percorrendo i ripidi sentieri all’ombra della rigogliosa vegetazione, mentre il sole inizia un lungo tramonto, vediamo la Plaza dei sette templi, ancora in fase di restauro, il Tempio del Tempo Perdido sul quale salgo quasi arrampicandomi per la ripidezza degli scalini a tratti sconnessi, ma dalla cui sommità vedo i coronamenti dei templi sbucare dalla coltre verde della fitta vegetazione…e poi di nuovo alla Gran Plaza, ancora più affascinante alla luce calda delle 17. Parallelamente al calare della luce assistiamo all’avanzare della natura… e, mentre ripercorriamo a ritroso i sentieri, la foresta si anima dei suoni delle scimmie urlatrici e degli uccelli rapaci che avevamo visti volteggiare tra gli alberi. Cuba libre a bordo piscina , cena e alla cabana per un “for your eyes only” in dvd….dimenticavo le lucciole nel giardino davanti alla cabana…. Poi sotto le lenzuola bagnate di umidità…l’impatto è così terribile che sogno di dormire con un serpente nel letto.


Menù delle città

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15 Belize


02 Gennaio 2007

TIKAL – BELIZE CITY

All’alba è tutto un echeggiare di cinguettii…mi sveglio e tolgo i tappi per poterli ascoltare meglio…non capita spesso di potersi svegliare con un così bel concertino! Quando mi sveglio la seconda volta vedo Vanni già seduto sul letto…lo raggiungo poi alla colazione dove riesce sempre ad arrivare per primo…ma vista la lungaggine del servizio direi che la mia lungaggine in camera è stata ben ammortizzata. Partiamo per il Belize, attraverseremo la frontiera a Melchor de Mentos dopo 65 km di strada non proprio in buono stato di manutenzione . Come sempre compiliamo i moduli della immigration , mostriamo le valigie ai doganieri e, con sorpresa incontriamo Vinicio, una guida guatemalteca incontrata la prima volta a Copàn, poi a Chichicastenango ed infine qui….tre volte in 10 giorni e senza darci appuntamento! Non staremo facendo un tour un po’ troppo turistico? superato il blocco, procediamo sulle strade ben tenute, attraverso perfetti giardini all’inglese che però circondano catapecchie di legno, siamo nel cuore del Belize. Procediamo verso la costa e dopo un paio d’ore arriviamo a Belize City, capitale fino a qualche hanno fa, quando considerata troppo pericolosa per via degli uragani che si sono accaniti nel tempo proprio qui….siamo tranquilli solo perché non è periodo di calamità! Troviamo una grande camera vista mare all’ultimo piano dell’hotel Chateau Caribbean con due lettoni, ampio salotto ed un terrazzino verandato non più grande di 3 mq. Il tutto per 99 US$ + il 9% di tasse…non proprio a buon mercato visto lo stato di conservazione di quella che era stata prima una casa coloniale, poi un ospedale. Ma ci piace essere in questa soffitta che sembra abitata dagli spiriti per i sibili ed i cigolii che il vento fortissimo là fuori provoca nella al suo interno. Il cielo ha nuvoloni grigi che ogni tanto scaricano un po’ di goccioloni sui passanti accaldati…un vero sollievo…. perché il vento che soffia forte è tiepido ed il sole cocente. Andiamo a fare un giro in auto, Vanni vuole raccogliere informazioni circa i ferry per le isole del nord, se potremo portare Carolina e a che prezzo, quindi ci dirigiamo verso il porto dove non esistono uffici ma parliamo direttamente con un marinaio della chiatta per il trasporto delle merci alle isole. Purtroppo qui l’idioma parlato è uno strano inglese kriol….non più l’ormai familiare per noi, spagnolo. Comunque riusciamo a capire che non conviene trasferire l’auto: prima di tutto perché 300 US$ non sono pochi, in secondo luogo perché poi da lì non esiste il collegamento con il Messico dove era conveniente passare direttamente, in terzo luogo scopriamo che questo Caye Caulker è troppo turistico per essere appetibile, quindi dopo poco iniziamo a litigare. Leggo sulla guida di un atollo interessante, il Glover’s, di nemmeno quattro ettari, privato, sabbia bianca ed una barriera corallina da invidia. C’è solo un resort sull’isola e non costa nemmeno tanto visti i prezzi qui….40 US$ a testa al giorno per una incantevole capanna di legno in mezzo al mare, collegata alla spiaggia da un pontile sempre di legno. Telefoniamo per informazioni e scopriamo che per arrivare sull’isola dovremo prendere un taxi acquatico che costerà 350 US$ per l’andata e 50 a testa per il ritorno, a meno che non ci siamo eventuali altri passeggeri con i quali dividere la spesa. Vanni a questo punto inverte la rotta e sostiene Caye Caulker a spada tratta, mentre io rispondo che non è obbligatorio andare sulle isole…quindi piuttosto che Riccione allora i siti archeologici del Messico! Rientriamo dopo una buona cena allo Smokey Mermaid con una discreta reciproca acidità….nessuno dei due intende mollare!

03 Gennaio 2007

BELIZE CITY

Non essendoci certezze per il proseguo del viaggio e per dare il tempo alla lavanderia di provvedere per il sacco pieno di indumenti sporchi che abbiamo lasciato ieri alla reception, decidiamo di rimanere un altro giorno in questa pittoresca cittadina piena di casette di legno più o meno cadenti e di persone di una gentilezza quasi proverbiale cui non siamo purtroppo abituati. E’ frequente che le persone qui rivolgano un saluto a chi incontrano camminando per strada, conosciuto oppure no….così mentre passeggiamo tra le catapecchie e le case coloniali spesso ci viene rivolto un cordiale good afternoon da un passante. Sono quasi tutti nerissimi qui, i tratti somatici degli ex schiavi africani, liberati solo nel 1838, sono riconoscibili in molti visi che incrociamo, vaghiamo per ore sotto un bel sole cocente che si alterna a tratti a qualche goccia di pioggia. Poi nel tardo pomeriggio vediamo in internet le foto del Glover’s Atoll ed è amore a prima vista! Sempre più inaciditi andiamo per una visita veloce al Belize Museum in chiusura, quindi in hotel dove aspettiamo l’ora di cena dedicandoci ai rispettivi compiti: io al computer e Vanni alla tv. Decidiamo per il ristorante dell’hotel dove il menu vediamo, è quasi monotematico. Gamberi in 10 sfumature diverse, 8 piatti a base di pollo e qualche insalata. L’ambiente è sobrio, per non dire triste, pareti malmesse di colore grigio chiaro, luci bianche, preferiamo prendere il solito buon rum locale al bar ma il clima è il medesimo e dopo poco ci ritroviamo ad osservare la moquette rossa fissata con dei chiodi ad avvolgere gli archi ribassati sopra di noi, per non parlare di quella raggrinzita sul pavimento o del ragno rinsecchito nell’angolo tra due pareti . A Vanni viene spontaneo chiedere di chi sia la proprietà e guarda caso salta fuori che è cinese! Questo spiega tante cose, compreso il menu e la perfezione degli indumenti arrivati dalla lavanderia….certo questo per tradizione consolidata lo sanno fare davvero bene! Decidiamo di terminare il drink nella nostra soffitta popolata dagli spiriti che in fondo ci piace. Domani andremo a sud, a Dangriga, centro degli spostamenti via mare verso i cayes meridionali.

04 Gennaio 2007

BELIZE CITY – NORTHEAST CAYE

Saldiamo il conto dell’hotel ed alle 10 siamo già on the road per il breve viaggio di 170 km. Per 2 ore totali. Dangriga è un piccolo villaggio sulla costa meridionale, qui i turisti si fermano solo per il tempo necessario a trovare un marinaio disposto ad accompagnarli in qualche isola ad un prezzo ragionevole. Anche qui le case sono quasi tutte fatte di assi di legno inchiodate alla struttura portante. Per le strade quasi solo rasta men nullafacenti. Ci fermiamo al Riverside Cafè che leggiamo essere il terminal ufficioso dei taxi acquatici dove un paio di rasta sembrano interessarsi a noi . Ci segue nell’organizzazione del viaggio un certo Victor che ci trova un taxi per 100 US$, un parcheggio per Carolina a 5 US$ al giorno, una tessera telefonica da 10 US$ per contattare il “Glover’s Atoll Resort“ che da due giorni è telefonicamente irraggiungibile, trova per noi anche il telefono a casa di uno che sta guardando una partita alla tv con sua moglie, infine ci propone un bel mazzetto di marijuana per 15 US$. Il servizio di Victor invece è di 40 $ beliziani , circa 20 US$. Affare fatto…andremo con mia grande soddisfazione al piccolo atollo “Northeast Caye”. Vado al supermercato cinese per un po’ di spesa mentre Vanni pensa alle valigie ed a Carolina. Compro pasta, pomodoro, patate, cipolle e naturalmente le Pringles in formato famiglia….tanto Vanni non le vedrà, nascoste come sono dentro alla sportina nera, fino al nostro arrivo. All’ultimo momento si uniscono a noi due ragazzi canadesi di Vancouver, anch’essi alla ricerca di qualcosa di più economico dei 350 US$ per arrivare all’isola. Partiamo su una piccola barca in legno con due motori da 40 cv e due grandi taniche di carburante a bordo. Siamo pigiatissimi noi 4 passeggeri con valigie…ma ci sistemiamo sulle due piccole panche trasversali. Claudette e Alain sono giovani simpatici e molto vivaci….io riesco a parlare con lei in francese e così nel primo tratto di mare ci raccontiamo qualcosa…le solite cose che normalmente ci si dice. Ma poi iniziano le onde del mare aperto e delle ricadute sul mare con contraccolpi da urlo. Dopo poco siamo tutti bagnati fradici e con le dita contratte nello sforzo di tenerci al bordo della panca….ma incrociamo alcune belle isole e vediamo alcuni esemplari di pesci volanti, lunghi circa venti centimetri, di colore violaceo, sono affusolati come siluri ed hanno due pinne ad ala che gli consentono di volare oltre che di nuotare….ma che significato può avere che un pesce voli? Forse gli piace mangiare insetti che non si appoggiano sull’acqua? Se li avessi visti solo io avrei pensato ad una allucinazione ! e poi un paio di delfini che si inarcavano a pelo d’acqua….acqua azzurra naturalmente…e calda…insomma siamo tutti entusiasti di raggiungere questo piccolo paradiso che però non arriva mai. Dopo un’ora e mezzo di spruzzi e sobbalzi avvistiamo l’atollo….palme e sabbia bianca naturalmente..ed una serie di capanne circolari con il tetto a cono protese sul mare. Tutto ok…scendiamo e conosciamo la proprietaria non più giovane, bionda e grassottella, arrivata sull’atollo 40 anni fa, che inizia a parlare in inglese…soprattutto ai canadesi, gli unici a capirla veramente, perdendosi in chiacchiere sui vari tipi di pesce che si possono avvistare qui attorno all’isola, le varietà di corallo e altro ancora mentre noi bagnati fino all’osso non vedevamo l’ora di entrare in possesso della nostra capanna sul mare per poter almeno indossare abiti asciutti. E invece no….madame ci accompagna a vedere l’isola, davvero piccola in realtà, i posti nei quali immergerci, l’angolo del cocco, dove una catasta di cocco è a disposizione di tutti con tanto di ferro verticale per sbucciarlo del grosso involucro che lo avvolge, machete per aprirlo ed una sorta di macina per grattugiarne la polpa. Infine ecco la nostra cabina, ubicata sul lato opposto dell’isola rispetto al pontile di arrivo, distante una decina di metri dalla spiaggia alla quale è collegata da un rudimentale pontile di legno. Entriamo, con i nostri bagagli recuperati dal pontile, e quello che appare è un intreccio di amache fissate ad un palo di legno che sostiene la conica copertura di legno e foglie di palma, un lettone accostato su un lato, un rudimentale angolo cottura con un fornello che farebbe impallidire qualsiasi commerciante di Portobello road, per la ruggine che gli si è stratificata addosso e l’originalità del modello. Un tavolo con tre sedie accostato di fianco alla grande porta d’ingresso, un lume a petrolio, due bacinelle, qualche stoviglia ed una coperta colorata sul letto. Sembra poco ma per noi, che ci sentiamo come due naufraghi, bagnati fradici in quest’isola piena di palme da cocco, mare turchese e sabbia bianca, è anche troppo! C’è molto vento su questo lato dell’isola e dalla capanna sentiamo distintamente il fragore delle onde che si rifrangono sulla barriera corallina poco distante. A dividerci dall’esterno solo un sottile diaframma fatto di canne accostate e di tre grandi porte di legno che se aperte , proiettano all’interno l’infinità del mare e del cielo là fuori. Vanni va per una doccia nella zona bagni comuni poco distante ed io mi siedo su un sedile di legno a ridosso di una delle grandi aperture della capanna a guardare questa meraviglia. Sotto i miei piedi l’ assito che funge da pavimento, lascia intravedere il mare che qui non è più profondo di una trentina di centimetri, si vedono sotto l’acqua trasparente le grandi conchiglie sistemate qui come altrove per dare un’ ulteriore connotazione marina a questo piccolissimo atollo a misura d’uomo che si attraversa in 10 minuti nel suo punto più lungo. La cena è alle 7 pm., abbiamo tutto il tempo per goderci il tramonto quasi travolti dal vento forte che soffia su questo lato dell’isola, il più esposto ai venti dominanti….ma siamo a est….se capiterà di essere svegli così presto, vedremo dal nostro letto l’alba. Una partita a backgammon e poi ci incamminiamo verso l’altro lato dell’isola nella piccola casa anch’essa molto aperta, ma riparata dalla fitta vegetazione al centro dell’isola. Naturalmente non abbiamo nemmeno una torcia, a differenza degli altri ospiti che tutti attrezzati sembrano vivere queste situazioni limite da sempre, e il buio è totale. Usiamo i nostri cellulari e seguiamo i percorsi di sabbia delimitati da grandi conchiglie bianche….ma ci perdiamo e solo dopo un po’ raggiungiamo l’obiettivo. Il grande tavolo rettangolare è già pieno di ospiti, quindi ci accomodiamo in quello piccolo con una coppia di ragazzi californiani. Durissima la conversazione in inglese, ma ce la facciamo a sostenere la serata. Lui timidissimo, lei rappresentante di vini italiani intercala qualche parola più comprensibile. Al rientro in capanna ci sorprende una bella luna piena appena sorta…è tutto così romantico! Ci stendiamo sul pontile ad osservare le stelle che qui sono visibilissime come in mezzo al deserto e vediamo anche la nostra costellazione preferita ,Orione, considerata dai Maya il centro della creazione per via di quelle tre stelle allineate della sua cintura. Sfiniti ci accomodiamo tra le lenzuola sporche e umide del nostro letto mentre il rumore del mare incalzato dal vento è quasi assordante…ma infine dormiamo felici.

05 Gennaio 2007

NORTHEAST CAYE

Arriviamo in ritardo alla colazione delle 8 e veniamo quasi sgridati….un po’ rigida questa gestione inglese! Poco dopo sono con pinne e maschera in quella parte di mare che madame ha consigliato per lo snorkeling, ma ne sono delusa…in fondo i pesci non sono molti ed il fondale povero di colori e di vegetazione..in compenso uno squalo vive qui attorno ed il solo pensiero mi fa perdere la serenità necessaria per poter apprezzare questa prima nuotata. Vanni arriva ma dopo cinque minuti è già a riva, quindi anch’io non mi spingo molto oltre e lo raggiungo in capanna dove lui ha già iniziato a personalizzare il nostro nido. E’ bravo e sistematico, inizia a togliere le amache che ci impediscono di muoverci se non piegandoci ogni volta per passare, sistema e pulisce le stoviglie, sposta il tavolo e crea con due sedie i nostri comodini….ora la capanna è meno svolazzante ma più funzionale. Letture sulla spiaggia, partite a beckgammon, brevi passeggiate alla scoperta dell’isola. Il tempo scivola via in questo piccolo paradiso, poi la cena questa volta preparata nella nostra rudimentale cucina a base di pasta al pomodoro e polpa di granchio e ancora la luna che questa volta vediamo sbucare dall’acqua e le stelle tutte.

06 Gennaio 2007

NORTHEAST CAYE

Un’altra bella giornata di sole ed il vento più debole…praticamente la perfezione. Cambiamo zona per il bagno oggi, proviamo il lato nord ma senza grande successo. Claudette che viene ogni tanto a trovarci per una sigaretta furtiva, all’insaputa di Alain dice che il posto migliore è oltre il pontile, ma l’incubo dello squalo mi fa desistere. Non è da me…. ma devo avere assorbito la paura di Vanni. Claudette nel frattempo si è informata per il rientro a Dangriga e le piratasse inglesi non mollano… vogliono estorcerci 350 US$ per il viaggio che avrebbe dovuto costare 50 US$ a testa! Il cuoco intanto, ascoltando le nostre lamentele dice che se non vogliamo spendere quei soldi possiamo iniziare a nuotare verso Dangriga sperando che uno squalo nel frattempo non ci divori! Siamo arrabbiati e stupiti per la violenza di quelle parole…pensiamo quindi ad una alternativa anche perché le brutte notizie si sommano. La novità è che madame vuole farci partire domani anziché lunedì perché ha già venduto le nostre due capanne a turisti che rimarranno per la settimana intera…da domenica a sabato, inoltre alle 7 della mattina perché uno stupido ragazzo made in USA ha l’aereo prestissimo e non è voluto andare via dall’isola questa mattina come tutti gli altri ospiti. Insomma le piratasse del XX secolo proprio ci fanno sentire più come ostaggi che come ospiti paganti …l’alternativa si fa necessaria! Riusciamo a telefonare a Mike, il nostro comandante del viaggio di andata e concordiamo per domani alle due del pomeriggio per 125 US$ a coppia. Almeno potremo rimanere un’altra mattina e risparmiare 50 dollari a coppia…magra consolazione…ma infondo consolante! Un bel tramonto , accomodati su due sedie proprio sul lato ovest dell’isola ed ancora una bella cena in capanna. Stelle e luna comprese.

07 Gennaio 2007

NORTHEAST CAYE – DANGRIGA – BELMOPAN

La mattina vola via nei preparativi…le piratesse desiderano che le capanne siano lasciate come le avevamo trovate…e questo non ci impegna poi molto. Ancora letture sulla spiaggia e cocco fresco amorevolmente preparato da Vanni , poi la partenza con un mare decisamente migliore. Arriviamo a Dangriga praticamente asciutti dopo una sosta a Tobacco Caye per un cambio barca ed una birra gelata. Il sole è ancora così forte che arriviamo bruciati alla nostra Carolina che per fortuna conserva ancora al suo interno la nostra enorme mole di bagagli. Paghiamo volentieri i 40 beliziani di parcheggio, ci congediamo da Claudette ed Alain , inaspettati compagni di “sventura”, scambio di indirizzi e-mail di rito e via verso Belize City di nuovo. Attraversiamo le ampie coltivazioni di arance, le colline dalle forme arrotondate ed all’imbrunire siamo alla periferia della capitale Belmopan, a solo un’ora di auto da Belize city… ma ci aspetta una sorpresina…Foriamo! Tragedia massima. Vanni inizia ad armeggiare con il crik mentre io punto il lieve alone di luce della torcia ormai scarica sulla ruota, quindi estrae quello che rimane del pneumatico, ridotto ormai ad un nero ammasso di gomma semibruciata. Ma la ruota di scorta che era sul tetto di Carolina non entra nel cilindro di sostegno ( -maledetti africani- borbotta Vanni) e l’altra ruota fissata sotto la macchina si è così ossidata nei meccanismi che la tengono che non si riesce a liberarla. Dramma! Riproviamo a fare entrare la ruota ungendo il cilindro con il prezioso burro di karité che estraggo dal trolley, ma nulla da fare, proprio i due cerchi non combaciano! Vanni sudato più che mai e sfinito per gli inutili sforzi rimonta la ruota forata e con Carolina claudicante percorriamo a ritroso un paio di chilometri fino ad incontrare un motel cinese con ristorante dove troviamo una camera per la notte.


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16 Messico


08 Gennaio 2007

BELMOPAN – TULUM

Finalmente un materasso come si deve, penso svegliandomi dal lungo sonno ristoratore. Vanni è subito scattante, si veste in fretta, porta amorevolmente una tazza di tè in camera e si precipita con Carolina dal gommista Texaco fortunatamente vicinissimo al motel. Rientra soddisfatto dopo un’oretta e partiamo con l’ambizioso obiettivo di raggiungere direttamente Tulum in Mexico, per un totale di 400 km e la frontiera da superare. Il tempo è variabile oggi e strada facendo qualche acquazzone rende l’aria così umida da essere irrespirabile. Ma procediamo spediti sulle buone strade del Belize e all’una siamo in frontiera. Perdiamo tempo per trovare i 75 beliziani da pagare per uscire dal paese . Ne abbiamo solo 51 e Vanni si rifiuta di cambiare 20 euro al cambio ovviamente svantaggiosissimo dei “cambiavalute” con look da barboni, aspettano come sciacalli fuori dall’ufficio de immigration , quasi mi arrabbio perché trovo inutile perdere tempo con una banconota da 10 euro in mano ad insistere con l’impiegata che continua a ripetere che accetta solo $ beliziani o US$..e ne mancano 24 o 12 a seconda del tipo. Infine Vanni esce arrabbiato e fa l’unica cosa possibile …si fa fregare 20 euro dagli sciacalli che gli danno in cambio 40 $ beliziani, l’equivalente di 20 US$, ma usciamo finalmente dal Belize. All’ingresso in Mexico l’auto viene ispezionata minuziosamente dai doganieri prima e dai militari dopo, ma nessuno di loro sa cos’è il Carnet de passage, quindi Vanni decide giustamente di approfondire l’argomento che potrebbe diventare un bel problema in uscita dal Messico e sparisce per un po’. Il sole cocente mi sta disintegrando ma non posso abbandonare Carolina e non ho un peso da investire in una bottiglia d’acqua, solo 16 $ boliviani che nessuno qui accetta. Mi spingo fino all’ufficio di cambio ma è deserto, mi riavvicino all’auto e Vanni è li. Mi racconta che l’ufficio era stato lasciato dagli impiegati per una breve pausa pranzo, così anche noi ci concediamo due hugos de pinia all’ombra di un ombrellone del bar vicino.Nel frattempo aveva prelevato dei pesos! Insomma le cose vanno per le lunghe ma alle 4 pm. ripartiamo con un bel timbro sul carnet e un adesivo sul parabrezza. Arriviamo a Tulum verso le 7 pm. e troviamo all’hotel Latino, grazie alle indicazioni di un italiano proprietario di un bel ristorante dove andremo anche solo per riconoscenza a cena. L’hotel è nuovo e molto carino, originale e ben progettato. La nostra camera, l’unica libera, è al piano terra accanto alla reception ed affaccia su uno stretto percorso aperto che disimpegna le camere del piano terra e che termina in un cortiletto con piscina. Una seconda fila di camere è al primo piano, collegate da un ballatoio di legno. I colori sono il bianco delle murature, il marrone del legno ed il grigio chiaro delle pavimentazioni esterne di cemento a vista. Il pavimento della nostra doccia è degno di nota…tanti sassolini nelle sfumature del marrone, del ruggine e dell’ocra sono fissati ad una base cementizia color caffelatte., la porta della doccia è costituita da canne intelaiate in legno. Mi piace! Il tutto per 400 pesos al giorno, cioè 40 US$…praticamente regalato. Ceniamo benissimo al ristorante Basilico, dove spendiamo per la cena più che per il pernottamento, ma Fausto è simpatico e ci ha dato un’ ottima indicazione. Ci racconta la sua storia di emigrato dall’Italia, dove guarda caso era anche lui gioielliere….come Claudio in Costa Rica o il brindisino incontrato a Boca de Toros (Panama). Vive qui da sei anni ma non conosce il resto del Messico, dice. Però ci consiglia il Chapas e sconsiglia vivamente Cancan come previsto. Ci congediamo dopo le chiacchiere ormai di rito con i ristoratori italiani all’estero e rientriamo nella nostra cameretta che odora di muffa, dove crolliamo di nuovo su un comodo materasso.

09 Gennaio 2007

TULUM

Anche oggi il tempo è variabile…ma quando arriviamo in spiaggia al “Paradiso” consigliatoci da Fausto, addirittura peggiora e ci ritroviamo a ripararci dalla pioggia  sotto l’ombrellone di canne, a  giocare a backgammon . Il mare è spettacolare, la sabbia color avorio e palme  sembra tutto perfetto ma siamo circondati da italiani che detesto incontrare all’estero. Dal baretto si diffonde musica tecno….insomma l’atmosfera sembra più global che caraibica! Dopo un paio d’ore consumate tra un club sandwich, due chiacchiere e Terzani rientriamo all’hotel , inutile andare al sito archeologico con questo tempo! Sono le 5.30 pm.e già la luce svanisce. Non c’è poi molto da fare in questo piccolo paese di Tulum, se non vedere il sito maya o andare alla spiaggia, rimangono solo una puntatine all’ internet point  o due passi lungo la larga strada principale piena di negozietti di artigianato e non, ristoranti che propongono cucine tipiche di ogni angolo del mondo ed invitanti  baretti talvolta vivacizzati con musica dal vivo. Il gruppo musicale tipo è rappresentato da un paio di non più giovani signori con chitarra che cantano alcune orecchiabili ballate messicane. Optiamo per Internet dove poi il ristorante messicano dal nome promettente “ el mariachi “, ma di suonatori nemmeno l’ombra! Assaggiamo alcune specialità messicane a base di tortillas e verdure per me , carne per Vanni., che termina la cena con due ottime techile che anch’io assaggio …decisamente migliori senza limone e sale. Non ci faranno poi così male..abbiamo appena finito di cenare!

10 Gennaio 2007

TULUM

Le previsioni viste ieri in tv non sbagliavano..oggi ci svegliamo con un bel sole cocente e qualche nuvola…l’ideale per la visita al sito archeologico. Vanni rientra dalla sua colazione al bar e dopo poco siamo in macchina a percorrere i pochi chilometri che ci separano dal sito. Il parcheggio pieno di auto promette affollamento ed infatti c’è fila alla biglietteria. Entriamo costeggiando le antiche mura maya che delimitano il sito sui tre lati liberi dal mare. Larghe 5 metri, con torrette angolari, hanno tre porte di accesso all’interno, che vista la larghezza delle mura sembrano piuttosto dei piccoli tunnel. La visita si sviluppa su di un percorso obbligato che non consente di avvicinarsi agli edifici, le cui decorazioni a basso rilievo scorgiamo solo attraverso il binocolo che Vanni, lungimirante, ha portato con se. Bellissima la scogliera che difende naturalmente il lato est di questo centro cerimoniale, e l’edificio principale che vi troneggia alto. Il colore del mare è indescrivibile, la sabbia come sempre color avorio…noi, che veniamo da Copàn e Tikal siamo piuttosto delusi, almeno ci avessero fatto vedere bene quello che c’era da vedere! Ma non disperiamo avremo altri bellissimi siti da vedere. Andiamo direttamente in spiaggia, anche oggi al “Paradiso”, tra palme e musica oggi gradevolmente soft. Le nuvole non mancano e il vento è forte. Batto Vanni in una partita tiratissima a backgammon per 3 a 1.

11 Gennaio 2007

TULUM – PLAYA DEL CARMEN – VALLADOLID

Lasciamo Tulum quasi a malincuore…questo vivace paesino dalle belle spiagge ci ha in qualche modo affascinati. Solo 60 km ci separano da Playa del Carmen che già sappiamo essere una sorta di Milano Marittima dello Yucatan. Comunque andiamo, in fondo è vero che la speranza non muore mai e la nostra curiosità diventerà proverbiale tra gli amici per i numerosi tentativi di trovare, vedere, conoscere, non sempre andati a buon fine. Il cielo spazia tra il grigio e l’azzurro intenso… e siccome siamo ottimisti la interpretiamo come una promessa di bel tempo. Ma eccoci alla Playa del Carmen, dove visto l’ambientino ci fermeremo non più di un’oretta, il tempo necessario a far rettificare il cerchione africano da Victor Nava…noto rettificatore dello Yucatan. Per la prima volta in vita mia prendo coscienza che esistono i rettificatori ed anche che non sono mai puntuali. Una passeggiata sulla spiaggia ventosa ed un’occhiata agli edifici di ogni genere, costruiti proprio a ridosso ….non proprio M.M., forse più Rimini, ma quando torniamo da Victor il cerchione è ancora come l’abbiamo lasciato. Aspettiamo in auto altre due ore prima di ripartire, quasi fuggiamo verso Valladolid, sosta quasi obbligata per la visita al famoso sito Maya di Chichen Itzà che rimandiamo con calma a domani. Un’ autostrada collega Cancun, dove ci rifiutiamo persino di entrare, a Valladolid e Merida, decidiamo di viaggiare comodi e scegliamo la carretera cuota, cioè strada a pagamento. La comodità di questo tipo di strade sta principalmente nel fatto che visto il costo sono praticamente deserte, 185 pesos per 170 km! Mancano circa 50 km all’obiettivo quando ecco che Carolina inizia a sbandare e ad emettere un acuto degno di una grande soprano…insomma foriamo di nuovo! Nella mia vita non ho mai visto un pneumatico così malconcio, la camera d’aria è fuoriuscita da quello che rimane del suo involucro, una ragnatela di fibre nere. Altro che foratura, si è trattato di un’esplosione! Vanni pazientissimo esegue l’ormai noto rito della sostituzione della ruota senza imprecazioni questa volta. Sempre la stessa ruota posteriore sinistra. Ci viene anche da pensare che sia la maledizione dell’idolo Maya di terracotta comprato ad Atitlàn, di cui guarda caso strada facendo, si sono rotte proprio le due piccole ruote posteriori…ma stiamo delirando! A Valladolid alloggiamo per soli 555 pesos all’hotel “ El Mesòn del Marquès”, che occupa una antica casa coloniale. Non male ma le lenzuola non sono pulitissime. Ceniamo nel patio dell’hotel, con fontana centrale immersa nella vegetazione. Ottima cena a base di Guacamole, filetto di Maro alla veracruzana e tequila.

12 Gennaio 2007

VALLADOLID

Ci svegliamo sempre presto da un po’ di tempo …del resto la sera andiamo a letto con le galline. 9.30 max 10 p.m.! Il programma di oggi prevede la visita di Chichen Itzà dove arriviamo verso le 10.30. Questo famoso sito maya dista una cinquantina di km da Valladolid ….non siamo proprio sereni ora con Carolina, un orecchio va sempre ad eventuali rumori sospetti, ma arriviamo al parcheggio ed entriamo tra i tanti turisti che affollano il sito. La piramide che ha reso famosa Chichen Itzà si staglia imponente sul prato alla nostra destra ma non vedo nessuno salire….non ci posso credere, anche qui gli edifici sono inaccessibili ed in questo caso la cosa è ipercastrante perché ricordo di aver visto all’interno della piramide un bellissimo sedile a forma di ghepardo rosso con innestate giade verde intenso a crearne una sorta di simbolica maculatura. Praticamente l’oggetto più bello del sito non sarà visibile…sono già demotivata a continuare la visita, ma poi la curiosità ed il buonsenso vincono e proseguiamo senza aver visto la “gioconda”. Non rientriamo subito in paese, ci fermiamo al Cenote Dzitnup, praticamente una sorgente di acqua sotterranea con stalagmiti ed un foro nella calotta soprastante che ne fa filtrare un po’ di luce naturale. Un paio di ragazzi fanno un bagno nell’acqua gelida della sorgente, in compagnia di alcuni pesci neri. Ceniamo ancora in hotel con la variante del flan questa volta…praticamente un buonissimo crème caramel.

13 Gennaio 2007

VALLADOLID – MERIDA

Decidiamo per la carretera cuota, più sicura e con meno topes ( dossi ) che sulle strade normali sono frequentissime. Già alla periferia iniziamo a scrutare, stiamo cercando un gommista per Carolina, ma la ricerca va per le lunghe…non esistono a Merida pneumatici della misura giusta! Ma non possiamo più aspettare e dopo lunghe valutazioni Vanni opta per le solite Pirelli Scorpions anche se un po’ più grandi. Alle 14.30 Carolina scivola sull’asfalto della calle 60 verso il centro, vogliamo tentare al Grand Hotel che leggiamo risalente al 1901. Un pezzo d’antiquariato insomma. Vedo alcune camere e scelgo la 11 al primo piano con vista sulla piccola piazza frondosa e con cattedrale prospiciente. L’arredo è decò, il mobile da toelette favoloso con il suo ardito specchio circolare posto in posizione asimmetrica., i pavimenti di ceramica finemente decorati e i due lettoni comodi. Le stanze sono disimpegnate da un largo ballatoio su due piani che affaccia su una corte interna quadrata. Le porte di accesso alle camere sono altissime ed inserite all’interno di una imponente cornice di legno con motivi decorativi classici. Ci tuffiamo volentieri in questo passato troppo lontano per appartenerci, mentre dalla piazza arrivano i suoni di un gruppo di suonatori. Siamo proprio fortunati …il portiere ci dice che inizia proprio oggi la festa maya che si protrarrà per una settimana intera con musica spettacoli e mercatini nelle principali piazze e strade del centro storico che per l’occasione verranno chiuse al traffico. Siamo insomma nell’epicentro della festa…e ne approfitteremo. Merida è proprio carina, vi si respira un’aria proprio messicana, con le sue piazzette piene di alberi e di gente, gli edifici coloniali e la gente cordialissima. Come non rimanerne conquistati ? Intanto siamo scesi al piccolo ristorante sulla piazza dove Luis, un imbonitore gentilissimo che lavora qui, ha già scritto su un foglio i posti dove andare a sentire i concerti questa sera e soprattutto dove andare a comprare quella che io conoscevo come cucaracha e che invece scopro chiamarsi Machech , praticamente uno scarafaggio portafortuna con perline appiccicate sul dorso che le signore coloniali di qualche secolo fa indossavano come spille vive sui loro decolleté. La tradizione è sopravvissuta nei secoli ed ancora oggi si possono trovare questi Machech, ma non è stagione e il mio scarafaggio mi verrà consegnato solo lunedì mattina. Cena a suon di musica da Luis e passeggiata .

14 Gennaio 2007

MERIDA

Ci svegliamo tardi e alle 10.30 siamo da Luis per la colazione all’ombra degli alberi della piazza. Alle 12 concerto al teatro Peòn Contreras dove ascoltiamo un Bolero di Ravel mal eseguito, un noiosissimo Brahms ed un inaspettatamente bel pezzo di Mussorgsky. Poi passeggiata con gelato e screzio con Vanni che mi fa pesare ogni boccone di cibo che ingerisco….nemmeno lui fosse un figurino! Ciondoliamo per le vie del centro tra un’esposizione di arte contemporanea ed una bancarella di artigianato.

15 Gennaio 2007

MERIDA – ESCARCEGA

Il Ritmo è lento, ci siamo fatti prendere dai non ritmi del sud del messico. Andiamo per il machech ma il mio referente non è nemmeno in negozio, mi viene dato però un altro indirizzo, un mercato coperto all’angolo tra la calle 65 e la 60 e lì, dentro un secchio, ne vedo con mia grande soddisfazione, almeno una decina. Tra i tanti ne scelgo due . Hanno brillantini variopinti incollati sul dorso e una catenella dorata che li fa sembrare dei forzati. Dopo una breve contrattazione il commerciante introduce dei legnetti umidi dentro due contenitori di plastica trasparente, poi i due machech, quindi richiude i barattoli mentre mi dice quante volte devo bagnare i pezzetti di legno. Sono felicissima! Finalmente dopo 20 anni ho di nuovo questi graziosi insetti che non vedo l’ora di sentire camminare sulla mia pelle. Non è poi così strano se si pensa che questa tradizione del machech si è consolidata nei secoli. Vanni nel frattempo ha saputo che Luca, il figlio di Guido il keniota è qui a Merida da un anno a gestire un piccolo ristorante, l’ “Iguana Bianca”. Andiamo per un doveroso saluto che si protrae per una mezz’ora. Di madre cubana e padre italo keniota, ha vissuto 10 anni a Milano, 4 a Miami ed è infine approdato in questa tranquilla cittadina messicana dalla quale dice è difficile muoversi se non chiudendo il locale. Chi lascia non trova più nulla qui..o meglio trova altri inquilini, abusivi, che hanno approfittato della situazione. Ci lascia vagamente commosso….insomma qualcosa gli manca…Cuba?..l’ Italia?…non si sa, ma la scelta che ha fatto è senz’altro difficile. E’ da poco passato mezzogiorno, il progetto di raggiungere Palenque oggi svanisce come un miraggio. Decidiamo di fermarci strada facendo, in fondo incroceremo qualche paese. Mentre percorriamo queste strade sempre uguali immerse nella vegetazione all’improvviso un mare immobile e scuro ci appare sulla nostra destra. E’ il Golfo del Messico che così calmo sembra più che altro una lastra di ossidiana ben levigata. In cima ad alcuni pali di legno vicini alla riva grossi pellicani stanno immobili come in attesa di qualcosa..forse dell’acquazzone che il cielo grigio promette di scaricare a breve. E’ quasi il tramonto quando ci fermiamo a Escarcega, un piccolo paese che non ha nulla da offrire….nemmeno un albergo decente. Unica consolazione l’aver speso solo 35 US$ per la camera, nella quale rimaniamo lo stretto necessario. Dopo aver fatto sgranchire le 16 zampette a Chac e Ha, i due machech, ai quali abbiamo dato nomi altisonanti, rispettivamente il dio maya della pioggia e dell’acqua, andiamo in giro per il paese in cerca di qualcosa…tipo un bar o un ristorante. Ma è più facile a dirsi che a farsi….dopo una lunga passeggiata il bilancio è di un solo ristorante dalle cui finestre vediamo i tir passare a pochi metri da noi…ma abbiamo una fame da lupo! Ci soffermiamo dopo la cena a sfogliare interessanti libretti sul Chapas ed a parlarne con il proprietario, mentre la cameriera mi dice che non c’è nessun dessert da mangiare….troppo lusso!

16 Gennaio 2007

ESCARCEGA – PALENQUE

Vanni è già vestito per la colazione e sono solo le 7.30., se lo sapesse la Germana non ci crederebbe! Il ristorante di fianco all’hotel dovrebbe essere aperto da un’ora, come garantitoci ieri dalla cameriera intervistata da Vanni al proposito. Invece lo vedo rientrare deluso, con una bottiglia di agua de pinia (sa che adoro l’ananas), il ristorante è chiuso… la cameriera non doveva essere molto informata degli orari del ristorante dove lavora…Insomma la colazione è andata così, con un caffè bevuto al volo in un bar. Poco male, ci aspetta il Best Western di Palenque ad un paio d’ore di viaggio…la catena preferita da Vanni per via del rapporto qualità prezzo che offre ma soprattutto per i punti che ogni volta vengono caricati sulla sua tessera…questo lo fa impazzire! Al “ Maya Palenque” occupiamo una camera d’angolo al secondo piano, con due grandi finestre che affacciano sulla foresta, due lettoni e la tv satellitare, il tutto per 55 US$. Certo nel nostro peregrinare non è capitato spesso di arrivare così presto in un hotel. Sono solo le 11 del mattino, molti hotel hanno il check-in alle due del pomeriggio…ma la camera è libera e ci viene assegnata subito. Poco dopo siamo al sito archeologico….Vanni dice che ormai non ne può più degli antichi Maya! Appena scesi dall’auto un bambino si propone, in cambio di una mancetta, per la sicurezza di Carolina, ed un ragazzo di età indefinita di nome Lopez come guida per la visita. Il rito del corteggiamento del turista è sempre lo stesso ovunque, iniziano a pronunciare qualche parola in italiano mentre offrono i loro servizi quasi sempre scadenti a prezzi altissimi. Segue la contrattazione e poi si entra finalmente nel sito con o senza di loro. Questa volta assoldiamo Lopez che sfoggia subito un bel sorriso di soddisfazione. Sono poverissimi qui in Chiapas! Lopez è piuttosto timido e non molto informato, Vanni non gli perdona nulla e lo corregge ogni volta che sbaglia clamorosamente una parola in italiano, tutti questi siti iniziano ad innervosirlo! Credo che ad un certo punto Lopez abbia persino dubitato di ricevere la sua propina di 30 US$. Comunque lo seguiamo arrampicandoci sui ripidi scalini dei vari templi di questo bel sito immerso nella foresta. Molte di questi bellissimi edifici conservano ancora le tipiche coperture crestate, ed i bellissimi bassorilievi in stucco o scolpiti nella pietra, vediamo i loro letti di pietra, i bagni del palazzo reale ( simili a quelli degli antichi romani), i loro rudimentali bagni turchi e l’osservatorio, immancabile nei più importanti insediamenti maya. Grandi astronomi e matematici, avevano calcolato con grande precisione la durata dell’anno solare, ed il loro calendario era a quel tempo ( 100 a.c.- 900 d.c.) molto più preciso del nostro. Chi l’avrebbe mai detto! Certo queste notizie difficilmente trapelano in Europa. Al tempio del sole Lopez ci lascia, il suo lavoro termina qui. Proseguiamo verso il museo attraverso il percorso ecologico, un sentiero immerso nella fitta vegetazione che costeggia il fiume, l’ acquedotto all’antica città. Arriviamo al museo stremati, ma un piatto di quesadillas ( tortillas ripiene di formaggio fuso) e una coca cola ci rimettono in sesto. Il museo è ricco di begli oggetti recuperati dal sito di palanche. Gli incensari, che servivano a colloquiare con l’inframondo, sono di argilla con una serie di facce un po’ arcigne l’una sopra l’altra. Le più comuni quella del serpente-giaguaro, di Chac, e del quetzal….l’uccello sacro ora estintosi. Rientrati ceniamo in un tipico ristorantino del paese, con tovaglie coloratissime e scarafaggi sul pavimento. Mangiamo malino e la dissenteria è assicurata. Ci consoliamo con dell’ottimo sesso.

17 Gennaio 2007

PALENQUE – AGUA AZUL

Ancora sesso e colazione in hotel poi si parte per le famose cascate di Agua Azul. Il cielo non promette nulla di buono ma procediamo lungo la serpeggiante strada che ci offre bellissimi scorci sulle montagne coperte di vegetazione. Vediamo anche dove vivono i maya del Chiapas oggi…capanne coperte di lamiere sono la norma qui….maiali, polli e tacchini razzolano tranquilli ai bordi delle strade. Gruppi di giovani ragazze sedute sulla soglia di casa osservano il traffico, altre offrono frutta sbucciata dentro sacchetti di plastica agli automobilisti che rallentano in prossimità delle topas ( dissuasori ) disseminate lungo i centri abitati che Vanni non sempre vede! Invece vede una pelle di serpente appesa ad un bastone ai bordi della strada, rallenta, fa retromarcia per poter vedere meglio ma non c’è nessuno a cui chiedere e così andiamo oltre. Avvicinandoci alle cascate di Agua Azul il tempo peggiora e quando scendiamo da Carolina addirittura piove. Muniti di ombrello e kway affrontiamo la breve passeggiata verso le cascate, belle ma poco azzurre haimè visto il cielo grigio. Vanni fa qualche acquisto, io do una crosta di formaggio ad un cane spelacchiato che circola nel parcheggio. Ciondoliamo un po’ speranzosi che il tempo migliorerà, ma dopo un’ora ripartiamo. Naturalmente Vanni non ha dimenticato la pelle di serpente ed anzi strada facendo cerca di ricordare dove fosse. Vista! Frena e suona il clacson per vedere se qualcuno arriva, intanto io scendo per vedere meglio e vedo che non c’è solo la pelle..si tratta invece di un serpente sbudellato messo ciondoloni su un bastone. Una famigliola di indios arriva camminando sul bordo della strada, chiedo loro del serpente. Non è semplice farsi capire da un indio che vive dentro la foresta del chapas….la loro lingua non è lo spagnolo e …nemmeno la mia. Ma quando si vuole qualcosa non ci sono barriere e con un po’ di spagnolo e molta mimica riesco a far capire loro che ciò che vogliamo non è il serpente intero ma solo la sua pelle conciata. Non è bastata la multa di 2000 € per la pelle di puma concolor presa un anno fa! Comunque ci accordiamo per 600 pesos (60 US$) al ritiro della pelle che sarà tra 5 o 6 giorni. Lasciamo loro un acconto di 100 pesos perché capiscano che non è uno scherzo e ci congediamo ridendo sotto i baffi. Di fronte a certe cose non riusciamo proprio a trattenerci. Una visitina ad un villaggio Zapatista dove i bambini seguono correndo e ridendo la macchina, come fosse un gioco divertente….poi di nuovo l’hotel di Palenque. Metto in libertà i machech perché si sgranchiscano le zampette poi batto Vanni 3 a 0 a backgammon . Cena in hotel per non rischiare ulteriori dissenterie…quella di oggi è bastata!

18 Gennaio 2007

PALENQUE – YAXCHILAN – BONAMPAK

Oggi la giornata sembra migliore, il clima ci è favorevole e il mio look a maniche lunghe decisamente eccessivo. Dopo una breve telefonata alla mamma ricomincia il viaggio, i chilometri scorrono leggeri tra una topa e l’altra che non sempre vediamo. Lungo il percorso ci accompagnano le solite capanne di legno nelle quali ci chiediamo come facciano a vivere questi poveri indio. Le condizioni igieniche devono essere davvero minime. Latrine esterne di legno senza scarichi, gli animali da cortile che razzolano ovunque. Vediamo anche un gruppo di militari in borghese che corrono probabilmente per allenarsi con i loro fucili in braccio. Attorno a noi il verde è lussureggiante ed ogni tanto una cascata si intravede tra la vegetazione. Arriviamo a Bonampak verso l’una del pomeriggio. Per raggiungere le rovine dobbiamo lasciare Carolina e salire su un collettivo che veloce percorre i 9 km di distanza. Il sito visitabile è molto più piccolo di quelli finora visti e quasi deserto solo noi due ed una coppia di ragazzi con la loro guida. Subito vediamo una pista di atterraggio erbosa che attraversiamo, ed un vecchio Cesna parcheggiato sotto un albero. Subito Vanni fa la fantasia di raccontare al rientro del nostro arrivo a Bonampak in aereo, proprio come gli archeologi di passaggio qui dalla scoperta del sito. L’alta acropoli domina una grande piazza erbosa sulla quale campeggiano due grandi stele decorate. Gli edifici sono tutti sul lato Nord , vi si accede attraverso le ripide scalinate tipiche dell’architettura maya, sulle quali ci avventuriamo per raggiungere l’edificio principale. Si tratta del tempio con gli affreschi, costituito da tre piccoli ambienti coperti con false volte. Le pareti sono interamente ricoperte da affreschi risalenti a 1300 anni fa e in ottimo stato di conservazione. Sono rappresentati riti cerimoniali con danzatori e suonatori in parata, guerrieri che vittoriosi sottomettono il nemico, scene di tortura che per fortuna non risultano perfettamente visibili. Anche se siamo in mezzo alla foresta e l’umidità è forte, in questa piazza ombreggiata l’aria è piacevolmente fresca . Dalla scatola di metallo estraiamo la nostra modica quantità di tabacco e ci concediamo una sosta rigenerante. Si riparte per Yaxchilan, il cui nome ci ricorda qualcosa…con un piccolo esercizio di memoria eccoci dopo poco alla soluzione dell’enigma, si tratta di Ksar Ghilan, un’oasi nel deserto tunisino, il cui nome suona proprio simile a Yaxchilan. Seguendo le indicazioni arriviamo al centro eco-turistico “Escudo Jaguar” dove la strada in prossimità del fiume si interrompe. Scopriamo che le rovine alle quali siamo diretti si trovano a 40 minuti di battello da qui, attraverso il fiume, quindi per oggi non se ne parla. Certo la Lonely Planet nonostante tutti i suoi difetti ci avrebbe risparmiato l’inconveniente. Prendiamo una cabana e prenotiamo la lancia per domani mattina alle 9. Mentre sostiamo ancora basiti davanti all’ufficio turistico incontriamo Marco e Laura, viaggiatori toscani con una discreta conoscenza del sudamerica. Rimaniamo a chiacchierare delle rispettive esperienze di viaggio per almeno un’ ora e impietositi ci regalano la loro guida Routard del Messico. Per ricambiare tanta generosità li invitiamo poi a cena, in fondo è un’ occasione per poter proseguire l’interessante scambio di opinioni. Buona notte.

19 Gennaio 2007

YAXCHILAN – LAS NUBES

La giornata inizia con 40 minuti di lancia per risalire il fiume Usumacinta fino alle tanto attese rovine di Yaxchilan. Il fiume è larghissimo e limaccioso, ogni tanto traballiamo un po’ sull’ affusolata piroga a motore sulla quale siamo gli unici passeggeri. Abbiamo freddo, l’aria della mattina qui è davvero fresca e noi come al solito non abbiamo pensato di aggiungere qualcosa alla solita maglietta. Arriviamo finalmente, e ci incamminiamo attraverso un sentiero che si snoda lungo la foresta Siamo soli….attorno a noi solo silenzio e la natura rigogliosa. La situazione paradisiaca improvvisamente si complica, il sentiero ci porta ad un antico edificio, detto il labirinto, che dobbiamo attraversare per entrare alla plaza central , Vanni è andato avanti ed io mi trovo nel buio totale di questo stretto corridoio, non vedo nulla ma sento lo squittio dei pipistrelli sopra la mia testa. Non so dove mettere i piedi e così aziono il flash della minolta. Sento la voce di Vanni e vedo un chiarore che seguo, dopo pochi passi e due scalini si spalanca di fronte a me la grande piazza erbosa delimitata sui due lati dagli edifici che costituiscono il cuore dell’antica città maya che vide il suo periodo di massimo splendore tra il 400 ed il 900 d.c. Esploriamo gli edifici, vediamo le stele scolpite a bassorilievo e soprattutto respiriamo la magia di questo luogo ancora deserto. Solo il grido di una scimmia urlatrice ad accompagnarci. Ci arrampichiamo sull’immancabile scalinata che conduce al tempio 33, l’unico che conserva intatta l’alta cresta di mattoni, il più suggestivo di questo sito. Poi la lunga passeggiata attraverso la foresta per raggiungere anche i gruppi di edifici più lontani. I piedi appoggiano a volte su pietre scivolose o radici, l’umidità qui sotto è altissima. Arriviamo sudati ma felici all’approdo dove Juan ci aspetta per il rientro. Ora il fresco del fiume è piacevolissimo e ce lo godiamo seduti l’uno di fronte all’altra osservando il paesaggio che sfila sotto i nostri occhi.. Ma ecco, Juan ha una sorpresa per noi….sulla sponda guatemalteca vediamo coccodrilli che aspettano una qualche preda da divorare. Rientriamo davvero rinvigoriti per la bella energia assorbita camminando tra gli alberi sacri di Yaxchilan. Si riparte verso Las Nubes che vediamo sulla cartina vicinissimo alla laguna Miramar.che ci interessa vedere…ma sbagliamo strada…anzi, seguendo i cartelli stradali ci ritroviamo su una strada ancora in costruzione ma ormai siamo andati troppo oltre e non conviene tornare indietro. Insomma la strada è quasi interamente sterrata e spesso in pessime condizioni ma ci consente di attraversare le bellissime pendici della sierra con paesaggi davvero mozzafiato. Arriviamo a Las Nubes quando anche l’ultimo raggio di luce si sta spegnendo, per scoprire che la laguna Miramar è a sei ore di viaggio…1 di auto, 3 di lancia e 2 di treking. Rimandiamo a domani la decisione, per il momento ci accomodiamo nella nostra spartana cabania dalla quale sentiamo forte il fragore della cascata a pochi metri da noi. Unici ospiti di questo villaggio ecologico concordiamo la cena con la signora indio che gestisce il ristorante. Mangiamo divinamente i manicaretti tipici del posto e poi a letto.

20 Gennaio 2007

LAS NUBES – SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

La decisione è di non andare alla laguna ma di proseguire verso San Cristobal de Las Casas con una piccola deviazione per visitare una chiesa di cui ho visto uno scampolo di facciata in una foto qualche giorno fa. E’ stato amore a prima vista quindi una sosta si pone necessaria. Arrivati nei pressi non vediamo nessun paese, solo qualche casa sparsa ed un cartello che indica di seguire una improbabile strada sterrata che seguiamo. Dopo un paio di chilometri un cancello chiuso ci sbarra la strada quindi torniamo indietro fino ad un bivio. Dobbiamo a tutti i costi trovare la chiesa, proviamo a seguire l’altro sentiero che però si interrompe vicino ad una pozza d’acqua, dove tre ragazze a mollo fino a metà coscia stanno facendo il bucato. Altro che lavatrici! Chiediamo notizie della chiesa , ci rispondono di aprire tranquillamente i cancelli che incontreremo e di proseguire oltre. Dopo un paio di stop ecco vediamo tra l’erba alta dei campi quello che rimane della bella chiesa di San Josè Coneta. Apriamo l’ultimo cancello fatto di legno e filo spinato e, facendoci strada tra l’erba alta, arriviamo proprio di fronte al portale di ingresso. Non è rimasto quasi nulla di questa che doveva essere la pieve dell’antico borgo, solo i muri perimetrali e la facciata che mi piace da morire per le sue proporzioni ed i decori in rilievo. Una cosa che mi ha colpita osservando le chiese di questa parte del Messico è che i decori di facciata, quando presenti, hanno soggetti che si discostano da quelli tradizionali dell’iconografia cattolica classica. Sono grandi uccelli piumati che sembrano draghi o fiori e foglie rotondeggianti a formare texture bianche sull’intonaco talvolta colorato. Sono così somiglianti questi soggetti ai ricami delle loro grandi sciarpe che vien da pensare che qui il cattolicesimo abbia dovuto anche da un punto di vista estetico adattarsi alle tradizioni locali preesistenti. Ritorniamo sui nostri passi percorrendo a ritroso il viottolo di campagna. Siamo diretti a San Cristobal de Las Casas città coloniale sulla Sierra del Norde del Chiapas a ben 2200 m di altitudine. L’aria si fa sempre più pungente e la giornata di digiuno si fa sentire….inizio ad infamare Vanni per questo digiuno forzato che mi ha davvero esasperata. Scazzo totale. Non riesco nemmeno a concentrarmi sulla scelta dell’hotel e quando finalmente riesco a mettere una quesadilla sotto i denti mi prende anche per il culo lanciandomi un – se magna! -…sono già le 5 p.m. e l’ultimo boccone è stata l’ ananas di questa mattina alle 8. Se potessi me lo mangerei il Vanni!Alla fine scegliamo l’hotel Ciutad Real , l’unico con calorifero elettrico n camera ma piuttosto caro vista la media dei prezzi…1500 pesos per 2 notti. Ceniamo in un ristorante consigliato da Routard che però ha cambiato gestione e mangiamo male ma finiamo poi in un posticino carinissimo con musica dl vivo. Un gruppo esegue brani tra il jazz ed il reggae, il clima è piacevolmente internazionale, piacevolissima serata al “Revolution”.

21 Gennaio 2007

SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

E’ domenica oggi…giornata di mercato nel vicino San Juan Chamula dove andiamo presto per assistere ai riti religiosi delle comunità Tzotziles e Lacandona, i discendenti maya di queste regioni. Quello che vediamo all’interno della chiesa del paese (ingresso a pagamento) è davvero speciale. Nessun crocifisso sull’altare, solo una fila di santi dentro teche allineate sui lati dell’unica navata. Centinaia di ceri e candele di ogni dimensione e colore sono accese ad occupare parte del pavimento o a ricoprire l’intera superficie di grandi tavoli. Odore di incenso. Le parti di pavimento non occupate da candele o da indios seduti a terra, sono coperti di aghi di pino, per loro sinonimo di purezza Non esistono panche in questa chiesa, né crocifissi, gli indios non hanno mai accettato completamente la religione cattolica, ne hanno solo acquisite le figure dei santi ai quali poi hanno attribuito valenze del tutto pagane. Alcuni uomini vestiti con corti ponchos di lana neri legati in cintura, eseguono riti ai piedi dei santi, altri praticano lo sciamanismo su alcune donne inginocchiate. Passano vicino ai loro corpi polli vivi tenuti per le zampe ed il collo come in una sorta di danza. Sono tanti gli indio inginocchiati o seduti, tutti vestiti con i loro poncho o gonne di lana nera dal pelo lungo, non so perché ma mi commuovo, abbraccio Vanni e scoppio in un pianto liberatorio…di cosa io mi sia liberata non so proprio, ma poi sto benissimo. L’atmosfera raccolta e festosa dell’interno non è nulla rispetto a ciò che succede fuori, nella piazza del mercato. Questi pazzerelli fanno esplodere dei botti in un mortaio di ferro, mentre una processione di indios negli abiti tradizionali, sfila a dorso di mulo o a piedi davanti alla chiesa ed all’edificio di fianco. Che emozione! Si aggirano nella piazza del mercato e sotto un porticato laterale, i cacicchi vestiti con un poncho bianco legato in vita e armati di randello. Una sorta di vigilantes pronti a scattare all’attacco dei turisti irrispettosi che osano fotografare i loro riti. Ci sediamo davanti ad una fila di loro, stanno seduti sotto una pensilina, sono anziani e indossano tutti lo stesso abito tradizionale. Hanno l’aria serena e felice, bevono tequila e fumano sigarette…sono i giudici delle tribù. Gli indios che per un qualche motivo abbiano problemi con la moglie o con altri indios , si rivolgono a questo tribunale di anziani che giudica senza possibilità di appello le varie responsabilità . Sono incredibili! Rientriamo a San Cristobal per vedere le belle chiese e gustare il passeggio domenicale. Club Sandwich in camera e più tardi al Revolution.

22 Gennaio 2007

SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

Oggi abbiamo appuntamento con Alfonso per ritirare la pelle di serpente che nel frattempo dovrebbe avere conciato. Ci separano da lui circa 160 km di montagna ed una quantità imprecisata di odiosissime topas…è una follia andare ma la voglia di avere quella pelle dissipa ogni titubanza. Dopo quasi quattro ore di viaggio siamo nei paraggi ma non riusciamo a riconoscere il punto esatto dell’appuntamento. Sono loro a trovarci…ad un certo punto una corda tesa ci sbarra la strada, una indio si avvicina al finestrino e chiede il mio nome. Mentre le rispondo la riconosco e con un sorriso di gratitudine scendo da Carolina. Prepariamo i 500 pesos che ancora dobbiamo loro a saldo del prezzo concordato e andiamo seguendola, sull’altro lato della strada. Dalla vegetazione esce Alfonso con la pelle di serpente arrotolata attorno ad una scatola di Pringles. Non oso toccarla, sembra ancora viva. Inizia una specie di contrattazione…l’indio cerca di fare il furbo chiedendoci 1600 pesos anziché i 600 concordati, adducendo a motivo la particolare bellezza di questo serpente del quale ci dice anche il nome impronunciabile che immediatamente dimentichiamo.. Ma non molliamo e gli lasciamo i 500 pesos in cambio del bottino chiuso dentro un sacchetto di plastica. Agua Azul è a pochi chilometri e la voglia di rivedere quelle belle cascate con il sole ci convince a deviare di qualche chilometro. Otto ore in macchina senza mai scendere a fare due passi sono decisamente troppe…ne approfitto mentre Vanni preferisce rimanere in macchina dicendo che quelle cascate in fondo le ha già viste anche se in condizioni climatiche sfavorevoli. Io invece mi spingo oltre, seguendo il corso del fiume azzurro mosso dalle innumerevoli cascate. Cammino tra gli alberi che ne seguono la riva. Che differenza di colori rispetto alla prima sfortunata visita! Sono proprio contenta di rivedere questo bel posto in condizioni climatiche più favorevoli… ed anche vagamente invidiosa di questi che si tuffano nelle tranquille pozze d’acqua di questo fiume azzurro…..ma la pigrizia ahimè vince sempre . Rientrando verso San Cristobal ci fermiamo in un negozio che, leggiamo, vende ambra. Vanni riesce ad acquistare un bel pezzo di ambra gialla da 500 grammi ad un ottimo prezzo, 15 pesos al grammo rispetto ai 20 di un negozio a San Cristobal. Un affarone. Proseguiamo tra le montagne lungo la strada tortuosa ed arriviamo finalmente in hotel piuttosto stanchi ed affamati. Una pizza da Tito e rientriamo nel calduccio della nostra 207.

23 Gennaio 2007

SAN CRISTOBAL – MITLA

Che dire di oggi…tutta la giornata trascorre in macchina per raggiungere Oaxaca a 600 km da San Cristobal…un’altra follia, soprattutto considerando che anche ieri abbiamo trascorso l’intera giornata in viaggio. Non raggiungiamo però Oaxaca, ci fermiamo a Mitla , famoso sito archeologico che ci capita proprio sulla strada che stiamo percorrendo. La sosta si rende necessaria, è già l’imbrunire quando raggiungiamo l’hotel Don Cenobio. Inizia l’operazione serpente. Vanni va a prenderlo in macchina e lo srotola dal cilindro delle Pringles, ma è accartocciata, evidentemente l’indio non ha fatto un buon lavoro. Non sapendo cosa farne, Vanni scrive ad alcuni amici in cerca di consigli che arrivano dopo poco. Usciamo allora per reperire gli strumenti necessari: sale fine, cilindro di cartone dove arrotolare la pelle, contenitore di plastica per stivarlo e puntine per fissarlo al cilindro. Vanni inumidisce la pelle e la stende nella doccia, quindi andiamo a cena da “Dona Chica” dove mangiamo bene in un ambiente decisamente piacevole. Quando rientriamo la camera è appestata di un odore pungente, simile a quello del pelo di cane bagnato. Spalanco la finestra mentre Vanni dentro la doccia esegue le operazioni suggerite dagli amici. Esce dal bagno con un cilindro bianco inodore….ne sono estremamente soddisfatta! Tocco finale accende un sigaro a dissipare anche il ricordo di quel serpente. National Geografic in tv e …

24 Gennaio 2007

MITLA – OAXACA

La giornata inizia con una bella colazione nel giardino del Don Cenobio, c’è un bel sole a scaldarci! Andiamo quindi al sito preispanico di Mitla, la cui visita non richiede molto tempo. E’ l’ultimo nucleo edificato nell’ area di Oaxaca prima dell’arrivo degli spagnoli che costruirono la loro chiesa proprio sopra una parte degli edifici preesistenti. Che arroganza! Sono belli questi edifici, decisamente orizzontali, decorati con mosaici di pietra a disegni geometrici in rilievo. Questo tipo di decorazione astratta rivela una svolta nella rappresentazione del dio, o degli dei, che non hanno più un volto o non sono più un uccello o un sole, ma un’idea astratta. Ci perdiamo tra le corti, le cui pareti perimetrali sono segnate appunto dai fregi costruiti con migliaia di parallelepipedi di pietra incastrati l’uno nell’altro… siamo felici. Facendoci largo tra i grandi cactus saliamo su Carolina e ci avviamo verso Oaxaca dove arriviamo direttamente alla Toyota per vedere se è possibile sostituire la frizione. Ma non ci vengono offerte molte speranze…Vanni fa vedere al tecnico il ricambio comprato in Bolivia, ma oltre a questo pare servano altri due pezzi. Uno si trova a Los Angeles e può arrivare a Città del Messico in 8 giorni, ma l’altro deve arrivare direttamente dal Giappone in un tempo imprecisato. Vanni si deprime. Che fare? Intanto andiamo in hotel, naturalmente scegliamo il Best Western “ Parador del Dominico”, tanto per fare felice il Vanni. Lo lascio alle 2.45 p.m. con il portiere dell’hotel che lo deve accompagnare al garage, ma dopo più di mezz’ora di Vanni non c’è traccia e nemmeno del portiere. Non mi preoccupo…immagino lo abbia convinto ad accompagnarlo da un bravo meccanico per vedere cosa si può fare…perché Carolina deve resistere almeno un altro mese on the road . Prevedendo un rientro tardi di Vanni esco alla scoperta di Oaxaca, il clima è perfetto…ed il sole splende ancora. In fondo non mi dispiace trovarmi sola ogni tanto nelle mie esplorazioni….Dopo aver visto in un paio d’ore il bel complesso di San Domenico costituito dalla cattedrale ed il convento adibito a museo, vado verso la piazza principale, lo Zocalo. Lungo la strada pedonale una serie di negozi di artigianato e molte gallerie d’arte moderna nelle quali ogni tanto entro a dare un’ occhiata. La grande piazza è come da copione piena di aiuole fiorite, in questo caso di stelle di natale, ed ombreggiata dai grandi alberi carichi di foglie. C’è molta gente qui, i messicani adorano sostare nelle loro piazze…lustrascarpe, bambini che vendono ninnoli, alcuni anziani che leggono il giornale, uno spazzino e molti passanti. Al centro del giardino-piazza un gazebo di ferro battuto, forse utilizzato un tempo per concerti di musica dal vivo. Invece oggi la musica è su un lato della piazza dove un gruppo esegue musica tradizionale. Si crea subito una fitta folla in quell’angolo, così decido di sedermi sull’altro lato, a godermi questo spaccato messicano in compagnia di un Cuba Libre e delle immancabili quesadillas . Ne approfitto per sfogliare i numeri della rivista “Archelogia” che ho comprato poco fa al museo. Mentre gusto la mia merenda osservo i passanti, ascolto la musica e ricevo un messaggio dal desaparecido che mi conferma ciò che avevo supposto un paio d’ore fa. Carolina è sotto i ferri! Rientro al tramonto nella comoda abitacion e mi prendo un po’ di relax. Vanni arriva alle 8.30 p.m. sporco come un meccanico e stanchissimo. Mi racconta tutte le vicissitudini del pomeriggio, il labirinto di indicazioni che lo hanno portato finalmente da Miguel che con mani esperte ha iniziato a smontare Carolina pezzo dopo pezzo raccogliendo mezzo secchio di viti, bulloni ed altro. Fanno tutto loro…rettificheranno i due pezzi esistenti della frizione e sostituiranno quello nuovo boliviano. Vanni è perplesso sull’operazione di reinstallazione del cambio che a quanto pare pesa moltissimo ed il Miguel ha un’officina davvero basic! Ceniamo in una marisqueria vicina all’hotel , poi Vanni crolla stremato mentre io cerco di leggere in spagnolo il numero della rivista “archeologia” dedicato a La mujer en el mundo prehispànico.

25 Gennaio 2007

OAXACA

Scendo per la colazione poco dopo l’uscita di Vanni….oggi ho voglia di curare un po’ il look e così mi infilo da un parrucchiere per un manicure e pedicure. Esco dopo un paio d’ore letteralmente massacrata, la prestazione della signorina che si è “presa cura” di me è stata a dir poco devastante soprattutto sulle dita delle mie mani sulle quali si è accanita a tagliare pellicine che non dovevano essere tolte, a limare maldestramente con una lima che sembrava più da legno che da unghie ed infine si è esibita nella difficile esecuzione dello smalto alla francese (con riga bianca) che ha eseguito ovviamente in modo pessimo lasciando smalto bianco anche sotto l’unghia. Terminata la tortura decido di riprendermi con una visita al museo di arte contemporanea che mi restituisce il sorriso ed allevia il bruciore che ancora sento attorno alle unghie. Decisamente interessante, ricavato in un edificio coloniale riadattato a museo. C’è un sole magnifico e la temperatura è piacevole, passeggio per le vie del centro poi atterro su una panchina dello Zòcalo con un bel gelato da gustare. Osservo le persone che ne affollano le zone in ombra, sono giovani fidanzatini, signori e signore di ogni età, qualche mendicante e molti lustrascarpe. Alcuni passeggiano sotto gli alberi altissimi e dalle chiome ampie, molti sono seduti su ogni superficie papabile. La serenità che si respira in questa piazza è unica, ma poi mi stanco e vado verso il mercato coperto dove vedo, si vende di tutto, dai fiori ai formaggi, frutta, verdura, cibo pronto, oggetti di pelletteria e di abbigliamento, peperoncini di tutti i colori e dimensioni, carne, rametti di erbe, acquari, statuette di Gesù Cristo ed altri oggetti legati alla superstizione ed ai riti magici. Ne esco divertita e soddisfatta, decido di fare un salto all’officina per un reportage fotografico a sorpresa. Vanni ieri mi aveva vagamente detto la zona in cui si trova l’officina e , miracolosamente la trovo. Vanni è già sporchissimo anche se sono solo le 3 del pomeriggio, si vede che qui si diverte! Dà una mano al meccanico, osserva gli addetti alla rettificazione, e sovrintende! E’ sorpreso di vedermi qui ma felice del reportage per il quale inizio subito a scattare. Dopo una sigaretta insieme lascio l’officina per tornare allo Zòcalo, ho una commissione da svolgere.. devo informarmi alle poste se è possibile ed a quale costo, spedire le due statue colombiane che ingombrano e pesano un quintale! Ma nulla da fare il pacco più pesante spedibile non può superare i 25 kg. Siamo decisamente fuori range! Ceniamo nel patio di un bel ristorante nei pressi del San Domenico, L’aria è freddissima, camminiamo come fulmini verso il tepore della Hosterìa de Alcalà dove finalmente Vanni trova in menu la sua tartare di carne ed io mi gusto la favolosa zuppa Azteca ( Zuppa di pomodoro e poche altre verdure, con tortillas fritte tagliate a striscioline, avocado e formaggio in cubetti da aggiungere, serviti a parte) Una vera squisitezza! Assaggiamo anche il famoso Mole negro, la salsa tipica di questa regione che viene solitamente servita con il pollo. E’ molto complessa da preparare, direi anzi irripetibile. Gli ingredienti sono il cioccolato, 40 spezie diverse e ben 20 tipi di peperoncino, il risultato è una delizia.

26 Gennaio 2007

OAXACA

Anche per oggi non si parte da Oaxaca, con i nostri ritmi sembra strano rimanere in una cittadina come questa per ben 3 giorni…ma Carolina sarà pronta solo domani. Avendo già assaporato Oaxaca in ogni suo aspetto decido di andare in un paesino a mezz’ora di taxi da qui, si tratta di Cuilapan, noto per il suo grande monastero. Scendo dal taxi che mi è costato 120 pesos, l’equivalente di 10 € , e mi incammino verso la grande mole di pietra sulla quale campeggia una cupola rossa. E’ intrigante l’atmosfera che respiro aggirandomi tra le rovine della vecchia chiesa a tre navate. Il tetto non c’è ovviamente più e di una fila di colonne rimangono solo le basi di fattura classica. Le pietre che ne costituiscono le colonne rimaste e le bordature delle finestre hanno sfumature di colore che variano nelle tonalità pastello dal verde al sabbia o all’ocra. .Il convento, che si sviluppa attorno ad un bel chiostro, è stato restaurato in modo più sistematico, ed oltre ad essere coperto, presenta ancora ciò che rimane degli affreschi originali. Mi soffermo in particolare su uno di questi che presenta una serie di file di piccolissimi santi e martiri. Mi piace…sembrano angioletti o diavoletti. Rientro ad Oaxaca e vado subito alla casa di spedizioni Red Pack per verificare le possibilità di spedire queste benedette statue che improvvisamente non sopportiamo più di avere in macchina. Rimango una mezzora a parlare con la signorina disponibilissima che telefona ai vari uffici collegati per avere maggiori delucidazioni. Insomma il problema non è più il prezzo che con un peso totale da spedire di 62 kg ammonterebbe a poco più di 6000 pesos. Il problema è dimostrare che le due statue non sono oggetti di antiquariato e Vanni ha portato in Italia la lettera nella quale lo scultore dichiara che si tratta di copie. Come fare? Vanni inizia a chiedermi dove posso aver messo il biglietto da visita di Fabio, la guida che ci aveva portati dallo scultore. Cerco nell’agenda ma niente….potrebbe essere tra i libri comprati nel suo ufficio di San Augustin. Indagheremo…per il momento le statue restano con noi.

28 Gennaio 2007

PUERTO ESCONDIDO

Il viaggio di ieri verso Puerto Escondido è stato tostissimo …260 km di montagna con topas a go go a scandire ogni centro abitato, inoltre un’altra grana con Carolina: il blister della balestra posteriore sinistra rotto. Tutto questo ha vanificato il relax della passeggiata mattutina ad Oaxaca, mirata all’acquisto dello squisitissimo mole da portare in Italia. Comunque arriviamo giusti in tempo per il bel tramonto dalla terrazza dell’hotel Posada Real, strategicamente collocato su un promontorio a ridosso della spiaggia di Bacocho, ad 1.5 km da Puerto Escondodo. Viene da chiedersi se si tratti proprio del Puerto Escondido di Salvatores. Dopo una doccia siamo di nuovo in auto per andare in paese, l’atmosfera qui in hotel è un po’ troppo lessa ed abbiamo qualche pretesa in più per il nostro sabato sera. Ceniamo bene all’ Estrella del Mar, sul lungomare pedonale del paese, poi un drink al Mosquito che diventano due. Vanni chiede al cameriere dove si possa comprare un po’ di marijuana, ma dopo una risposta immediata del tipo – ma qui!- non concludiamo l’affare…- forse domani-.
Mi sveglio tardissimo. Con l’unico occhio già aperto vedo Vanni venirmi incontro con la mia colazione, ananas e tè. E’ un amore! Andiamo subito alla bella spiaggia sotto l’hotel dove occupiamo un ombrellone di canne e due poltrone di legno. Siamo circondati dalle palme, è bellissimo qui. Rocce scure arrotondate dall’acqua emergono dal mare , altre segnano la spiaggia scura dove le onde si rifrangono con una forza davvero oceanica. E’ bellissimo qui, ne sono affascinata. Il resto della lunga spiaggia è deserto e la forza del mare attribuisce a questo posto una connotazione davvero selvaggia. Dopo un breve cauto bagno che mi concedo nell’acqua blu, attenta a rimanere nella parte sottocosta rispetto alle onde gigantesche, per lo meno per non finire spappolata su una di esse, strappo Vanni dalla lettura ed insieme ci avventuriamo verso nord, lungo la spiaggia. Le frange schiumose delle onde arrivano sulle nostre caviglie con una forza incredibile, procediamo verso le rocce che concluderanno la nostra passeggiata. Le rocce sono davvero invitanti…non c’è nessuno nel raggio di centinaia di metri.. va da sé che facciamo l’amore tra la sabbia, tra le rocce appuntite. Infine un bel bagno tra la schiuma, quasi travolti dalla risacca. Quel che rimane del pomeriggio trascorre mollemente tra lettura, un back-gammon e due chiacchiere. Al tramonto ci posizioniamo nel giardino dell’hotel , seduti su due sedie a dondolo sul prato curatissimo che affaccia sulla spiaggia e sul mare sottostanti. Due “cuba libre” ed il tramonto che però finisce nel sacco.

29 Gennaio 2007

PUERTO ESCONDIDO

Giornata trascorsa in spiaggia, nel bagno dell’hotel, il Cocos. Proprio come ieri la giornata è fantastica e le onde piuttosto alte. Vengo travolta proprio da una delle più intense della sequenza mentre con maschera e pinne in mano cerco di arrivare camminando al punto in cui le onde ancora non rifrangono, a pochi metri dal bagnasciuga. Quasi perdo una pinna nel corso di questo corpo a corpo con l’onda gigante, ma mi rialzo e imperterrita proseguo….ci sono i pesci tropicali che mi aspettano! Vedo ancora i pesci pappagallo, nelle varie tonalità di colore, neri a pois bianchi, tutti gialli o bianchi a pois neri, poi un branco di pesci ovali con la coda gialla. C’erano anche ieri proprio nello stesso punto….evidentemente hanno colonizzato queste rocce. L’acqua però non è molto limpida oggi , plancton e sabbia disturbano il mio snorkeling! Nel pomeriggio arriva anche Vanni, in rientro dall’officina, mi racconta delle peripezie per recuperare i blister che comunque ha dovuto far adattare perché non originali. Una bella passeggiata tra le rocce ed una partita che perdo. Cena in paese da “Pascal” con i tavolini sulla spiaggia ed ottimo cibo. Cari i superalcolici rispetto al resto del menu, ma i miei gamberoni sono favolosi ed anche la T-bon di Vanni.

30 Gennaio 2007

PUERTO ESCONDIDO – ACAPULCO

Un viaggione quello di oggi …..400 km di strada non proprio scorrevole per un totale di più di 7 ore in auto con una densità di topas sulla strada davvero impressionante. Ne abbiamo contate una media di 60 ogni 70 km. Fermarsi e ripartire 60 volte con l’inevitabile sobbalzo è una violenza inaudita. Mi esce spontanea una proposta a Vanni: un sit-in davanti al ministero dei trasporti di Mexico city intitolato “ liberiamo il Messico dalle topas”. Arriviamo distrutti e sudatissimi all’ hotel ”Aca Bay”, definito chic dalla Routard, dove occupiamo una camera scassatissima al 14° piano, ma con vista mare ed a soli 700 pesos a notte. Addirittura devo far sostituire le lenzuola che non sembrano proprio pulite e il condizionatore, necessario con questo caldo, fa un rumore assordante. Al di la della bellezza naturale rappresentata dalla grande baia attorno alla quale la città si è sviluppata, Acapulco ha perso nel corso degli anni il fascino che l’aveva resa famosa. Il degrado della zona dorada dov’è il nostro hotel e del centro storico è scoraggiante e quasi ci pentiamo di aver preso la camera per due notti. Dopo una prima occhiata in effetti vorremmo già ripartire. Ceniamo al “100% natural”, un ristorante che si sviluppa su un piccolo molo proteso nella baia , se non altro l’atmosfera è rilassante! Il mal di testa non molla ed il rumore del condizionatore insopportabile, ad un certo punto sveglio Vanni ( che ha bisogno di dormire a temperature polari )e gli dico stizzita che cambio camera. Si alza di scatto ed abbassa il condizionatore, altrettanto stizzito. Finalmente si dorme!

31 Gennaio 2007

ACAPULCO

Non possiamo mancare oggi allo spettacolo dei tuffatori alla Quebrada, una roccia sulla quale i “clavadores” si arrampicano per poi tuffarsi nella stretta lingua di mare sotto di loro. Spettacolo caratteristico di Acapulco che tutti abbiamo visto nel corso della nostra vita almeno una volta in tv. Si esibiscono diverse volte al giorno, compresa la sera con le fiaccole, noi assisteremo al tuffo delle 11. Paghiamo il ticket di 35 pesos a testa ed aspettiamo che i tuffatori arrivino. Ecco il primo che dalla terrazza nella quale siano scende in mare attraverso le rocce per poi arrampicarsi su quelle a picco di fronte a noi. Siamo già emozionantissimi, nel vedere questo ragazzo muscoloso che si arrampica come un ragno sulla roccia che a noi sembra quasi piatta, rischiando già solo per questo la sua vita. Il secondo ragazzone, molto più stile tartan del primo, arriva invece dall’alto e si ferma qualche metro più in alto del primo. Il primo tuffo è quello fatto dalla minore altezza, spettacolare! Lo fotografo poi abbandono la Minolta per eccesso di emozione, mi tremano le gambe all’idea del secondo tuffo così dall’alto….ed ecco la spinta, la capriola ed il tuffo. Per fortuna sono sani e salvi questi coraggiosi atleti, che ora si muovono come eroi tra noi del pubblico, non avrei saputo come affrontare una morte in diretta con il mio psicanalista a migliaia di km da qui. Rientriamo in hotel per poi proseguire io in spiaggia e Vanni in aeroporto per informazioni. L’idea è quella di lasciare Carolina a La Paz, in bassa California e di arrivare da li a Città del Messico in aereo. Arriva dopo qualche ora con una grande notizia: la Acapulco inn è dall’altra parte della baia, quella che vediamo piena di grattacieli sul mare. Andiamo per una ulteriore perlustrazione….forse riuscirò qui a trovare un parrucchiere degno di fiducia….esco infatti alle 18.30 rossa più che mai dall’atelier che la receptionist di un grande albergo, alla quale chiedo, mi consiglia. Sono pronta per proseguire l’esplorazione della “zona diamante”. Vanni puntualissimo è fuori ad aspettarmi, salgo su Carolina e partiamo. La città qui sembra un’altra in effetti…tutto è curato ed i grandi edifici nuovi ed in alcuni casi non privi di una certa bellezza…come questo misterioso cubo di legno e vetro che vediamo salendo in auto verso l’aeroporto. Non resisto e chiedo a Vanni di fermarsi, voglio proprio vederlo da vicino questo gioiellino di architettura contemporanea. Una passerella di legno sospesa sopra a basse vasche d’acqua dà accesso alla volumetria minimale di vetro e legno di quella che scopro essere la reception di un elegante ristorante italiano: “il Becco”. Dentro al cubo infatti, dietro ad un piccolo cilindro bianco incontro due ragazze bellocce ed eleganti che provvedono a spiegarmi di cosa si tratta….questa sera non ho dubbi, verremo qui a cena! Non mi ci è voluto poi molto per riconsiderare il giudizio forse un po’ affrettato espresso ieri sul degrado di Acapulco…dopo il colpo di fulmine del tardo pomeriggio di oggi, sono disposta a ritrattare tutto. Finalmente immersa nel mio elemento, un bel pezzo di architettura contemporanea, sento tutto il piacere ed assorbo tutta l’energia che questo incontro ravvicinato mi dà. Sono in estasi. Scendiamo la prima rampa della scala elicoidale bianca che termina al piano del bar. La passerella, che percorriamo in parte per raggiungere la seconda rampa di scale, delimitata da balaustre di vetro, si apre sulla grande volumetria del locale, proiettato sulla bella baia illuminata della città. Nessun filtro tra noi e la notte su Acapulco….nemmeno un vetro. Estasiati ci accomodiamo nel tavolo più esterno dove continuiamo a godere della bellezza che ci avvolge e del buon vino e dell’ottimo robalo ( branzino ) all’arancia e dell’incredibile panorama. Il proprietario viene per un saluto agli unici ospiti italiani della serata, è di Sanremo. Vanni pensa subito ad un riciclaggio di denaro da parte della mafia legata al casinò. Io non penso a nulla di tutto ciò ma mi informo sull’identità del progettista…i miei complimenti all’architetto Rafael Sama ! Rientriamo alla catapecchia che questa sera affrontiamo con maggior serenità, e se ne riparla domani.

01 Febbraio 2007

ACAPULCO – IXTAPA

Partiamo da Acapulco nella tarda mattinata, non senza prima aver fatto un doveroso giro diurno nella zona “in” della città! Vediamo tutta la baia e le tante ville disposte sul declivio verso il mare. Da quassù si domina davvero tutta la baia e l’isola in fondo, di fronte a noi. Procedendo verso l’autostrada vediamo oltre il promontorio, un’altra baia altrettanto protetta ma meno edificata. Poi la strada abbandona il mare e procedendo verso nord raggiungiamo dopo qualche ora Ixtapa e Zihuatanejo, due stazioni balneari a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra. Ixtapa dalla grande spiaggia disseminata di grandi alberghi, l’altro invece, dal nome impronunciabile, un piccolo paese di pescatori che si affaccia su una piccola baia piena di pellicani Andiamo subito al Best Western “Posada Real” ma 1900 pesos a notte ci sembrano troppi, considerando che nel bell’ hotel della stessa catena a Puerto Escondido la camera ci è costata solo 920 pesos! Invertiamo la rotta e andiamo a vedere come funzionano le cose a Zihuatanejo. Non abbiamo fretta, ci fermiamo per una merenda in un ristorantino sulla spiaggia dove divoro un ottimo “avocado con gamberi in salsa” mentre Vanni assaggia solo e beve una cervesa . Andiamo poi verso l’hotel “ la casa che ride”, segnalato dalla guida Mondatori e con un costo ipotetico di più di 140 USD. Meraviglioso, con giardino zen ed incredibile vista sulla baia…ma l’unica camera disponibile è la suite con piscina privata che ci costerebbe 750 USD a notte. Poco dopo rimbalzo via anche dal “la villa del sole” ,che si propone ad un costo di 430 USD….insomma questo BW “Posada Real” sembra l’unico buon hotel a costi contenuti, visti gli altri! Torniamo quindi ad Ixtapa e ci accomodiamo alla 414 del quarto ed ultimo piano, naturalmente vista mare. Almeno questo BW non è un colosso come gli altri che abbiamo visti arrivando ed è sulla spiaggia, quindi comodissimo. La camera è piacevolmente variopinta ed accogliente…possiamo ritenerci soddisfatti della scelta. Ceniamo malino in hotel e poi a nanna.

02 Febbraio 2007

IXTAPA

Vanni non c’è quando mi sveglio alle 9.30…Carolina con tutti i suoi acciacchi gli dà del filo da torcere! Me la prendo con molta calma. Ascolto il notiziario della CNN , aggiorno il diario e poi scendo alla grande spiaggia. Il cielo è favolosamente azzurro e le onde un po’ meno impetuose di quelle di Puerto Escondido. All’orizzonte la lunga linea scura del Pacifico è interrotta solo da un gruppo di rocce emergenti al largo della costa. Un paio di motoscafi sfrecciano avanti e indietro con i loro paracaduti carichi di turisti, qualcuno fa il bagno, molti sono al bar della piscina a consumare all’infinito il loro all inclusive, io mi sistemo sotto un ombrellone coperto di foglie di palma a leggere il mio libro “Messico” di Emilio Cecchi, letterato toscano che insegnava in California negli anni ’30. Racconta del suo viaggio attraverso la California ed il Messico. Vanni arriva poco dopo e scatta una bella nuotata a caccia dei pochi pesci da vedere qui. Mentre siamo tranquillamente immersi nelle rispettive letture qualcosa passa quasi sfiorando l’ombrellone. La velocità è così alta che sentiamo un sibilo accompagnare il passaggio. Ci alziamo in piedi e ci spostiamo per vedere meglio….un gruppo di paracadutisti sta scendendo in ordine sparso sulla spiaggia, alcuni hanno agganciato davanti a loro un passeggero. Scatta subito la curiosità e non solo… vado ad informarmi e ci prenoto per il Skydive delle 15. Che meraviglia…finalmente faremo ciò che desideriamo da tempo….un bel tuffo in caduta libera da 13.000 piedi di altezza! Siamo entusiasti ed entrambi viviamo una strana sensazione …una sorta di emozione che precede il fare una cosa tanto desiderata, quanto estrema. Alle 15 siamo puntuali all’appuntamento nel bagno di fianco al nostro. Un gruppo di giovani ragazzi americani e messicani, rasta e non, stanno preparando le attrezzature del caso, sono tutti i ragazzi del team, sorridenti, felici e molto easy. Alcuni preparano le imbracature, altri provano le piccole telecamere fissate sui caschi., altri ancora stanno a guardare mentre finiscono la loro birra. Ci vengono presentati i nostri istruttori –sherpa, sono due messicani, gli unici che parlino anche lo spagnolo….quello di Vanni è scatenato, vivacissimo e simpatico. Il mio, che si chiama Luis, è invece un tranquillone e mi ricorda un amico di Ravenna…Ermanno, non solo per la sua calvizie ma anche per la serenità che emana il suo viso. Indossiamo le imbracature che vengono chiuse in tutti i loro ganci e moschettoni, vengono strette le fascette e ci vengono date le prime essenziali informazioni sulla posizione da tenere al momento dell’uscita dal portellone, e sul necessario procedere ginocchioni per spostarsi dentro l’aereo. Saliamo quindi sul bus più scassato del Messico verso l’aeroporto, sono davvero pazzerelli questi ragazzi..in particolare l’istruttore di Vanni che davanti nel bus ci intrattiene con le sue burlonerie. Saliamo sul piccolo aereo aiutandoci con una piccola scaletta a 3 pioli, di quelle che si usano in casa per pulire i vetri. Ci sistemiamo a sedere sul fondo dell’aereo, a gambe larghe, l’uno davanti all’altro e decolliamo. Per la prima volta nella nostra vita la direzione del decollo è alle nostre spalle….bellissimo. La baia di Ixapa si allontana fino a diventare piccolissima, gli istruttori già saldamente agganciati a noi ci dicono di metterci in ginocchio, ma non è semplice nel poco spazio che abbiamo. Raggiunta la quota di 13000 piedi il portellone si apre ed i primi iniziano a lanciarsi, non ho paura, ma anzi una gran voglia di tuffarmi. E’ il mio turno ora…in ginocchio davanti al vuoto, con l’aria fortissima che mi spinge all’interno dell’aereo, sento un dolore lancinante al mio ginocchio destro e poi la grande emozione del salto nel nulla e la bella caduta libera verso la costa, la cui immagine diventa sempre più nitida. La vista del territorio dall’aereo mi è sempre piaciuta molto…se non altro per la sua inusualità , ma vederlo così nel profondo silenzio del cielo, mentre cadi velocemente verso ciò che stai osservando è un’emozione così forte da annientare qualsiasi altra pur bella emozione che si possa aver vissuto nella vita. Il paracadute si apre con uno strattone, siamo in posizione verticale ora. Dopo tanta velocità di caduta ora sembra di essere immobili nel cielo. Iniziamo a scendere dolcemente, sempre più vicini all’obiettivo sulla sabbia davanti allo Skydive Ixtapa , solo quando siamo davvero a poche decine di metri dal suolo capisco che in realtà la nostra velocità è ancora molto alta, ma l’atterraggio è perfetto…arriviamo in piedi, praticamente fermi. Un sorriso di grande soddisfazione mi si stampa in viso…sono la persona più felice del mondo! Vedo subito Vanni a pochi passi da me. Ma come fa ad essere già a terra se è sceso dopo? Con gli occhi un po’ lucidi per l’emozione ancora forte mi racconta che il loro paracadute si è rotto poco dopo l’apertura e che sono quindi scesi velocemente con il paracadute di emergenza. Davvero una strana cosa al primo lancio! Ci sono persone con 3000 lanci ai quali non è mai successa una cosa del genere mi racconta una ragazza del gruppo….davvero unico che possa succedere alla prima esperienza! Comunque Vanni si dissocia immediatamente dal mio entusiasmo e dalla mia voglia di rivivere l’esperienza al più presto…non posso dargli torto! Nel frattempo la notizia dell’atterraggio in emergenza si è diffusa e Vanni è diventato l’eroe del giorno! Molti gli stringono la mano, lo abbracciano e gli offrono una birra…..lui ancora molto emozionato si sente un sopravvissuto e mi dice: – Appena fuori dalla carlinga un grande senso di libertà e finalmente riesco a sentire ciò che per tanto tempo ho invidiato agli uccelli…l’emozione del volo! Poco dopo un altro ragazzo che si è tuffato immediatamente dopo di noi e che esegue le riprese fotografiche , si è avvicinato e gesticolando mi fa capire di alzare la testa che invece io tengo perfettamente in asse con il mio corpo. Mentre le nostre mani si avvicinano per afferrarsi vedo tra le sue labbra il pulsante per lo scatto delle foto, gli sorrido mentre tutti tre precipitiamo verso il basso. Sento la velocità sulla mia pelle e sui muscoli che sembrano dilatarsi come ali. In seguito questo mi ha riportato alla memoria quelle immagini viste tante volte in tv dei paracadutisti in caduta libera che tenendosi per mano formano figure nel cielo. Ma ecco la discesa improvvisamente quasi si ferma, il paracadute è aperto e noi siamo verticali. Con il pollice alzato mi congratulo con il mio istruttore del quale vedo solo la mano che impugna una manopola rossa collegata ad un filo spezzato. Poco dopo siamo di nuovo in caduta libera ad altissima velocità, ma ancora non capisco ciò che sta succedendo. Un altro colpo di arresto che questa volta sento fortissimo sulle mie spalle ci riporta ad una situazione di stabilità. A questo punto, dopo aver visto il nostro primo paracadute scendere in pezzi a pochi metri da noi, capisco cosa è accaduto ed immediata scatta la paura legata all’essere stato impotente di fronte alla situazione di pericolo appena vissuta. L’istruttore rimasto senza occhiali di protezione afferra i miei e scendiamo. Mi informa che ci sposteremo verso il mare per scendere in maggior sicurezza..anche se da quell’altezza non credo che si possa parlare di una qualche forma di sicurezza!….l’impatto con qualsiasi superficie sarebbe comunque fatale. Poi guardo in alto e vedo il grande paracadute giallo ben teso sopra di noi. Mi rilasso ed in pochi minuti siamo a terra. Si avvicinano alcuni del gruppo e festanti per lo scampato pericolo si congratulano con l’istruttore e danno delle gran pacche sulle spalle a me. Poi vedo Ale arrivare e leggo, guardando i suoi occhi, un’immensa felicità. Ci fermiamo al bar del Carlos’n Charlie’s per le birre omaggiate a Vanni ed uno spuntino. ..mi sento cambiata, più felice e serena di prima. Ma soprattutto penso di aver appena fatto l’esperienza più incredibile della mia vita e ne sono fiera. Dopo una breve pausa in hotel siamo già al Carlos’n Charlie’s per una cena veloce in attesa della proiezione nel bar di fianco dei filmati dei vari lanci. In sottofondo musica rock a tutto volume e di fronte a noi ecco i primi lanci della mattina. Vedendo il primo lancio riviviamo esatta l’emozione vissuta e per un attimo il respiro si blocca nella nostra gola. Ma ecco sullo schermo Vanni che sorridente, prima ancora di indossare l’imbracatura, dichiara che lo fa solo per amore, poi le varie fasi dell’avventura fino all’atterraggio. I ragazzi dello Skydive Ixtapa sono tutti presenti, felici e piuttosto vivaci, anche loro a rivivere quei momenti forse per la millesima volta, o più, ma instancabili in questa che sembra per loro qualcosa di più che una grande passione Andiamo a letto ancora volando ma questa volta comodamente distesi sul materasso che ci conduce nel mondo dei nostri personalissimi sogni.

03 Febbraio 2007

IXTAPA – MORELIA

Lasciamo l’hotel allo scadere del check-out delle 12. In fondo il viaggio per Morella ci impegnerà per 4 o 5 ore al massimo per cui ce la prendiamo con calma. Carolina proprio non ne vuol sapere oggi e reclama il suo pensionamento con ogni mezzo….questa volta mettendo fuori uso l’alternatore di corrente. Varie lucine si accendono sul cruscotto allarmando Vanni che si ferma, guarda il motore e riprende il viaggio a velocità ridotta. Ci fermiamo a Nueva Italia, un paese del quale vediamo solo la squallida periferia in cerca di un meccanico. Victor sostituisce tutte le cinghie di Carolina ma senza risolvere il problema, quindi seguiamo il suo consiglio di raggiungere al più presto Morella dove troveremo l’assistenza necessaria. Arriviamo tardissimo e tutti gli hotel del centro sono pieni per via del weekend. Proprio una giornata sfortunata quella di oggi…ripieghiamo al “Fiesta Inn” dove l’unica possibilità è la suite del primo piano che ci costa una piccola fortuna. Ceniamo in un palazzo del XVII secolo, bellissimo anche negli arredi, il “ Fonda las Mercedes” ci risolleva il morale e ci regala una fantastica serata consolatoria e tiepida nel freddo gelido di questa notte d’inverno a quota 2000 m.

04 Febbraio 2007

MORELIA

Lasciamo la suite alle 13. Per fortuna Carolina si mette in moto consentendoci di raggiungere l’ “hotel de la Soledad” ricavato all’interno di un antico edificio coloniale nel centro della città. Siamo a due passi dallo Zòcalo., antiche carrozze immobili arredano l’androne d’ingresso e la corte centrale sulla quale affacciano le stanze. La nostra è al piano terra, un po’ buia, ma ha un lettone grande , un salotto ed il camino d’angolo. Dietro al letto una antica porta di legno scuro, di fronte un grande mobile di legno scolpito a bassorilievo con grossi grappoli d’uva. Alle pareti antiche sculture ed immagini di santi….ha proprio l’aria della sagrestia. Insomma anche questa sera non possiamo lamentarci. Usciamo nel primo pomeriggio alla scoperta di questa città che racchiude autentiche meraviglie architettoniche del periodo coloniale, tutte di pietra dalle tonalità rosa. Dopo uno scroscio pazzesco e’ uscito il sole ed è quasi caldo….l’ideale per una bella passeggiata. Uno spuntino nella piazzetta frondosa del conservatorio e poi è già tornato il freddo pungente. Rientriamo nel nostro rifugio dove faccio accendere il camino che però dopo pochi minuti è già spento…legna umida…non c’è verso di farlo rimanere accesso nonostante i vari tentativi, in compenso la camera si riempie di fumo. Vanni non dà udienza…è tutto immerso nel suo libro di Wilbur Smith. Io pazzeggio, leggo, scrivo e lo tormento. Cena in hotel….impossibile uscire con questo diluvio!

05 Febbraio 2007

MORELIA

Vanni rientra poco dopo essere uscito…la Toyota è chiusa oggi. Sono tutti in festa per l’anniversario della Repubblica del Messico. Si infila infreddolito sotto le coperte e si rituffa nella lettura del “la notte del leopardo”. Io invece ho una gran voglia di uscire e dopo un primo tentativo a vuoto al Museo di Arte Contemporanea, mi infilo al museo dell’artesania apprezzandone soprattutto il bel palazzo che lo ospita, adiacente alla chiesa di San Francisco. C’è il sole a tratti ed il poncho di lana bianca che indosso non solo mi fa sembrare un pastore sardo, ma fa anche un gran caldo. Sono davvero belli questi palazzi coloniali, ben tenuti ed estremamente aulici., ma conferiscono alla città quell’aria un po’ europea che non vorrei percepire qui in Messico. Mi mancano in realtà i visi segnati degli indios del Chapas con i loro denti bordati di oro, gli abiti tradizionali ed i loro riti pieni di fumo, di candele e di colori. Era un piacere incontrarli nelle piazze o nei mercati o di fronte alle chiese e vedere il loro prezioso artigianato così denso delle loro tradizionali modalità espressive. Poche centinaia di chilometri ci dividono da loro…eppure sembrano migliaia quelle che ci hanno portato qui a Morelia, brutta copia della grande Mexico City, così anonima rispetto alla grande forza che per esempio San Cristobal emanava. Eppure sono entrambe città coloniali. Ma siamo approdati qui in questa che è obiettivamente una bella città, anche se senza carattere, piena di storia , di grandi piazze e di nuvoloni carichi di pioggia. Dato che oggi è giornata di musei voglio fare un salto in quello che, visto il clima, sembra il più interessante…il museo del cioccolato! Entro in questo vecchio edificio pieno di gente e di mobili di legno carichi di dolci artigianali dove, a parte la folla, mi sembra di vivere un bel sogno. Alcune signore in abiti ottocenteschi servono ai pochi tavoli cioccolate fumanti e torte che non hanno niente da invidiare a quelle del famoso “Demel” di Vienna. Ovviamente non resisto all’invitante colazione e ordino una fetta di torta di cioccolato con bavarese di arancia ed una tazza di cioccolato caldo. Ma sono a Morella o dentro al set del film “ Chocolate”? Infine prendo un sacchetto di praline e cioccolatini, due di ogni tipo, che scelgo tra i vassoi ordinati di una invitante vetrinetta. Sono un regalino per Vanni…che sono certa gradirà. Tra un centinaio di pagine lo riavrò con me.

07 Febbraio 2007

MORELIA – SAN LUIS DE POTOSI

Lasciamo tardino la nostra alcova dell’hotel De la Soledad, nonostante Vanni si fosse proposto ben altro. Alle 10.30 mi butta giù dal letto dove sarei stata ancora volentieri. Il mio tè è ormai gelato, sull’angolo del comodino, mentre lui già col trolley in macchina è pronto per partire. Il lungo percorso per raggiungere San Luis de Potosi diventa, strada facendo, sempre più interessante. Attraversiamo laghi gremiti di trampolieri dalle piume bianche, paludi e ponti metallici color arancio che si affermano nelle tonalità pacate di questo paesaggio premontano. Nonostante il mio ritardo sulla tabella di marcia arriviamo in città in tempo per una bella passeggiata al tramonto, quando la grande cattedrale barocca di pietra rosata ed intonaco rosso dà il meglio di sé. Infine ceniamo in un ristorante deserto dall’altra parte del centro storico, noto per la sua cucina Huichole. Il ristoratore è un anziano signore di Monterrey dal viso segnato ma vivace ed una gentilezza squisita. Assaggiamo ovviamente le specialità di questa famosa tribù indigena. La mia insalata comprende, oltre ai ben noti pomodoro, lattuga e cipolla, anche due ortaggi che si trovano nelle aree semidesertiche poco lontane da qui: il cabuche ed il jacube. Di colore verde e dal sapore delicato, simile a quello dei fagiolini. Vanni invece si scatena con un menu completo che prevede un’ entrata a base di uno strano rotolo che profuma di spezie accompagnato con fagiolini e salsa verde piccante. Ed il piatto forte con enchiladas, di verdure e pomodoro, un misto di carni in umido, una purea di frijoles ed altro ancora. Terminiamo con un ottimo Jobito, una bevanda a base di succo di mela con aggiunta di agua ardiente…tanto per aggiungergli un poco de savor come dicono loro. L’anziano signore intanto aveva sorriso soddisfatto ad ogni nostro apprezzamento e pazientemente elencato gli ingredienti sconosciuti delle varie portate. Insomma è stato così garbatamente affettuoso ed entusiasta che avremmo voluto portarlo via con noi.

08 Febbraio 2007

REAL DE CATORCE

Nel frattempo, dopo una breve sosta lungo la strada per la curiosità di osservare da vicino quel che resta dei serpenti a sonagli messi ad essiccare penzoloni su bastoni di legno, arriviamo a Real de Catorce, sperduta al limitare del deserto ed appollaiata a 2750 m di altitudine. Questa cittadina quasi completamente diroccata è stata dimenticata dagli uomini e da dio per un secolo. E’ proprio una città fantasma, nascosta nel fondo di una valle, in mezzo ad un paesaggio lunare dominato dalla bianca cupola della cattedrale. Arriviamo qui percorrendo una strada lastricata che si arrampica sulle montagne brulle e che si insinua ad un certo punto dentro un lungo tunnel scavato nella roccia. Sembra di entrare in una miniera e invece dopo circa un paio di chilometri sbuchiamo tra le case del paese, quasi tutte in pietra a vista, molte delle quali diroccate. Guardo sulla cartina della guida la posizione dell’hotel “Ruinas del Real” ed iniziamo a percorrere le ripide stradine dai lastricati sconnessi. Gli ultimi tratti di strada sono ripidissimi e devo scendere ad inserire le quattro ruote motrici, l’aria è fresca ed asciutta, le montagne attorno a noi brulle e colorate dei tanti minerali che le compongono. L’hotel occupa un vecchio edificio di sasso, entriamo e dopo un po’ di contrattazioni riusciamo ad avere la suite con jacuzzi gigante a 800 pesos al giorno anziché 1200. Un vero affare! La camera, come tutto l’hotel emana un incredibile atmosfera di vissuto, di storia e di pacata raffinatezza. Vi si accede attraverso un’ampia terrazza coperta da una sorta di incannicciato che ne lascia intravedere il cielo e passare i raggi del sole che ne intiepidiscono l’aria. In fondo alla terrazza dalla quale si domina la valle e le montagne circostanti, una piccola porta di legno da accesso ad un salotto comune con finestra ovale e camino d’angolo. Di poco laterale la porta della nostra camera ci invita ad entrare. Sopra il grande lettone un quadro antico ed accostati alle pareti pochi elementi di arredo fabbricati in uno stile incomprensibile ma elegante con laccatura di un colore perlaceo. La stanza da bagno è molto grande, con doccia ed una grande vasca idromassaggio inserita in un alto gradino piastrellato. Una finastra ovale dai vetri colorati lascia passare una luce fioca che esalta il colore viola delle pareti. Quelle della camera invece, e del salotto hanno come colore dominante il giallo ocra, con disegni a cornice dipinti sopra lo zoccolo o a bordare le finestre. Sono disegni di fiori e foglie che si articolano in ampie volute vagamente liberty. Ci piace proprio tanto questa stanza!…..se poi avesse il camino in camera sarebbe il massimo! Non si capisce come facciano qui in Messico a non avere il riscaldamento nemmeno negli hotel. Le sere d’inverno qui la temperatura scende anche sotto i dieci gradi , eppure il riscaldamento non è neppure concepito! Per noi due freddolosi è un vero disagio. Ma Vanni ha un asso nella manica, anzi nel trolley, da giocare. Estrae la mitica borsa dell’acqua calda che ci ripromettiamo di usare questa sera. Nel frattempo Rifugio, un ragazzo del paese, ci aiuta con i bagagli e si propone di accompagnarci in una passeggiata a cavallo al monte sacro degli Huichole. Come rifiutare? Arriva dopo una mezz’ora, verso le 4, con due ronzini. Il mio si chiama Marrano e quello di Vanni, di stazza più grande, è Bucanero. Saliamo in sella…io con un certo timore….il trauma di anni fa non mi è ancora passato del tutto…e non salgo su un cavallo da più di 15 anni. Sono tutta agitata ma mi rendo subito conto che Marrano è un cavallo tranquillo del quale posso fidarmi. Rifugio ci segue in groppa ad un mulo. La prima sosta è direi imposta dai due cavalli che si fermano all’abbeveratoio del paese dove altri due cavalli, che trasportano dei signori del paese, stanno bevendo. Si riparte immediatamente dopo attraverso le rovine degli edifici della ex miniera di San Augustin, Marrano procede sempre sull’orlo del precipizio…ahimè! Il lungo sentiero si snoda attraverso i pendii delle montagne che dal paese vanno verso il deserto inseguendo l’ Ovest. Il paesaggio è incantevole, le montagne piene delle piante grasse tipiche di questi climi. Siamo sul tropico del Cancro. Il freddo è pungente, per fortuna indosso il mio poncho di lana bianca comprato in Guatemala, sembra di essere immersi in un presepio all’interno del quale noi siamo i tre re magi. Si respira una grande energia qui…l’aria è secca ed il paesaggio apocalittico. Rifugio ci racconta che prima dello sfruttamento delle miniere d’argento queste montagne erano completamente ricoperte di alberi. Gli spagnoli non esitarono a disboscarle completamente per poter fondere il metallo dalla roccia che lo conteneva…nessuna novità…queste parole ci suonano purtroppo familiari dopo mesi di viaggio attraverso le ex colonie spagnole. In lontananza scorgiamo la montagna sacra, la più alta della regione, che svetta a 3300 m di quota. Gli huicholes la raggiungono due volte l’anno, attraversando a piedi le centinaia di chilometri di deserto che separano i loro territori sul Pacifico da questa valle sacra. Qui, all’interno di un cerchio bordato di pietre, celebrano uno dei loro riti secolari, la comunione con il dio Hikuri, a noi noto come peyote, il fungo allucinogeno. Quello che accade durante le loro cerimonie è prevedibile….ma oltre lo sballo inevitabile o proprio grazie ad esso, gli sciamani qui celebrano le nozze e guariscono gli ammalati. Raggiungo a piedi la piccola chiesa che sorge proprio in cima alla montagna, è di sassi e protetta da un cancello di ferro che mi impedisce di entrare. All’interno, accostate sul muro di fondo, una serie di candele di varie dimensioni con nastri di tessuto colorato, a terra alcune ciotole per le offerte agli dei e su una mensola il teschio di un capretto ed il suo peloso codino. Il pavimento di terra battuta contiene le tracce dei loro riti magici. Cera, sangue rappreso, fili d’erba secca. Mi fa un piacere immenso che i turisti non possano accedere se non una volta l’anno a queste loro cerimonie…anzi dovrebbero proprio escluderli. Il rischio è che nell’ accettazione del compromesso legato al facile guadagno di denaro queste antiche tradizioni finiscano con lo svuotarsi dei loro veri contenuti per diventare vuote esibizioni circensi. Come già il Cecchi lamentava nel corso del suo viaggi tra i villaggi indiani del Nuovo Messico, nel lontano1930. Comunque siamo, qui immersi nella magia di questi cerchi concentrici fatti di sassi, e soli. All’improvviso un suono lieve si diffonde nell’ aria…è il treno che corre nell’immensa valle desertica sotto di noi, dice Rifugio. Ma a noi fa piacere pensare che anche questo suono come l’energia che sentiamo, arrivi dai lontani territori huicholes. Come un nostalgico canto intonato da un lontano sciamano, miracolosamente giunto fino a noi. La luce del sole è ora quasi orizzontale. Inseguendo le nostre lunghe ombre raggiungiamo i cavalli poco più a valle. Mentre scendiamo attraverso le rocce che ora colorano di viola mi nasce un desiderio forte. Vorrei unirmi a Vanni, qui su questa magica montagna, davanti ad uno sciamano officiante. Vanni entusiasta chiede a Rifugio come si possa fare. C’è un italiano in paese, di nome Matteo, che anni fa ha sposato una huichole ed ora è diventato sciamano. Potrebbe essere lui il nostro celebrante! Le stelle ci accompagnano nell’ultimo tratto di marcia, mentre i cavalli trovano la strada tra le ombre della sera. Le luci sempre più vicine del paese ci rassicurano, mentre il freddo pungente sempre più intenso ci fa rabbrividire. Vanni si accontenta di una doccia ma io non resisto al conforto di una bella vasca di acqua bollente. Il bagno si è trasformato nel frattempo in un bagno turco, per via della grande condensa che l’acqua calda ha provocato. Me ne sto immobile a godermi il tepore ed il silenzio di questo paese senza macchine. Ceniamo al Malambo dove un cuoco argentino ci prepara degli ottimi cappelletti agli spinaci…..incredibile ma vero. La pasta sottilissima degna di una brava massaia ed il ripieno squisitissimo. La 18 ci accoglie con una temperatura proibitiva….stiamo un po’ in salotto davanti al camino acceso e poi Vanni gioca il suo jolly riempiendo la borsa dell’acqua calda. In fondo non si sta poi così male!

09 Febbraio 2007

REAL DE CATORCE

Ma che freddo! Quasi non riesco ad uscire dalle coperte per fare pipì nonostante la sciarpa e la felpa che mi sono infilata nel corso della notte. Abbraccio Vanni per un po’ di tepore che ricambia con slancio mentre sentiamo i ragli lamentosi degli asini, numerosi in paese. Facciamo colazione nella piccola terrazza assolata davanti all’hotel…si sta d’incanto qui. Quasi non ho fatto in tempo ad appoggiare le labbra alla tazza del mio tè che arriva in visita Rifugio per vedere se anche oggi riesce a lavorare un po’, ma Vanni gli offre gentilmente un caffè mentre lo scoraggia dall’insistere. I nostri sederi dolenti non ci consentono di ritentare anche oggi la cavalcata. Facciamo due passi per il paese invece e ci concediamo un pomeriggio di sano relax sotto il sole, sulla terrazza davanti alla camera. Poi l’imbrunire con le sue tinte violacee sulle montagne attorno, come l’ultimo caldo abbraccio prima del gelo notturno. Vanni non ha voglia di tornare al Malambo di ieri, nonostante ripensare a quei cappelletti di spinaci mi faccia venire l’acquolina in bocca. Proviamo il Cactus, che si affaccia sempre sulla piazza principale e che vediamo accogliente con i suoi tavoli di legno lasciato al naturale ed i colori delle maschere Huichole appese alle pareti. Ci accoglie un giovane ragazzo che deve essere di qui, sorridente ed in maglietta a mezza manica, ci porge i menu Io non oso togliere il mio poncho di lana nemmeno qui, dove la temperatura è decisamente più mite….sarà la mia allergia atavica al freddo? Vedo compiacendomene che anche qui al Cactus il menu comprende piatti di pasta fatta in casa e quindi perché resistere alla tentazione? Scelgo un bel piatto di tagliatelle ai funghi e Vanni l’immancabile t-bon. Tutto è una delizia qui, compresi i dolci che chiudono alla grande la nostra cena, un bel flan napoletano e la torta di cioccolato e noci. L’ambiente intanto si è riscaldato e quasi sarei tentata di togliere il poncho, il vino rosso ed il cibo hanno compiuto il miracolo! Dalla cucina arriva Elisabetta, la cuoca nonché padrona di casa assieme a Valerio di questo bel localino. Iniziamo a parlare, finalmente in italiano, e subito sentiamo scattare la famosa affinità elettiva….quella cosa per la quale ci si capisce al volo su argomenti del tutto non banali e personalissimi per i quali si presuppone una conoscenza reciproca più profonda. E’ una donna davvero affascinante Elisabetta, nata a Mexico city e da 10 anni residente qui assieme a Valerio che invece ha scelto Real de Catorce da ben 15 anni. Affascinante dicevo ed estremamente generosa Elisabetta, mentre parliamo del nostro viaggio e dei suoi, forse diversi ma non meno intensi, non si trattiene dal regalarci una confettura di mele preparata da lei e l’ottimo origano che si coltiva su queste generose montagne, il cui aspetto brullo non rende loro giustizia per la qualità e quantità dei prodotti che invece distribuiscono agli abitanti del paese. Con lei impariamo anche a conoscere meglio la cultura huichole che ci appare un po’ diversa da come l’avevamo in parte immaginata. Innanzitutto sfuma il progetto del matrimonio con rito huichole perché scopriamo che loro non si sposano ed il rito sarebbe quindi una vuota sceneggiata a fine di lucro che non desideriamo…e poi scopriamo che oltre ai bellissimi oggetti rivestiti di perline gli huicholes usano il peyote anche per fini direi curativi. Partendo dal principio ormai suffragato che i disagi di molti di noi non sono solo fisici ma anche di natura esistenziale, loro usano questo piccolo cactus per ritrovare l’armonia con gli altri e con se stessi. Abbandonandosi all’effetto di grande rilassamento e di pace interiore così indotta, riescono ad ottenere risultati sorprendenti, molto simili a quelli della psicoanalisi, proprio per la disposizione alla riflessione ed all’auto analisi che il peyote stimola. Va da se che sentendone parlare in questi termini da Elisabetta, che ha vissuto su di se questo tipo di esperienza totalizzante, anche noi vorremmo provare e così ci accordiamo per domani mattina verso le 10. Non nascondo le perplessità ed i dubbi che l’idea di vivere un’esperienza del genere ha suscitato in me nelle ore successive. Ma una regola infallibile è quella di accettare ciò che ti viene offerto con tanto slancio e generosità…. la seconda quella di fidarsi della propria sensibilità e di seguire il proprio cuore.

10 Febbraio 2007

REAL DE CATORCE

Alle 10.30 siamo al Cactus dove oltre ad un’abbondante colazione a base di frutta e le immancabili fette di torta conosciamo Valerio, il marito di Elisabetta. Simpatico e loquace, ci racconta della storia di questo particolarissimo paesino, tra le altre cose ci dice anche che il film “Puerto Escondido” di Salvatores è stato girato in parte proprio qui a Real. Poco dopo ci raggiunge Elisabetta e la colazione prosegue piacevolmente avvolta nell’ atmosfera particolare che si è creata tra di noi. Prima di uscire Elisabetta ci dà le 6 grosse capsule di polvere di Peyoti e con il suo sorriso buono e complice ci augura di trascorrere una buona giornata. Ci incamminiamo quindi lungo il sentiero, verso il Pueblo fantasma che torreggia alto sul versante est della vallata. Appena fuori dal paese sostiamo un attimo all’ombra di un vecchio albero senza foglie e consumiamo la nostra trasgressione…..ingeriamo le capsule e proseguiamo la passeggiata lungo il ripido sentiero. Il paese salendo prende forma e presto lo vediamo in tutta la sua estensione, adagiato sulla piccola valle assolata. Il suo colore è quello delle montagne che lo circondano, solo la chiesa e pochi altri edifici si profilano bianchi sulla pietra. Attraversiamo poi la hacienda di una miniera dimessa da tempo, i carrelli gialli arrugginiti giacciono in un angolo del piazzale adiacente l’edificio, le cui lamiere sul tetto ondeggiano ad ogni alito di vento. Siamo sereni ma attenti ad ascoltare il minimo cambiamento in noi. L’effetto del peyoti dovrebbe manifestarsi tra circa un’ora….aspettiamo seduti sul parapetto di un grande pozzo quadrato profondo più di 300 metri, nel quale alcuni ragazzi si divertono a far cadere grossi sassi. Ne escono profondi boati che fanno intuire l’immensità di quei sinistri cunicoli forieri ad un tempo di ricchezze e di morte. Ancora nessun effetto, solo il fastidio di non essere soli. Decidiamo di scendere per evitare la ressa di cavalli e persone che si è creata qui al pueblo. Certo la discesa è un’altra cosa anche se a tratti ci fermiamo per far passare chi invece sale. Quasi a metà strada iniziamo a sentire qualcosa di diverso, una rilassatezza incredibile ed una grande disposizione l’uno verso l’altro. – Che bello essere in due – …penso io…- e volerci così bene – aggiunge Vanni. Ci rendiamo conto di quanta tenerezza, di quanto amore ci unisca. Siamo felici…più felici e così sereni da sentirci immersi in un piccolo, nostro paradiso, cui fa da cornice ora la nostra accogliente alcova, testimone della tenerezza nei nostri sguardi , nei nostri baci e nell’amore delle ore successive. Elisabetta aveva proprio ragione a definire il peyoti il cactus della pace, dell’armonia e dell’amore…gliene saremo infinitamente grati. Uniti dalla rinnovata consapevolezza e felici di questo ci abbandoniamo l’uno all’altra senza riserve nel tepore del nostro covino. Ci ritroviamo per la cena al Cactus dove gli altri clienti suonano come degli intrusi…per noi ormai è come andare a cena da amici ed abbiamo voglia di vedere solo loro…anche per confrontarci sull’esperienza di oggi sull’onda di questa sorta di misoginia nei confronti di chi non fa parte del gioco. Condividiamo un bicchier di vino, una cameratesca conversazione, poi ci spostiamo nel retro ed al computer di Valerio leggo le pagine del diario di questi ultimi giorni a Real de Catorci, vediamo le foto del nostro lancio di Ixtapa, della Bolivia e di qui. La serata scivola via senza quasi accorgersene…abbiamo incontrato due belle persone!

11 Febbraio 2007

REAL DE CATORCE – ZACATECAS

Ci troviamo al Cactus per la colazione ed i saluti prima della partenza. E’ una bella giornata di sole, perfetta per scattare alcune foto a noi e Carolina. Valerio che cura la stesura del giornale web di Real, vuole scrivere un articoletto su di noi, sul nostro viaggio attraverso le americhe e della nostra sosta qui come tappa del lungo viaggio. Scatta quindi l’intervista registrata e la promessa di spedire al più presto le ultime due pagine del diario. Ci salutiamo felici ed un po’ commossi, con l’ulteriore promessa di ritrovarci un giorno in Italia. Partiamo sulla nostra Carolina in forma più che mai ripercorrendo a ritroso il lungo tunnel scavato nella montagna. E poi ecco, l’ ampia vallata si apre luminosa davanti a noi, ma qualcosa nel frattempo è piacevolmente cambiato. I tanti Joshua Tree che popolano quest’area semi desertica sono quasi tutti fioriti, e si propongono ora con il loro grosso fiore a spiga bianco che spunta dal ciuffo di foglie verdi. Lo consideriamo un omaggio alla nostra dipartita, un augurio di buon viaggio da parte di questo paese che ci ha già dato molto. Arriviamo a Zacatecas a metà pomeriggio, dopo aver attraversato le ampie vallate semi desertiche della Sierra Madre, giusto in tempo per la visita al Museo Rafael Coronel . Questo museo, ricavato nel bellissimo ex convento di San Francisco, espone più di 2000 maschere provenienti dai cinque continenti….mai visto niente del genere! Naturalmente quelle che ci colpiscono di più sono quelle raffiguranti spaventosi diavolacci. Rossi, neri, sdentati o con parrucche, di capelli veri o di crini di cavallo…alcuni hanno la lingua storta, altri hanno serpenti che escono dalle orecchie e dalla testa. A volte quegli stessi serpenti hanno la testa da diavolo. Insomma l’apoteosi del macabro! Zacatecas è una bella città coloniale a 2400 m di altitudine….ancora freddo! Non se ne può più. Circondata da un paesaggio desertico, non si capisce perché gli spagnoli nel XVI sec. abbiano scelto di fondare una città proprio qui, e di impreziosirla a tal punto di belle architetture da essere poi stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’ UNESCO. Ma la risposta viene da sé…oro e argento a fiumi sotto questo apparente povero territorio, hanno fatto la prosperità della città e dei suoi abitanti per generazioni. Visitiamo la città all’uscita dal museo. Le ombre sono lunghe ormai, e la luce rossastra del tramonto conferisce alle architetture di pietra rosata un rilievo particolare. La facciata della cattedrale poi è una meraviglia dello stile barocco messicano, un capolavoro di arenaria rosa. Così dolcemente e riccamente scolpita da sembrare una preziosa trina, impreziosita ora dalla vibrazione dell’elegante chiaroscuro. Alloggiamo poco lontano da questo epicentro di bellezza, nell’hotel più vecchio di Zacatecas, il “ Posada de la Moneda”, aggiungerei scassato, e ancora senza riscaldamento. Ma le notti qui a Zacatecas non hanno per fortuna il freddo furioso di Real e così nonostante la doccia appena tiepida…sopravviviamo.

12 Febbraio 2007

ZACATECAS – MAZATLAN

Alle otto siamo già partiti. Ci siamo proposti la méta ambiziosa di raggiungere Mazatlan, sulla costa, per un totale di 610 km e 10 ore di viaggio previste. Arriviamo dopo 9 ore sul lungomare di Mazatlan. Mi sento la donna più stanca del mondo! Negli ultimi 200 km siamo scesi di 2000 metri…lascio immaginare le curve, e per fortuna non soffro il mal d’auto! Ma la vista del mare e la temperatura calda mi fanno resuscitare dal torpore. Finalmente una doccia calda come si deve…ed un bel lavaggio ai capelli che da un paio di giorni mi conferiscono un aspetto vagamente alla Bob Marley! Siamo nel nostro elemento…l’adorato mare e l’albergo è confortevole e pulitissimo. Anche se le camere vista mare sono tutte occupate, dal nostro terrazzino vediamo la darsena ed il centro storico, animato di luminarie per via del carnevale imminente. Leggo sulla guida che qui a Mazatlan si svolge il terzo carnevale più importante del mondo dopo quelli di Rio de Janeiro e di New Orleans. Per fortuna siamo in fuga veloce ed il 15 saremo invece tra le montagne della Sierra Tarahumara….detesto il casino! Ceniamo bene al ristorante “ l’arco”, naturalmente a base di pesce e di buon vino bianco messicano.

13 Febbraio 2007

MAZATLAN – EL FUERTE

Non è poi così presto oggi…Vanni comunque è sempre il primo a svegliarsi e molto amorevolmente mi fa trovare sul comodino l’insalata di frutta fresca ed il tè. Ancora una doccia, è la terza da ieri pomeriggio, e si parte. Oggi va da signori…sarà un viaggio di 480 km ma di sola autostrada! L’obiettivo di raggiungere la Sierra Tarahumara è sempre più vicino….domani prenderemo il famoso treno che arrampicandosi per 655 km tra le montagne, su 39 ponti a strapiombo e ben 86 tunnel arriverà ai 2330 m di altitudine di Creel. Nel frattempo, comodamente seduti, potremo osservare il favoloso Canyon “Barranca del Cobre”, quattro volte più imponente del Gran Canyon del Colorado. El Fuerte rappresenta una tappa di avvicinamento a Creel, la prima stazione dopo Los Mochis da dove il treno partirà domani mattina alle 6. Per lo meno così potremo dormire 1 ora e 30 in più senza perdere nulla del favoloso paesaggio che si fa interessante proprio a partire da questo bel paesino coloniale dove dormiremo questa notte.

14 Febbraio 2007

EL FUERTE – CREEL

Quando ci svegliamo, alle 7 siamo nella nostra calda cameretta dell’ Hotel “ La Choza” , la stazione è a 8 km dal paese. Saliamo su un taxi, vecchio almeno quanto il taxista e alle 8,10 siamo in attesa sull’unico binario della stazione senza biglietteria di El Fuerte. Con noi aspettano decine di altri viaggiatori tutti ultracinquantenni ahimè made in USA. La mia insofferenza nei loro confronti cresce parallelamente all’avvicinarci ai loro territori…e qui siamo davvero vicini! La loro insopportabile arroganza è direi consequenziale alla loro folle politica internazionale…e mi stupisce che questi messicani , viste le stragi che ne hanno fatto di recente lungo la frontiera, si sforzino anche di capire la loro lingua. Nel mio piccolo se proprio devo, li osservo con la stessa sufficienza che loro riservano agli altri…credo sia giusto che sappiano che una buona parte del mondo non li approva, non li teme, e semmai li compatisce. Per fortuna abbiamo i biglietti del treno, ma purtroppo non i posti a sedere, ed i migliori sono quelli sulla destra del treno rispetto alla direzione di marcia, favorevoli per l’osservazione del paesaggio della sierra. All’arrivo del treno “Chihuahua Pacifico” i made in Usa si tuffano sugli sportelli appena aperti, noi ci ritroviamo civilmente in coda a loro…ma un bigliettaio deve averci visti non appartenenti a nessun gruppo e ci chiama. Una volta saliti ci accomodiamo nei due posti assegnati , facendo spostare una coppia di anziani Usa che si erano indebitamente impossessati di queste due nostre magnifiche poltrone fortunatamente situate sul giusto lato. Anche le piccole soddisfazioni sono pur sempre soddisfazioni! Vanni sparisce poco dopo dietro le pagine dell’ennesimo libro di Wilbur Smith, io quasi incollata al finestrino, osservo il paesaggio mutare mentre il treno si insinua tra le pieghe dei rilievi della Sierra. Alberi dai fiori rosa intenso interrompono la monotonia cromatica del paesaggio inizialmente piuttosto brullo, ma poi dopo una lunga galleria siamo immersi in un paradisiaco laghetto circondato dalle montagne. Saliamo sempre più, in alcuni tratti il percorso è così ripido che il treno deve abbandonare l’andatura consueta ( tra i 20 e i 30 Km/h) per procedere a passo d’uomo. Strapiombi da vertigine, carrozze sfasciate in fondo ai burroni, saliamo attraversando ponti e gallerie tra rocce svettanti e boschi di abeti. Con cadenza quasi oraria il treno si ferma per raccogliere i pochi passeggeri fermi accanto ai binari dei piccoli villaggi…ma l’andatura è così lenta da non accorgersi di nulla. A San Rafael un gruppo di donne Tarahumara, si avvicina al treno per vendere i cestini di loro fabbricazione. Sono, come sempre nel centro-sud america, coloratissime. Ampie gonne a fiori bordate con nastri tinta unita raccolte in vita da sciarpe di cotone a disegni geometrici. Sembrano uscite da un negozio di Kenzo … di molti anni fa. Tanto per fare due passi andiamo per uno spuntino al vagone ristorante. Assaporiamo le solite buonissime quesadillas al formaggio mentre il sole che filtra attraverso il finestrino ci immerge in un piacevole tepore. Finiamo giusto in tempo per la sosta a El Divisadero, dove è doveroso scendere per ammirare il grande Canyon del Cobre che si apre maestoso davanti a noi. Per raggiungere il mirador attraversiamo un vero e proprio mercato che le donne tarahumara hanno organizzato per vendere i loro prodotti artigianali. Qui i prezzi sono 1/3 di quelli di San Rafael…come al solito non ci azzecco! Allo scadere dei 15 minuti di sosta il fischio del treno ci richiama all’ordine e risaliamo infreddoliti sulla nostra carrozza. Creel è la prossima fermata. Arriviamo alle 16.30, dopo 8 ore di viaggio che sono letteralmente volate via…meglio così. Sarebbe stato impossibile scendere prima, vista la qualità dei villaggi attraversati! Ma anche Creel non ci stupisce certo per la sua bellezza, quanto invece per il freddo gelido che già a quest’ora ci assale. Il nostro abbigliamento non è ovviamente adeguato…pur di non aprire la valigia rigida che pesa come un macigno ma che contiene i vestiti invernali, sopporteremmo qualsiasi temperatura indossando indumenti da spiaggia, come stiamo facendo anche qui a Creel. Mi salva il solito impagabile poncho di lana che per fortuna è rimasto fuori dalla valigia. Il “Cascada Inn” dove ho prenotato un paio di giorni fa non è proprio il massimo, come invece indicava la solita guida Routard. Vanni si inacidisce non poco quando, usciti dall’hotel, andiamo a vedere il suo adorato Best Western a pochi metri dal nostro. Effettivamente in questo caso avremmo fatto meglio ad andare li…ma abbiamo letto della sua esistenza solo dopo aver prenotato al Cascada e per correttezza…..Usciamo alla ricerca del minerale gigante per Vanni e di una delle belle gonne tarahumara per me. Non troviamo né l’uno né l’altra nei pochi negozi del paesino…insomma neanche una gioia qui a Creel. Ormai è deciso. Considerando che non amiamo fare trekking tra le montagne, né aggirarci tra i laghetti ghiacciati, domani mattina saliremo sul treno delle 11.15 con direzione El Fuerte!

15 Febbraio 2007

CREEL – EL FUERTE

Non è difficile svegliarsi presto quando si è andati a letto con i polli. Sono solo le 7.30 ma ci sembra mezzogiorno talmente ci sentiamo sazi di sonno. La camera si è scaldata nel frattempo e la doccia è possibile. Usciamo per un ulteriore perlustrazione dei negozi di artesania in cerca della gonna tarahumara…ma nulla di fatto. Vediamo invece il museo del paese con le tante belle fotografie in bianco e nero che ci raccontano ciò che noi non potremo mai vedere…i loro riti e le loro case scavate nelle alte rocce per sfuggire ai conquistatori: spagnoli o gesuiti che fossero. Anche se ne avremmo il tempo non abbiamo voglia di andare a vedere la famigliola tarahumara a disposizione dei turisti, gli zoo non fanno per noi . Preferisco comprare il libro in vendita in uno dei tanti negozietti del paese scritto da Maria Elena Orozco Idalgo che per dedicarsi allo studio di questa etnia ha vissuto per molto tempo con loro. Il modo migliore per conoscerli davvero! Il libro si apre con una riflessione che mi conquista e che cito:- Senza che nessuno gli abbia detto niente l’indio sa molte cose. L’indio legge con i suoi occhi tristi ciò che scrivono le stelle che passano volando, ciò che è nascosto nell’acqua stagnante del fondo delle grotte, ciò che pesa sopra la polvere umida della sabana. L’udito dell’indio ascolta ciò che dicono gli uccelli saggi quando cala il sole, e sentono parlare gli alberi nel silenzio della notte, e le pietre dorate per la luce dell’alba. Nessuno gli ha insegnato a vedere, né ad ascoltare queste cose misteriose e grandi, però le sa. Sa e non dice nulla. L’indio parla solo con le ombre. Quando l’indio riposa delle sue fatiche, sta parlando con quelli che lo ascoltano e sta ascoltando quelli che gli parlano. Quando si sveglia, sa più di prima e calla più di prima.- E’ evidente che dopo questa lettura, la famiglia indio che da anni si presta ad essere visitata e fotografata dai turisti non vale una visita. E ciò che vorremmo davvero conoscere non potremo apprenderlo nel corso di questo viaggio. Il treno delle 11.15 arriva in ritardo alle 13. Nell’attesa quasi sveniamo per il freddo pungente che nemmeno il sole limpido di oggi riesce ad ammorbidire, immersi tra i made in USA sul marciapiede della stazione. Saliamo finalmente e dopo un paio d’ore scendiamo di nuovo per la sosta a Divisadero per ammirare il grande canyon del Cobre . Stesso grande senso di libertà di fronte alla forza di queste tre grandi voragini che sono il risultato di millenni di effetto erosivo sulle rocce della sierra madre. Ritornando verso il treno dalla breve passeggiata mi fermo di fronte ad un rudimentale focolare sul quale una signora indio scalda le meravigliose quesadillas ed empanadas preparate da lei.. Ne prendo un paio per la nostra merenda da consumare a bordo. Del resto non c’è tempo…i 15 minuti di sosta sono tassativi. Arriviamo ad El Fuerte quando ormai è buio verso le 9 di sera. Le ultime ore di viaggio sono state noiosissime, per la stanchezza e soprattutto per l’impossibilità di ammirare il paesaggio bellissimo che sappiamo esserci là fuori. Stesso taxi per rientrare allo stesso hotel, stessa camera…sembra che il viaggio a Creel non sia mai esistito….

16 Febbraio 2007

EL FUERTE – GAYMAN

L’obiettivo ora è raggiungere la Bassa California nel più breve tempo possibile, quindi scivoliamo velocemente lungo i 400 km che ci separano dal battello per Santa Rosalia. Arrivati, ci accoglie l’ incertezza della partenza di questa sera, forse il battello per oggi non partirà…troppo vento al largo! Ci concediamo un pranzo a metà pomeriggio in un ristorante di pesce. Mangiamo benissimo nell’attesa del responso definitivo delle 18.30 che ci conferma che non partiremo. Cerchiamo una sistemazione nell’unico hotel decente della città…dopo averne visti di terribili. Comodamente stesi sul nostro king bed divoriamo i due dolci che costituiscono la nostra cena, mentre su History Channel scorrono i fotogrammi del film “l’ultimo imperatore”. Domani mattina alle 7 sapremo se partiremo.

12 Febbraio 2007

GAYMAN – SANTA ROSALIA

La sveglia rimbomba nella stanza ma io sono già sveglia da un’ora. Giornataccia…una scena del film di Berolucci mi ha fatto tornare alla mente un grosso problema mai risolto ed oggi sono la persona più triste e depressa del mondo! Ma partiamo, su questo vecchio ferry il cui salone principale, l’unico aperto, non ha oblò. Viaggiamo in stiva, praticamente, di fronte a noi si apre ad un certo punto un piccolo baretto, nascosto prima da due ante a soffietto. Sarà la nostra salvezza, nelle 9 lunghe ore di traversata, consumata tra lacrime e Kleenex.. Ma usciamo ogni tanto sopracoperta a prendere una boccata d’aria. Il mare è piatto come una tavola e non c’è vento. Procediamo alla velocità di 15 km/h….è praticamente come attraversare a piedi. 150 km in 9.30 h. Una follia al giorno d’oggi! Delfini e balene. A Santa Rosalia ci sistemiamo nel bell’hotel “Los Frances”, dove la nostra camera ci avvolge con la sua particolare atmosfera Old Style. All’interno le pareti sono rivestite con un tessuto disegnato a fondo vinaccia, i mobili sono in stile ovviamente e tutto il resto è legno. Siamo contenti della sistemazione ma il mio malumore non migliora.

18 Febbraio 2007

SANTA ROSALIA – GUERRERO NEGRO

Partiamo di buonora verso Guerriero Negro che a 150 km da noi ci aspetta con le sue numerose balene grigie provenienti dall’Alaska. Appena usciti sul lungomare vediamo il bellissimo paesaggio desertico nel quale siamo immersi, cui fa da sfondo il mare blu intenso. Visto e subito lasciato questo bel mare; ci dirigiamo infatti verso l’interno per raggiungere la costa pacifica, attraversando territori inospitali pieni di cactus di ogni dimensione e specie. Avvistiamo anche il vulcano delle tre vergini che si staglia imponente all’uscita di un’ampia curva. La strada sinuosa si arrampica lungo i pendii di questa arida sierra non particolarmente alta, ad ogni sterzata di Carolina i colori sempre variabili del terreno si stemperano in sfumature accattivanti sopra la totemica vegetazione. La sierra lascia il posto alla pianura ancora caratterizzata dalla stessa spinosa vegetazione. Le curve lasciano il posto a rettilinei affollati di lunghe carovane di sporchi americani in fila con i loro camper e pullman monocromi. Più oltre ecco il pueblo di Guerrero Negro immerso nell’ampia laguna che lo circonda, la famosa Ojo de Lieve ( occhio di lepre) dove le balene arrivano numerose per riprodursi. Giungiamo al pueblo non sapendo nulla….per esempio quale sia il punto da cui partono le lance di avvistamento, decidiamo di seguire i cartelli che ci suggeriscono mete allettanti come “le dune” o “il vecchio faro” o “avistamento de aves “. La larga strada bianca che come un lungo ponte si insinua dentro la laguna, termina con uno slargo a ridosso del mare aperto. Non siamo soli qui, ad ammirare la lingua di dune che si sviluppa a perdita d’occhio parallela alla costa. Come una barriera naturale a protezione della laguna, le alte dune sono proprio del colore che preferisco, una vasta gamma di sfumature ocra. La cosa particolare è che sono li isolate dentro al mare, a 200 metri da noi, come se potesse esistere una fascia di deserto circondato dall’acqua. Siamo incantati di fronte alla magia di questo strano fenomeno naturale…e come noi altre auto dai cui sportelli aperti si spandono nell’aria le note di chiassose canzoni messicane, stanno immobili ad aspettare. E’ domenica oggi ed alcune famiglie locali sono qui a pescare sulle piattaforme circolari che avanzano sul mare, o per un pic nic . Fanno un gran casino, bambini e non….sono vivaci questi messicani! Tornati sui nostri passi e sondate le varie stradine dentro la laguna andiamo questa volta nella direzione degli avvistamenti. Per fortuna qui, a differenza della penisola Valdez in Argentina, le piccole lance partono frequenti ad ogni orario anche pomeridiano. La lancia delle 4 ci porta al centro del grande specchio d’acqua dell’ojo de lieve, le balene sono numerosissime. Il ragazzo che ci guida dice che ce ne sono 750, ma che l’anno scorso, nel periodo di grande afflusso ne sono state contate 2000. Incredibile! Queste balene grigie del pacifico sono vivaci…amano emergere dall’acqua con tutta la loro parte anteriore…come a cercare il calore del sole…o qualcosa da vedere che non siano le profondità marine. Alcune si avvicinano sfiorando la barca, altre guizzano verso l’alto con agilità . Certo ci danno una gran soddisfazione! Torniamo verso la strada asfaltata quando il sole è già al tramonto ( posada del sol ) , vediamo le immense saline bianche tingersi di rosa…la bellezza è indicibile. Dormiamo alla “Cabanas Don Miguelito”, all’interno del complesso Malarrimo. Praticamente un grande recinto circondato da un alto muro che si profila in tutta la sua estensione all’interno di questo territorio semidesertico fatto di poco o nulla.. Mangio degli ottimi callo de mano de leon (capesante) alla mantequilla ( burro )…davvero squisite!

19 Febbraio 2007

GUERRERO NEGRO – LORETO

Appena arrivati in Bassa California, un paio di giorni fa, leggiamo dei magnifici dipinti rupestri rinvenuti nelle quasi inaccessibili grotte della sierra di San Francisco, a poche decine di chilometri da Guerriero. Naturalmente andiamo, almeno in avvicinamento, per verificare quali grotte avremmo potuto visitare in giornata. Lasciata la strada asfaltata dirigiamo la prua di Carolina verso l’interno, verso le montagne che scorgiamo all’orizzonte. Inizia il bel percorso attraverso le tante specie di piante grasse caratteristiche del nord del messico e qui tutte riunite. Sembra di attraversare un immenso vivaio. Cactus, cactus botte, boojum, che cresce solo nella Baja California, pero spinoso o fico d’india, agavi, joshua tree, sono gli unici nomi che ricordo di questa incredibile varietà …del resto la botanica non è mai stata il mio forte…dimenticavo un tipo di cactus botte che produce sulla sua sommità piccoli frutti a forma di ananas in miniatura…perfetti da succhiare se si è a corto di acqua. La strada intanto si fa sempre più ripida e sassosa con strapiombi che ci fanno temere di precipitare dentro quei vortici di pietra. Incontriamo solo un paio di auto che a fatica scivolano accanto a noi diretti nell’altra direzione…noi continuiamo a salire verso questo gruppo di una decina di case che finalmente vediamo su un promontorio. Le ridotte dimensioni della chiesa fanno intuire che il borgo non conta più di una cinquantina di persone….siamo proprio in culo al mondo! L’ufficio è un piccolo tavolo scassato sotto una tettoia esposta agli elementi, l’anziano signore al quale chiediamo dei dipinti estrae un blocco dal cassetto mentre ci spiega che l’unica grotta facilmente raggiungibile è la “gruta del ratòn”, situata poco più a valle sulla strada che abbiamo percorso salendo. La visita delle altre numerose grotte con dipinti richiede un tour a dorso di mulo attraverso i canyon della durata di almeno 3 giorni con pernottamento in tenda. Con questo freddo è decisamente improponibile! Ci accontentiamo di vedere questa, a pochi passi dalla strada e decisamente interessante. Questi sono probabilmente i più bei dipinti paleolitici che abbia mai visto, ne usciamo col proposito di comprare almeno il libro che riporta le foto di quelle che inevitabilmente ci siamo persi. Arriviamo a Loreto nel tardo pomeriggio dove scegliamo l’ hotel “Oasis de Loreto” perché sulla spiaggia, con camera piuttosto spoglia ma vista mare. Due passi al tramonto sul lungomare e una cena cara ma di scarsa qualità al “ Mediterraneo “ dove il mio callo de mano de leon non è nemmeno paragonabile a quello di ieri sera.

20 Febbraio 2007

LORETO – TODOS SANTOS

Questo tratto di litoranea che da Loreto ci porta verso La Paz è davvero spettacolare. Una miriade di insenature, isolotti, baie ed il mare di un blu da manuale che contrasta con il colore delle montagne brulle che vi si insinuano con i loro profili frastagliati. Sembrano giganteschi draghi affondati nel mare molti milioni di anni fa. Poche case lungo la costa, anche le baie e le belle spiagge sono libere da costruzioni ma piene delle carovane di camper dei soliti made in Usa…che peccato! Ci fermiamo a La Paz , la capitale della bassa California del sud, per una passeggiata sul lungomare, tanto per non rischiare di perdere l’uso degli arti inferiori. Questa sera si festeggerà proprio qui sul lungomare l’ultimo giorno di carnevale…che anche a quest’ora del pomeriggio è tutto in fermento. Si allestiscono palchi, ed una fila ininterrotta di bancarelle corre lungo la strada già chiusa al traffico. Proseguiamo per Todos Santos, un piccolo paese sulla costa pacifica famoso per il celebre hotel California della canzone degli Eagles. Abbiamo qui una sorta di appuntamento con Paolo e Catia ( paolocatia@interfree.it), due ravennati conosciuti a una cena l’estate scorsa a casa di Angelo e Raffa. Vivono qui da qualche anno e stanno costruendo la loro casa dei sogni proprio a Todos Santos, su una collina che domina il mare a nord del paese, tra cactus, avvoltoi e serpenti a sonagli. Appena arrivati cerchiamo un hotel, ma non troviamo un vista mare, quindi li chiamiamo per salutarli e per avere delucidazioni circa le sistemazioni che offre il mercato. Dopo pochi minuti sono da noi e ci invitano per un aperitivo nella casa che occupano temporaneamente, ospiti di Jenny, una loro amica inglese. La casa è bellissima, essenziale, colorata, estremamente accogliente. Loro simpatici, solari e gentilissimi. Ci propongono di sistemarci nella camera libera al primo piano e noi, reduci da mesi di camere d’hotel e conquistati dalla loro piacevolezza, accettiamo volentieri. Ci raccontano che il progetto dell’edificio e degli arredi è di Jenny, ex modella londinese, poi arredatrice di talento che sta portando a termine il piccolo insediamento di sua proprietà di cui fa parte questa casa che occuperemo nei prossimi giorni . Paolo e Catia, che occupano la camera al piano terra, sono un po’ più grandi di noi, giramondo da sempre e profondamente liberi. Si frequentano felicemente da 27 anni, ma il tempo non sembra aver inciso negativamente su di loro…anzi continuano a fare progetti insieme, con slancio e passione. Insomma una coppia da imitare. Naturalmente parliamo del nostro viaggio e loro ci raccontano delle incredibili difficoltà nel realizzare la loro casa con le maestranze locali la cui scarsa professionalità ha dell’incredibile…ed effettivamente ascoltando i loro racconti non si può non dar loro ragione. Dopo una breve passeggiata alla grande spiaggia sotto casa, con avvistamento di balene che spruzzando acqua dal loro dorso viaggiano parallele alla costa, rientriamo per la cena con gli ottimi spaghetti alle vongole preparati da Catia, chiacchiere e dvd dello spettacolo di Grillo registrato a Bologna l’anno scorso. Le risate si mescolano all’amarezza inevitabile che suscita l’ennesima presa di coscienza dell’assurdità insita nella politica Italiana, e tanto altro.

21 Febbraio 2007

TODOS SANTOS

I ragazzi oggi saranno tutta la giornata a La Paz , ci lasciano una delle loro auto e ci consigliano di andare alla “playa las palmas” che dicono essere bellissima. Impieghiamo almeno un’ora per trovarla…nonostante le tante soste fatte per chiedere dove fosse questa benedetta spiaggia! Alla fine arriviamo e iniziamo a percorrere il sentiero tra le palme parallele al piccolo fiume che sfocia su un lato di questa bella spiaggia. La sabbia gialla con striature nere, il fitto palmeto alle nostre spalle, le rocce sui due lati a definirne la dimensione, non più di 300 metri. Il mare qui come sempre sul pacifico, è potente. I cavalloni alti rifrangono sulla battigia allungandosi per molti metri verso l’interno …l’acqua gelida scoraggia da qualsiasi tentativo di bagno. Poco dopo arrivano i cavalli di cui Catia ci aveva parlato, a conferire un aspetto ancor più selvaggio a questo bell’angolo di Todos Santos. Li vediamo al passo, paralleli alla riva davanti ai flutti che sembrano esplodere dietro di loro…sono bellissimi e tranquilli, dopo poco si accucciano lontani da noi, in fondo alla spiaggia. Solo una decina di persone qui con noi. Stiamo bene. Ci fermiamo per un tacos de camarones in un chiosco lungo la strada, gustoso e necessario a quest’ora, ma Vanni come sempre assaggia solo la doppia porzione che prevedendo ho ordinato…fa l’anoressico ma è un golosone! I ragazzi non sono ancora rientrati quindi decidiamo per una passeggiata alla spiaggia sotto casa che preferisco a tutte quelle viste di recente…ma è già tardi ed il tramonto finito. Andiamo a cena in un ristorantino del paese che Catia e Paolo ben conoscono…si chiama “ el Zaguàn” e si mangia meraviglioso pesce fresco. La fornitura di tonno fresco non lascia spazio a dubbi e così sfilano sul tavolo piatti di sashimi, di tonno marinato in salsa di soya con papaia, verdurine, flan…una squisitezza di cibi annaffiati con un ottimo chardonnè cileno Santa Elena. Il marinato con papaia è così stuzzicante che cedo alla seconda porzione…e sono sicura, mentre ne addento l’ennesimo boccone, che non sarà finita qui. Dopo la cena luculliana andiamo a casa di Cesar, un loro amico messicano simpatico ed ospitale dove tra una pipetta e l’altra, tequile e risate lo batto due volte di seguito a back – gammon. Siamo ancora così tirati quando usciamo alle 4 del mattino che sembra strano dover entrare in un interno per andare a letto…comunque andiamo e alla fine chiacchieriamo nel nostro comodo lettone bianco fino quasi all’alba. Un’altra serata così e muoio!

22 Febbraio 2007

TODOS SANTOS

Ci svegliamo tardi e straniti…da sotto non giungono suoni, dormono o sono usciti? Scendo per preparare un caffè a Vanni che si rifiuta di scendere a socializzare…dice di essere cotto….o meglio crudo come dicono da queste parti. Io invece sono iperenergetica ed esco con Catia alla ricerca di un vivaio dove prendere un bel mazzo di fiori per Jenny, la padrona di casa. Ma nemmeno trovare un po’ di fiori è così semplice qui in mezzo al deserto. Ci dirigiamo verso sud, sulla strada per Cabo San Lucas e dopo una ventina di chilometri troviamo finalmente il vivaio aperto. Disposti su un tavolaccio di legno alcuni catini di plastica raccolgono variopinti fiori composti in mazzetti. Scelgo qualche girasole ed un mazzo fitto fitto di fiori dalle tonalità rosa e arancio. Ma al rientro Jenny non è in casa, Vanni ancora in panciolle sul letto legge la guida degli stati uniti, Paolo è in attesa di andare a prendere i muratori in cantiere. Decidiamo di andare tutti a vedere il loro nido in costruzione. Il bronco sfreccia lungo la strada bianca litoranea per circa 5 km, poi si inserisce in una traversa verso l’entroterra. Un gruppo di avvoltoi dal becco rosso si alza dal bordo della strada…stanno divorando un cane, morto forse per il morso di in serpente a sonagli…Due buchi neri là dov’erano gli occhi, un buco sulla pancia ed all’altezza dei genitali…Questi uccellacci adorano nutrirsi delle parti molli del loro bottino, prima di dedicarsi al corpo che deve essere già in avanzato stato di decomposizione per rappresentare un bocconcino prelibato. Superato il gruppetto il bronco inizia ad arrampicarsi all’interno della proprietà, su una stretta sterrata delimitata ai due lati da profondi solchi per lo scolo delle acque piovane. Improvvisamente il motore perde potenza e la macchina si ferma. Si può solo tornare indietro in folle, ma subito ci ritroviamo inclinati con due ruote nel fossato. Scendiamo a fatica arrampicandoci verso gli sportelli a monte e mentre Paolo prova inutilmente a far uscire il bronco , noi ci incamminiamo verso la casa in costruzione che, immersa in un bosco di cactus, riprende la tipologia della posada messicana ad un piano, sviluppandosi sui tre lati della corte interna aperta verso la piscina e più oltre il mare. Dalla terrazza dominiamo tutta la costa che vediamo snodarsi in un ampio arco di cerchio dal paese, fino ad una lontana baia più a nord. La posizione è strategica e la grande proprietà una scelta per preservarsi da eventuali disturbi da parte di vicini di casa indesiderati.. Gli operai intanto accorrono ad aiutare Paolo nelle lunghe operazioni di recupero, Vanni sovrintende. Dopo una mezz’ora decidono di chiamare il ranchero confinante che in effetti accorre con un vecchissimo pick up, ma uscito il bronco è lui ad infilarsi questa volta nel fossato. Nel frattempo la macchina di Paolo nell’uscire ha rotto il filtro dell’olio ed è quindi inutilizzabile. Il canchero che rimane anche senza benzina decide di rientrare a casa a piedi. Paolo chiama Cesar che disponibilissimo arriva mentre noi stiamo camminando alle luci del tramonto sulla sterrata verso il paese. Con decisione unanime rifiutiamo l’invito a raggiungerlo dopo cena per la solita abbuffata di cocaina e andiamo invece sempre all’unanimità al ristorante di ieri dove il tonno per fortuna è stato riassorbito! Bis di tutto e poi a nanna!

23 Febbraio 2007

TODOS SANTOS – SAN JOSE DEL CABO

Nonostante qui a Todos Santos si stia benissimo è arrivato il momento di partire…essere ospiti a lungo non fa parte delle nostre abitudini e per carattere preferiamo dare che ricevere. Siamo già pronti con i bagagli già caricati in auto, quando giunge la bella notizia che Paolo e Catia ci accompagneranno fino a Cabo de San Lucas . Dopo un oretta arriviamo in questa cittadina devastata dalla speculazione edilizia statunitense, famosa per la sua spiaggia degli innamorati ormai circondata dalle moto d’acqua ed altro. Non vediamo l’ora di fuggire ma non prima di aver assaggiato, dice Paolo, le ottime ostriche di un chiosco molto ruspante ma dai prodotti di indubbia qualità. Quindi li seguiamo fino alla baracca. Due tavolini di legno ed una grande quantità di molluschi sulla pietra di un bancone. Stuoie e plastica a delimitare il piccolo spazio. Paolo ordina tutte le ostriche che ci sono da dividere con Vanni, io prendo un insalata di pesce cotto con callo di chocolate, Catia un cheviche de pescado. Tutto squisito in questo posticino al quale non avrei dato due lire… All’uscita ci salutiamo, questa volta senza possibilità di appello e mentre loro vanno per acquisti, noi procediamo verso San Josè del Cabo, a poche decine di chilometri da qui. Ma è venerdì oggi e gli hotel tutti pieni zeppi per il weekend…finiamo col girare a vanvera in questa città che non conosciamo e della quale non abbiamo nemmeno una mappa per orientarci. Ma finiamo anche col conoscerla presto questa San Josè, visti i giri che continuiamo a fare nel centro storico e sul lungomare…Vanni esasperato propone un super mega hotel sulla spiaggia….un casermone nel quale proprio non riuscirei a stare!..ma poi vediamo una costruzione un po’ più a dimensione d’uomo e ci avviciniamo alla sbarra. Ci informano che si tratta di un centro naturista e che la prenotazione è tassativamente da fare via internet perché la sede è a Cancun. Nessun problema da parte nostra per il naturismo, dato che appena possiamo adoriamo stare nudi…ma trovare adesso un internet point per la prenotazione visto che siamo stanchissimi e praticamente nel parcheggio dell’hotel ci sembra un controsenso! Un bell boy intercede a nostro favore presso la reception e dopo poco torna sorridente per darci la lieta notizia…nonostante la prassi scoraggi questo tipo di approccio al centro naturista, saremo graditi ospiti dell’ hotel Desiré….in fondo siamo in Messico…non in Svizzera! 190 USD a testa al giorno sono comunque una cifretta considerevole per questo hotel all inclusive sulla spiaggia di San Josè, ma alla fine siamo finalmente giunti da qualche parte. Joan Pablo ci accompagna alla 120 introducendoci alle regole del centro, che scopriamo essere godereccie da morire e molto poco naturiste in senso stretto. Nudi si, ma solo nell’area piscina, spa e nella parte di spiaggia protetta , ridossata alla piscina…ma la cosa interessante è che non solo è consentito ma quasi incoraggiato il sesso in pubblico, se praticato in alcune aree consentite, tra cui alcuni angoli della discoteca e la terrazza della spa. Arrivati nella nostra bella camera, Joan Pablo ci fa notare con una punta di soddisfazione il disegno posto sopra il letto che illustra alcune posizioni del famoso kamasutra….tutte queste sollecitazioni, unite al canale porno in tv, che scopro essere estremamente eccitante per l’Ale, ci inducono ad un pomeriggio di sesso sfrenato. Certo la sera c’è un bel freddo anche qui! Ceniamo al ristorante della piscina….certo non benissimo….poi a letto di nuovo per un bel bis.

24 Febbraio 2007

SAN JOSE DEL CABO

L?hotel si sviluppa sui due lati di un lungo giardino che dalla reception corre verso il mare. Pieno di piante grasse ed uccellini variopinti ha al centro un percorso sinuoso che disimpegna le aree di ristorante, bar, piscina. Attorno a quest’ultima e sulla spiaggia di pertinenza una serie di bassi letti a baldacchino protetti da teli di cotone bianco rappresentano il luogo più comodo dove vivere le ore più calde della giornata standosene comodamente nudi, stesi, a sorseggiare i drink che nel frattempo la cameriera avrà recapitato. E così dopo la colazione al ristorante Il Piacere, ci impossessiamo di uno dei lettoni più defilati e, armati di computer, guide e cartine stradali, trascorriamo un pomeriggio di relax sotto l’ombra delicata del cotone bianco, accarezzati dalle brezze marine e dal tepore del sole. Dato che da quando siamo arrivati qui ieri, non abbiamo più nemmeno pensato di uscire per un giro nel centro storico ecco arrivare il momento giusto…dopo l’aperitivo alla piscina dello spa, quando la temperatura si fa proibitiva per il nudismo, siamo pronti per una visitina di piacere tra negozi, piazze e le chiese del centro. Le solite cose di sempre ma un po’ più care, interessanti invece le gioiellerie dove vedo turchesi molto belli. Ne ordino un grosso pezzo che ritirerò in giugno, quando torneremo qui per proseguire il nostro tour americano. Mi è venuta l’idea di fare duplicare il mio anello di avorio con il turchese….sarà favoloso! Diamo qualche spicciolo al ragazzo che nel frattempo ci ha lavato l’auto parcheggiata lungo la strada, e torniamo in hotel per la cena, questa volta buona nel ristorante il piacere.

25 Febbraio 2007

SAN JOSE’ DEL CABO – LA VENTANA

Quasi mi dispiace di non poter spaparazzarmi anche oggi all’ombra dei tessuti nei comodi lettoni a baldacchino sulla spiaggia…ma che dire. Il viaggio va avanti. Vanni vuole trovare un posto dove io possa fare un po’ di snorkeling ….esigenza più sua che mia, vista la temperatura gelida dell’acqua…ma chiediamo e ci viene consigliata Punta Pulmo, un po’ più a nord di San José, che si affaccia sul Mare di Cortes, decisamente più easy dell’ondoso Pacifico dove solo le balene sembrano nuotare felici. Riusciamo a partire alle 11.30, nonostante le incomprensibilmente numerose chiamate dalla reception. Proprio vogliono rompere le scatole…il check-out è alle 12! Comunque riusciamo a non restituire le tessere per l’apertura della porta della camera….Vanni ne ha iniziata la collezione qualche tempo fa e non riesce proprio a smettere. La strada per Punta Pulmo non è proprio scorrevole. A parte il primo tratto di strada asfaltata il resto è costituito da una strada bianca completamente senza indicazioni. Per fortuna la nostra cartina dettagliata ci fa intuire i nomi di tutti i paesini che incrociamo per arrivare a destinazione…quindi arriviamo alla fine, ma solo dopo una serie di informazioni strappate qua e la. La costa che percorriamo in macchina è bellissima ed il mare di un blu da capogiro, ma quasi tutta di proprietà dei privati che se non hanno già provveduto a costruire sono in procinto di farlo. Tranne a Punta Pulmo, dove la sabbia è stranamente ghiaiosa e scura. Il paesino è costituito di poche case distribuite a casaccio lungo la strada. Di queste poche uno è un resort, due sono scuole di diving e c’è anche un ristorante. Non ci piace qui, soprattutto dopo aver visto le belle spiagge lungo la strada. Decidiamo di andare oltre, verso La Paz, vediamo sulla cartina una grande baia che ci era stata consigliata… Carolina sfreccia lungo la strada sterrata che, tagliando tra le due statali, unisce noi e l’obiettivo in linea retta, Vanni è un po’ teso…deve essergli venuta un po’ di paura di forare….chissà perché! Arriviamo a La Ventana verso le 5 del pomeriggio.. L’unica sistemazione plausibile è rappresentata dal B&B Palapa La Ventana di cui vediamo dalla strada le poche cabanas circolari con vista mare. Entriamo a vedere e veniamo accolti da Carina, un’americana che parla solo inglese, ma alla quale comunque riusciamo a far capire che prendiamo la cabana green , l’unica che abbiamo visto. Ceniamo al ristorante “la ventana del sol” , l’unico ristorante qui, dove finalmente riusciamo ad assaggiare le famose Albondegas de pescado , ottime polpettine di pesce in brodo, di cui Catia ci aveva parlato benissimo. Il silenzio è di tomba questa notte qui a La Ventana…i tappi non sono necessari.

26 Febbraio 2007

LA VENTANA

La colazione che Vanni porta nella veranda vista mare è come un regalo, per la bellezza del panorama, l’ombra della tettoia e l’amorevolezza del servizio. Nel frattempo mentre faceva colazione al ristorante, ha chiesto a Timoteo, il figlio della proprietaria, dove sia il posto più adatto allo snorkeling. Torna con una mappa disegnata grossolanamente a matita che indica una spiaggia abbastanza lontana da qui, sulla punta Arenal. Naturalmente andiamo avventurandoci lungo le sterrate che, dopo il pueblo di San Pedro si inoltrano verso la spiaggia. Vediamo in lontananza il piccolo faro, quindi deviamo verso un hotel del quale non sono riportati cartelli e che scopriamo essere stato di recente abbandonato. Sulla spiaggia lì accanto un gruppo di pescatori sta sistemando il pescato dentro scatole di polistirolo, la spiaggia affollata di pellicani è chiara ed il mare meravigliosamente blu. Siamo gli unici visitatori qui, i pescatori ci tollerano e noi ci sistemiamo un po’ defilati. L’acqua è freddissima, ma entro con la muta e inizio subito a nuotare con slancio. Il resto lo fanno la bellezza dei coralli e dei pesci colorati. Dopo una mezz’ora rientro alla spiaggia dove i pescatori, che stanno risalendo, lanciano a tutta birra le loro barche sulla sabbia alzando il motore all’ultimo momento perché l’elica non si areni nella sabbia. Mai vista una cosa simile…sembra di vedere le comiche, con la barca che ancora in acqua e perpendicolare alla spiaggia, a tutta birra si lancia sulla terraferma! Sono dei matti, ma il risultato è ottimo….senza fatiche inutili le barche si posizionano da sole al sicuro a metà spiaggia. Qui la costa è incantevole …e non c’è nessuno. Dopo un’oretta dal mio ritorno i pescatori sono pronti per andare e se non usciremo con loro rimarremo chiusi all’interno del cancello di accesso alla spiaggia dell’hotel. Vanni decide saggiamente di cambiare zona, la spiaggia sotto il faro che avevamo vista è meravigliosa e desolata…fa per noi che adoriamo sentirci ogni tanto come naufraghi.. Continuiamo la nostra abbronzatura integrale passeggiando o sostando sui nostri kikoyo…trascorriamo una magnifica giornata di mare in relax. Al rientro mi godo il massaggio che avevo prenotato per le 16.30. Teresa, la massaggiatrice è capace ed energica. Individua subito il problema quindi si accanisce su tutti i grovigli che sento sotto la pressione delle sue dita….naturalmente su collo, spalle e schiena. Un brano “are chrisna” fa da sottofondo musicale, disturbato a tratti dal rumore delle auto sulla strada a pochi passi da noi. Vanni intanto si è dedicato ad internet ed a socializzare con i ragazzi del bar. Ceniamo sempre nell’unico ristorante disponibile, mangiando le stesse buone cose di ieri. Unica variazione il proprietario messicano che prendeva le ordinazioni è stato sostituito con l’insegnante di yoga statunitense che ha la voce da bambina scema ma che dopotutto è simpatica. Riusciamo a strappare alla cuoca la ricetta delle polpette di pesce che riporto qui di seguito per non dimenticare: pesce macinato, peperoni , basilico, pepe ed un po’ di farina bianca di mais per legare il tutto. Cuocere in brodo di verdure con basilico e riso scotto.

27 Febbraio 2007

LA VENTANA – LA PAZ

Mi sveglio rincoglionita quando Vanni è già rientrato dalla colazione. Questa notte mi sono svegliata con un rumore che probabilmente era il grido di un uccello e fino all’alba non ho chiuso occhio per la solita paura dei ladri. Maledetta ansia! Certo la cabana non ispirava una gran sicurezza….ma da qui a starsene per ore sveglia nel cuore della notte ce ne passa! Il secondo massaggio con Teresa è alle 11, quindi abbiamo tutto il tempo di razionalizzare i bagagli in vista della partenza di domani da La Paz a Città del Messico. Ma che fatica far star tutto in due trolly ed una valigia grande! Comunque altri nodi da sciogliere per Teresa che come ieri inizia un paziente lavoro di distensione che comunque non risolve completamente…i miei nodi sono tenacissimi ed il torcicollo che mi “tormenta” da un paio di mesi si attenua ma non sparisce. Dopo aver pagato un conto, salatissimo per questo tipo di sistemazione, e con cambio sfavorevole passando dal dollaro al peso infine all’euro, per un totale di 275€ per due notti, partiamo verso la vicina La Paz.. Alloggiamo alle “Cabanas los Arcos”, sul lungomare della città. Ancora operazione bagagli con pesatura del valigione. %0 kg in due non sono tanti considerando il malloppo di libri che ci portiamo dietro. Esco poi sola a cercare una camicia con taschini dove alloggeranno i due nostri animalini sopravvissuti a tutte le diverse condizioni climatiche e sobbalzi cui li abbiamo costretti. Viaggeranno all’interno di un taschino bianco anche se loro adorano la penombra del colore nero, ma sentiranno il mio calore e questo credo li consolerà un po’ quando la pressione sarà forte sulle loro corazze. Questa sera ceneremo con Paolo e Catia che colgono l’occasione dell’arrivo di loro amici qui a La Paz con l’aereo della sera ,per un ultimo saluto. Che carini! Arrivano e subito usciamo, la fortuna è che loro conoscono i posticini giusti quindi mangeremo senz’altro bene in questo “Buffalo” dove stiamo andando. La specialità della casa sono delle bisteccone sanguinolente cotte alla brace e novità delle novità, le costole di mucca che in Italia invece non si trovano sottolinea Catia. Io comunque ho un bel filetto di Marlin ( tipo pesce spada) e gamberoni e cozze e vongole nel mio piattone…insomma non patirò la fame! Paolo e Vanni scelgono un vino rosso francese che fa scaturire una mezza tragedia perché la seconda bottiglia sa di tappo e non la vogliono cambiare…Paolo si incazza, soprattutto per l’arroganza del cameriere. Comunque la cena luculliana procede benone sia sul fronte carne che su quello pesce….Decidiamo di rientrare nella nostra camera per un drink di saluto, ma poi finisce in un’orgia di cocaina che ci fa stare svegli fino a notte inoltrata.

28 Febbraio 2007

LA PAZ – CIUDAD DE MEXICO

Andiamo a ritirare i nostri biglietti all’agenzia Aeromexico come d’accordo alle 9, poi verso l’aeroporto per l’ultima corsa di Carolina in questa nostra terza parte di viaggio. Lasciarla in questo parcheggio sembra quasi abbandonarla…e già sappiamo che a Città del Messico ci mancherà da morire. L’aeroporto di La Paz è senza pretese ma nuovo e soprattutto ospita una piccola caffetteria dove si possono assaggiare delle ottime fettone di torte al cioccolato. I machech viaggiano clandestinamente nei due taschini della mia camicia e fortunatamente nessuno al controllo di sicurezza se ne accorge. Ma poi ecco che al gate una signora seduta di fronte a me mi fa cenno indicando la camicia…il più piccolo dei due non ne vuol proprio sapere di starsene li dentro e spunta fuori dal taschino seminascosto dal risvolto. Prontamente lo prendo in mano per nasconderlo ma una bambina ha visto e vuole toccarlo…insomma tutto bene nonostante le mie perplessità. Il volo parte con un ora di ritardo alle 13.10, piccolo spuntino a bordo e poi eccoci davanti alla barriera di inquinamento sopra la capitale. Una cappa di fumo rossastro si estende sopra tutta la vallata. L’idea di entrare li dentro e di restarvi per 6 giorni non ci fa impazzire di gioia, soprattutto dopo aver sentito l’odore che fa questo smog.. Dentro l’aereo si dilata incolore ma pestifero, come di ristorante cinese. Nausea e mal di testa arrivano quasi immediatamente…ma che fare? Una volta a terra seguiamo il consiglio di Paolo e Catia prendendo il taxi alla stazione autorizzata dei taxi su un lato dell’aeroporto e con 185 pesos siamo sani e salvi all’”hotel Estoril”, naturalmente un Best Western, nella zona più malfamata del centro. Ceniamo malino in un altro best western super consigliato dalla Routard, il Cortès, ancor più triste del nostro ma inserito in un antico edificio coloniale.

01 Marzo 2007

CIUDAD DE MEXICO

Iniziamo con un bel mattoncino oggi! Il Museo di Archeologia è immenso ed estremamente interessante. Osservando i bellissimi oggetti esposti ripercorriamo con la memoria i molti siti archeologici visitati durante il viaggio …insomma una specie di ripasso itinerante all’interno di questo grande edificio anni ‘70 che ci tiene impegnati per buona parte del pomeriggio. Ne usciamo stremati ma arricchiti, oltre che della ulteriore conoscenza di queste incredibili civiltà precolombiane anche delle 100 fotografie scattate strada facendo, che serviranno a conservarne la memoria. All’uscita ci avvolge il tepore di questa giornata di sole ormai agli sgoccioli. E’ caldo qui a Mexico, nonostante i 2300 metri di altitudine anche la sera si sta bene in camicia…credo non esista luogo più appropriato per parlare di effetto serra! Rientriamo in hotel per una necessaria siesta, poi dopo un paio d’ore siamo di nuovo in taxi per raggiungere il ristorante “Via Tasso” dove dobbiamo recapitare a Carmela, la proprietaria, un piccolo pacchetto da parte di Catia. E’ simpatica questa Carmela, nata qui ma da genitori italiani, ci propone una serie di squisitezze da gustare…tra cui le meravigliose bombe di mascarpone. Praticamente dei piccoli bocconcini di pasta sfoglia ripieni di mascarpone e fritti….libidine massima!

02 Marzo 2007

CIUDAD DE MEXICO

Ci dedichiamo oggi alla visita del Museo di Arte Moderna e del museo Tamayo…… solo il secondo davvero apprezzabile sia per la bellezza del contenitore che per le opere esposte, una bella collezione di foto di artisti africani e una retrospettiva di quadri optical anni ’70. In un cortiletto, sorpresa delle sorprese una bella scultura di Jo Pomodoro ed all’esterno un totem di Arnaldo Pomodoro…insomma la famiglia al completo. L’edificio ricorda le architetture di Moneo, il mio architetto spagnolo preferito, in particolare la fondazione Mirò di Palma di Maiorca. Anche Elisa immagino avrebbe molto apprezzato questa visita. Ci sediamo per uno spuntino all’ombra della pensilina, accanto all’entrata, dove ispirata da tanta creatività fotografica inizio anch’io a sperimentare…Vanni naturalmente il mio soggetto preferito in primo piano, lo sfondo invece questa architettura riflessa nei vetri dietro a lui. Insomma un bel pasticcio. Riusciamo a trovare gli uffici Iberia solo grazie allo zelo di un taxista particolarmente volenteroso….gli altri normalmente non sanno nulla, nemmeno individuare strade del centro che non conoscono. Chiedono ad altri taxisti ancora più ignoranti di loro ed alla fine non si arriva all’obbiettivo e si scende dal taxi per disperazione dopo una mezz’oretta di inutili giri a vuoto. Dicevo di Iberia che si è trasferita al nono piano di un edificio senza insegne che consentano di rintracciarla più agevolmente, sembra quasi che non vogliano farsi trovare. Confermiamo il nostro volo del 6 marzo e poi ci concediamo una bella passeggiata al tramonto lungo La Reforma dove i grattacieli abbondano almeno quanto l’inquinamento ed il rumore assordante dei clacson e dei fischietti dei vigili. Poi Vanni non ce la fa più e prendiamo un taxi per rientrare. Abbiamo grandi progetti per questo nostro venerdì sera…leggo sul settimanale “Tiempo Libre”, che nel frattempo abbiamo comprato, che al “Papabetos Jazz Bistro” di una certa Fujino Kawaguchi Yuko, si terrà questa sera un concerto ovviamente jazz. Alle 21 si esibirà il Diego Moroto Trio, invitado especial Pancho Lelo de Larrea (guitarra). Andiamo. Il locale è vuoto ma il concerto inizierà verso le 22…c’è tempo! Ma arrivano solo altri due ragazzi oltre ai numerosi amici dei concertisti. Il concerto inizia ugualmente e questi ragazzi sono davvero bravi. Vanni, forse solo per consolarli della scarsa affluenza offre loro da bere ed è subito affiatamento, con tanto di dediche e richieste. La serata scivola via piacevolmente tra un Rum anejo consumato nella bella atmosfera bohemienne che si è creata e due chiacchiere con il saxofonista Diego. Ci dice che ieri il locale era pieno…ma questa sera c’è un bel concerto al Zinco e questo forse spiega le 4 persone di oggi qui. E’ belloccio e simpatico…e siamo lusingati della sua presenza al nostro tavolo.
Quando rientriamo io sono ubriachissima e dopo un po’ di sofferenza mi addormento di sasso.

03 Marzo 2007

CIUDAD DE MEXICO

Oggi finalmente niente taxi…ci dedichiamo al centro che è relativamente vicino all’hotel. Andiamo prima di tutto al “Palacio de Bellas Artes” per i biglietti dello spettacolo di domani sera. Un balletto folklorico de mexico ospitato nel bell’edificio neoclassico progettato dall’ architetto italiano Boeri all’inizio dello scorso secolo, e terminato nel 1932 da Mariscal che ne concepì l’interno nello stile della sua epoca, il decò. Ne approfittiamo per osservarne le parti adibite a mostra di murales di artisti messicani. Le lampade decò sono meravigliose, Chiara ne sarebbe affascinata. Ci aggiriamo tra i marmi neri e rossi di Carrara e le geometrie tondeggianti degli oggetti di arredo e delle insegne metalliche che ci accompagnano fino all’uscita. Proseguiamo poi attraverso calle Madero per raggiungere lo Zòcalo che infine ci appare immenso ed affollato. Il sabato pomeriggio è il momento della passeggiata per i messicani di tutte le età che affollano i marciapiedi, i negozi ed ogni luogo pubblico. Colorati e chiacchieroni sfrecciano da tutte le parti fino a stordirci. La facciata della cattedrale ovviamente in stile barocco occupa quasi un intero lato della piazza. Al centro della quale un grande palco ospita un concerto di musica per chitarra acustica messicana, sull’altro lato invece un palco più piccolo del partito comunista messicano diffonde a volume assordante musica dei Pink Floyd . Qua e la guaritori indio spalmano fumo attorno ai loro pazienti, alcuni leggono le carte, altri sono semplicemente punk pieni di piercing. Al centro della piazza un’asta enorme sostiene la bandiera del Messico. Vediamo una strana e lunga fila di persone che termina proprio alla base dell’asta…stanno occupando l’unica zona d’ombra della piazza. Incredibile! E nemmeno un piccolo spazio per noi che ci stiamo liquefacendo dal caldo. Entriamo al Palacio Nacional per vedere la serie di affreschi, che raccontano della storia del Messico, eseguiti da Diego Rivera, amante di Frida Kalho nonché grande artista comunista messicano, tra il 1929 ed il 1945. La cosa incredibile è la brillantezza dei colori a distanza di tanto tempo e l’equilibrio compositivo accompagnato da un’espressività tipicamente latina. Proseguiamo ancora lungo la calle de la Moneda di cui intravediamo gli edifici coloniali dietro le mercanzie che miriadi di bancarelle espongono lungo la strada. I venditori strillano slogan accattivanti alla folla che passa lenta attraverso lo stretto passaggio. Mi sembra di essere una mucca…e infatti dopo poco una manata nel sedere mi conferma di essere circondata da animali. Esausti ci rifugiamo su un taxi per fuggire da questo delirio di corpi, di voci e di rumore…vorremmo andare alla casa Gilardi dell’architetto Barragan, ma il taxista dopo un po’ confessa di non avere la minima idea di dove si trovi questa calle General Leon che gli indichiamo. Scendiamo nei pressi dell’hotel e finiamo il nostro pomeriggio con un bel riposino. Memore della bella serata di ieri, Vanni propone per oggi una piccola variazione, un concerto Blues al “Ruta 61” Arriviamo ancora primi alle 21…ma a che ora escono questi messicani? Effettivamente il locale inizia ad affollarsi dopo una mezz’ora e alle 22 quando inizia il concerto dei “vieja estacion” è addirittura stipato e fumoso…qui si può ancora fumare nei ristoranti e nei luoghi pubblici in generale. Sono bravi questi ragazzi che ci intrattengono a suon di chitarra elettrica, basso e piano per un paio d’ore, ma cediamo sul finale ed andiamo a nanna…non abbiamo più una gran resistenza a questi sound scatenati.

04 Marzo 2007

CIUDAD DE MEXICO

E’ domenica oggi…che fare? Potrebbe essere qualsiasi cosa…in fondo abbiamo visto poco più che una briciola di questa megalopoli che si contende il primato per dimensione con Tokyo e Rio de Janeiro. Ma non abbiamo voglia di fare i turisti anche oggi ed a Vanni viene un’ idea brillante…andare all’ippodromo. Ce la prendiamo con grande calma ed il taxi arriva dopo le 2 pm Una mezz’ora per raggiungere questo nuovissimo ippodromo e arriviamo al ristorante in tempo per la prima corsa di galoppo della giornata. Saranno 10 in totale, una ogni mezz’ora. I tavoli sono tutti pieni di famigliole vocianti tra un boccone e l’altro del buffet. Si respira una vivacità particolare…sana e verace…quasi d’altri tempi. Persone di ogni età sono riunite per il pranzo della domenica in questa bella cornice patinata, movimento incessante di corpi verso i tavoli del buffet o ai banchi dei buck makers. Sfilata di piatti in ordine sparso…carichi di ogni genere di prelibatezze alle ore più diverse. Ma che casino questi messicani! Azzecchiamo un piazzato alla seconda corsa ed un accoppiata alla terza che ci viene pagata 16 volte la posta! Non vinciamo più in seguito, ma il bilancio alla fine del pomeriggio è un pareggio con le spese….quindi tutto sommato abbiamo vinto!
E’ la serata dello spettacolo al Palacio de Bellas Artes….andiamo puntuali nel bell’ edificio che risplende questa sera delle luci delle bellissime lampade decò. Anche il sipario è un piccolo capolavoro…tutto composto di pannelli di vetro satinato colorato. Lo spettacolo certo è rappresentativo solo di una piccola parte del folklore messicano, forse di quello meno verace e che più risente della contaminazione spagnola. Ampie gonne colorate roteano sulla scena, sombreri, ed un gran battere di piedi…una sorta di flamenco alla messicana. Bravissimi i Mariachi di Guadalajara che hanno suonato le loro ballate romantiche ma allegre nell’ultima parte dello spettacolo. Certo mi veniva da pensare mentre guardavo quei balletti, alle donne Tarahumara o Huicholes, che mai si sarebbero neppure sognate di ballare in quel modo. Per me il vero folklore è proprio il loro, verace e soprattutto assolutamente preispanico, fatto anche di danze, ma di spessore decisamente diverso.

05 Marzo 2007

CIUDAD DE MEXICO

Questa mattina è Vanni ad essere ancora insonnolito…io mi sono svegliata addirittura prima della sveglia delle 9. Il mio entusiasmo è a mille…la giornata di oggi è dedicata alla visita delle architetture di Luis Barragan, celebre architetto razionalista messicano di cui finora ho visto solo sulle pagine dei pochi libri che circolano in Italia dedicati a lui . Al telefono risponde la vocina sebbene vagamente autoritaria di una suora che mi da l’indirizzo della “Capilla las Capuchinas” a Tlalpan, un quartiere della zona sud di Mexico. Arriviamo in via Hidalgo 43 dopo una mezz’oretta di auto, la strada stretta è quasi deserta ed un falegname fa manutenzione al portone di ingresso alla Cappella, di chiaro legno massello. Un signore ci viene incontro chiedendo se abbiamo una prenotazione per la visita…un brivido mi assale…la suorina mi aveva detto che non servivano reservaciones. Ma ecco arriva la suora che ci chiede gentilmente di aspettare dieci minuti …è impegnata con altri visitatori ma nel frattempo possiamo accomodarci nel patio. Il piccolo cortile quadrato racchiude l’essenza del linguaggio di Barragan, lineare, equilibrato, raffinato. Una vasca d’acqua quadrata nera si staglia su una parete a graticcio gialla. In un angolo una finestra a mosaico di vetro giallo non lascia intravedere nulla. Dobbiamo aspettare. Ma eccola, liquida i due visitatori dopo aver loro venduto qualcosa, quindi ci fa entrare nella cappella. Sulla parete di fondo rosa salmone si staglia l’altare, un parallelepipedo dorato, sul quale sono appesi 3 pannelli della stessa doratura. Nessuna immagine, solo 3 ceri su un lato dell’altare. Sulla sinistra un alto crocifisso color fucsia, perpendicolare all’altare è posto al centro dello spazio ed appoggiato sulla sola piccola base quadrata, sembra debba cadere da un momento all’altro. Da un andito a pianta triangolare che da qui non vediamo arriva una luce fioca che proietta l’ombra del crocifisso sulla parete accanto all’altare. L’atmosfera quasi metafisica che percepiamo ci colpisce almeno quanto la semplicità e l’eleganza progettuale. Barragan è un architetto di una raffinatezza squisita, il corrispettivo messicano di Le Corbousier o Mies Van Der Rhoe. Nulla sfugge al progetto, non un mobile, una porta o una maniglia. Tutto qui è congruente, disegnato. Tutto è progetto. Rientriamo in zona hotel per una quesadilla ( farina di mais bianco e acqua, ripiena di fiori di zucca e formaggio), consumata in uno dei chioschi ai bordi della strada che sfornano semplici ma squisiti spuntini tipici…me ne pappo due mentre Vanni è dal barbiere per un piccolo restauro a mani e barba. La prossima tappa è la casa museo di Barragan per la visita delle 16 ma già che ci siamo andiamo prima nella vicina “casa Gilardi”. E’ abitata questa piccola casa della quale vediamo solo il piano terra con una piscina che sembra un quadro di Mondrian ed il patio, un po’ malmesso ma di bel disegno. Alle 15.30 siamo già alla casa museo che scopriamo essere patrimonio dell’umanità. Il gruppo delle 16 è costituito da quattro giovani studenti di architettura di Ciudad de Mexico, la moglie di un architetto spagnolo e noi. Il giovane ragazzo che ci guida attraverso tutte le stanze dell’abitazione di Barragan spiegandoci anche cose curiose, tra cui le sfere di vetro specchiato che collocate in posizioni strategiche gli consentivano di vedere se e chi entrava o usciva dalle varie stanze, il particolare studio delle luci indirette, la sua ossessione nei confronti della religione che gli faceva disegnare croci ovunque, anche negli scuri delle finestre che divisi in 4 ante quando socchiusi proiettano la luce sulla parete in forma di croce appunto…ed altro ancora tra cui la sua stretta amicizia con Tadao Ando. I materiali preferiti il legno e la pietra lavica, i suoi colori il rosa, il bianco, il giallo, il nero. Bellissima visita. Questa sera ceniamo al ristorante dell’ “hotel Habita”, il più noto hotel di architettura contemporanea, dicevano in tv. Prendiamo un aperitivo in terrazza, poi scendiamo al piano terra per la cena. Non è poi così stupefacente questo Habita, sembra di averli già visti miliardi di volte questi interni minimalisti, tutto bianco e acciaio. Ceniamo piuttosto bene con piatti nouvelle cuisine ma il vino rosso francese che è leggermente marsalato e torbido. Nel corso della serata la conversazione prende una brutta piega e finiamo col litigare. A volte Vanni mi sembra così ottuso, così poco elastico e sensibile sugli argomenti. Praticamente dice che non ho interessi, che l’architettura e l’arte sono per me poco più di nulla, forse solo un passatempo. Gli rispondo che è una merda ad attribuirmi caratteristiche che mi sembrano più sue che mie …comunque quando rientriamo io sono incazzatissima, lui invece si addormenta sereno poco dopo aver appoggiato la testa sul cuscino.

06 Marzo 2007

CIUDAD DE MEXICO

Mi sveglio ricordando un sogno non proprio esaltante: – sono su un isola in vacanza con delle amiche, ma sono sola quando vedo dal mare alzarsi un’onda gigantesca. Mi riparo dietro un muretto e gli spruzzi mi bagnano appena…ma sull’altro lato dell’isola ecco un’altra grande onda. L’acqua addirittura corrode l’isola, ne graffia via la terra come con degli artigli enormi. Ci organizziamo per lasciare l’isola-. Ancora il malumore o meglio la delusione non mi è passata, Vanni è uno zuccherino invece…nell’intento di recuperare diventa tenerissimo. Non abbiamo molto tempo per un ultimo saluto a Città di Messico, è già l’una del pomeriggio quando un taxi ci porta allo Zocalo di Coyoacan, un quartiere coloniale dove si respira ancora un’aria da vecchio Messico. Quello fatto di verdi piazze ombrose, di bassi edifici coloniali, di strade alberate e gente tranquilla che vi passeggia. Questo quartiere sembra non essere stato contaminato dalla nevrosi e dal caos della capitale. Passeggiamo tra le strade e le piazze, tra gruppi di palloncini colorati e venditori ambulanti di tacos, serenamente, apprezzando ciò che ci aveva affascinati in altre città coloniali visitate, come Merida o Oaxaca e San Cristobal. Alle 5.30 il taxi ci porterà all’aeroporto. Il nostro viaggio per il momento finisce qui.


17 Baja California


07 Giugno 2007

BOLOGNA – FRANCOFORTE – MESSICO – LA PAZ

Il taxi per l’aeroporto, stranamente puntuale , ci aspetta sotto casa alle 8,10. Carichiamo il trolly gonfio di buste di tabacco, accuratamente privo di liquidi, e la voluminosa scatola dei ricambi di Carolina, che saranno il nostro unico fardello… La sala partenze è quasi casa …raccolta e rassicurante come il set di una soap opera. La ben nota scena fatta di marmi rossi e luci a basso consumo, si spalanca oltre le porte di vetro, animata dal forsennato movimento dei corpi in partenza e dal brusio degli altoparlanti. Ci accompagna al desk Lufthansa la morbida scia di colazioni fatte di caffè e croissant appena sfornati, dove l’operatore in giacca blu scuro sfodera un evidente malumore ma esegue velocemente la registrazione dei nostri dati…- sono stato lasciato solo dalle mie giovani colleghe che evidentemente si sono perse in chiacchiere in ufficio – borbotta stizzito. Alle 10.25 decolliamo puntuali verso Francoforte, prima sosta del lungo viaggio che ci vedrà arrivare a La Paz in Baya California solo alle 8 del mattino seguente, ora italiana, la mezzanotte ora locale. Tra le raffiche di vento freddo ( ma dove siamo finiti!) raggiungiamo a fatica il taxi, le gambe sembrano come bloccate dalla stanchezza, anchilosate per le tante ore di forzata immobilità e la nostra bocca stenta ad espellere le necessarie indicazioni: – “Hotel Los Arcos..por favor”-. La camera che avevamo occupato in marzo, comodamente vicina alla reception, è occupata…ci trasciniamo così attraverso il giardino e le due rampe di scale alla 01C con vista su una rigogliosa bouganville color viola. Va da sé che Vanni inserisce i tappi e sviene sul letto mentre io mi concedo una doccia calda per compensare il freddo pungente di La Paz….poi ovviamente svengo anch’io.
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08 Giugno 2007

LA PAZ – TODOS SANTOS

Alle 7.30 Vanni mi sveglia per comunicarmi che andrà al garage a recuperare Carolina … avrei preferito una sintetica annotazione su un foglietto…ma che dire…ormai è fatta! Non mi riaddormento ma rimango a letto tramortita fino alle nove quando finalmente esco per una colazione sul lungomare. Cammino fino a raggiungere i tavolini della pasticceria di cui ricordo l’invitante esposizione di torte che ora vedo scorrere nella vetrina di fianco a me. Mi blocco. Ce ne sono almeno dieci, una più invitante dell’altra, penso mentre mi siedo ad uno dei tre tavolini in ferro battuto in attesa del tè alle spezie e della fetta di torta al dulce de leche e ricotta alta almeno 10 cm. L’aria è frizzante ma tiepida, il mare di Cortès a pochi metri da me, un piatto melange di colori perlacei. Ascolto le conversazioni che provengono dagli altri due tavolini…gli idiomi sono i più vari…se iniziassi a parlare anch’io rappresenteremmo l’europa intera! E’ ancora presto per i messicani…le strade sono quasi deserte e lo spagnolo quasi del tutto assente. Con la pancia che mi tira mi incammino per il rientro al Los Arcos e che bella emozione vedere Carolina parcheggiata davanti all’hotel! L’azzurro lucidato di fresco si staglia sul bianco della recinzione, – le mancano solo i bigodini – penso… si vede che Vanni la adora! Dopo una breve telefonata a Paolo e Catia decidiamo di partire verso la costa pacifica, per Todos Santos che ricordiamo con un certo trasporto…per le balene che ne sfioravano la costa, per la simpatia di Catia e Paolo che vi risiedono ormai da anni…ma anche per quel fantastico tonno alla papaia del ristorante “Fonda el Zaguàn” che non potremo mai più dimenticare! Alloggiamo nello splendido Hotelito di Jenny , in una delle camere ben arredate del gruppo di edifici dalle volumetrie semplici e coloratissime che ricordano decisamente le architetture di Barragàn di città del Messico. Fuori dalla porta della camera solo agavi ed alberi di mango emergenti dalla terra arida e chiara che circonda il pueblo. Esce dalla porta della sua bellissima casa accompagnata dai tre inseparabili cani Otis, Napoleon e Nina e sfoderando il suo bel sorriso da ex fotomodella di grido ci dice che Catia l’ha già avvisata…la nostra camera è pronta. – Questa sera darò un party – ci dice, cous cous ed alcuni amici italiani ….quale migliore occasione per incontrare Paolo e Catia ? Andiamo in paese a prendere un paio di bottiglie di vino ed il necessario per le colazioni che ci prepareremo nel cucinotto di fianco alla camera, poi crolliamo addormentati dopo le nostre coccole consumate sul comodo letto a ridosso della parete verde pisello …ma ci svegliamo solo alle 22, consapevoli di aver quasi perso la cena. Ci precipitiamo a casa di Jenny dove ci vengono incontro Catia e Paolo solari e festosi come sempre. Strano fare colazione alle 10 di sera con cous cous e vino rosso….ma ne vale la pena, e così mentre parliamo con i nostri due amici assaggiamo ciò che rimane di quel superbo manicaretto di Jenny che oltre ad avere importanti trascorsi di mannequin quindi di arredatrice di fama internazionale, scopriamo ora essere anche un’ottima cuoca! Mi innamoro di un comò made in Paris che vedo addossato ad una delle pareti della splendida casa…non ho mai visto un mobile più barocco e sensuale e divertente di quello che, rivestito di corde piegate in sinuosi movimenti sembra uscito dal Moma di New York. Lo voglio anch’io!

09 Giugno 2007

TODOS SANTOS

Usciamo per un giro in paese, tra gli edifici bassi e polverosi del centro, poi a casa per una siesta necessaria. Il jet leg non perdona…ci vorranno ancora alcuni giorni per adeguarci ai nuovi ritmi messicani, ma ne avremo tutto il tempo. Intanto noto con piacere che il mio mal di testa è sparito fin dal primo decollo da Bologna e mi accorgo di essere inverosimilmente rilassatissima. Il vantaggio del viaggiare soli è anche questo…la sola priorità è il nostro benessere, assecondare i nostri ritmi senza nessuno che ci rimproveri di esserci svegliati troppo tardi o di essere eccessivamente pigri e inattivi…il Messico in questo fa decisamente per noi e questa casa dove alloggiamo silenziosa ed assolata è perfetta! Questa sera saremo ospiti per cena di Paolo e Catia, nella loro hacienda ancora non terminata immersa nel deserto di cactus su un piccolo promontorio di fronte al mare ad una decina di chilometri di strada sterrata dal paese. Passano a prenderci verso le 17, dopo aver scaricato in paese gli artigiani che lavorano alla loro casa, un saluto a Jenny e li seguiamo, sfidando i piccoli affossamenti trasversali della strada che ci fanno sobbalzare…avevo dimenticato quanto Carolina fosse poco ammortizzata. In tre mesi la casa, che si sviluppa a U attorno ad un giardino centrale ancora incolto, sembra aver fatto passi da gigante visti i non ritmi delle maestranze locali. Le viste da ogni affaccio sono incantevoli…il deserto di cactus si snoda a perdita d’occhio sui tre lati della casa mentre verso sud-ovest, vediamo le acque dell’oceano pacifico rifrangersi sulla lunga lingua di sabbia bianca a qualche chilometro da noi. Subito dopo la visita completa della casa e le varie considerazioni e consigli, ci accomodiamo ad assaggiare i manicaretti di Catia nella sala da pranzo rivestita delle tradizionali ceramiche messicane, di origine spagnola, gli azulejos. Il ceviche di pesce è favoloso e così pure il carpaccio di cajo, il morbido muscolo che consente la chiusura delle grandi valve della cozza gigante. Il tutto accompagnato da champagne e piacevolissime chiacchiere, mentre oltre l’involucro che ci protegge, il grigio paesaggio si tinge ora dei colori morbidi di un tramonto. Esco con Catia per una passeggiata tra i giganteschi Cactus, gli Elephant tree e le tante altre piante apparentemente senza vita di questo incredibile territorio che lei ama molto e del quale conosce le mille sfumature cromatiche nelle diverse stagioni. Paolo ci mostra i suoi ultimi quadri, poi con Vanni, cerca di installare lo stereo che però, uscito dalle grinfie distruttive della dogana USA, inizia a gracchiare. Rientriamo stanchi a tarda sera.

10 Giugno 2007

TODOS SANTOS

Due passi per il paese cercando di fissarne l’atmosfera in qualche immagine da rivedere con gli amici ed una bella passeggiata sulla spiaggia ampia della “Poza”. E’ metà pomeriggio ed i colori si esaltano alla luce incidente di un sole calante. Non c’è nessuno sulla lunga lingua di sabbia chiara frastagliata dalle grandi onde dell’oceano. L’acqua che ci bagna le caviglie è gelata, un gruppo numeroso di pellicani banchetta ad un centinaio di metri da noi. Ci spingiamo fino alla Poza, un invaso di acqua separato dal mare da una stretta lingua di sabbia, l’acqua è immobile qui e vi si affaccia la rigogliosa vegetazione dell’oasi di Todos Santos….tra le palme due ville da favola dai colori sgargianti. Catia e Paolo ci avevano spiegato durante il nostro soggiorno qui qualche mese fa, che in febbraio e marzo l’oceano entra nella poza, e con lui anche le balene che transitando proprio in quel periodo entrano volentieri nel piccolo invaso per grattare via strisciandosi sul fondo basso le fastidiose incrostazioni che il tempo ha depositato sulla loro pelle. Deve essere favoloso vederle giocare rotolandosi nell’acqua bassa della Poza! Ceniamo tutti insieme nel ristorante storico del paese, il “Santa Fè”, che occupa un vecchio edificio color crema, recentemente rimesso a nuovo nella piazza della chiesa. Vista la scorpacciata di pesce di ieri , a seguire dopo il carpaccio di marlin ( pesce spada), optiamo per la pizza che meraviglia delle meraviglie qui è favolosa e…con mozzarella vera! Stupiti per la maestria dei pizzaioli messicani che hanno acquisito un nostro piatto tipico ma, ci rendiamo conto, decisamente decaduto, proseguiamo la conversazione con questi due nuovi meravigliosi amici. Solari e gentili proprio come i messicani…vivendo qui da anni ne devono aver acquisito gli aspetti migliori, proprio quelli che ricordiamo per assenza tutte le volte che da qui rientriamo in Italia.

11 Giugno 2007

TODOS SANTOS

La giornata scivola via senza episodi di rilievo, se non la passeggiata alla spiaggia bellissima a qualche centinaia di metri da casa. Oggi la temperatura è decisamente salita rispetto ai giorni scorsi…è finalmente arrivata l’estate pensiamo mentre sentiamo le goccioline di sudore imperlarci la fronte…e l’eritema sul mio decolletè farsi sempre più evidente. Ci incontriamo tardi con i ragazzi che rientrano da La Paz, per un aperitivo all’hotel California dove bevo uno dei mojito peggiori della mia vita, per poi proseguire con una cena alla tacheria lungo la strada dove per la prima volta dopo vent’anni mangio la carne! Impressionata dallo stato gelatinoso dei miei tessuti e dalla domanda rivoltami dalla massaggiatrice di Forlì mentre tastava i miei muscoli : – sei per caso vegetariana?- decido finalmente di rompere il mio impegno per la conservazione della specie animale, impegno lodevole quanto inutile, per dedicarmi invece alla conservazione della mia forma fisica…altrettanto importante alla mia età! Seduti attorno ad un rosso tavolino “coca cola”, sul marciapiede della strada principale del paese a quest’ora deserta, mi faccio consigliare da Catia il piatto per me…affinché l’impatto con il sapore della carne non sia troppo strong. Opto quindi per una papa rellena , praticamente una patata cotta dentro la stagnola e poi schiacciata e ricoperta di formaggio fuso e carne asada ( alla griglia) . Inizio ad assaggiare titubante, ma poi scopro quanto il meraviglioso sapore della carne alla griglia in questi anni mi sia mancata e divoro tutto con mucho gusto, come dicono qui! Tra un tacos e l’altro la conversazione si orienta sugli sviluppi del nostro viaggio qui in Baja California e li vede suggerirci interessanti obiettivi da inseguire nei prossimi giorni . Sulla mia agenda rossa si disegnano gli appunti relativi ai tanti ristoranti, le spiagge, le isole, le saline e le oasi e via via mentre li ascoltiamo ci si spalanca una Baja California inedita, senz’altro un po’ diversa da quella dipinta dalle guide turistiche finora consultate. A domani mattina il nostro prox. incontro.

12 Giugno 2007

TODOS SANTOS – LA PAZ

La casa svetta sulla cima della collinetta, di un bianco indefinito tra i cactus resi grigiastri dal sole già forte delle 10. Arriviamo percorrendo la litoranea sabbiosa che corre tra il mare blu alla nostra sinistra ed il paesaggio desertico a monte. Qualche palmeto in prossimità dei pochi edifici interrompe con una sferzata di verde acceso la monotonia cromatica della vegetazione autoctona dai tenui colori polverosi, nel cielo azzurro nemmeno una nuvola. Vediamo Paolo vicino a quello che sarà il barbecue impartire consigli ad un paio di messicani annoiati che lo circondano, ci saluta con un cenno ed entriamo nella casa ancora fresca con un mazzo di girasoli per Catia. Seguono altri consigli, depliant ed infine i saluti….non vediamo l’ora di rimetterci in viaggio per raggiungere quei paradisi di cui sentiamo parlare da ieri sera…l’ozio ristoratore di Todos Santos, funzionale per recuperare le 8 ore di fuso orario sta per concludersi…la nostra sete di nuovi paesaggi troverà da qui in poi la giusta gratificazione. In poco meno di un’ora arriviamo a La Paz, che ormai ci è più che familiare , il tempo di rintracciare un taller esperto di balestre e blister dove Vanni tornerà domani mattina ed eccoci percorrere il Malecòn (lungomare) fino a perderci tra le aride montagne lungo la costa oltre la città. E’ arrivato il momento di aprire l’agenda rossa che contiene il nome della spiaggia di Balandra, da raggiungere dopo un sopralluogo a Tecolote, la spiaggia vicina da cui partono le escursioni all’isola “Espiritu Santu”…che non è in sardegna! Il tempo di raccogliere due informazioni e di vedere alcune foto sbiadite dal sole ma accattivanti, esposte per i potenziali visitatori e ripartiamo. Balandra è una stretta lingua di sabbia bianca che si affaccia su una piccola baia collegata al Mar de Cortès solo da uno stretto lembo d’acqua. Alcune delle rocce scure delle montagne circostanti scendono fino alla linea curva disegnata dal mare. Rocce scure, mare cristallino e sabbia bianca…nient’altro attorno a noi se non i dieci ombrelloni fatti di legno e foglie di palma a disposizione dei visitatori, ed alcuni barbecue in muratura costruiti in alternativa ai fuochi liberi sulla spiaggia….i messicani non resistono nemmeno qui alla voglia di mangiare un po’ di carne asada! Occupiamo uno dei ripari liberi e subito assecondiamo la voglia di immergerci in quella tavola azzurra davanti a noi…per una decina di metri l’acqua non supera la caviglia, poi lentamente aumenta ma senza mai superare l’ altezza dei nostri fianchi. Alcuni vanno camminando fino alla riva opposta, sull’isola che occupa tutto il fronte parallelo alla spiaggia, io invece ho una gran voglia di nuotare e così armata delle mie pinne inizio quella che si rivelerà essere una lunga traversata. Vedo solo pochi pesci palla, irti di aculei che cercano di mimetizzarsi sul fondo, fondo che non si allontana mai troppo dal mio corpo. Torno controcorrente con tutti i muscoli indolenziti per lo sforzo e mi trascino sotto l’ombrellone dove Vanni sta leggendo “L’ombra del vento”. Mi sorride e poi si rituffa tra le pagine. Verso il tardo pomeriggio i colori virano verso le tonalità più calde del tramonto, le famigliole accendono i barbecue, due ragazzi USA giocano a freesby davanti a noi mentre un cane nero insegue il disco rotante cercando di addentarlo. Una ragazza ci si rivolge in spagnolo…occupa con un ragazzo biondo l’ombrellone accanto al nostro…sono di Seattle ci dice lei, mentre lui non proferisce parola, ma timidamente ci sorride… e dopo solo poche parole scambiate lei ci invita a trascorrere qualche giorno loro ospiti, una volta arrivati nel nord degli USA. La disponibilità di alcune persone che talvolta ci capita di incontrare è quasi sconvolgente! Rientriamo al nostro hotel Los Arcos, che è quasi casa…e dopo una bella doccia usciamo per il ristorante “Buffalo Bar-B-Q” ( Madero 1240 esquina 5 de Mayo y Constitucion Tel 612 128 87 55 www.buffalo-bbq.com) che fatichiamo a trovare. Il cuoco, addetto alla griglia è Carlos Valdez, amico di Paolo e Catia. Già tre mesi fa quando ci era capitato di cenare qui con loro, le costillas de res sulle quali ora Vanni affonda i canini, erano state molto apprezzate. Nemmeno io mi sottraggo a questo baccanale e non riescendo più a contenere il desiderio di mangiare carne, ordino una bella arrachera di manzo che spazzolo dal piatto con grande piacere… è favolosa!

13 Giugno 2007

LA PAZ

Vanni rientra stremato poco dopo l’una, seguire i lavori di restauro di Carolina in officina lo ha molto provato. Io invece mi ero nel frattempo concessa una bella colazione sul Malecòn con una fetta di torta da almeno 500 gr. a base di crèm caramel e cioccolato e tè alle spezie, sosta dalla quale mi ero poi ripresa con una lunga passeggiata per le vie del centro in cerca di un alimentatore per l’ I-Pod che ho trovato. Ceniamo male al ristorante “ Las Brisas del mar” sul malecòn…una giornata da non ricordare!

14 Giugno 2007

LA PAZ – ISLA ESPIRITU SANTU

Partiamo in tempo per arrivare verso le 11 all’appuntamento con la signora Mariel Gomez, promotrice di Azul Tours ( www.azultourslapaz.com) che troveremo come d’accordo al desk informazioni della compagnia sulla spiaggia Tocolote. E’ grassottella e simpatica, ci accoglie con un sorriso e ci presenta subito Saul, il nostro accompagnatore , praticamente un nano con il baricentro più basso che abbia mai visto…se non altro Vanni starà sereno… il capitano è decisamente lontano da ogni tentazione! La giornata è meravigliosa e già caldissima…non c’è nemmeno una nuvola in cielo ed il mare si presenta come una liscia distesa nelle sfumature dal blu al turchese. Ci sono tutte le premesse perché la nostra escursione all’isola Espiritu Santu sia coronata da successo come ci fa notare Mariel. Saliamo sulla barca, piccola ma con un grande motore Honda, armati delle nostre pinne e mute, mentre Vanni consegna nelle mani della gentile promotrice le sue scarpe sudate…che lei afferra dalla parte delle suole. Partiamo come una scheggia impazzita verso la costa frastagliata a cinque chilometri da noi. L’aria calda ci accarezza mentre planiamo sull’azzurro e curiosi scrutiamo il profilo montagnoso dell’isola che si avvicina sempre più. Arriviamo in non più di 10 minuti alla prima ampia baia bordata di sabbia bianca, l’unica presente su questo lato est dell’isola dove domina l’alto profilo roccioso. Saul rallenta in prossimità di un alto faraglione che si erge dall’acqua a pochi metri dal suo gemello ancorato invece alla terraferma, la barca sfiora le rocce mentre passiamo lentissimi lo stretto canale che li divide, certo sono imponenti questi due giganti! Procediamo quindi verso la grotta de las ventanas, che prende luce da due grandi aperture nella parete rocciosa, come finestre appunto, oltre che da quella da dove stiamo entrando. Spettrale ed ampia ci accoglie con le sue bitorzolute rocce scure …torneremo tra qualche minuto nuotando per scrutarne anche i tesori marini che racchiude…vediamo qualche pesce tropicale dai colori resi scuri dalla poca luce della pozza interna ed una volta usciti un bel pesce palla che Saul mi porge…è pieno di acqua dice lui…certo è morbidissimo ed il suo gonfiore rende il suo muso davvero buffo per un pesce! Risaliamo a bordo ma senza togliere le mute; siamo diretti verso la piccola isola dei leoni di mare ma intanto decine di delfini nuotano accanto a noi in una improbabile competizione con il nostro veloce Honda e nonostante la muta bagnata e la velocità sentiamo solo il piacevole tepore dell’estate californiana…che meraviglia! La piccola isola è affollatissima di queste che sembrano delle foche giganti dai colori che variano dalle gamme del marrone al nero al nocciola. Sono tranquille a prendere il sole stravaccate sulle rocce o nelle piccole spiagge di sassi. I pochi maschi invece non sembrano poi così tranquilli e li sentiamo emettere grugniti intimidatori….sono molto territoriali loro, quando si tratta di difendere il loro numeroso harem da qualunque altro maschio, anche umano senza distinzione. Ormeggiamo nei pressi, circa a metà dell’isola, dove la roccia alta si apre in un grande portale e ci tuffiamo nell’acqua gelida. Poco dopo una femmina inizia a nuotare con noi…sembra una ballerina mentre si muove sinuosa guizzandoci attorno e sgranando i suoi occhioni grigi. Simula anche degli attacchi che però non porta a termine, avvicinandosi velocemente e poi deviando all’ultimo momento. Sono proprio delle giocherellone queste leonesse…evitiamo invece accuratamente di incrociare un maschio…l’incontro non sarebbe poi così divertente…ma anzi pericoloso. Quindi, con gli occhi ben aperti seguiamo nuotando Saul a caccia di qualche altra leonessa con la quale giocare . Arrivati sull’altro lato dell’isola, in prossimità della spaccatura nella roccia, entriamo per attraversarla e ci si spalanca un paradiso marino. Il fondo della grotta è pieno di pesci pargo dalle caratteristiche code e pinne gialle…sono centinaia nello stretto passaggio…bellissimi, seguono la corrente calda di acqua che scorre da un lato all’altro dell’apertura. Passa anche un maschio velocissimo sotto di noi, forse all’inseguimento di una femmina fuggitiva, ma per fortuna non ci considera affatto e così ricominciamo a respirare! Anche alle Galapagos fu magnifico nuotare con loro…ci diciamo mentre risaliamo a bordo. Un sandweech ora ci sta proprio bene…mi sento affamata dopo questi due gelidi bagni. Ci riavviciniamo alla terraferma navigando paralleli all’altro lato dell’isola Espiritu Santu, caratterizzata da rocce più basse e da fiordi profondi in fondo ai quali scorgiamo le bianche spiagge. In una di esse ci fermiamo per l’almuerzo ( il pranzo) che Saul ci allestisce sulla spiaggia. Un paio di ombrelloni, un tavolino sul quale appoggia qualche prelibatezza tipica come il ceviche di gamberi ed il marlin lessato con carote, il tutto accompagnato da tostadas, croccanti a base di mais. Squisito. Torniamo alla spiaggia di Tocolote verso le 4 del pomeriggio, dopo aver incontrato un altro gruppo di delfini grigi dalla pancia bianca….i più veloci dice Saul. Siamo proprio soddisfatti per le belle emozioni di oggi…rientriamo lentamente a La Paz mentre le immagini dei leoni di mare si sovrappongono a quelle reali del Malecòn che stiamo percorrendo. E’ deciso torneremo a cena al Buffalo per l’ennesima arrachera de res che ci gusteremo nel cortile del ristorante. Il caldo è soffocante anche questa sera…ma decidiamo di andare a piedi…oggi ci sentiamo in vena di sport.

15 Giugno 2007

LA PAZ – SAN CARLOS

Lasciamo La Paz e la costa del Mare di Cortez, per raggiungere San Carlos a circa 250 Km. da qui. La sua ampia laguna, che si apre sul pacifico, è popolata da centinaia di balene grigie nel periodo compreso tra febbraio ed aprile, quando ogni anno scendono dai mari artici , dove Vanni sta già scalpitando per raggiungerle tra qualche mese, per riprodursi. Ciò lo rende assimilabile oltre che per la conformazione della costa a Guerrero Negro a qualche centinaio di Km più a nord, dove eravamo poco più di tre mesi fa, quando l’avvistamento delle balene ci parve un piccolo miracolo. La temperatura è decisamente diversa qui sulla costa pacifica, soprattutto verso sera quando l’oceano investe la costa delle sue forti brezze di aria fredda. Il paese ha un’unica strada asfaltata che lo attraversa per un breve tratto, le basse case scatolari, impolverate e sciatte ma così vere da apparirci belle, seguono le strade sabbiose che si diramano dal centro verso l’interno. Andiamo in auto fino ad una lingua di spiaggia che si spinge oltre le mangrovie dentro la laguna da cui i pescatori stanno rientrando dal loro primo giorno di raccolta delle almecas ( capesante) che vediamo occupare tutto il fondo delle loro piccole imbarcazioni . Sono più piccole delle nostre, ma non le avevo mai viste così fresche…alcuni di loro le mangiano crude aiutandosi con un coltello…come li invidio!…ma penso con soddisfazione che potrò assaggiarle alla comida di questa sera. L’hotel Alcatraz ( hotelalcatraz@prodigy.net.mx) ci appare come un’oasi immersa nel deserto polveroso del paese, con il suo giardino-ristorante pieno di palme al centro dell’edificio a due piani color mattone. Le camere sono quasi tutte libere ci dice una signora, probabilmente la cuoca….così non avremo problemi di scelta e dopo aver visto una piccolissima camera matrimoniale scegliamo la comoda doppia. Organizzo subito con l’aiuto di Manù, la giovane proprietaria, un tour in barca nella laguna. Il tempo di lasciare i bagagli in camera e già qualcuno bussa alla porta, è Manuel della Ulysturs ( tels 613 13 6 00 26 – cel 045 613 11 4 73 68) che si propone come accompagnatore ad un costo di 1200 Pesos ( 120 US$)…un affare rispetto ai 2700 spesi ieri. Accettiamo senza contrattare…e lo seguiamo con Carolina fino al cortile di casa sua dove la barca è già occupata dai suoi due piccoli bambini, Elias di tre e Marco Antonio di nove anni…che eccitati aiutano il padre ad allestire la barca. Partiamo in fretta…sono già le tre del pomeriggio…io Vanni ed i bambini seduti sulla barca al traino e Manuel alla guida del suo scassato pick-up. Strano percorrere una strada in barca! Raggiungiamo l’approdo dove ancora i pescatori stanno tirando a riva le loro barche cariche di almecas , qualche manovra e siamo in acqua. Manuel ancora giù si avvicina alla barca di fianco che invece è piena di polipi, afferra la testa di un calamaro gigante, (così gigante da essere più lungo di un metro) e ci mostra la particolarità di quelle che sembrano essere delle ventose ma che in realtà sono cosparse di piccoli denti che gli servono per afferrare le prede prima di portarle alla bocca. Ci spingiamo all’interno della laguna così ampia da sembrare mare aperto ed in lontananza scorgiamo, sfumate dalla foschia, le alte rocce dell’isola Magdalena a diversi chilometri da noi. Ma c’è ancora una piccola balena!…una ritardataria che ne approfitta finchè l’acqua è ancora abbastanza fredda da essere di suo gradimento. Procediamo paralleli alla lunga fascia di dune di sabbia bianca che stranamente si protendono fino al mare, e raggiungiamo il piccolo paese di pescatori che conta 190 anime in tutto. Non c’è acqua qui….solo una grande distesa di acqua salata che loro depurano per lavarsi. La desolazione è così dura qui…come il vento forte che sentiamo soffiare . Lo scheletro di una balena azzurra, le cui mascelle sono lunghe circa quattro metri, riposa sulla sabbia di fronte ad un improbabile bar ristorante, Manuel arriva con qualcosa che sembra la spazzola di una grande scopa. Sono i “denti” della balena, nei quali si deposita il plancton di cui si nutrono…ma potrebbe essere usata diversamente pensiamo noi … La spiaggia del paese è piena delle nasse con le quali catturano le aragoste…ma siamo fuori stagione purtroppo! Compro qualche dolce e delle banane per i bambini in un piccolo emporio che sembra uscito dal far west. Mi commuovono gli occhi buoni dell’anziano signore che me li porge…la vita deve essere durissima qui!… Ci spingiamo ora verso le dune dove ci fermiamo per una passeggiata sulla morbida sabbia chiara…è un paradiso questo per me che adoro il deserto! Camminiamo sprofondando nel tepore , i bambini giocano rotolandosi giù dalle creste …e Vanni non è da meno. Mi domando cosa debba essere dormire qui con la luna piena…anche solo per una notte e mentre lo penso lo dico a Manuel che risponde che non ci sarebbe problema…la prossima volta magari! Rientrando incontriamo un numerosissimo gruppo di delfini, sono diverse centinaia che saltano attorno alla barca….ma che spettacolo!…certo questo paese non ha mezze misure….la natura qui si esprime con tale grandezza e immensità ed in proporzioni che a noi sembrano incredibili! Come all’isola degli uccelli che raggiungiamo poco dopo….interamente ricoperta da migliaia di uccelli…cormorani, anatre migratrici, gabbiani, pellicani, oche selvatiche che al nostro arrivo si alzano in volo all’unisono…uno spettacolo che cerco di immortalare in immagini che riviste sullo schermo del computer sembrano degne di un buon numero di National Geographic! Non ci sono parole per descrivere ciò che vediamo …. vorrei tanto che anche Gaia fosse con noi. Ceniamo in hotel dove però le tanto agognate alemcas non sono state reperite dalla cuoca, ma il callo de Catarinas è comunque favoloso. Incontriamo qui al ristorante anche Andrea, ( andrea@deseabaja.com – www.deseabaja.com ) un italiano che Vanni aveva conosciuto all’hotel Los arcos di La paz. E’ appena arrivato con il suo piccolo gruppo di turisti americani che accompagna attraverso il deserto su quattro dum baghy . Hanno l’aria distrutta…non voglio pensare al caldo che devono aver sofferto là in mezzo tra i serpenti a sonagli ed i cactus…e per di più con il casco integrale!

16 Giugno 2007

SAN CARLOS – LA PURISIMA – SANTA ROSALIA

Oggi inseguiremo un ulteriore suggerimento di Catia e Paolo che ci hanno consigliato luoghi che poi si sono immancabilmente rivelati essere dei piccoli paradisi. La meta di oggi è La Purissima, un’oasi rigogliosa immersa in una valle all’interno di un territorio così desertico da essere definito lunare…a 150 km di strada da noi, asfaltata solo a tratti. Man mano ci spingiamo verso l’interno allontanandoci dalla costa pacifica, mentre il calore che avvolge Carolina si fa sempre più intenso…immaginiamo oltre i 40°C…anche questa volta abbiamo dimenticato di portare con noi un termometro!….ma del resto cosa cambierebbe?…moriremmo comunque di caldo. Improvvisamente dall’alto di un promontorio dove nemmeno i cactus riescono a metter radici, vediamo sul fondovalle l’ampia e verdeggiante oasi di palme seguire il corso d’acqua. Tutto attorno le montagne sono così secche e chiare da rendere il contrasto incredibile. A questo punto si pone la scelta tra tornare attraverso la strada asfaltata e fare un lungo giro per arrivare a Santa Rosalia oppure percorrere una mulattiera di appena 60 km che ci porterà direttamente in paese…va da se che la scelta cade sulla strada breve ma insidiosa per un tempo previsto di percorrenza di 6 ore…praticamente una media di velocità di 10 km/h veniamo a sapere chiedendo ad alcune persone di qui…e l’esperienza insegna che non sbagliano mai sui tempi che loro suggeriscono! Ma sono solo le 13…mal che vada arriveremo alle 7 di sera…abbiamo tutto il tempo. Indosso per sicurezza il rigido collarino per evitare ulteriori traumi al mio collo malandato e si va, attraverso le montagne desertiche percorrendo la strada fatta di sassi e pietrosi che in alcuni tratti sembra il greto di un torrente in secca. Il paesaggio si anima a tratti del colore giallo dei fiori che miracolosamente crescono su arbusti completamente verdi anche nel tronco, donando alla monocromia del territorio una connotazione primaverile. Anche i cactus hanno dei frutti…nella loro estremità superiore vediamo una serie di bitorzoli spinosi gialli, simili a piccole mammelle, che in luglio si apriranno per rendere accessibile il loro contenuto dolce e carnoso di colore rosso. Intanto il paesaggio attorno a noi sfila lentamente con poche variazioni di rilievo. Vediamo gli elephant tree, i cactus di ogni specie e dimensione, alcuni fiori bianchi che spuntano in fondo ai rami senza foglie di bassi rovi di legno chiaro. Siamo immersi nel deserto pieno di vita della Baja California, la temperatura è altissima ed il condizionatore di Carolina spento, per compensare lo sforzo della salita con le quattro ruote motrici e le marce ridotte inserite. L’acqua del radiatore stenta a raffreddarsi con l’aria così calda che entra nel motore, ma dai finestrini abbassati entra oltre all’aria anche la polvere sollevata dal nostro procedere…insomma finiamo impiastricciati di sudore e polvere. Ma battiamo ogni record ed arriviamo sulla strada asfaltata, perpendicolare alla nostra direzione di percorrenza, dopo sole 4 ore, con una velocità media di 15 km/h…un vero portento questa Carolina…e Vanni un ottimo manejator ( pilota). Siamo sulla Bahia Conception ora…con il suo mare blu e le rocce rosate che vi si immergono…un altro bel contesto dove prenderci una sosta…Infatti dopo poco decidiamo di scendere verso una spiaggetta vicina alla strada che ci invita con le sue acque azzurre per un bagno ristoratore. E’ la spiaggia di “El Requesòn”, nel comune di Mulège, che con la sua lingua di sabbia a forma di clessidra si collega alla piccola isola di fronte ricoperta di mangrovie. Infiliamo in fretta un costume e ci tuffiamo nell’acqua troppo calda della baia …proprio non riusciamo a prenderci un fresco ristoro…ma la nuotata è comunque piacevolissima penso mentre vedo sul fondo le grandi conchiglie semichiuse ricoperte di calcare in forma di merletti, non le avevo mai viste prima. Verso sera arriviamo all’ormai noto hotel “Los Francés” di Santa Rosalia dove avevamo già soggiornato…Ma questa volta la camera 102 ha tappezzerie di tessuto di colore blu, anziché rosso…ed un sistema di condizionamento dell’aria perfettamente funzionante. Ci concediamo una doccia ed un po’ di riposo prima di scendere al ristorante “El Muelle” giù in paese, dove mangiamo piuttosto bene…Io naturalmente una bella arrachera asada! Vanni inizia a preoccuparsi per la quantità di carne che mangio ora…io invece mi preoccupo pensando a come farò a trovare in Italia della carne così buona…e soprattutto come farò a toccarla ancora sanguinolenta…ed a tenerla nel frigorifero!

17 Giugno 2007

SANTA ROSALIA – GUERRERO NEGRO

Più di 250 km ci dividono da Guerrero Negro dove già avvistammo le balene…anche oggi ci accompagna un bel sole cocente ma la temperatura, una volta arrivati è decisamente fresca. Ancora una volta constatiamo la grande differenza climatica sui due diversi fronti. Siamo ancora sul pacifico ora e questa domenica pomeriggio rientriamo alla nostra camera n°4 dell’hotel Malarrimo, dopo una breve escursione all’antico porto ora in disuso, decisamente infreddoliti. Proviamo più volte a chiamare Jorge Bremen e sua moglie Marcella Cobarubia ( 01 6241455769 – 044 6151044478). Sono amici di Paolo e Catia nonché comproprietari delle saline più grandi del mondo che occupano buona parte dell’ ampia laguna di Guerriero Negro. Siamo tornati qui proprio per questo…per visitare le saline che mesi fa ci erano state precluse per il fatto che non avevamo richiesto in tempo il permesso necessario per la visita. Ritentiamo verso sera e finalmente all’ennesimo tentativo riusciamo a parlare con Jorge che, avvisato da Paolo e Catia ancora una settimana fa mentre eravamo con loro a Todos Santos, molto gentilmente si propone di accompagnarci domani mattina per il tour . L’appuntamento è per le 10 in hotel. Dopo un Margarita strong consumato tra una mail e l’altra, ceniamo semiubriachi all’ottimo ristorante del nostro Malarrimo dove le portate di pesce si susseguono numerose. Iniziamo con un patè di pescado, a seguire un fritto di albecas chocolate che vengono raccolte qui in laguna, una zuppa di verdure e poi il prelibato callo de almecas alla plancia con verdure. Che mangiata! Ci addormentiamo incollati l’uno all’altra cercando di far fronte al freddo di questa serata….e con muchos besos.

18 Giugno 2007

GUERRERO NEGRO

Jorge arriva puntuale alle 10 su un pick-up dell’azienda. E’ piuttosto basso, ha l’espressione simpatica e la voce ad un volume leggermente alto, al suo fianco è alla guida un signore decisamente più robusto di lui …sembrano amici. L’auto parte, mentre cerchiamo di intavolare un minimo di dialogo in spagnolo con i due davanti a noi….non si può immaginare la mia fatica di ieri al telefono! …ma è pur vero che il telefono in questi casi non aiuta per nulla, ma ora la conversazione in qualche modo decolla. Iniziamo col visitare gli hangar contenenti gli enormi mezzi di trasporto che vengono utilizzati per il trasporto delle grandi quantità di sale…la mia altezza supera di poco la metà di una ruota! Intanto Jorge ci spiega che la salina ha una base di sale fossile che si è depositato naturalmente nei secoli. Su questa base l’acqua del mare che ha qui una salinità del 4.7%, entra ed aumenta la sua salinità fino ad arrivare al 27%, quando poi precipita in cristalli. A questo punto le pompe espellono l’acqua in esubero ed il sale viene raccolto. Normalmente si forma uno strato di sale fresco alto 50 cm, ma viene tolto solo in parte, lasciando sempre un margine di sicurezza di 20 cm per evitare che la base fossile si rompa e quindi la superficie della salina non risulti più impermeabile. E’ importante ci dice Jorge, che la percentuale di salinità non aumenti oltre i 27%, perché altrimenti altri sali, di magnesio, di iodio…si formerebbero, contaminando così la salina. Squadre di tecnici vanno quindi costantemente al centro delle varie vasche per monitorarne il livello di salinità e garantire così la qualità del prodotto che contrariamente a quello che pensavamo non viene impiegato ad uso alimentare, ma industriale. Nella plastica c’è sale, così come nell’ alluminio e nella carta….proprio non se ne sa mai abbastanza! I maggiori importatori sono quindi i giapponesi che con la loro grande produzione automobilistica necessitano appunto di grandi quantità di sale. Dalla salina, che produce 7 milioni di tonnellate l’anno, il prodotto viene portato in un centro di raccolta e lavato con acqua molto salata per contenerne il dilavamento, ne escono sale e gesso che non essendo puro viene utilizzato per costruire le strade all’interno della grande salina. Non esistono inquinanti qui…il prodotto è altamente puro. Dopo il dilavamento il sale viene caricato su chiatte a rimorchio che lo porteranno all’isola de Cedros, a circa 60 km da Guerrero, per essere poi caricato ( 150 000 tonnellate) su gigantesche navi lunghe circa un chilometro ed alte fino a 15 livelli, che lo recapiteranno nei maggiori porti giapponesi. Che immenso business c’è dietro questa produzione …e che stranezza pensare che le nostre auto sono fatte in buona parte di sale grosso! Vediamo anche le aquile di mare, i cui 300 esemplari popolano il territorio della laguna ed altri uccelli migratori e non nell’estrema varietà delle specie autoctone. Mentre Vanni esce in cerca di un meccanico per Carolina perchè la spia del filtro non si vuole proprio spegnere, io mi apparto nella veranda del ristorante per cercare di raccogliere le idee scrivendo del tour di questa mattina…e ancora mi stupisco delle montagne di piccoli cristalli bianchi visti poco fa. Al suo rientro partiamo subito in missione avventurandoci per le strade polverose ed assolate di Guerrero, dove, ci ha detto Jorge, piove solo sei volte l’anno. Stiamo cercando dei fiori per la Marcella, così per contraccambiare la cortesia di suo marito, seguendo le indicazioni del cameriere dell’hotel. Un piccolo cartello verde scritto a mano esposto fuori da un negozietto che vende anche scarpe ed indumenti ci dice che qui possiamo trovare fiori freschi….ma dire freschi è un eufemismo. Da un mazzo di rose rosse ancora imballate riusciamo a trovarne 12 ancora regalabili…e la confezione del mazzo è terrificante…ma che importa, speriamo che anche qui valga la regola “ basta il pensiero”. Siccome nessuno conosce l’indirizzo di casa Bremen recapitiamo le rose all’ufficio della salina, sperando nella buona fede dell’impiegata che se ne fa carico…torniamo in hotel dopo aver inutilmente a lungo cercato uno spremiagrumi di alluminio che ci piace molto ma che nessuno vende.

19 Giugno 2007

GUERRERO NEGRO – BAHIA DE LOS ANGELES

Ancora deserto e cactus ed i cirios altissimi lungo il tracciato che si fa largo tra le montagne di roccia nelle varie tonalità dal bruno all’avorio. Sembra di essere in mezzo a tante pietre ollari…per il calore intenso che da esse si diffonde per tutta l’ampia vallata…ma Carolina in gran forma ci permette di accendere il condizionatore e così scivoliamo tranquilli lungo il biscione che si arrampica sui pendii per poi ridiscendere verso la costa quando da un promontorio improvvisamente vediamo la bella Bahia de Los Angeles dal mare blu intenso disseminato di isole rosso mattone. La foschia aumenta la percezione della distanza …ma mancano solo pochi chilometri al nostro arrivo nel piccolo paese che a quest’ora è deserto. Un piccolo nucleo ed una interminabile serie di casette che si affacciano sulla baia, come una medusa ed il suo lungo filamento, esploriamo le stradine non asfaltate, ma ci ritroviamo presto in un cul de sac…siamo nel cortile di uno sfasciacarrozze. Una retro e poi siamo di nuovo sulla strada maestra che perde presto l’asfalto per diventare una larga strada bianca con effetto vibratore….sembra di procedere sui cingoli di un trattore. Un edificio giallo sul mare ci colpisce…è l’ hotel “Los Ventos” dove decidiamo di fermarci nonostante l’edificio sia molto più accattivante esternamente, mentre la qualità delle camere lasci un pò a desiderare…e per un costo di 130 USD….il doppio delle locations trovate finora! Ma non esistono grandi alternative e decidiamo…la stanza 4 con vista mare sarà nostra. La doccia è gigantesca, circa 3 metri x 1.3, ma il getto che esce dall’erogatore è così scarso che impieghiamo ore per lavarci…il letto piccolo, il condizionatore sottodimensionato ed il forno a microonde senza il piatto, la grande porta finestra che dà sul mare non ha tende ma una vista meravigliosa. La receptionist chiede a me di fare il calcolo del cambio dollaro-euro perché evidentemente non sa se moltiplicare o dividere…ma siamo in un bellissimo posto ed il cuoco del ristorante sulla spiaggia è messicano ma di scuola siciliana. Una passeggiata in spiaggia, poi Vanni fa il bagno dopo aver strisciato bene con i piedi sulla sabbia per evitare di incappare nel pungiglione di una mantaraya…ce ne sono molte qui! Prendiamo accordi con il cameriere del ristorante circa il tipo di comida di questa sera e patteggiamo per un carpaccio di callo come entrata , una aragosta per Vanni e callo alla plancha per me. Quando arriviamo verso le 19.30 il piccolo ristorante è già pieno dei pochi visitatori. Casualmente Vanni scopre che un paio di loro sono italiani e da lì nasce un fitto scambio di informazioni annaffiato da Margarita, circa le nostre relative esperienze di viaggio. E’ una simpatica coppia di Roma …lavorano entrambi in radio, ci gasiamo un po’ vicendevolmente, poi ci lasciano alla nostra cena, mentre il cameriere ormai scalpitante perché vorrebbe chiudere alle 20.30, ci ronza attorno già da un po’. Tutto bene a parte il mio callo alla plancha che troppo cotto si è indurito…ma che importa…recupero con un gustoso dessert al mango e con un firmamento di stelle meraviglioso!

20 Giugno 2007

BAHIA DE LOS ANGELES

E’ solo l’alba quando mi sveglio per una pipì e capisco immediatamente perché non ci sono le tende alla vetrata…lo spettacolo è tra i migliori che abbia mai visto, e immagino avrà un buon posto nella top ten dei ricordi di questo viaggio; la palla di fuoco che sale dietro le piccole isole ancora nere di notte…e senza un filo di foschia, lo spettacolo è integrale! Una serie di parole mi sfilano nella mente ancora assonnata…eden è quella che si ferma. Alle 8 quando mi sveglio definitivamente vedo Vanni che dorme disteso a terra nel corridoio mentre abbraccia il cuscino…mi dirà poi di essersi svegliato per il sole che lo colpiva dalla finestra e che ha iniziato a battere sul letto poco dopo l’alba…le tende certo sarebbero servite a qualcosa!…anch’io avevo sentito un calore insopportabile alle caviglie, ma essendo la più lontana dalla finestra è stato sufficiente un piccolo movimento per tornare in zona d’ombra….che pazzerelli questi messicani!
Alle 9.30 il capitano che avevamo contattato ieri per il tour delle isole, arriva puntuale…ormai ci abbiamo preso gusto con queste escursioni in barca! …ma questa volta niente parasole,la barca è spoglia come se dovesse partecipare ad una regata…ma almeno ci sono due litri d’acqua, con questo caldo ne avremo bisogno!.. poi la velocità placa gli effetti del sole mentre ci aggiriamo tra le isole brulle abitate solo da pellicani, cormorani, gabbiani, aironi grigi e…gli immancabili leoni di mare con i quali mi rituffo per un divertente bagnetto! L’acqua è torbida qui, ma pur sempre gelida… e stento a riprendere il respiro una volta riemersa dal tuffo…ma sono così carine queste baffute sirene! Nella baia ci sono solo otto squali ci dice il giovane capitano, che sembra con noi per caso, un po’ impacciato …otto? Penso io…mentre più tardi mi concedo un altro bagno, ancora sola e con scarsa visibilità per via del plancton. Vanni proprio non ne vuol sapere di tuffarsi oggi! Appena scendiamo nelle spiaggette si stende nella lingua d’ombra che la barca disegna sulla sabbia e continua a leggere il suo libro…lo capisco…”l’ombra del vento” è un libro che ha preso molto anche me. Rientriamo poco prima delle due…la sabbia per raggiungere l’hotel ci scotta i piedi, ci congediamo dal capitano e, dopo un drink ristoratore al ristorante sulla spiaggia, un’aguita de mango, rientriamo all’ombra della nostra camera per valutare il percorso di domani…sembra di dover partecipare ad un relly!

21 Giugno 2007

BAHIA DE LOS ANGELES – ENSENADA

Vanni si sveglia all’alba ….lo vedo alzarsi ed andare in terrazza armato di macchina fotografica. Devo aver esagerato ieri nel parlargli della bella alba intravista dalla nostra terrazza! Il profilo nero delle isole si staglia sul fondo dalle tinte infuocate del cielo. Potrebbe essere tra dieci minuti come tra mezz’ora…non siamo poi così informati circa i tempi del sorgere del sole rispetto ai bagliori dell’aurora. Noi ghiri alle cinque del mattino di solito dormiamo! Vanni rimane in attesa a lungo…con la macchina fotografica pronta per immortalare il grande miracolo che si ripete sempre uguale da migliaia di anni eppure ogni volta così unico e vitale. Eccola finalmente dopo un tempo imprecisato… la palla infuocata diventa visibile all’orizzonte… Vanni scatta alcune foto poi torna a coricarsi dopo aver fissato un pareo alla porta vetri…non ha nessuna voglia di ripetere l’esperienza di ieri finendo ustionato fin dalle prime ore del mattino come su di un lettino UVA! Quando apro gli occhi, qualche ora dopo, vedo che Vanni si è fatto prendere da sindrome di iperattività ed è già pronto per partire…ha chiuso il suo trolley, bevuto il suo caffè, pagato il conto. Il tempo di scendere dal letto e mi dice: – ti aspetto in macchina…ma fai pure con calma!- ….poi una volta in viaggio verso Ensenada, mentre mi lamento sbadigliando del sonno che non mi dà tregua, mi dice che ho sbagliato a farmi prendere dalla fretta non concedendomi nemmeno un sacrosanto tè! Tè che avrei dovuto preperarmi nel microonde della reception dell’hotel…ed aspettare che la sua temperatura fosse diventata affrontabile….almeno dieci minuti in più! Salto quindi una serie di passaggi e salgo su Carolina ancora tramortita ma con il trolley perfettamente chiuso. L’importante è non aver perso nulla strada facendo!…e che tutto il mio voluminoso corpo sia a bordo. ..poi guardo nel mio telefono…non ci posso credere…sono solo le otto del mattino! Il paesaggio desertico della Valle de los Cirios si estende fin quasi alle porte di Ensenada, città portuale di poco pregio, ma tappa obbligata per il passaggio verso gli USA. Il paesaggio a noi ormai divenuto familiare, è caratterizzato da cime brulle dalle vibrazioni cromatiche tipicamente a macchia, con gamme che vanno dal chiaro al bruno al rossiccio. Gli altissimi Cirios così denominati per somiglianza ai ceri delle chiese, a cono, estremamente dritti nella maggior parte dei casi e culminanti con un ciuffo di fiori gialli in cima..come uno stoppino appunto. ..poi gli incredibili cactus…Leggo su una brochure dedicata a questa vallata protetta, che i cactus ed in generale le piante che vivono in questo territorio, crescono solo di un centimetro all’anno, ma come i cactus possono vivere fino a 700 anni, così i cirius fino a 400. Che magia la natura! Qui piove al massimo due volte l’anno, un anno su tre! Eppure aggirandoci tra questi che sono come boschi di piante grasse, ci stupiamo ancora una volta del miracolo della vita e della capacità di adattamento….nei secoli, delle varie specie. Ensenada ci offre un Hotel Best Western “El Cid” …di cui siamo tessera muniti ed un’ ottima cena al Manzanilla in calle Rideroll 120. Il ristorante ci era stato consigliato da Paolo e Catia, gestito dal loro amico Xavier, un simpatico ed agitato bel ragazzo, sicuramente dedito alla farina…come la chiamano in gergo. Si dice disponibile per qualsiasi cosa…ma non siamo in vena di cocaina e così ci limitiamo ai nostri due succulenti piatti di portata. La balera proprio sotto la camera con letto king size ci tiene svegli per un po’ ed il volume è così alto là sotto che le lampade sul comodino vibrano…finisce in una serie di grasse risate per la fregatura che anche questa volta il Best Western ci ha riservato….poi ne approfittiamo dello specchio a parete dietro il letto.

22 Giugno 2007

ENSENADA – TECATE – SAN DIEGO

Partiamo ad un’ ora ragionevole…siamo un po’ tesi per l’impatto con la frontiera USA. Le due statue colombiane, che già avevano procurato una serie di problemi al porto di Cartagena, dirette verso Panama, potrebbero rappresentare ancora un problema…e se là avevano persino cercato di trapanarle ed avevano interpellato la sovrintendente alle belle arti per garantirne la non autenticità…perché questo non dovrebbe ripetersi?…militari Usa erano là a Cartagena come anche lo saranno a Tecate. Sono già incazzata nera!…già non li sopporto, se poi dovessero cercare di manomettere le nostre belle statue! Ma a Tecate tutto questo non succede ed il customer che si occupa di noi non fruga tra le nostre cose…si limita a farci compilare la famosa carta verde, nella quale dobbiamo dichiarare che non siamo pedofili, né spie internazionali, né spacciatori o tossici, quindi memorizza le nostre impronte digitali e ci fa una bella fotografia! Avremo 90 giorni di tempo per visitare gli USA…basteranno! Ma poi vogliono un recapito in San Diego, dove siamo diretti…Vanni esce dall’ufficio per prendere da Carolina l’elenco degli hotel Best Western, poi rientra ed apre la pagina nella quale come segna libro aveva messo una cartolina con ……l’immagine del peyote! Non ci volevo credere! Al confine USA Messico, con tutti i problemi che hanno con la droga, dopo che ci hanno fatto quasi giurare che la droga non ci interessa…lui arriva ed ostenta il peyote! Passa un doganiere e si irrigidisce….- this is illegal!….avrei voluto aggiungere che si trattava solo di una immagine…ma poi perché aggiungere qualcosa…in fondo sono paramilitari statunitensi…ossessionati dalla droga! …Ma poi uno di loro , ignaro della gaffe, ci chiede di dove siamo e fa seguire alla nostra risposta un bel – you are welcome!- che un po’ ci scioglie. Arrivare a San Diego ormai è uno scherzo da ragazzi…50 km di strada che diventa , al nostro avanzare, sempre più larga…qui non badano a spese! Down Town è in fondo alla strada che stiamo percorrendo fin da Tecate..la 94. Un paio di tentativi andati a vuoto con due BW, poi al terzo ci fermiamo. E’ particolare il “Cabrillo Garden Inn” , su due piani con ballatoio e con rivestimento a bow window di legno, letteralmente soffocato dai grattacieli tutto attorno. Ma noi non siamo claustrofobici e la stanza è pulita ed accogliente…certo non si può fumare, .e qui trasgredire diventa non so perché difficile, come se i tabù fossero virulenti! Usciamo quasi subito percorrendo la Broadway, e poi la India St. fino a Little Italy dove al “Zagarella” restaurant prendiamo la nostra prima fregatura culinaria…ma già sappiamo che dovremo farci l’abitudine. Intanto notiamo che le automobili circolano con ordine ed a bassissima velocità, che il pedone è sacro, che la bandiera degli Stati Uniti sventola ovunque e che all’ombra c’è un bel freschino!…del resto siamo sul Pacifico…ormai lo sappiamo!


Menù delle città

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18 Stati Uniti


23 Giugno 2007

SAN DIEGO ( California )

Saliamo a piedi verso il Balboa parc seguendo la larga strada che conduce fuori città. Ci sentiamo un po’ spaesati con tutte quelle grandi strade che lo attraversano non sembra nemmeno un parco bensì una serie di grandi spartitraffico. Torniamo quasi subito sui nostri passi, non indagando oltre circa il parco che doveva senz’altro avere angoli interessanti…ma che certo non era Versailles, né tantomeno Guell. L’idea è di spaziare al di fuori della Downtown, per vedere l’isola di Coronado e la Old town , Carolina torna in azione quindi, fin dalla tarda mattinata, quando, cartina alla mano ci facciamo strada inseguendo come fari dapprima gli alti grattacieli, poi il lungo ponte parabolico che collega all’isola fighetta di San Diego. Vanni se la cava benissimo…ed io anche, è semplice riuscire a districarsi in questa griglia di larghe strade. Percorriamo il lungo ponte, scivoliamo paralleli a belle ville piene di coccarde e bandiere USA ( probabilmente di alte cariche dell’esercito americano), percepiamo la skyline della downtown di fronte a noi, con gli alti grattacieli, ci spingiamo lungo la stretta lingua di sabbia che si spinge dentro il mare verso est, la gold beach….poi di nuovo verso gli affollati campi di golf …non male l’isoletta! Nulla è fuori posto…tutte le case sembrano nuove o appena restaurate, così come i loro giardini di pertinenza. Grossi fuoristrada procedono lentamente in questo paese dei balocchi, sempre ordinatamente, senza nessun eccesso. Mi viene in mente la bella pellicola “ American beauty” vista qualche anno fa…ma non voglio ora citarne i motivi…altrimenti trasformerei questo diario di viaggio in un volantino antiamericano. Ancora sul ponte, ma nell’opposta direzione, un cartello riporta il numero di suicidi avvenuti dalla sua sommità …sono troppi e decisamente in contrasto con ciò che abbiamo visto finora. Non ci sono barboni qui…li abbiamo visti concentrati ai margini della downtown…là dove la patina si fa sottile e mostra aspetti anch’essi veri di una società piena di contraddizioni…dove anche i barboni sembrano inseriti in un ordine…e sono ordinati, nei loro sacchi a pelo puliti , anch’essi integrati nel sistema. Ci dirigiamo ora verso la Fifth avenue, nel cuore della Downtown, che alla fine dell’’800 fu sede di bordelli e più in generale fu il quartiere dedicato al piacere. Animatissima anche ora la Fifth avenue è piena di ristoranti, bar negozi e tante persone, alcune delle quali interessate anche ai begli edifici in stile vittoriano e decò che caratterizzano i fronti strada di questo Gaslamp Quarter. Terribile invece la Old town …che sembra più un parco divertimenti per turisti americani che un brandello della città antica. Fuggiamo dopo aver girovagato in auto nei quartieri residenziali limitrofi, ancora perfettamente tenuti. I prati all’inglese si susseguono ordinati nella stretta fascia di pertinenza delle villette, qualche coccarda e bandiera qua e là, non un rifiuto per strada. Altro che Svizzera! Il Museum of Contemporary Art è piccolo ma intenso, e collocato nella parte più carina di San Diego, la Downtown. In una delle sale rivedo l’opera di Edoardo Neto che aveva tanto colpito Catia alla biennale di Venezia di qualche anno fa… che sorpresa e che deja vu…anche olfattivo!… perché dentro queste grandi mammelle di tessuto che pendono dal soffitto, ci sono grossi grumi di spezie, dal pepe, al cumino, al cilantro…per un’orgia percettiva di sensualità sfrenata…Vanni ne è conquistato. Ceniamo sempre sulla Fifth avenue al “Grey Stone steak house” consigliatoci da Laura, la cameriera Italiana conosciuta ieri al Zagarella, che per riscattarsi in qualche modo della scarsa qualità del locale dove lavora, ha voluto mandarci in quello dove lavora invece il suo fidanzato….ma senza grandi risultati. La serata sfocia anzi in una lite tra me e Vanni, quindi lascio il locale in malo modo e mi incammino dassola in hotel. Proprio non lo sopporto quando prende decisioni che riguardano anche me….senza nemmeno interpellarmi! Succede questa volta che gli arriva una telefonata da Angelo e Raffa, due suoi amici con i quali abbiamo condiviso l’argentina ed il Cile un paio di anni fa ed in seguito alla quale esperienza si era sollevato un unanime…- mai più ! – Sentendo oggi Vanni dire ad Angelo –ok…allora vi aspettiamo a San Francisco!- mi cade il mondo addosso e gli chiedo come abbia potuto invitarli alla luce dell’ esperienza passata…e senza chiedermi nulla!…ma la cosa più delirante da parte sua è dirmi – cambierai senz’altro idea…tu cambi sempre idea sulle cose!- …anche perché non si tratterebbe di condividere 15 giorni di vacanza…ma anche questa volta almeno un paio di mesi! Incazzata nera mi addormento solo verso l’alba, quando finalmente le note di Bach riescono a rilassarmi ed io smetto di pensare a come risolvere il problema che Vanni mi ha creato.

24 Giugno 2007

SAN DIEGO – FLAGSTAFF ( Arizona )

Partiamo, verso le 10. Ho dormito solo 3 ore e non sono stanca, questo rende bene l’idea dello stato dei miei nervi…continuo a non rivolgergli quasi la parola…lui invece cerca di intenerirmi con un’espressione contrita…ma non ci casco.. sono arrabbiatissima e voglio che sappia quanto! Nel silenzio quasi totale affrontiamo gli ottocento chilometri di avvicinamento a Flagstaff, con una media dei 100 km/h ed una temperatura esterna da Sahara, mentre Carolina va in ebollizione ogni volta che accendiamo l’aria condizionata…un delirio! Ma in prossimità della cittadina il paesaggio si fa interessante e le rocce rosse isolate iniziano ad apparire come una sorta di introduzione alla mitica Monument Valley che visiteremo domani. Naturalmente è un Best Western l’hotel nel quale ci fermiamo…un po’ sciatto ma a buon mercato e poi siamo così stanchi che quasi non ci accorgiamo di ciò che ci sta attorno! Consultiamo la Lonely Planet per il ristorante e ci dirigiamo, inseguiti dalla polizia, verso il Josephine’s, che vediamo sulla mappa in una strada un po’ defilata del piccolo paese. Azionano il lampeggiante ed accostiamo, la potente torcia puntata sui nostri occhi, chiedono i documenti della macchina perché insospettiti dalla targa . In cinque minuti siamo già liberi e con un – have a nice eveneng – auguratoci con un bel sorriso sulle labbra. Iniziano a piacermi questi americani…Al Josephin’s , al 503 di Humphrey’s street , Flagstaff Arizona ( tel. 928-779-3400), bevo il primo buon margarita della vacanza e non solo… gustiamo una cena a dir poco ottima, preparata dallo chef Tony Casentino. A servirci uno staff di giovani cameriere simpatiche e disponibili, in un ambiente informale ma avvolgente che dovrà essere citato nella guida web di Rebecca….dopo la guida Michelin ecco nascerle l’idea della Porcelin alla quale parteciperò con slancio. Siamo così soddisfatti della scelta che sento di voler approfondire citando i piatti assaggiati nel corso della serata….come entrata un Josephine’s crab cake, praticamente frittatine a base di granchio, accompagnate con salsina al basilico. ( La ricetta: – crab meat, corn, red bellpeppers, poblano peppers, bread crumbs, mayonnaise, eggs, salt, pepper ). Piatto forte per Vanni un bell’osso buco e per me medaglioni di manzo serviti con mele affumicate, risotto allo zenzero e salsa all’aceto balsamico. Un trionfo che si chiude con una fantastica crema brulee. L’umore migliora molto ovviamente nel corso della serata…ma non abbastanza…ed un laconico buonanotte è l’unica cosa che riesco a dire prima di addormentarmi nel mio lettone.

25 Giugno 2007

FLAGSTAFF – CAYENTA ( Momument Valley)

Ancora 270 km per raggiungere Cayenta, un piccolo paese sperduto nel mezzo del deserto dell’Arizona che certo non vale una sosta , ma che rappresenta un comodo punto d’appoggio per la visita alla mitica Monument Valley….proprio quella vista decine di volte in tv nei film western di John Wayne. Particolarmente gettonata da Hollyvood ed a ragione, stupisce per la bellezza dei suoi speroni di roccia rossa, uniche presenze totemiche nella vallata semidesertica. Il parco si trova esattamente sul confine tra Arizona e Utha, all’interno della riserva dei nativi Navajo. E di Navajo ne incontriamo all’interno del parco, a vendere “artigianato” forse prodotto da una qualche azienda cinese. Sono collanine di finto turchese, tappetini tessuti a telaio industriale, piume legate a filamenti di cuoio…si sono impigriti questi nativi, ed hanno tutte le giustificazioni del mondo per esserlo. I sopravvissuti allo sterminio perpetrato nel corso dell’ ’800, sono stati costretti a vivere nelle riserve, annegando la loro disperazione nell’alcool che ora è severamente vietato in tutto il territorio della riserva, solo vino e birra analcolici anche per noi turisti. Ci lasciamo affascinare dal parco mentre con Carolina ci avventuriamo sulle piste che si inoltrano sulla terra polverosa tra le alte mese createsi in millenni di erosione sistematica. E sembra quasi di vederlo il caw boy, spingere il suo cavallo al galoppo all’inseguimento di qualcuno o qualcosa tra questi monumentali guardiani di roccia rossa. Per due dollari anche noi potremmo farci immortalare in groppa di un destriero nero sullo sfondo pittoresco di questa torrida vallata…leggo su un cartello. Ad accrescere l’impatto surreale di questo luogo che ci riporta al tempo della nostra infanzia , due monaci tibetani, vestiti delle loro bellissime tuniche giallo ocra, che vediamo fotografarsi a vicenda sullo sfondo di una delle mese più belle… due film al prezzo di uno!

26 Giugno 2007

CAYENTA ( Momument Valley)- GRAN CANYON

Siamo ancora in Arizona ad esplorarne l’incantevole territorio, oggi partiamo presto per raggiungere l’altro fiore all’occhiello di questo stato…il Gran Canyon. Scegliamo di visitare il South Rim, il lato sud del canyon, più facilmente accessibile e con maggiori possibilità di vedute panoramiche. Entriamo dalla strada 64 all’ingresso est della Desert view drive , con la modica cifra di 25 $ siamo ammessi nel più visitato parco naturale del mondo. 4 milioni di visitatori l’anno si avventurano su questa riva sud del Colorado River per emozionarsi. Il gran canyon è profondo più di 1,5 km e largo in media 16 km, e nel suo fondovalle si snoda sinuoso il fiume, per oltre 445 km., che ha scavato il canyon nel corso degli ultimi 6 milioni di anni e portato in superficie rocce di due miliardi di anni fa, ovvero la metà del ciclo vitale della terra. Alla prima sosta lungo la strada che si snoda parallela al precipizio, la Indian view , di fronte a questo prodigio della natura, percependo la grandezza della natura stessa della sua eterna forza e bellezza, io mi commuovo. Letteralmente mi metto a piangere…sindrome di Stendhal? …non saprei dire, ma ricordo successe in un’altra occasione nel corso del viaggio in sudamerica. Il fiume si vede solo a tratti ed in modo poco chiaro vista la distanza, ma ne percepiamo il colore azzurro intenso che si interrompe qua e la per via delle numerose e pericolose rapide. Leggiamo che se in generale il livello max. di difficoltà del Rafting è V, in alcuni tratti del Colorado River è X ! Insomma qui tutto è in grandi proporzioni dimensionali …non per nulla è appellato Gran Canyon. Fermandoci nei punti panoramici scattiamo numerose foto ed immortaliamo anche il famoso corvo nero del Gran Canyon, al quale offriamo, nonostante il divieto, una tostadas messicana in cambio di qualche foto…ma poi stanchi per il calore disumano cerchiamo un hotel appena fuori dal parco. Nella hall Vanni vede un desk informativo dei voli in elicottero sul Canyon….va da se che in un istante siamo già prenotati sul tour delle 17 per un sunset indimenticabile. Dopo il Delta Okawango in africa , le Linee di Natzca in perù e Ixtapa in Messico, eccoci di nuovo in volo per godere della prospettiva zenitale del Canyon. Al ceck in delle 16.30 veniamo pesati e fatti accomodare mentre un ragazzo rivolgendosi ai vari clienti inizia a parlare in un inglese incomprensibile delle varie misure di sicurezza a bordo. Non capiamo praticamente nulla…ma siamo ottimisti ed a maggior ragione non dovrà succedere nulla! Saliamo in 6 sul panoramico elicottero rosso, praticamente un uovo di vetro, io e Vanni ci accomodiamo nei due posti di fianco al pilota…meglio di così! Baipassiamo il rumore delle pale in funzione indossando le grandi cuffie che diffondono musica alloggiate sul poggiatesta, allacciamo le cinture di sicurezza e partiamo…è la mia prima volta. Sorvoliamo per un poco il bosco di pini, e poi improvvisamente siamo sull’abisso del Canyon. Che emozione…il passaggio dalla superficie così vicina del bosco a quella così lontana del fondo del canyon , ci fa percepire il tuffo nel vuoto …quasi come un lancio con il paracadute!…pensiamo noi due. Questo è senz’altro il modo migliore per percepire la complessa articolazione del canyon, con le sue gole, e gli speroni che si diramano dal corso principale…e vediamo anche quelle che devono essere state isole migliaia di anni fa..
Un passaggio veloce in hotel e siamo di nuovo nel parco , questa volta percorriamo con Carolina la Hermit Road che si snoda verso ovest …tramonto con foschia e rientro in hotel.

27 Giugno 2007

GRAN CANYON – LAS VEGAS ( Nevada )

Percorriamo a ritroso la 40 Road verso Los Angeles, poi imbocchiamo la 93 North e saliamo verso Las Vegas inoltrandoci su quelle che sono le ultime pendici della catena delle montagne rocciose. Attraversiamo in auto anche la grande diga costruita quasi un secolo fa, ma che sembra nuova ..la imponente Hoover Dam, in prossimità della quale si sta realizzando un capolavoro di ingegneria, un lungo ponte a coprire l’ampio strapiombo del Colorado river e ad unire così l’Arizona al Nevada. Vediamo i pilastri altissimi che affondano la loro armatura nella roccia scoscesa delle due sponde…chissà che brividi percorrendolo in auto! Las Vegas quasi non si vede all’orizzonte, spalmata com’è nella vallata desertica che percorriamo…poi alcuni grattacieli iniziano a prendere forma davanti a noi, siamo arrivati nella calda città dell’effimero… fuori il termometro registra 45°C . Prima di prendere la camera al Caesars Palace decidiamo di perlustrare il cuore della città percorrendo il S. Las Vegas boulevard denso degli edifici spettacolari che si susseguono in un delirio stilistico degno di un immenso parco giochi. E così passiamo da un edificio stile antica roma…dove dormiremo, ad un altro complesso che riproduce fedelmente gli edifici più rappresentativi di Venezia, per poi passare ad una foresta tropicale con battaglia navale dal vero tra due galeoni pirateschi e tigri bianche disperse tra la vegetazione…e tanti altri altrettanto pittoreschi in stile egizio o perché no, antica Cina. Di americano l’invito al consumismo sfrenato ed il folle progetto di stupire divertendo i turisti che una volta arrivati verranno spennati ma non solo al casinò.…una bottiglia di acqua da mezzo litro costa dai tre ai quattro dollari, assistere ad uno spettacolo del Cinque du soleil 170 $, far lavare una camicia 10 $ ed occupare la Real world suite al Palms Casinò Resort costa minimo 7500 $ al giorno. La nostra camera sulla Forum tower del Caesars Palace è piuttosto confortevole ma una volta usciti c’è il rischio di non riuscire a ritornare perdendosi tra i meandri del piano Casinò, un groviglio di corridoi e saloni e ristoranti e negozi e le immancabili slot machine ad occuparne centinaia di mq. Il tutto condito in stile antica roma, in un trionfo di capitelli, colonne, marcapiani, statue, fontane , dipinti …ma i marmi ovviamente non sono veri così come i dipinti che non sono affrescati bensì stampe incollate ai soffitti…insomma una fiction ben costruita. Vanni muore dalla voglia di vedere lo spettacolo acquatico del Cirque du Soleil, quindi va e prenota i due biglietti per lo spettacolo delle 10.30. Mi sembra l’occasione giusta per indossare il mio abito lungo quindi a caduta cenare in un raffinato ristorante francese al Bellagio prima dello spettacolo. Mi trattengo a fatica dallo champagne e caviale…c’è un limite a tutto!….mentre gustiamo la nostra cena scorgiamo dalle finestre del ristorante i giochi d’acqua che intanto hanno avuto inizio nelle fontane appena fuori…che meraviglia Lo spettacolo del Cirque è bellissimo, sia per la coreografia che per la scenografia…sono proprio bravi! Vista l’ora , è passata la mezzanotte, ci concediamo due passi all’esterno delle aree refrigerate…ma il caldo è ancora fastidioso e dopo poco siamo di ritorno alla nostra confortevole 7818 , l’unico ambiente del quale possiamo decidere la temperatura.

28 Giugno 2007

LAS VEGAS

Finalmente un hotel con servizio di lavanderia…un paio di giorni fa ho rischiato di dover lavare le nostre cose nella lavanderia comune dell’hotel , piena di lavatrici, asciugatoi e dispenser e signore al lavoro. Ma il grande Caesar mi salva ed anzi, quasi a giustificare il conto salato, restituisce dopo poche ore un impeccabile pacco e le camicie di Vanni in una scatola a parte piegate ed incellofanate. Che grandi lavandai questi cinesi! Ci coccoliamo con una colazione in camera e solo verso le due del pomeriggio decidiamo di uscire per andare a vedere il museo Guggenheim al Venetian. Il caldo ci opprime ancora una volta, troviamo chiuso il museo e torniamo in fretta al fresco dell’hotel. Troviamo il coraggio di uscire solo verso le nove, quando il buio della sera mitiga la temperatura….giusto in tempo per vedere nell’ampio lago di fronte il Bellagio uno spettacolo mozzafiato di giochi d’acqua e suoni. Incredibile la bellezza di quei getti d’acqua danzanti! Ci spingiamo poi fino all’hotel Luxor per vedere la famosa piramide nera , poi stanchi rientriamo per una dormita con i fiocchi

29 Giugno 2007

LAS VEGAS – LOS ANGELES

Possiamo dire di essere diventati dei navigatori provetti se nonostante le cartine parziali a disposizione e la metropoli più grande degli stati uniti sotto le ruote di Carolina, siamo riusciti ad arrivare in hotel nel cuore di Los Angeles senza dover ricorrere all’aiuto di un taxista. Siamo a Hollywood…l’hotel best western si trova a nord della Hollywood boulevard, proprio a due passi dalla downtown del quartiere…tra gli edifici Decò e le famose stelle di Hollywood di pietra rossa inserite sul marciapiede scuro, che riportano in lettere dorate i nomi delle varie star del cinema. L’hotel sembra la copia di un carcere di massima sicurezza, le camere disposte su due piani si affacciano su ballatoi che delimitano uno stretto cortile. Le pareti sono di colore verdino sporco, le ringhiere grigie. Ma si dormirà benissimo… Depositati i bagagli usciamo per una prima ricognizione dell’ enorme città che leggiamo essere costituita da 80 cittadine compattatesi nel tempo, per un totale di 8 milioni di abitanti ed una estensione complessiva da capogiro. Carte alla mano, arriviamo con Carolina in west Hollywood, un quartiere che gode di una certa popolarità soprattutto tra i gay…e che ospita anche il MOCA Pacific Design Center, insomma un quartierino di tendenza. Ci infiliamo all’Abbey per un aperitivo. Il locale in stile vagamente messicano è affollatissimo direi soprattutto di non etero…i camerieri mozzafiato vestiti di una leggera canotta ed una vivace atmosfera fanno di questo locale una meta da non perdere e ci divertiamo infatti sorseggiando il nostro margarita ed osservando queste stupende creature che mi piacciono da morire… Ma il MOCA , il cui edificio verde pisello ci appare come una promessa…è chiuso. Ceniamo benissimo all’Osteria Angelini, sul Beverly boulevard…il cibo è più che ottimo e la cordialità pare quella di emigranti che rimpiangono un po’ casa. Finalmente ci sfoghiamo a chiacchierare anche con altri nel nostro conosciuto idioma.. Una cosa particolare qui è che ogni locale, ristorante bar o hotel che sia, ha i suoi parcheggiatori, i “valet” che con una tariffa variabile dai 4 ai 5 $ provvedono al parcheggio della tua auto…comodissimo, soprattutto in una città dove il parcheggio può rappresentare un problema. Los Angeles ci piace, nonostante le aspettative. Immaginavamo una città troppo grande, sterile ed asettica; invece ogni quartiere possiede una sua forte caratterizzazione ed anche il tessuto urbano fatto prevalentemente di villette o villone …dipende dalla zona…che si arrampicano sulle colline o si spalmano sul piatto terreno delle zone pianeggianti, non danno l’immagine della metropoli quanto piuttosto quella di una città giardino, vivibile ed ordinata….e se avessimo voglia di arrivare fino a Santa Monica …vedremmo anche il mare!

30 Giugno 2007

LOS ANGELES

Non sto più nella pelle…oggi andremo alla famosa Walt Disney Concert Hall di F.O.Ghery, il mio architetto preferito! Sono emozionata e mi tremano un po’ le mani quando scatto le prime foto di questo che ci appare come un immenso gioiello di acciaio luccicante sotto i raggi del sole intenso di mezzogiorno….ma che bellezza e che genio quell’ebreo! Entriamo per la visita dell’interno ed aggirandoci rapiti tra le volumetrie inattese ed avvolgenti ci chiediamo come un umano possa concepire forme così libere e gioiose ed estreme da un punto di vista statico…certo gli ingegneri devono essersi spremuti non poco per rendere possibile questo delirio formale concepito affinché l’occhio possa scivolare continuamente da una convessità all’altra, da un bagliore ad un’ombra profonda come una ferita…senza fermarsi mai su nulla e con la sensazione di non riuscire mai a carpirne il progetto complessivo. Se dovessi associare a qualcosa l’impatto con questo oggetto, penserei ad una danza, un balletto ininterrotto che mi ha lasciata felice e piena di energie. Certo il Guggenheim di Bilbao mi era sembrato al confronto più compiuto, perfetto…ma ogni volta che mi trovo di fronte ad una genialità così espressa, ne rimango basita. Proseguiamo oltre passeggiando fino alla cattedrale di Nostra Signora di Los Angeles…un’altra chicca architettonica concepita questa volta dall’ architetto spagnolo Moneo, il preferito di Elisa…praticamente l’opposto di Ghery! Raffinato, equilibrato un altro genio nel panorama degli architetti contemporanei…e spagnolo più che mai per la drammaticità delle scelte formali e per il calore di questa pietra rosata che ricopre l’intera volumetria della chiesa. Un altro bel viaggio questo…Trovo un dvd per Elisa…l’intera realizzazione, pietra dopo pietra…praticamente un macigno! Certo questo isolato della downtown non scherza…poco oltre entriamo in una delle sedi del MOCA, un’architettura un po’ datata di Arata Isozaki …ma siamo a Los Angeles o a Berlino?….patria dell’architettura contemporanea. Dopo una breve passeggiata a piedi tra le strade della downtown, vivamente sconsigliata da un’americana che incontriamo e che ci sconsiglia di proseguire lungo la strada in discesa che stavamo percorrendo, con un secco – non è sicuro!- veniamo a sapere che il quartiere degli affari, o meglio parte di esso, pieno di banche e grattacieli che ne definiscono una interessante skyline, non è poi così raccomandabile. Ma gli slanciati edifici giustapposti ai più datati in stile decò o in mattoni facciavista, ci incantano e le persone che incontriamo non sembrano poi così terribili.
Tornati al parcheggio decidiamo per un giro in macchina verso il quartiere giapponese del centro dove però troviamo l’altra sede del MOCA chiusa….sono già le 6 pm.

01 Luglio 2007

LOS ANGELES

E’ domenica oggi…la giornata ideale per visitare il Getty Center, la principale attrazione di Los Angeles che sorge in cima ad una collina, dalla quale si godrebbe di un favoloso panorama se non fosse per la foschia sempre presente che ne sfuma i contorni. Progettato da Richard Maier ed inaugurato nel ’97 è costato un miliardo di dollari….e se ne capisce il motivo! Gli edifici, che accolgono un centro di ricerca, un auditorium, spazi espositivi e servizi, sono quasi completamente rivestiti di travertino proveniente dall’Italia, la stessa pietra fu estratta in passato per costruire il colosseo e la fontana di trevi…100 viaggi in nave per trasportare il materiale non devono essere costati poco…oltre a tutto il resto! Rimaniamo fino al tardo pomeriggio, aggirandoci tra le mostre, il giardino e gli spazi esterni davvero piacevolmente proiettati verso la città, con una serie di viste suggerite e definite attraverso i grandi portali che ne inquadrano le prospettive. La temperatura quassù è piacevolissima ed una brezza soffia costante a raffreddare i bianchi travertini. Arriviamo a Santa Monica al tramonto, la cittadina sul mare è piacevole ed ordinata come quasi tutto qui in USA. Passeggiamo tra le strade pedonali piene di negozi e ristoranti, poi lungo il mare sul palisades park, una lingua di terreno a ridosso della scogliera, piena di palme e ricoperta di un impeccabile prato all’inglese molto gettonato dai tanti barboni che vi risiedono. Siccome sono fissata chiedo a Vanni di portarmi a vedere la famosa sede della TBWA, un’agenzia pubblicitaria progettata da Ghery sulla cui facciata spicca un enorme cannocchiale di cemento armato che ne segna l’ingresso. Un bijou! Memori dell’ottima cena all’”osteria Angelini” decidiamo di provare anche l’altro suo ristorante che troviamo sempre a West Hollywood…”La terza”. Che onore…c’è proprio lui ad accoglierci…Gino Angelici, che oltre ad offrirci i suoi piatti squisiti si concede anche in una lunga chiacchierata nel corso della quale scopriamo cose interessanti sugli USA. Per esempio che qui puoi fare molto senza rischiare di andare in galera…tranne non pagare le tasse. Addirittura i camerieri vengono tassati anche per le mance presunte del 20%…incredibile! Il redditometro in Italia ha per anni seminato lo scontento tra i professionisti…figuriamoci se fosse stato applicato anche ai camerieri. Scopriamo anche che tutte le auto che arrivano dal Messico non vengono assicurate…cioè c’è da augurarsi di non aver mai un incidente con un messicano in territorio USA. Ma anche noi siamo senza assicurazione!…e con tutte quelle auto d’epoca circolanti …non c’è di che stare tranquilli! ….provvederemo al più presto. Mi arrabbio poi con Vanni che commenta con altezzosità le portate che scelgo per la mia cena….considerando che non mangio nulla da ieri sera, non mi sembra che una caprese come antipasto seguita da un filetto alla griglia possano diventare argomento di critica da parte sua ….seguita da commenti del tipo – caspita che appetito !- mentre lui si riempie di piadina e dei salumi del suo abbondante antipasto! Ho sempre trovato di cattivo gusto guardare nel piatto degli altri….meglio un sincero – mi piaceresti un pò più magrolina!

02 Luglio 2007

LOS ANGELES

Cerchiamo subito un’agenzia per fare la polizza assicurativa…ed una banca dove poter cambiare gli euro che Vanni nasconde nella sua cintura…ma scopriamo che se non sei un cittadino USA non puoi fare né l’una né l’altra cosa…incredibile! Le banche cambiano la tua valuta straniera solo se hai un conto aperto presso di loro…e le tre agenzie polizze auto ci rispondono tutte quante che loro non sono autorizzate ad assicurare auto straniere ai non residenti. Insomma negli USA o sei statunitense o una serie di diritti ti vengono preclusi. Davvero un paese civile!
Ma aggirandoci per il centro della Downtown avvistiamo un edificio degno di essere esplorato, è il California department of transportation, meravigliosamente concepito dal gruppo di Thom Mayne e Morphosis…un altro capolavoro…questa volta di vetro, acciaio e colorate luci al neon! Scendiamo verso Long Beach…Vanni ha voglia di vedere la Queen Mary, l’antico transatlantico ora convertito nell’ Hotel più famoso della città, che solcò l’oceano atlantico per la bellezza di 1001 volte, tra il 1936 al 1967. La strada verso Long Beach è tutt’altro che panoramica…e sembra non finire mai…90 km dal rifornimento di ieri sera, e quasi tutti impiegati oggi per l’avvicinamento alla costa su questo lato, uno dei punti più a sud della città iniziano a pesarci quando finalmente, percorrendo la 710, iniziamo a vedere le indicazioni per la Queen Mary…siamo arrivati! Sfiliamo sul fianco sinistro di questo monumentale pezzo di storia ed automaticamente pensiamo a tutte le traversie che nel corso della sua vita deve aver affrontato. Ma ora che bel pensionamento…qui nella lussuosa Long Beach! Un ottimo hamburger da Mac Donald e a letto.

03 Luglio 2007

LOS ANGELES – SAN LUIS OBISPO ( 270 Km )

San Luis Obispo non è certo una ambita stazione turistica, ma da qualche parte dobbiamo pur fare una sosta prima di intraprendere il meraviglioso viaggio verso Big Sur attraverso la strada più panoramica della costa pacifica americana, la mitica 1. Dopo una sosta nell’elegante Santa Barbara ed una sbirciatina strada facendo alle belle ville di Malibù, le cui baie sono piene di surfisti in attesa delle onde che invece vediamo belle incazzate qualche chilometro oltre…optiamo per una sosta di due giorni a San Luis Obispo, che non si trova sulla costa ma ne è leggermente arretrato. Il luogo migliore pensiamo, dove trascorrere il 4 luglio, l’indipendence day, senza incappare in traffico eccessivo o il tutto esaurito negli hotel. Relax, aggiornamento del piano di viaggio e molto sesso.

05 Luglio 2007

SAN LUIS OBISPO – SAN FRANCISCO ( 420 Km )

Dopo i meravigliosi fuochi d’artificio di New York visti ieri sera in tv….e la modesta cena consumata nell’unica osteria aperta di tutto il paese…partiamo verso il tratto di costa tanto declamato dalle guide…la freeway n°1 ci condurrà da San Luis Obispo a Monterey costeggiando il tratto di costa selvaggia la cui bellezza ha suggerito il nome di Big Sur. Ma ecco, appena lasciato il paese verso la costa, un muro di nuvole basse ci proietta in un’atmosfera autunnale da pianura padana. Iella massima…proprio oggi che la buona visibilità si poneva necessaria! Invece percorriamo la Frw 1 senza vedere nulla di tutto ciò che l’ha resa famosa. Rocce, strapiombi che in altre condizioni climatiche sarebbero state motivo di stupore, oggi rappresentano per noi solo un eventuale pericolo….con questa nebbia fitta! Proseguiamo quindi abbastanza spediti fermandoci solo quando a tratti la nebbia si dirada, ma non vedendo nulla di esaltante, ci vien da pensare alla molto meno nota, ma di granlunga più bella, costa tirrenica della Corsica ! Insomma non paghi della fregatura ci spingiamo anche sul promontorio di Monterey percorrendo la 17 Grand view Dr. che però non ci esalta, certo forse per colpa di questo grigio che si riflette ovunque…o piuttosto per la noia di vedere solo campi da golf a perdita d’occhio… in qualità di non praticanti non potremmo certo apprezzarla per questo e nemmeno per quella piccola colonia di leoni di mare che vediamo stesi nella nebbia! Va da se che passiamo oltre saltando anche la sosta ipotizzata a Monterey che ci avrebbe consentito di ripercorrere la Frw 1 verso sud in condizioni climatiche migliori, forse domani. Arriviamo a San Francisco percorrendo il Bay Bridge al tramonto. Gli ampi portali di ferro che rappresentano la spina dorsale del ponte inquadrano i grattacieli della city che vediamo oltre la baia davanti a noi. Che spettacolo!…siamo in america eppure questo ponte ci appare come un deja vu , chissà quante volte percorso attraverso la telecamera di un qualche regista mentre stavamo comodamente seduti in poltrona in Italia…la magia di hollywood ! Arriviamo al “Carriage inn” sulla 7th in downtown senza sbagliare nulla, rimango in auto mentre Vanni va a prendere la camera. Una serie di barboni sfilano per la strada, alcuni trascinano il loro voluminoso fardello, altri frugano tra i rifiuti…non sembra un gran quartiere!….ma mi appare come una visione un edificio bellissimo a venti metri da qui… La camera è accogliente, il personale squisitamente disponibile…e siamo a due passi da quell’edificio che scopriamo essere di Thom Mayne! Ci sono tutti gli ingredienti per stare bene qui in hotel ed a San Francisco in generale!…Il receptionist ci consiglia un ristorante italiano a due block da qui…è tardi e non abbiamo voglia di cercare altro, quindi andiamo alla “buca da Beppo” dove senza infamia né lode mangiamo una pizza tra le fotografie dei divi di un’ Italia degli anni ’50. Rientriamo in fretta in hotel…c’è un freddo terribile!

06 Luglio 2007

SAN FRANCISCO

Ci sveglia un bel sole che entra dalla bowindow in fondo alla camera… contemporaneamente al bussare alla porta per la colazione…Vanni è sempre ottimista sui nostri orari della mattina. Però comoda la colazione in camera…così contrariamente al solito riuscirò a farla anch’io! Iniziamo la nostra passeggiata dirigendoci verso il MOMA, ma poi rimandiamo il museo a più tardi..la giornata di oggi è così bella…e San Francisco così intrigante che non ci stanchiamo di percorrerne il reticolo di strade che a tratti si arrampicano sulle numerose colline della città. Arriviamo ai piedi del Bay bridge, dove godiamo di una gran bella vista sui grattacieli del financial district, poi inseguendo un grattacielo a piramide, arriviamo a Chinatown, dove cedo alla tentazione dello shopping comprando una bella giacca ed una blusa di seta. Ci dirigiamo verso la Union Square e poi di nuovo al MOMA di Mario Botta che tutto sommato mi piace, con le sue pareti di mattoni che lo fanno assomigliare ad una fortezza inespugnabile. Entriamo e rimaniamo incantati di fronte all’installazione, nell’atrio tutto bianco e nero, dei coloratissimi pannelli di Sol Lewitt…. Poi ci tuffiamo di nuovo nella città così affascinante ed a dimensione d’uomo nonostante i grattacieli…texture diverse si giustappongono, dai mattoni dei vecchi edifici al vetro e acciaio delle nuove costruzioni…in un delirio compositivo meraviglioso! Vorrei vivere qui per un po’…c’è una tale energia! Dopo una ceretta nel salone di bellezza all’angolo, gestito da due simpatiche vietnamite, optiamo per una serata all’insegna del Jazz e prenoto con internet un tavolo al “Jazz at pearls”, sulla Columbus Ave. Il localino è piuttosto chic e vellutoso…certo avremmo voluto poterlo definire anche un po’ fumoso…stiamo bene ascoltando del buon jazz brasiliano con cantante mentre sorseggiamo tranquillamente i nostri drinks.

07 Luglio 2007

SAN FRANCISCO

L’omino oggi bussa alle 10…ho segnato io l’orario sul cartellino fuori dalla porta!…ma nessun raggio dorato entra dall’ampia finestra. Sigh! Nuvole a go go oggi…ed un vento freddo novembrino. Ci dirigiamo verso il centro nell’inutile tentativo di cambiare quegli euro che tanto stanno sul groppone di Vanni….il cambio ovviamente è così sfavorevole da farlo desistere…1,24 contro l’1,36 quotato in internet. La taxista che ci accompagnerà al De Young Museum nel golden gate park è moldava e vive qui da 5 anni. Simpatica e tenera ci conduce all’obiettivo quasi scusandosi del traffico che inevitabilmente incontriamo sulle strade affollate di questo sabato metropolitano. Ma ecco il museo, progettato dai mitici Herzog e De Meuron della Modern Tate di Londra e di tanto altro ancora. Una scatola decostruita rivestita di rame a disegni optical. Geniale! Il contenuto non è poi così interessante, ma il contenitore valeva la visita…ma una volta usciti ci aggredisce un vento freddo da polo nord ed una nera che ci intima di spegnere la sigaretta o l’infrazione ci costerà 116 dollari. In tutto il parco… che ha un’estensione di diversi ettari…non si può fumare.Assurdo! Cerchiamo un taxi, ma non se ne vedono qui nel parco, dobbiamo fare un po’ di strada per trovare un simpatico driver di colore che conduce il suo taxi come un pilota di formula 1 perché è convinto che in Italia tutti guidino come pazzi!…in un paio di circostanze avrei tanto voluto che non si calasse così tanto nella parte del taxista napoletano…ma che dire…arriviamo in un baleno tra le calde pareti della nostra camera…siamo al sicuro ora!…ma dopo aver recuperato il giusto equilibrio termico non ne abbiamo proprio voglia di uscire di nuovo…quindi Vanni si offre volontariamente di andare a prendere due pizze nella pizzeria all’angolo. Ma che meraviglia una sera ogni tanto cenare seduti sul letto con pizza, coca cola e tv accesa….dimenticavo…e fumare di nascosto una sigaretta alla finestra della camera! Sembra di essere tornati ragazzini…

08 Luglio 2007

SAN FRANCISCO

Quando apro gli occhi Vanni è già in piedi davanti al carrello della colazione…appena mi sente versa il tè nella tazza e lo appoggia sul mio comodino, accompagnando il movimento con un bel bacione di buongiorno. Oggi visto il bel sole andremo al Golden Gate bridge. Comodamente seduti sulla nostra Carolina attraversiamo il centro percorrendo la Van Nesse avenue verso nord, ma ecco verso il Pacifico fanno capolino le nuvole basse che pian piano arrivano anche attorno a noi, e poi ancora più in alto fino a coprire la sommità dei grandi portali di ferro del vecchio ponte. Fu inaugurato nel 1937…immagino lo scalpore che una costruzione del genere, così avanguardista dovette aver provocato sugli abitanti della città di allora… abituati a vedere case vittoriane fronzolose e rassicuranti…cosa devono aver pensato di fronte a questa lineare struttura di ferro…le cui lastre sono bitorzolute delle migliaia di bulloni che le uniscono…e quelle funi tese a sorreggere il piano della strada leggermente arcuato verso l’alto a renderne ancora più snello il profilo…fierezza, orgoglio…oggi sono ancora centinaia le persone che in pellegrinaggio giungono a vederlo dai View point realizzati ad ok…e credo tutti si sentano un po’ orgogliosi vedendolo, anche solo per il fatto di sentirsi appartenenti alla specie che lo ha concepito e realizzato. Ripercorriamo a piedi un tratto del ponte, fino al primo dei due grandi portali di ferro rosso. Il vento freddo soffia feroce dietro a noi, quasi a volerci spingere via…intento un gruppo di pacifisti vestiti di rosa porta verso il centro del ponte due grandi cerchi con al centro il simbolo della pace, il tutto ricoperto di fiori. La domenica proprio non sanno cosa fare qui a San Francisco! Anche il Golden Gate park dove andiamo in seguito, è pieno di piccoli gruppi di pacifici manifestanti…chi contro l’AIDS, chi a favore delle donne …ma sembra più una scusa per ritrovarsi che per affermare davvero qualcosa. Forse in una grande città come questa la solitudine è un problema per molti. Andiamo anche al Conservatory of flowers, una serra in stile tardo ottocento, alla maniera dei Kew garden di Londra, entriamo e mi perdo come Alice nel paese delle meraviglie…le orchidee mi fanno impazzire e qui ne vediamo di assolutamente inedite e meravigliose…per non parlare delle ninfee, e delle piante carnivore…non uscirei più da questo eden umidiccio e profumato di terra! Arriviamo poi dopo aver visto sfilare le belle case vittoriane di California ave, alla Lombard street di cui la guida fa un gran parlare…ma nulla di interessante. Rientriamo per una pausa in hotel…questa sera sarà la stick house Harri’s il nostro ristorante….e che scelta quella di Vanni…un filetto di manzo così buono lo avevo assaggiato in poche occasioni…ed anche il resto è perfetto, dal cibo al vino, alla piacevolezza del locale! Ottimo!

09 Luglio 2007

SAN FRANCISCO – YOSEMITE PARK ( 310 Km )

Partiamo come sempre tardino e con l’assicurazione auto della compagnia AAA fatta. Certo ci è costata 10 volte quello che avremmo speso facendola in Messico prima di entrare…ma ora possiamo sentirci liberi di rischiare su strada più di quanto è stato fino ad ora…è già quasi mezzogiorno quando lasciamo la bellissima San Francisco ripercorrendo a ritroso il Bay bridge…certo la città ora è alle nostre spalle…l’effetto visivo è inoltre ridotto dal fatto che stiamo percorrendo la corsia inferiore del ponte mentre sopra di noi le auto sfrecciano nella direzione opposta verso la bellissima skyline della downtown. Yosemite è il terzo parco più vecchio d’america…lo raggiungiamo percorrendo la 120 che lo attraversa da Ovest a Est. La strada del fondovalle accoglie le strutture di accoglienza del parco…ma è tutto full, tranne le camere senza bagno e l’hotel Ahwahnee dai prezzi improponibili…ci hanno chiesto 460$ per la camera! Quindi raggiungiamo Cove Bears dove un gentilissimo impiegato del parco ha riservato per noi una camera pensiamo ….invece si tratta di un cottage tutto nostro…con un soggiorno a grandi vetrate che si affacciano sul bosco…una favola…ed a soli 250$! Ma non siamo attrezzati per una situazione che non preveda un ristorante nei paraggi e la zona di ristorazione più vicina è ad un’ora di auto… naturalmente il sole sta già tramontando. La proprietaria ci viene incontro regalandoci un sacchetto di insalata con condimento a parte ed una confezione di noodles al pollo da cucinare al microonde. Prendiamo possesso del cottage cenando nella rustica cucina con lampadario fatto di corna d cervo intrecciate… vedendo un film in spagnolo in dvd e dormendo come angioletti nel soppalco soprastante. Stiamo benissimo…finalmente una casa, anche se con rilevatore antifumo!…con libri e cianfrusaglie compresi nel prezzo.

10 Luglio 2007

YOSEMITE PARK – SEQUOIA NATIONAL PARK ( 300 Km )

Ci svegliamo osservando le fronde verdi dei pini che sembrano voler entrare in camera….ma per fortuna nessun orso all’orizzonte. Con la nostra solita calma ci prepariamo ed usciamo…anche se al calare del sole di ieri le bellezze del parco … tanto belle non ci erano sembrate. La cascata più alta d’america ben 78 metri di caduta…era praticamente senz’acqua e il capitan, la cima granitica che sporgeva sopra la valle…già vista altrove…Non rimane che continuare a scendere verso Wawona, nei cui pressi troveremo un bosco di sequoie…e che sequoie! E’ la nostra prima volta…e lo spettacolo è elettrizzante per l’energia incredibile che questi giganti emanano tutto attorno. Siamo pietrificati…vorremmo abbracciarle, toccarle…farle nostre. Che meraviglia…sentirsi piccoli come gnomi in questo bosco in scala 3:1…Passeggiando in compagnia degli scoiattoli lungo il sentiero viviamo come in una favola che è la nostra, mentre l’energia ci travolge in un delirio di felicità. Va da se che raggiungere il “vicino” Sequoia National Park si rende quasi necessario. Percorriamo deliziose vallate gialle di fieno ed ampi tratti montagnosi ricoperti di abeti altissimi che creano improvvise zone d’ombra…poi entriamo in paradiso. I maestosi esemplari del parco sono tantissimi e ben visibili per via del colore rossiccio della corteccia…e ce ne sono due famosi per la loro immensità…sono le sequoie più alte…e più vecchie degli stati uniti. L’età stimata del General Sherman tree è di 3200 anni… ma in media questi alberi vivono 2000 anni…quante devono averne viste questi giants, come li chiamano qui. Nuovamente con i sensi rapiti percorriamo la breve passeggiata con il naso all’insù e la bocca spalancata per la meraviglia…non andrei più via per il benessere incredibile che sento qui sotto…protetta da tutti questi giganti. Intanto vediamo un anziano signore indiano mettersi letteralmente ad urlare di meraviglia davanti a questo colosso…poi una volta dato sfogo allo stupore mettersi a pregare vicino alla sua base larga ben 12 metri. Che felicità anche per noi la giornata di oggi… Raggiungiamo Visalia per la notte…Ceniamo in un ristorante di impronta franco-californiana, il “Vintage Press” , dove passiamo la serata cercando di capire il cameriere che nonostante avvisato ha continuato a parlare a raffica in un monologo sterile dal quale però siamo riusciti ad uscire satolli e soddisfatti.

11 Luglio 2007

VISALIA – SACRAMENTO ( 270 Km )

La strada 49 che percorriamo oggi si snoda sinuosa tra le colline della Gold Country, la zona occidentale della Sierra Nevada famosa per essere stata la meta della corsa all’oro iniziata intorno al 1848 e proseguita fino alla fine del secolo. Tra un vigneto un uliveto ed una piantagione di aranci ci spingiamo proprio nel cuore di questo piacevolissimo territorio fatto di morbide colline, alla ricerca delle mitiche città dei cercatori, nei cui saloon le scazzottate dovevano essere all’ordine del giorno. Intanto ci godiamo questo rilassante paesaggio assaporandone le sfumature cromatiche dai gialli del fieno ai verdi accesi della vegetazione spontanea, mentre Carolina come sempre divora i chilometri.
Il primo insediamento che incontriamo è Mokelumne Hill,un piccolo paese fatto di case di legno la cui parte storica raccoglie i pochi edifici attorno al saloon lasciati in uno stato di abbandono ma pur sempre veraci…naturalmente ciò che si è salvato era stato costruito in solida muratura di mattoni. L’atmosfera certo è diversa da Jackson e Sutter Creek che visitiamo dopo…questi ultimi si trovano in condizioni decisamente migliori, pur conservando l’atmosfera tranquilla di altri tempi. I ritocchi a fini turistici sono evidenti, ma qui ci si sente davvero calati in un contesto da far west…e aggirandoci lungo le strade, sotto i porticati di legno degli edifici, sembra di dover vedere da un momento all’altro un qualche losco figuro con le pistole in mano…Anche nella old town di Sacramento, la capitale della California, troveremo una situazione analoga, leggiamo nella guida, ma è già il tramonto quando arriviamo in questa tranquilla cittadina che proprio non ha l’aria di essere una capitale, e sarà rimandata a domani la passeggiata tra i suoi vecchi edifici. Intanto, raggiungendo il centro in macchina, vediamo le tipiche case in stile vittoriano, ancora di legno ed ornate con torrette verande ed un sacco di svolazzi formali. Ceniamo nel ristorante di un piccolo hotel ricavato all’interno di una di esse …con vetrate molate e bianche pareti di legno a doghe…un piccolo tuffo nel tempo per poi tornare al monotono anonimato dell’ennesimo hotel Best Western.

12 Luglio 2007

SACRAMENTO – EUREKA ( 500 Km )

Oggi torniamo sulla costa spingendoci a nord verso il confine con l’Oregon…ad Eureka, una cittadina anch’essa nata sulla scia della ricerca dell’oro…il cui nome direttamente attinto dal greco che significa “ l’ho trovato! “. Questa sosta nasce più da una esigenza tecnica che non dalla curiosità vera di visitare questa piccola cittadina…che sembra soltanto un altro susseguirsi di centri commerciali all’aperto nel classico stile americano. Ma visitandone la dowtown invece finirà col piacerci per via delle meravigliose case in stile vittoriano tra cui la più esagerata che ci sia mai capitato di vedere. E’ sensazionale la bellezza di questo edificio fatto edificare alla fine dell’’800 da un ricco mercante di legname. L’edificio è stato realizzato interamente in legno ed è sovrabbondante di elementi in stile Queen Ann, il più ricco di decorazioni del periodo vittoriano, con torrette tettoie, sporti, bow window ed altro ancora…Per l’uso che di questi elementi viene fatto in questo che è diventato un club privato di soli maschi, l’ edificio è diventato il simbolo delle case vittoriane americane…ed è un piacere guardarlo per l’armonia compositiva di tutti gli elementi architettonici…anche se non saprei se assimilarlo più alla casa di Psyco o a quella della fatina buona….comunque è bellissimo e anche solo vedere questo valeva la sosta.

13 Luglio 2007

EUREKA – COOS BAY ( Oregon 370 Km )

Che meraviglia oggi…inizieremo il nostro spostamento attraversando il Redwood National Park…una fascia di bosco che costeggiando il mare si spinge fino a Crescent City lungo la 101. E che bosco! Il nome del parco deriva dal fatto che la vegetazione qui è caratterizzata in prevalenza dalla sequoia sempervirens, chiamata anche Redwood appunto. Percorriamo ancora all’ombra dei giganti questo bel tratto di strada … devo dire che qui negli USA i boschi mi piacciono molto contrariamente al solito…gli alberi qui sono così verdi, così grandi e così tanti…a volte mi viene il dubbio che siano transgenici! Comunque appena usciti dal bosco scorgiamo la bella e selvaggia costa dell’Oregon…che arriva come a consolarci per la perdita delle sequoie che abbiamo subito strada facendo. Ma che bellezza…altro che la California! Qui la costa è rocciosa e frastagliata, ed alcune belle spiagge prendono posto tra le rocce vulcaniche come pietre preziose incastonate. Dal mare spuntano come presenze i tanti faraglioni di ogni forma e dimensione a rendere l’atmosfera quasi metafisica con questo loro specchiarsi nell’oceano piatto come una tavola e plumbeo per via delle nuvole che intanto sono arrivate. Insomma qui la costa è meravigliosa, peccato che la temperatura ed il cielo parzialmente coperto neghino completamente il clima estivo necessario per godersela. Nonostante la bellezza di questi luoghi, l’ultima cosa che faremmo è indossare un costume e stenderci sulla spiaggia…chissà perché si respira un clima più di fine estate…quasi autunnale, nonostante il periodo di piena estate e la latitudine sia più o meno quella della nostra costa riminese…sarà come sempre tutta colpa dell’oceano!?

14 Luglio 2007

COOS BAY – PORTLAND ( 320 Km )

Ripartiamo volentieri da questo paesino puzzolente e privo di attrattive nonostante la laguna qui di fronte…e volentieri lasciamo anche questo hotel best western infestato di Pink ladies, un gruppo numeroso di donne brutte e grasse che indossano un giubbotto di raso rosa ricamato in nero con la scritta Pink lady ben in grande sulla schiena. Non si capisce cosa condividano, a parte il colore del giubbotto…non sembrano un gruppo particolarmente impegnato se non a ballicchiare cantando brani tipo il ballo del qua qua! Gli americani sembrano generare continuamente pretesti per raggrupparsi, forse perché si identificano in qualcosa che implica la condivisione delle idee…o forse solo per non essere soli durante il weekend. Comunque spesso negli incroci di strade importanti, come la 101 che stiamo percorrendo noi, in prossimità dei centri abitati, i marciapiedi sono occupati da manifestanti che armati di cartelli sostengono la pace…o la guerra, a seconda del lato che si stia guardando. Iniziamo la giornata fiancheggiando le Oregon dunes , una fascia lunga una settantina di km di bellissime dune naturali di sabbia dorata, ma infestate di “dune buggy”, motorette rumorose che giovani e meno giovani utilizzano per arrampicarsi sulle dune…che controsenso per me che identifico le dune con il deserto e quindi con il silenzio. Ad aggravare la cosa è sabato e questo sembra essere uno degli sport più gettonati qui…Troviamo presto consolazione fermandoci al Faceta Head Lighthouse, un faro vecchio più di 100 anni ed ancora funzionante che occupa l’estrema propaggine di un promontorio che si insinua dentro il mare…ed altrettanto piacevole l’acquario di Newport che visitiamo poco dopo. Portland ci si presenta alla grande…con un intreccio di cavalcavia e ponti degni di una città portuale importante e pittoresca….adoro questi ponti dalla struttura metallica fortemente caratterizzata. E’ già quasi sera ed il BW full nonostante la posizione decentrata rispetto alla downtown…quindi seguiamo un taxi per arrivare agli hotel del centro dove inizia la nostra ricerca spasmodica di una camera libera che sembra proprio non esserci. Chi lo avrebbe mai detto…a Portland! E’ tardi , siamo stanchissimi ed ogni insuccesso nella ricerca non fa che aumentare lo stress…poi finalmente Vanni, che notoriamente è più fortunato di me, ottiene l’indicazione giusta. Ci fiondiamo lungo la 4° street verso l’ University Place dove occupiamo una delle 4 camere libere sulle 300 totali! Certo qui gli hotel vanno alla grande nei weekend! Il letto è piccolissimo…ma che importa a questo punto tutto è come un regalo. Jack, il receptionist consiglia inoltre a Vanni un ottimo ristorante per la cena…è Jake’s sulla 12° street, dove mangiamo l’ottimo Crab pescato proprio qui nei mari dell’Oregon, a 150 km da noi, e l’ottimo tonno hawaiano. Il locale tra l’altro è piuttosto bello con le boiseries di legno e le vecchie credenze piene di liquori…ed il servizio eccellente! Proseguiamo la serata da Jimmy Mak’s, un locale di lunga tradizione jazzistica sulla 10° ave, dove un numeroso gruppo di catanti di colore e musicisti si esibisce in un concerto non certo jazz, ma comunque piacevolissimo. Bella atmosfera…stiamo benissimo!

15 Luglio 2007

PORTLAND

Lasciamo la camera per una lunga passeggiata nel centro, poi a chinatown ed oldtown dove abbiamo la possibilità di vedere più da vicino quei bei ponti di ferro intravisti ieri. Oltre ai ponti vediamo anche molti barboni stesi sui marciapiedi o nei giardini…dopo la crisi del settore informatico Portland ha subito un grande tracollo occupazionale e questi sembrano esserne i nefandi risultati….A chinatown entro sola nel Classical Chinese Garden, un piccolo gioiello di architettura tradizionale cinese, in autentico stile suzhou, con tanto di tetti a pagoda, vasche d’acqua con ninfee, e la favolosa sala da tè ricavata all’interno della torre dei riflessi cosmici, dove degusto un ottimo tè al gelsomino accompagnato ad un dolce dal nome impronunciabile, anch’esso preparato secondo una ricetta della tradizione culinaria cinese. Ne esco rigenerata per la tranquillità e la bellezza di questo giardino…un oasi di pace!…ma oldtown era nota per ben altri motivi…stiamo camminando in realtà sugli shangai tunnels, una serie di gallerie sotterranee nelle quali i malvagi capitani delle navi trascinavano a forza i marinai ubriachi al fine di farli imbarcare sulle loro navi senza contratto…che storie leggiamo su questa parte di città, dove ancora circolano tipi dalle facce non proprio raccomandabili…e dove pare che il numero dei discotecari la notte, superi di poco il numero degli spacciatori. Ma a noi che importa…torniamo per la cena da Jake’s dove io bisso il crab e Vanni assaggia l’ottimo fritto che generosamente condivide. Ci complimentiamo con Robert, il giovane vice chef che Vanni fa chiamare dalla gentile cameriera argentina, ed ascoltiamo volentieri le sue delucidazioni circa la provenienza del pesce, ed i consigli sulle chicche culinarie che proprio non dobbiamo perderci visto che siamo qui. Ci parla di questo Copper River salmon, che viene pescato in Alaska solo un mese all’anno per evitarne l’estinzione. Questo salmone si nutre di gamberi molto rossi e così anche la sua carne ha la caratteristica colorazione rosso acceso. Jake’s prepara questo salmone cuocendolo su un letto di legno di cedro che ne profuma leggermente le carni….insomma come perderci un piatto tanto prezioso? Domani forse saremo ancora qui per la cena!

16 Luglio 2007

PORTLAND

La giornata inizia male, con una delle mie solite piccole crisi di coppia. Vanni mi consola come può poi esce per portare Carolina finalmente ad un bel lavaggio In & Out. Mi preparo con molta calma e nel primo pomeriggio esco anch’io….direzione Japanese Garden. Il taxi arriva in hotel dopo una decina di minuti, quindi il taxista somalo mi accompagna e mi intervista strada facendo. Non avevo mai visto giardini giapponesi prima d’ora, ….ma ingolosita dal bel giardino cinese di ieri e stanca delle solite passeggiate in centro, alla fine questa si rivela un’ottima scelta. Il giardino occupa una superficie piuttosto estesa e tutta estremamente curata e progettata. Sono così rassicuranti questi giardini che si rifanno ad antiche teorie filosofiche Taoiste e Buddiste…è come se chi li ha concepiti sapesse come entrare dentro le persone per renderle serene. Passeggiando tra le aree tematiche, tra cascatelle , piccoli ruscelli e la vegetazione dalle piccole foglie leggere che svolazzano ad ogni alito di vento, arrivo al giardino zen che però non mi fa impazzire…preferisco le piante alle pietre!..anche se collocate e disegnate a terra secondo un disegno che sembra racchiudere un piccolo mistero. Che benessere mi da passeggiare qui dentro…ma poi una volta uscita dal giapponese entro nel giardino delle rose, solo un poco più a valle. Che profumo qui…e che gioia tutti questi colori . Questo giardino, leggo in un cartello, ha vinto la medaglia d’oro come il più bel giardino di rose nel mondo. Racchiude al suo interno anche specie rarissime che lo impreziosiscono ulteriormente…passeggio immersa in un profumo da capogiro e mi diverto a scattare foto in macro delle rose che più mi piacciono…quelle bianche carnose e piene di petali sono tra le mie preferite…mi ricordano un altro fiore, forse la begonia. Quando decido di tornare mi si pone il problema di come farlo…nessun taxi all’orizzonte, in questo luogo piuttosto defilato rispetto al centro città. Chiedo con il mio inglese “maccherone” ad un signore che aspetta ad una fermata dell’autobus, il quale molto gentilmente mi spiega come fare…autobus fino allo zoo e poi treno per la downtown. Prende il mio stesso autobus e poi mi accompagna al binario del mio treno…che gentilezza questi americani! Copro a piedi il tratto di strada dalla fermata all’hotel ed è fatta…in una mezz’oretta sono in camera.. dove trovo Vanni appena rientrato dal lavaggio auto…8 ore di lavoro per riportarla ad una pulizia da camera operatoria! Lo vedo soddisfatto del lavoro e delle chiacchiere… al lavaggio parlavano spagnolo…si sarà anche divertito a fare conversazione mentre sovrintendeva i lavori! La scelta è unanime…si va ancora da Jake’s per assaggiare il famoso Copper River Salmon e l’altrettanto prelibato Alibu un merluzzo di profondità dal sapore delicato, proveniente dai freddi mari dell’Alaska. Oggi però nonostante sia lunedì l’attesa per un tavolo è lunghissima e la cucina ingolfata ci fa attendere ulteriormente una cena che però come sempre è squisita! Nel frattempo abbiamo conosciuto una famiglia di qui, Vanni dice che sono ebrei, a me sembrano solo persone molto carine e ci scambiamo gli indirizzi per eventualmente incontrarci in Italia in un futuro chissà quanto remoto.
-David e Tracy Scarborough – 675 Highline rd Hood River.
-Email : davescarborough@gorge.net oppure davescarborugh@gorge.net
-tel casa. 541.386.3404 – cell 541.490.1280.

17 Luglio 2007

PORTLAND – SEATTLE ( Washington)

Piove! ….tutta colpa di Vanni che ieri ha fatto lavare la macchina! Affrontiamo il viaggio sotto il cielo grigio dell’Oregon con direzione Seattle, la città dello stato di Washington che vanta l’appellativo di città di Smeraldo… Avevo tanto fantasticato della bellezza di questa città che al nostro arrivo quasi ne rimango delusa. Immaginavo che la sua posizione pittoresca su un istmo tra due distese d’acqua, il Puget sound a ovest ed il lago Washington a est, dovesse essere percepita arrivando da sud, invece l’unica cosa che ci appare è la city con il suo nodo di grattacieli svettanti sullo sfondo di un cielo cupo, quasi autunnale…ma dell’acqua nemmeno l’ombra. Ancora difficile la ricerca di una camera…quando ci decideremo a prenotare? Del resto siamo fatti così … ed avere dei vincoli durante questo nostro viaggio all’insegna della totale libertà sarebbe una forzatura. Quindi dopo aver chiesto in almeno 5 hotel, tutti full, troviamo una camera al Days Inn, un albergo abbastanza squallido ma in una buona posizione e con la possibilità, rara qui in USA, di poter fumare liberamente in camera. Tutto sommato il bilancio è positivo …e sale ulteriormente per la sua vicinanza al Experience Music Project…un museo della musica progettato nientemeno che fa F.O.Gehry! Questo ulteriore incontro con un’opera di Gehry è come un regalo inaspettato…e ne sono felicissima…anche Vanni devo dire inizia ad apprezzare queste cose…a forza di insistere sembra aver affinato una certa sensibilità nei confronti di queste architetture accartocciate estremamente espressive di questo straordinario architetto californiano….anche se ebreo! Usciamo quasi subito dal Days Inn per dirigerci a grandi passi verso il groviglio volumetrico dell’EMP, dalle tinte accese questa volta dei toni del rosso, azzurro, del viola cangiante e dell’ acciaio. Siamo inoltre a due passi dalla torre Space Needle, alta 180 metri e con una bella struttura alla Nervi…naturalmente saliamo per soddisfare il nostro desiderio di vedere finalmente la conformazione di questa città anche nel suo rapporto con i laghi verso i quali è protesa…saliamo come razzi mentre dalle pareti di cristallo dell’ascensore vediamo allontanarsi rapidamente tutto il parco sottostante, EMP compresa. Di nuovo Seattle non mi piace…nemmeno da questa prospettiva che ne evidenzia l’aspetto pittoresco. Dopo San Francisco sarà difficile apprezzare altro…..addirittura mi è piaciuta di più Portland, con i suoi ponti di ferro ed il suo fiume. Comunque anche Seattle non è proprio da buttare! Saliamo sulla monorotaia verso la piacevolissima City dai grattacieli un po’ datati ma animata di una vivacità inaspettata….E’ uscito il sole finalmente! Due passi al mercato che sta chiudendo, per reperire la colazione di domani e poi di nuovo in Hotel a prepararci per il concerto Jazz che inizierà tra mezz’ora da Dimitriou’s Jazzalley, a due passi dall’hotel…che fortuna! La voce di Jane Monheit accompagna la nostra cena piuttosto buona, ma il vino è decisamente orribile. Alle nove siamo già in camera, con un sacchetto di ottime ciliegie ed il Padrino III in tv.

18 Luglio 2007

SEATTLE

Piove ancora! ….tutta colpa di Vanni che l’altro ieri ha fatto lavare la macchina! Visto il clima ce la prendiamo con calma ed usciamo in macchina solo verso l’una. Percorriamo a random le strade del centro popolate di ombrelli e grattacieli, ma dall’alto nessun segno di miglioramento …mentre continua a scendere la pioggerellina incessante …fastidiosa e deprimente per Vanni che impazzisce con il maltempo…l’umore gli precipita in un abisso fatto di tristezza e fragilità. Io sto bene invece, ho saltato tre inverni…un po’ di pioggia anzi mi rende felice…anche se vissuta qui in una città così diversa dalle mie ma così simile sotto certi punti di vista…il rumore delle auto il colore del cielo, i movimenti delle persone, l’odore dell’asfalto bagnato sono internazionali. La stagione sembra perfetta per andare dal parrucchiere per un ritocchino necessario al colore e vicino all’hotel Vanni ne ha visto uno…entro a chiedere se usa i colori Paul Mitchell di cui ho i codici esatti…dopo l’esperienza di Acapulco dalla quale sono uscita con un rosso fuoco rivoltante, non ho più voglia di sbagliare. Ma la ragazza sorridente che mi accoglie dice che no…è una marca poco usata qui a Seattle ed anzi si offre di cercare in internet se in città qualche parrucchiere lo usa, la risposta ovviamente è no, così cerco nella cartella colori qualcosa di simile ed optiamo per un mix di due rossi chiari. Ne esco quasi mora con riflessi rossicci…un disastro! Visto che il tempo è migliorato usciamo per una passeggiata nella downtown, rimaniamo a lungo a passeggiare, Seattle è una bella città tutto sommato…e le strade del centro che vedono alternarsi alti edifici moderni a basse case di mattoni faccia vista alternano il sapore della novità a quello della storia in un pittoresco susseguirsi di volumetrie e materiali contrastanti. Il mercato coperto è qui particolarmente vivace, le bancarelle delle pescherie popolate di enormi king crab , di Halibu , di salmoni in tutte le tonalità del rosa e di tanto altro ancora…i mari qui sembrano regalare pesci e crostacei a volontà e di qualità sopraffina. Ordinati come gioiellerie i banchi che espongono frutta e verdura di ogni genere ed i fiori bellissimi mi fanno rimpiangere di rimanere a Seattle solo pochi giorni…comprarli ora sarebbe sprecato! Rientriamo dopo aver camminato a lungo in questa città avvolgente ed a dimensione d’uomo…mentre Vanni continua a prendermi in giro per il mio nuovo colore….dark. Per fortuna il cielo si è liberato a tratti delle nuvole e qualche brandello di azzurro si disegna sul cielo bianco…proprio questa sera saremo a cena nel ristorante Sky City, in cima alla torre Space Needle…sarebbe un peccato essere immersi nelle nuvole! Invece vediamo persino un po’ di tramonto ritagliato in una stretta fascia libera tra le nuvole fitte dell’orizzonte ed un panorama da capogiro mentre consumiamo la nostra costosissima cena. Serata meravigliosa….ci piace cenare in alta quota mentre sorvoliamo in un movimento rotatorio lentissimo la città sotto di noi…dopo Berlino Seattle era inevitabile.

19 Luglio 2007

SEATTLE

Che bel regalo il sole di oggi! Usciamo e seguendo l’idea di Vanni prendiamo il traghetto per la Bainbridge Island ad una mezz’ora di navigazione verso est, non potevamo scegliere giornata migliore per uno spostamento via mare! Incantati vediamo gli alti grattacieli del centro allontanarsi mentre sempre più chiaramente si definisce la skylane di questa bella città dello stato di Washington. Aria tiepida e sole ci accompagnano mentre con Carolina esploriamo il territorio dell’isola che piena di boschi di abeti e laghetti sembra Svizzera! A Vanni, ex alpino, questi paesaggi piacciono moltissimo, così tanto che lo vedo ad un certo punto prendere in un market un giornale di compra vendite. Allarmata indago un po’….ma è tutto sotto controllo, per questa volta non finirò col fare Haidi in una casetta di legno immersa nel bosco! Certo l’isola non offre grosse opportunità a noi che non amiamo il trecking, quindi dopo aver attraversato un ponte che ci faceva uscire dall’isola sul lato opposto rispetto a quello dell’ arrivo, torniamo sui nostri passi e riprendiamo il traghetto per Seattle. Arriviamo giusto in tempo per una sosta al mercato per comperare un po’ di ciliegie , poi usciamo di nuovo a piedi verso il centro…non voglio proprio perdermi il museo di arte moderna, il SAM che, mirabilia, ha ben due quadri di Rotzko e tra le altre cose decisamente belle, anche una installazione fatta di migliaia di placchette di acciaio dei militari americani a formare un grande abito da guerriero asiatico. Ho trovato questa installazione bella come anni fa, quando l’ avevo vista a Venezia nel padiglione coreano, esattamente la stessa bellissima opera. Anche a Vanni piace molto, tanto che la scruta da vicino per capire come sia fatta….ne faremo uno scultore! E’ sempre molto attratto dalle sculture fatte per assemblaggio di elementi di metallo, dopo il suo crocifisso fatto di decine di cunei di martello, chissà cos’altro sarà capace di elaborare…. Vedendo i musei americani mi rendo conto di quanto la Biennale di Venezia faccia tendenza nel panorama artistico mondiale…insisterò nell’andare, mi sembra un’ottima idea! Raggiungiamo poi little Italy dove mangiamo piuttosto male al “Chiosco”…ci siamo sbagliati…in realtà il ristorante segnalato a Little Italy era “Nunzio”, il portone accanto! Comunque la passeggiata di rientro in hotel ci aiuterà a smaltire il mattone che sentiamo sullo stomaco.

20/21 Luglio 2007

SEATTLE – WEST YELLOWSTONE ( Montana 1000 km)

Lasciare Seattle sotto la pioggia scrosciante è l’unico modo per non aver rimpianti…questa città che inizialmente mi aveva un po’ delusa, ha fatto breccia ed ha finito col conquistarmi. Comunque si parte, il viaggio deve proseguire…anche per evitare che Vanni davvero si innamori di una baita immersa nel bosco. Comunque seguono due giorni di marcia forzata verso est attraverso gli stati di Washington, Idaho, Montana, e Wyoming con una sola sosta a Coeur d’Alene per la notte. Arriviamo massacrati la sera del 21 a West Yellowstone in Wyoming, a pochi km dal famoso parco che vedremo domani….certo ce lo siamo guadagnato!

22 Luglio 2007

YELLOWSTONE NATIONAL PARK ( wayoming)

L’hotel best Western, interamente popolato di made in USA a parte noi, si svuota prestissimo mentre noi ce la prendiamo con una calma relativa , sono infatti da poco passate le nove quando saliamo in auto…per noi è quasi l’alba! E’ una bella giornata di sole ed è piuttosto caldo…l’ideale per una scampagnata al parco. All’ingresso la gentilissima ranger che ci ha ricoperti di mappe e giornali, sta per fregarci 5 dollari…”ma che importa, sono ragazzi” commenta Vanni. Entriamo…siamo a quota 2500 metri , e nel parco più famoso d’america, vogliamo scoprire perché!…ed è presto detto. Iniziamo l’escursione percorrendo una parte della strada ad anello che tocca tutte le aree tematiche del parco, andiamo verso sud in direzione Geyser Country , l’area che vanta i più importanti fenomeni geotermici del parco tra cui il più famoso Old Faithful che leggiamo sulla Lonely Placet lancia l’acqua bollente ad un’altezza compresa tra i 30 ed i 60 metri. Ma come spesso succede la nostra guida riporta notizie false e tendenziose per cui rimaniamo in attesa dello scoppio per oltre un’ora , seduti sotto il sole cocente per vedere un getto di appena una decina di metri…Vanni è quasi arrabbiato e inizia a mettere seriamente in discussione la bellezza del parco. Incontriamo poco dopo un gruppo di cervidi femmine, stanno brucando l’alta erba dell’ampia radura nella quale ci stiamo muovendo. Attorno a noi le montagne si alzano con pendii morbidi, sono interamente ricoperte di abeti, in alcuni casi secchi per ettari a causa di incendi che ne hanno lasciato traccia sui tronchi anneriti. Continuiamo il giro immersi nei bei colori del parco che ci regala fiori a grappolo viola accanto ad altri gialli, anche l’erba sembra raccogliere tutte le sfumature dei verdi, colori che si esaltano accanto al grigio argentato dei tronchi. Le vallate sono ampie e spesso punteggiate di laghetti e corsi d’acqua, si respira un senso di libertà e di ampio respiro che non sempre è facile avere in montagna…avvistiamo poi i bisonti dall’aria non proprio rassicurante, i cervi maschi con le loro bellissime corna, i coyote ed anche una mamma orsa con i suoi due cuccioli….naturalmente alla necessaria distanza. Certo non è difficile avvistare gli animali del parco, basta fermarsi quando si vede un ingorgo di auto ferme ai bordi della strada…non si può sbagliare! Costeggiamo poi parte del grande lago alpino dalle acque blu, caratterizzato da una serie di fumarole e geyser che ne segnano il contorno. Tutta l’area del parco è interessata da fenomeni geotermici….pare che proprio una faglia intercontinentale lo attraversi. Ciò ha fatto si che si creassero interessanti fenomeni legati alla presenza di acqua calda e ricca di minerali, come quello che troviamo a Mammoth Country, l’area geotermale più antica del nord america. Una serie di vasche poco profonde e dalle forme tondeggianti a cascata l’una sull’altra a formare disegni complessi ed accattivanti in quella che potremmo definire una fantastica fontana scultorea naturale…rimaniamo letteralmente incantati per la bellezza dei colori e delle forme di queste cascatelle di origine batterica….il bianco ed il rosso ruggine si alternano e si sommano nel labirinto di volumetrie curve sulle quali scorre l’acqua calda delle sorgenti sottostanti, il tramonto finisce con l’aggiungere come sempre qualcosa a questo già incantevole piccolo paradiso. Siamo proprio soddisfatti di questo parco, così vario nel proporsi con fenomeni che vanno dai geyser, alle cascate, al lago al canyon, alle rocce affusolate o geometriche, ed ai bellissimi animali che lo popolano….che non avevo mai visto prima! Vanni trova una sistemazione carina nell’hotel del Mammoth Country…per fortuna! Siamo spappolati. Una mezza capanna in stile coloniale tutta per noi…ma senza bagno. Dormiamo nel silenzio assordante del parco che ci regala anche una mezza luna brillantissima.

23 Luglio 2007

YELLOWSTONE – WORLAND ( 400 km)

Uscendo dal cottage Vanni ha in mano il depliant turistico sul quale ieri sera avevamo rivisto l’immagine dei quattro presidenti scolpiti nella roccia che ancora non sappiamo dove siano collocati…sembra incredibile non averlo ancora scoperto…in fondo è una delle immagini più rappresentative degli USA! Di fronte alla reception dove Vanni è sceso a riconsegnare le chiavi, un signore anziano si mostra disponibile a soddisfare la nostra curiosità….si tratta del Mount Rushmore National Monument in South Dakota…praticamente confinante ad est con il Wyoming dove ci troviamo ora…basta uno sguardo ed è deciso, si va a vederla questa immensa scultura nella roccia…questa volta dal vero! Che meraviglia viaggiare così….in estrema libertà, decidendo in un nanosecondo una deviazione di più di mille km! Partiamo quindi eccitati per il nuovo obiettivo da raggiungere, sotto il cielo azzurro che anche oggi staziona sopra di noi Carolina ripercorre verso sud la strada del parco. Avvistiamo un gruppo numeroso di bisonti ma nessun orso purtroppo….in compenso anche oltre il parco il paesaggio è incantevole e si apre in un’ampia pianura dai meravigliosi colori chiari delle rocce calcaree. Siamo così felici di essere qui, su queste strade che solcano paesaggi meravigliosi, così ampi e liberi….ed il cielo è bellissimo con le sue nuvolette bianche all’orizzonte. …che meraviglia!….ma che calor…mucho calor su questa strada in lieve discesa. dove ad un certo punto Vanni vede una distesa di aerei in un piazzale sull’altro lato della strada ..andiamo a vedere di cosa si tratta…praticamente un museo di aerei storici …ma chiuso. Ci informiamo nei pressi e riusciamo ad entrare ma solo a piedi a vedere almeno i più vicini a noi…il caldo incolla i miei sandali all’asfalto…è pazzesco! Quando arriviamo a Worland, una piccola cittadina anonima ma che può rappresentare un buon punto per fermarci ci sono 42°…ci fermiamo è deciso…sono già le 6 passate!

24 Luglio 2007

WORLAND – BUFFALO( Wyoming 230 km)

Chi lo avrebbe mai detto questa mattina, partendo sotto il sole cocente di Worland, che saremmo rimasti in panne dopo appena 180 km dei 400 che ci eravamo riproposti di percorrere?! Invece è proprio successo….Carolina è una gran macchina, ma ha i suoi begli anni, l’anno prossimo ne compirà ben 25 e per le auto vale forse la regola che di solito si applica per cani e gatti…l’età va moltiplicata per 7. Quindi Carolina ha quasi 200 dei nostri anni e gli acciacchi ad un certo punto crescono esponenzialmente… Arrampicarsi fino ad arrivare ai 3000 metri del Pouder river pass può diventare una missione impossibile. Vanni è esigente e lei si impegna, ma arrivati ad un paio di miglia dall’apice della sua fatica , con l’acqua che le bolliva già da un po’, scoppia il tubo del radiatore e tutta l’acqua ne fuoriesce. Siamo in pieno brock down, come dicono qui in USA! Seguono 5 minuti di imprecazioni da parte di Vanni, che poi mi chiede: – chi fa l’autostop?- Ferma una macchina e salgo io. Si tratta di arrivare a Buffalo, a 43 miglia di distanza, e tornare con un carroattrezzi. Il ragazzo che si è fermato è un simpatico turista austriaco che tra visitando il Canada ed il nord degli stati uniti, si mostra disponibile e inoltre parla benissimo l’inglese. Quindi andiamo io e lui verso Buffalo concedendoci una sosta per foto vicino al cartello che riporta l’altezza record in cima al passo. Una volta arrivati in paese ci fermiamo in una officina che ci fornisce il numero di telefono da fare per il servizio di emergenza stradale…avendo capito che il mio inglese è un po’ acerbo si offre di telefonare lui per spiegare la situazione e prendere accordi. Sono già le 13.15, ma la disponibilità del Tow-beck car è per le 14. Aspetto un’ora il mezzo di soccorso in ritardo, poi con il grasso autista ripercorro a ritroso quei 70 km di strada, quando ecco vedo Vanni sul ciglio della strada sfoderare un bel sorriso ed alzare il pollice in segno di ok. Avrà pensato che fossi sparita…in fondo sono stata via ben 4 ore. Arriviamo al BW di Buffalo stremati per la lunghe trattative in officina e per tutto il resto…l’incertezza del destino di Carolina poi è terribile. Qui in USA non ci sono pezzi di ricambio per questo modello diesel, solo per il modello a benzina che però è molto diverso….quindi solo domani sapremo se riusciremo a ripartire con lei…e quando. Vanni è giustamente abbattuto …a me invece queste cose scivolano addosso come acqua fresca. Magari fosse così anche per altre cose! La scorsa notte mi sono addormentata solo alle 6 della mattina per lo stress che mi ha procurato leggere nella mail di Catia e Paolo dell’arrivo certo di Angelo e Raffa a fine luglio! Ma che palle tutte queste complicazioni inutili! Mi addormento comunque solo dopo aver visto un bel programma su “animal planet” in tv…l’adrenalina è ancora in circolo.

25 Luglio 2007

BUFFALO – CUSTER ( South Dakota . 530 km)

Vanni nonostante le mie previsioni se la prende con calma ed esce per raggiungere l’officina solo verso le 9.30. Non è da lui! Rientra dopo una mezz’ora con la buona notizia che Carolina è già pronta…ma che meraviglia! Mi preparo in fretta e partiamo per raggiungere Custer, un paese vicino al Rushmore National Memorial ….le quattro faccione scolpite dei più lodevoli presidenti americani, Washington, Jefferson, Lincoln e Roosvelt. Ma nel frattempo altri bellissimi paesaggi si aprono al nostro passaggio…Questo Wayoming è proprio incantevole! Superiamo il confine con il South Dakota ed il bel paesaggio non cambia, le black hills sono meravigliose con i loro morbidi pendii ricoperti di erba e le rocce stondate che ne emergono qua e là. Arriviamo a Custer abbastanza presto per trovare una camera senza faticare troppo e per decidere di andare ad esplorare la zona. Leggo sulla guida che vicino ad Hot Springs c’è un parco archeologico dove sono stati rinvenuti gli scheletri di una trentina di Mammuth che transitando da queste parti 26000 anni fa, sono finiti annegati in una grande pozza d’acqua ….non possiamo non andare…si tratta del sito più importante di tutto il mondo! Nel bacino degli scavi numerosi paleontologi stanno lavorando tra zanne vertebre e mandibole enormi…ma quanto erano grandi questi mammuth….pare molto di più dei loro cugini elefanti! Ne usciamo un po’ più istruiti al riguardo nonostante la lingua rappresenti per noi ancora un ostacolo …ma il potere delle immagini dà buoni risultati. Già che ci siamo risalendo verso Custer entriamo nel bel Custer State park, famoso per il numero considerevole di bisonti allo stato brado che vi abitano….oltre ai cervi, daini, e delle simpaticissime talpe che vediamo sbucare dalle loro tane ai bordi dei sentieri. Ci avventuriamo con Carolina lungo le strade sterrate del parco fino ad arrivare in una radura piena di bisonti che stanno brucando. Nonostante la pericolosità dei bisonti, alcuni visitatori sono scesi dalle auto e si sono avvicinati camminando su una collinetta …vado anch’io…adoro questi animali!….ma poi, camminando tra l’erba secca pesto una pianta grassa piena di spine e due palline mi si attaccano al tallone. Dolore mostruoso! Tentando di liberarmi mi ferisco anche le dita di una mano…poi faccio cenno a Vanni che è uscito dall’auto, di raggiungermi e gli urlo di portare con sé un guanto. L’operazione è dolorosa ma efficace…percorro i pochi metri che mi separano dalla macchina zoppicando e ripartiamo per completare il giro…sono centinaia i bisonti che vediamo più o meno in lontananza. Un piccolo gruppo di quattro cammina parallela al sentiero, vicinissimo a noi. Ma che spavento ad un certo punto i due maschi scattano verso di noi, ed io ho il finestrino completamente aperto!…ma per fortuna non è con noi che ce l’hanno….il maschio più anziano per difendere le sue due femmine sta attaccando il maschio giovane che vorrebbe renderlo ancora più cornuto di così! Rientriamo in hotel a Custer solo per una doccia veloce…alle nove inizia lo spettacolo di luci e suoni al Monte Rushmore e non vorremmo perderlo. Arriviamo poco dopo le nove in questo che ci appare come un patinato luogo di culto. Lungo il percorso che dai parcheggi coperti ci porta alla tribuna di osservazione della montagna scolpita sventolano le bandiere di tutti gli stati della federazione, mentre dagli altoparlanti una voce impostata narra le imprese dei quattro presidenti scolpiti in cima alla montagna davanti a noi. Non si vede ancora nulla, i ritratti non sono ancora stati illuminati e tutti gli americani presenti sono come noi in trepidante attesa…l’aspettativa aumenta ad ogni parola scandita dallo speaker…poi ecco finalmente le migliaia di persone presenti si alzano in un boato di ovazione, lentamente una luce fioca che si fa sempre più intensa, illumina i 4 volti, scolpiti in una bella prospettiva, in lato davanti a noi. Scatta l’inno nazionale che tutti cantano, poi viene ammainata la grande bandiera americana che sventolava in fondo alla tribuna e viene poi ripiegata con applausi della folla in delirio. Siamo capitati in un covo di nazionalisti convinti! Un trionfo di flash saluta l’immagine bianca dei presidenti che immobili ci osservano come stupiti di tanto clamore. Lo spettacolo finisce qui…niente suoni né giochi di luce, solo la bellissima roccia bianca magistralmente scolpita a creare un’opera d’arte colossale conosciuta in tutto il mondo. Ci infiliamo nell’unico ristorante ancora aperto di Keyane per una cena veloce…sono già le 10 di sera, praticamente l’orario di chiusura di tutto. Gli americani non sono dei gran nottambuli abbiamo scoperto! Il proprietario che ha la faccia da mafioso ci dice con la faccia un po’ spazientita di accomodarci ad un tavolo. Questo posto è orribile…con tanto di rifiniture dorate sparse un po’ ovunque. Mangiamo il nostro filettino e scappiamo in fretta su Carolina per coprire le 22 miglia che ci separano dall’hotel. Il cielo nerissimo è rischiarato a tratti dai fulmini del temporale che da tempo incombe nella zona, il parabrezza si bagna di pioggia sottile, non c’è nessuno su questa strada di montagna che serpeggia tra le alte rocce che come mostri si profilano attorno a noi. Una serata da lupi….nel vero senso della parola…spero che Carolina faccia il suo dovere!

26 Luglio 2007

CUSTER – BELFIELD ( North Dakota . 450 km)

Ripartiamo da Custer non troppo presto, ultimamente dormo come un ghiro e quando apro gli occhi vedo spesso Vanni già vestito e con il suo trolly in mano pronto per partire. Non possiamo evitare una sosta al “Crazy Horse monument “ un’altra gigantesca scultura in fase di realizzazione, questa volta dedicata alla commemorazione della morte del grande capo sioux Cavallo Pazzo che sconfisse Custer a Little Big Horn in una battaglia che ha segnato un pezzo di storia americana. Anche questo monumento come quello del monte Rushmore è scolpito nella roccia, ma quando sarà ultimato, se mai lo sarà, sarà decisamente più grande del primo, 147 metri di lunghezza contro i 18 di altezza dei visi dei presidenti. Cavallo pazzo, di cui è stato ultimato solo il viso, è ritratto mentre cavalca il suo cavallo, in un movimento estremamente dinamico di criniere al vento, zoccoli e capelli che si allungano dietro la schiena. Ma i lavori sono decisamente indietro rispetto al bozzetto che vediamo in gesso, ed il progetto ambiziosissimo non sembra godere dell’approvazione dello stato a cui dei nativi non sembra importare così tanto da finanziare il proseguo dell’opera. Un altro passaggio al Rushmore per vederlo anche alla luce del giorno e poi via attraverso le immense praterie in direzione nord. La giornata intanto si fa sempre più serena mentre scivoliamo tra i movimenti lievi delle colline del Nord Dakota. Coltivate prevalentemente a grano, le colline sembrano immense distese dorate, proprio come dune di sabbia. Che senso di libertà attraversarle, e che bellezza anche le balle cilindriche di fieno, che disseminate sui campi ne complicano l’immagine donandole una connotazione quasi metafisica. Siamo rapiti dalla bellezza dell’erba che si muove ondeggiando, mentre vediamo qua e la mandrie di bestiame che si profilano sugli orizzonti lontanissimi. Il nord Dakota non ha null’altro da offrirci ma già questo senso di ebbrezza che ci coglie percorrendone le immense praterie ci sembra moltissimo. Ci fermiamo per la notte in un motel lungo la strada, il Trapper’s Inn, allestito come un vecchio fortino, senza infamia né lode. Prima di coricarci facciamo conoscenza con un simpatico canadese che sta seduto fuori dalla sua camera, proprio di fianco alla nostra, si chiama Alan e fa il minatore a Churchill sulla Hudson Bay. E’ in viaggio con la figlia, parliamo a lungo dei nostri rispettivi viaggi…è una bellissima persona.