05 Gennaio 2009

LOMÈ- OUIDAH

Ritiriamo la biancheria pulita e lasciamo l’hotel diretti verso la frontiera del Benin questa volta già muniti di visto di ingresso. Al confine del Togo il caos è incredibile….file di camion sono fermi per il controllo doganale mentre i locali che si spostano abitualmente tra i due stati, saturano l’ufficio immigrazione. Per noi muniti di passaporto non ci sono file….un ufficio separato sbriga le formalità del controllo dei documenti e  così in una ventina di minuti siamo liberi di raggiungere la frontiera del Benin dove ancora una volta il doganiere rimane confuso alla vista del carnet de passage che gli spiego come compilare. Spingendoci oltre osserviamo il paesaggio cambiare trasformandosi in un selvaggio paradiso di palme che a migliaia seguono la costa…laghetti pieni di ninfee, lingue di sabbia parallele al mare che di tanto in tanto si insinua verso l’interno. Qualche palafitta  adagiata sulle acque di una laguna interna ci ricorda che tra qualche giorno visiteremo il noto villaggio di Ganviè. La foschia non manca, ma in questo contesto esalta la magia del paesaggio attorno a noi mentre percorriamo la lingua di terra compresa tra il mare ed il fiume Mono che scorre a qualche centinaio di metri dalla costa, creando lagune, acquitrini e piccoli laghi nei pressi dei quali sorgono piccoli villaggi di pescatori…….un paesaggio pittoresco ed unico. Dato che tutti ci hanno parlato male di Cotonou, sottolineando il caos, lo smog e lo squallore della città più affollata del Benin, decidiamo di fermarci a Ouidah, la capitale del vudu che tra cinque giorni ne ospiterà il festival annuale. Famosa anche perché prima dell’abolizione della schiavitù nel 1861, partirono dalle sue spiagge migliaia di schiavi diretti nelle Americhe e nei Caraibi, ora Ouidah è divenuta la città del ricordo di quella barbarie perpetrata in seno al regno Dahomey che si espanse grazie a questo commercio. Gli europei davano, in cambio degli schiavi, bevande alcoliche e soprattutto le armi che servivano ai sovrani Dahomey per conquistare nuove terre e nuovi schiavi. Per oltre quattro secoli circa 10.000 persone ogni anno, uomini, donne e bambini, percorsero in catene la strada  che  raggiungeva la spiaggia. Nel luogo dove attendevano di salire sulle scialuppe che li avrebbero portati alle navi ormeggiate al largo, sorge ora un memoriale….una porta commemorativa ornata di bassorilievi e bellissime sculture di bronzo che rappresentano stilizzati gli schiavi su un lato e gli schiavi liberati dall’altro. Qui nella patria del vudu  i feticci proteggono anche questo luogo sacro….due sculture colorate ed istoriate, sono proprio loro….gli antenati in comunicazione con gli schiavi deportati.  Il nostro hotel è a pochi metri da questo punto di non ritorno….in fondo alla Rue des esclaves, sul mare. immerso nel palmeto, ad una cinquantina di metri dalle potenti onde dell’oceano, c’è il nostro bungalow con aria condizionata e tv, ma non l’acqua calda. Siamo nell’Hotel de la Diaspora, uno dei migliori, al costo accessibile di 25.000 cfa. L’ampia piscina, attorno alla quale sono distribuiti il bar ed il ristorante, è adiacente alla spiaggia….non c’è molta gente e vi si respira un’atmosfera di antichi splendori ora decaduti. Immersi nel clima dimesso del luogo ci accomodiamo sui lettini di fianco alla piscina all’ombra di una orribile tettoia di tubi di ferro che copre anche i tavoli del ristorante. Il mare è blu intenso ….ma le sue onde hanno una forza che spaventa…meglio non rischiare e goderci piuttosto la bella vista lungo la spiaggia che vediamo a perdita d’occhio segnata dalle palme. Rimaniamo qui, in compagnia di un drink ed un libro, fino al bellissimo tramonto…..che meraviglia questo mare e queste palme…..che meraviglia l’Africa!

06 Gennaio 2009

OUIDAH – GANVIÈ – OUIDAH

Arriviamo in abbondante ritardo all’appuntamento delle 8.30 con Nasaire. L’ora in più del fuso orario locale ci ha disorientati, ma Benia Nasaire (tel 97154948, guida autorizzata dell’hotel “Jardin Brasilien Auberge de la Diaspora”) ci aspetta in rassegnata serenità. Saliamo a bordo di Gazelle per un tour mirato alla visita dei luoghi che hanno segnato la tratta degli schiavi nella storia della città. Partiamo dal vicino “arco del non ritorno” che inquadra un settore di mare oggi particolarmente blu….e da qui proseguiamo lungo la “route des esclaves” soffermandoci ad osservare le sculture che ne segnano la via sui due lati. I soggetti sono ovviamente legati a quel commercio disonorevole ed alla dinastia Dahomey che lo ha incoraggiato, il tutto farcito di figure mitologiche locali. Le sculture, realizzate in cemento e poi colorate di verde, non sono di particolare pregio ma illustrano senza drammaticità e con l’ausilio di una plasticità morbida le figure fondamentali legate a questo tema. Arriviamo poi al luogo nel quale uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù venivano marchiati a fuoco dopo essere stati immobilizzati ed “imbavagliati” con un ferro cilindrico fissato tra i denti e legato dietro la testa….alcune sculture ne riproducono l’immagine esatta. Di fronte a tanta scellerata crudeltà, immersa in questo luogo di sofferenza e di morte non riesco a trattenermi….le braccia attorno al collo di Vanni piango pensando alla ferocia insita nell’uomo di ogni tempo…ed alle forme nelle quali si è espressa e si esprime ancora oggi. Proseguiamo la visita, con lo stesso spirito con il quale seguiremmo un funerale….e vediamo l’ “albero del ritorno”, attorno al quale gli uomini incatenati giravano diverse volte affinché le loro anime tornassero a casa il giorno della loro morte, poi la fossa comune ed infine il “tempio dei pitoni” dove vengono eseguiti i riti vudu che cadono ogni sette anni. Nel giardino del tempio si erge un grande albero magico vecchio di 400 anni, frondoso e coperto di liane…..è il luogo nel quale viene sacrificato il montone. Le sue radici vengono cosparse del sangue dell’animale e poi spruzzate di farina di mais. Dentro ad un piccolo edificio a forma di tempietto, riposano una cinquantina di pitoni…che però è Vanni questa volta a fotografare!…..ma non finisce qui…acconsente a che gliene venga messo uno attorno al collo…per purificarsi dicono. Di fronte al tempio dei pitoni si erge la grandiosa cattedrale cattolica in stile neogotico. Ultima tappa della visita di questa cittadina disseminata di antichi edifici portoghesi è la visita al museo che descrive attraverso fotografie, disegni , mappe e cimeli la storia del commercio degli schiavi e della religione nazionale….il vudu. E’ di Vanni l’ottima idea di proseguire la nostra giornata di esplorazione del territorio verso Ganvié….un villaggio il cui nome significa “luogo della pace”. Ad una quarantina di chilometri da Ouidha, in prossimità della città di Cotonou, deviamo verso Nord ancora per qualche chilometro, poi entriamo in una stretta sterrata affollata di bancarelle e negozi…praticamente il mercato….e raggiungiamo così la riva del lago, affollato di venditrici di pesce, dove decine di piroghe sono in attesa di qualche cliente per il tour. Ciò che andremo a visitare è un pittoresco villaggio di palafitte che occupa una parte del lago Nokoue. Gli antenati dei suoi attuali abitanti vi si insediarono per fuggire alla schiavitù ed alle guerre e scelsero per questo un luogo difficilmente raggiungibile, ovvero questo lago paludoso dalle acque piuttosto basse. Dopo aver acquistato i bglietti (5.050 cfa a testa) saliamo a bordo della piroga a motore e salpiamo in compagnia di Nasaire, una guida locale obbligatoria ed il marinaio fisso a poppa. E’ piacevolissimo procedere lenti sulle acque tranquille della laguna, tra le ninfee ed i recinti di foglie di palma….un originale sistema di pesca che gli abitanti del villaggio hanno disseminato nelle acque della laguna. Si tratta di recinti circolari più o meno ampi creati conficcando sul fondo della laguna le foglie di palma che macerandosi vengono colonizzate dai molluschi dei quali i pesci vanno ghiotti. Quando è il momento giusto il recinto viene circondato da reti e la trappola è fatta. Un metodo semplice ed efficace….a giudicare dalla quantità di pesce che vediamo trasportato nei canestri a bordo delle piroghe sospinte dalle signore del luogo! L’economia del villaggio è basata sulla pesca ed il turismo, uniche fonti di guadagno dei locali che possiedono almeno tre piroghe per famiglia….una per l’uomo che va a pescare, una per la donna che deve raggiungere la riva per vendere il pesce, ed infine una riservata ai bambini per andare a scuola. La laguna è tutta un fermento di attività legate alla pesca, alla messa in opera delle foglie nei recinti, al trasporto del pesce ed alla sua vendita….insomma c’è un gran andirivieni di silenziose piroghe alla cui guida sono soprattutto le donne, sole o in compagnia di un bambino in fasce legato alla schiena….coperte da cappelli di paglia dalla tesa larghissima per proteggersi dal sole ed anche dalle foto dei turisti. Mentre procediamo avvicinandoci al villaggio una veloce pinasse ci supera di lato….è piena di taniche di carburante. La guida ci spiega che si tratta di contrabbandieri che fanno la spola tra Ganvié e la vicina Nigeria…con soddisfazione immortalo i malfattori con uno scatto a tradimento. Le palafitte si profilano in fondo allo specchio di acqua immobile….mentre ci avviciniamo il traffico di piroghe si fa sempre più intenso fino a rasentare l’ingorgo. Le palafitte sono quasi tutte di legno o di canne affiancate, alcune sono colorate altre sono così inclinate che sembrano dover crollare da un momento all’altro. Oltre alle abitazioni c’è un bar con annesso negozio di souvenir, un luogo nel quale si va a prendere l’acqua potabile, un mercato di piroghe dove poter acquistare frutta e verdura fresche….insomma non manca nulla in questo pittoresco villaggio. C’è anche una grande statua…del re che fondò Ganvié….che meraviglia questo luogo! Vanni non si trattiene e chiede quanto costa uno specchio d’acqua sul quale costruire una palafitta….150.000 cfa, ovvero circa 200 € che a noi sembrano persino troppi! Al ritorno mi addentro nel mercato sulla terraferma in compagnia di Nasaire….sono curiosa di vedere le bancarelle di articoli per il vudu….a seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere sono diversi gli oggetti da impiegare…. Sui piani di legno dei banchi del mercato sono esposte rane secche, pelli di felini, teschi di capre, serpenti secchi come anche topolini, scoiattoli e tanto altro ….ma sempre rigorosamente secco…..dimenticavo dei codini di cavallo o asino, quelli classici che si vedono in mano agli stregoni nelle pellicole di Holliwood. Scatto un paio di foto pagando un piccolo compenso di 300 Cfa, poi rientriamo a Ouidah dove ritiriamo il machete che Vanni aveva lasciato per l’affilatura ad un vecchio arrotino…..ora finalmente gli strumenti per la nostra difesa sono a posto! Diamo a Nasaire il suo compenso di 20.000 Cfa e ci rilassiamo infine nel nostro bungalow tra le palme vicino alla spiaggia. Ceniamo anche questa sera nell’area ristorante accanto alla piscina, protetti da una tettoia in tubolari di ferro che ci fa sentire piuttosto ad un festival dell’unità, illuminata da tubi al neon che rendono l’atmosfera vagamente spettrale. Anche questa sera la Carpe rouge non è disponibile….iniziamo a pensare seriamente che non si tratti di un pesce ma di uno spirito vudu finito casualmente sul menu….ma l’avocado al tonno, pomodoro e cipolla è squisito così come il barracuda alle erbette.

07 Gennaio 2009

OUIDAH – ABOMEY

Impieghiamo circa una ventina di minuti per avere il conto che il gestore ricalcola tre volte per sicurezza, poi dopo un saluto a Nasaire che è venuto a portare un cadeau a Vanni, partiamo diretti ad Abomey. Baipassiamo ancora una volta Cotonou nella quale proprio non vogliamo entrare e ci spingiamo a nord sulla N2 seguendo un tracciato a gimcana per evitare i numerosi buchi della strada rettilinea. Abbandoniamo il bel paesaggio della costa per spingerci all’interno di una brousse con pochi alberi e generalmente spoglia che segue il terreno ondulato del Benin meridionale. A giudicare dalla povertà della vegetazione pare che i beninesi siano riusciti a superare i vicini togolesi in fatto di devastazione ambientale….ma è solo una ipotesi scaturita da una deprimente mattinata di cielo nuvoloso. Arrivati ad Abomey ci perdiamo cercando l’hotel d’Abomey che inseguiamo nella speranza che la Lonely Planet non abbia anche questa volta surclassato il reale livello di comfort degli hotel consigliati……ma la speranza, ci rendiamo conto presto, è vana. L’hotel si presenta piuttosto bene….i bungalow circolari rosso mattone coperti con tetti di paglia a cono immersi nella vegetazione rigogliosa del giardino, sembrano presupporre la stessa cura anche al loro interno, ma non è così. La suite che affittano al prezzo esoso di 55.000 Cfa è inaffrontabile per l’enorme salotto cinese che ne occupa il soggiorno….il più brutto che abbiamo mai visto! Alla fine optiamo per la camera matrimoniale semplice ma con acqua calda, che almeno ha una sola poltrona! Luce al neon, piastrelle sudicie ovunque, ma le lenzuola sono pulite…almeno questo! usciamo immediatamente dopo aver appoggiato i nostri trolley sul pavimento….dopo il Le Palmaraie di Ouaga non abbiamo più avuto il piacere di occupare una camera piacevole….cosa ci vuole a mettere una abadjour al posto di uno squallido tubo al neon? Il prossimo trolley diretto in Africa conterrà senz’altro le candeline Ikea. Andiamo all’ufficio turistico nella speranza di poter acquistare una mappa stradale del Benin, ma nulla da fare e l’impiegato non conosce nemmeno le condizioni della strada che si spinge verso Nord. Arriviamo finalmente al museo di storia di questa città che fu, e scopriamo essere ancora, la capitale del regno Dahomey….quello per intenderci i cui re vendevano gli schiavi ai mercanti portoghesi. Le due sole cose per le quali il museo è famoso è innanzitutto la sua sede….il palazzo del re Glelé e quello attiguo di suo padre, il sanguinario Ghezò…..ed in secondo luogo per il trono di quest’ultimo….di legno lavorato a traforo che appoggia sui quattro teschi dei suoi peggiori nemici. All’interno del museo ci sono un paio di ceramiche faentine e cosa buffa, la sputacchiera del re…..il cui uso è fondamentale in un paese animista, perché con un pò di saliva si può fare un Gri gri mortale! Quindi tutti quelli del re erano custoditi da una principessa all’interno del contenitore che vediamo, ed a fine giornata venivano da lei gettati in un luogo segreto. La nostra brava guida, una bellissima ragazza che ci spiega con trasporto tutte le vicende legate al regno Dahomey, mi vieta tassativamente di fotografare tra le altre cose anche i bassorilievi di argilla colorata che, protetti dall’Unesco, hanno resa famosa l’intera città. Anche se stentiamo a crederlo, siamo in luogo sacro! Sono figure semplici, quasi infantili, che descrivono scene di guerra particolarmente cruente….per esempio la decapitazione di un nemico. All’interno del museo gli oggetti più belli da vedere sono quelli che gli ambasciatori portoghesi regalarono ai vari regnanti che si susseguirono al potere fino all’ultimo, catturato ed esiliato nel 1902 in Martinica dai francesi conquistatori. Solo in quella data, con un ritardo di 40 anni rispetto al resto del mondo….se si esclude la Mauritania, si abolì la schiavitù in Benin. La case (feticcio) del re Ghezò, quello che istituì un esercito di amazzoni, è costruita con un impasto di fango e sangue umano, oro, acqua dolce e marina….all’interno di questo feticcio fatto a forma di casa dovrebbe albergare lo spirito del re. Dopo Ouidah, questa cittadina è il luogo più negativo nel quale mi sia mai trovata, ma il disagio che sento nell’essere qui mi sembra del tutto giustificato. Altro che luogo sacro…è come se ci trovassimo ad Auschwitz!…e poi l’assurdità della modalità della visita al sito sacro…figuriamoci che l’accesso alla tomba del re Ghezò ci è stato negato perché è vietato farlo quando in città è giorno di mercato…cioè oggi. Per non parlare delle 41 tra le sue 4000 mogli che si offrirono volontarie per essere sepolte vive….per accompagnarlo nel suo viaggio nell’aldilà…una carneficina risalente a circa 150 anni fa.
Sulla strada del rientro in hotel rimaniamo colpiti dalle decine di mototaxi che circolano per le strade….non è male come modalità di trasporto in città. Veloce ed all’aria aperta….d’estate potrebbe funzionare anche da noi! Sono seduta in giardino, su una sedia di vimini dondolante spolverata per l’occasione, quando vedo Vanni arrivare contrariato con in mano la chiave della suite. Stava per fare la doccia, nella nostra camera da 22.000 Cfa, quando nell’aprire il rubinetto la manopola gli è rimasta in mano. Ci hanno quindi spostato nella suite, dove dalla doccia scende un filo d’acqua gelida, ma il letto è un pò più largo…..una lotta questo Benin! Ceniamo malissimo in hotel….per fortuna domani saremo altrove.

08 Gennaio 2009

ABOMEY – NATITINGOU

Che sorpresa questa mattina…poco dopo l’uscita dalla città siamo fermi in fila….e lo rimaniamo per circa un’ora e mezza. Mentre aspettiamo di arrivare al punto critico facciamo alcune ipotesi….un ponte crollato?….un incidente?…..intanto una moto della polizia fa la spola per controllare che nessuno faccia il furbo superando la colonna che si muove al ritmo di un bradipo. Non si può capire il nostro stupore quando capiamo il motivo del blocco….Un poliziotto è al centro della carreggiata, sull’altro lato un signore del paese tiene in mano il sacco nero dove raccoglie le offerte in denaro degli automobilisti…attorniato dai compaesani che con vestiti coloratissimi sono fermi ai due lati della strada….una follia! una sorta di festa paesana a scopo di estorsione spalleggiata dalla polizia. A noi non chiedono nulla….ma abbiamo perso un’ora e mezza del nostro tempo proprio all’inizio di un viaggio che sarà lungo. Perché chiedessero del denaro rimane un mistero insondabile…ma questo paese è pieno di misteri! Procediamo verso Nord tra la vegetazione rigogliosa…. i granai nei villaggi cambiano leggermente la loro forma mentre la strada sale e scende assecondando l’orografia leggera del territorio. Non ci fermiamo mai, se non per evitare di investire una scrofa, qualche pulcino, una bambina ed una capretta. La N3 del resto è inaspettatamente in così buone condizioni che il procedere è piacevole e senza intoppi. Arriviamo all’hotel Tata Somba di Natitingou alle 15 in punto, dopo sette ore di viaggio ininterrotto….l’hotel ha un bel look e la camera è confortevole e pulita ed il suo costo di 30.000 cfa la rende addirittura a buon mercato. Le pareti esterne sono di colore rosa e si sviluppano su due piani, ad anello attorno alla piscina con giardino centrale. La gentilezza regna sovrana….insomma staremo bene! Mentre Vanni è fuori a sbrigare le solite incombenze che consistono nel prelevare denaro e mettere un pò d’olio su Gazelle, io faccio due chiacchiere con Joseph che sarà la nostra guida per i prossimi due o tre giorni e che ci accompagnerà a visitare le Tata Somba beninesi, una variante delle case fortezza già viste in Togo, ed il Parco de la Pandjari che pullula di animali. Il cielo è finalmente sereno e senza polvere, forse per via dei 440 m. di altitudine di questa nostra tappa….insomma questo Natitingou si presenta per ora come un piacevole atterraggio. Solo quando Vanni rientra ci rendiamo conto di aver perduto l’unico telefono funzionante che ci rimaneva…ovvero il suo vecchio Nokia con la mia scheda contenente la rubrica….il satellitare Thuraia ha smesso di funzionare in Togo ed il mio cellulare non si carica più…insomma siamo isolati. Sospettiamo che qualcuno ci abbia fatto un gri gri tecnologico! Intanto il mio maritino, che cerca sempre una soluzione ad ogni problema, è riuscito a farsi aggiustare il mio telefono….nel quale però non ho in memoria nessun numero della mia rubrica. Ci accomodiamo per la cena in un tavolo del giardino ….ma nel giro di un’oretta sembra di essere nel cortile di una caserma. Un andirivieni di militari in mimetica vanno avanti e indietro come mosche attorno alla tavolata che i camerieri stanno predisponendo per accogliere il ministro della difesa ed il suo gruppo di collaboratori. La moglie, vestita in abito tradizionale completo di copricapo in tessuto chiaro, si defila quasi subito. Il ministro invece, rimane a discorrere con i suoi uomini mentre si abbuffa mangiando a bocca aperta, anzi spalancata. Questa notte non avremo certo problemi di sicurezza visto l’affollamento di militari…siamo in una botte di ferro!

09 Gennaio 2009

NATITINGOU – BOUKOUMBE’ – NATITINGOU

Porta con sé un binocolo, una valigetta con il necessaire per la notte e la macchina fotografica….è davvero professionale il nostro Joseph. Poco dopo, quando in auto ci dirigiamo verso le tata somba bellissime di questa zona, ci mostra il suo tesserino di guida professionale e ci spiega che ogni hanno, per mantenerlo, deve sostenere un esame. Dopo poche decine di chilometri siamo immersi nel territorio dei Betamaribé che tradotto significa costruttori….coloro che costruiscono le loro case con la terra. Raggiungiamo la prima meravigliosa Tata nel villaggio di Kouaba….sembra un piccolo castello di fango rossiccio. Il volume è articolato in svariate torrette, che ne compongono il perimetro, coperte con gli immancabili tetti di paglia a forma di cono. All’interno delle torrette trovano posto i granai e le minuscole camere da letto accessibili dal tetto piano. Joseph ci spiega che in quest’area a Sud Ovest di Natitingou, esistevano sei tipologie di case fortezza….ora ne rimangono solo quattro, diverse le une dalle altre per sfumature che però ne fanno scaturire volumetrie e facciate decisamente particolari. La prima che vediamo ha la porta di ingresso che si allarga in una sorta di cerchio sospeso a metà della sua altezza…..serve a consentire agli animali di entrare agevolmente anche in assenza di una porta larga. Dalla porta entriamo all’interno di un vestibolo a pianta circolare che serve per la preparazione dei cereali. Sulla destra un piano alto circa 80 cm contiene le due pietre per macinare arachidi e sorgo, nella nicchia di fronte a questa, un foro scavato nel pavimento, serve da mortaio dove macinare il miglio con l’aiuto di un bastone. Superato il vestibolo accediamo alla sala principale riservata ad ospitare gli animali e le persone anziane che avendo difficoltà a raggiungere le camere sul tetto ne approfittano per fare la guardia all’intera casa. I volumi cilindrici dei granai accessibili dall’alto, sono usati in basso come pollai…li vediamo aprirsi in piccole aperture sulla sala principale piuttosto buia. Ci facciamo strada tra i pilastri di legno terminanti a v, che sorreggono le travi del basso solaio di copertura, ed accediamo attraverso la solita scaletta alla terrazza….il fulcro della vita del gruppo, nonché esplosione di torrette di varie dimensioni nel suo perimetro nelle quali si trovano due camere da letto e quattro granai. Anche qui come in Togo, la vita si svolge prevalentemente su questa terrazza, dove si cucina, si mettono ad essiccare le granaglie e si ascoltano le storie che accompagnano i pasti e il dopo cena. Nella stanza al piano terra che ospita gli animali e gli anziani, si accendono di tanto in tanto dei fuochi per asciugare il legno della struttura affinché non marcisca e crolli. Fuori dalla porta d’ingresso non mancano i feticci, li osservo dall’alto sporgendomi dal parapetto…c’è anche un anziano cacciatore nei pressi, che munito di arco e frecce posa per una foto mentre mostra a Vanni la sua arma. Una giovane ragazza ha il viso tutto segnato da sottili cicatrici che formano come la trama di un tessuto….tutti i componenti della famiglia, a parte le mogli acquisite da altri gruppi, hanno le stesse cicatrici che rappresentano la loro carta d’identità. Vengono fatte tagliando la pelle del viso con uno strumento affilato ai bambini di cinque anni….la sofferenza è enorme, ma necessaria per la conservazione della barbara tradizione. Anche Joseph le aveva, ci racconta, ma siccome non è mai stato d’accordo con questa crudele tradizione allora gli sono sparite tutte ad eccezione di quelle sulla schiena, le gambe e le natiche che noi non vediamo….e conserva anche il trauma di quel giorno, a giudicare dal suo viso serio e triste mentre racconta. Dopo ancora un pò di strada arriviamo sull’altro lato dello stesso villaggio per vedere una Tata Somba un decisamente diversa. Si può individuare qui una facciata articolata in quattro torrette, le più esterne sono a pianta circolare, quelle più interne invece a pianta quadrata. L’apertura di ingresso ha i fianchi perfettamente rettilinei che seguono all’interno con due pareti, ovvero parte dei muri perimetrali dei granai superiori. Attraverso lo stretto corridoio si accede alla sala principale sulla quale si affacciano diverse piccole aperture dei vani adibiti a magazzino. Al centro della sala è stato scavato il foro che serve da mortaio e attorno ad esso è stato costruito un basso muretto circolare che impedisce alle granaglie di perdersi sulla terra battuta del pavimento. Una piccola apertura consente l’accesso alla cucina leggermente rialzata e da lì la scaletta porta alla terrazza ancora affollata di torrette e di tetti di paglia. La differenza più evidente che noto rispetto alle Tata togolesi è che qui i granai sono divisi dalle torrette sottostanti, attraverso un basamento di bastoni di legno che li evidenzia formando una sorta di marcapiano….così come la superficie esterna delle pareti che risulta molto segnata dalle dita che ne hanno distribuito l’intonaco, a formare disegni. La volontà di decorare le pareti esterne con disegni si evidenzia nelle spighe di miglio stilizzate incise nella superficie esterna delle pareti con un bastoncino. Queste tata beninesi sono dei veri gioielli….non so perché non ancora protetti dall’Unesco come le gemelle togolesi. Stiamo per arrivare al villaggio di Boukoumbé per visitare le altre due varianti delle Tata, quando Vanni entra in allarme per le luci del cruscotto che tutte accese…..ci fermiamo, la diagnosi arriva immediata….le tre cinghie sono rotte. Ci fermiamo nei pressi del paese all’ombra di un enorme mango, poi Joseph parte in missione a cercare un meccanico. Noi invece siamo immediatamente al centro dell’attenzione dei bambini appena usciti dalla scuola, simpatici e curiosi. Osservano Gazelle, e le cose che contiene, alla ricerca di qualcosa da desiderare…ma sono educati e non chiedono nulla, se non sottovoce e con gli occhi bassi. Il meccanico che arriva in moto con Joseph osserva le cinghie da sostituire ma non garantisce di poterle trovare, quindi scatta la telefonata al meccanico di Natitingou che arriverà con le tre cinghie da sostituire….ammesso che le trovi tutte. Alla fine è tutto un provare cinghie di varie dimensioni, ma poi il meccanico di Joseph riesce ad aver ragione del guasto montandone una nuova e due provvisorie da sostituire una volta rientrati in paese….il compenso di 45.000 cfa ci lascia però di stucco. Sono già le cinque quando ripartiamo dopo quattro ore di sosta….dopo aver rivoluzionato ancora una volta i nostri programmi ci avviamo a visitare la terza tipologia abitativa che si trova in un’area vicina. L’approccio con i suoi abitanti però non è semplice….tutti chiedono una mancia superiore ai 2.000 cfa che Joseph è disposto a pagare. Bussiamo a tre Tata prima di trovare quella i cui abitanti si mostrano più accondiscendenti, ma alla fine la spuntiamo ed eccoci di fronte ad una tata più piccola delle altre visitate e con un volume a pianta ovale che ne segna l’ingresso. Questo volume sale oltre il tetto piano a formare una camera da letto ed è coperta da un tetto piano sul quale vengono appoggiati i cereali da essiccare….e le foglie di tabacco che una signora, seduta all’ombra di un albero davanti a casa, fuma nella sua pipa. Tra tutte le donne incontrate oggi lei è l’unica ad avere un grande pearcing sotto il labbro inferiore e due grossi orecchini conficcati nei lobi. Ma torniamo alla nostra Tata….i granai sono più bassi qui e si inseriscono nel muretto di contenimento della terrazza alla quale si accede dalla cucina e da un altro piccolo terrazzino più basso. Altra novità è l’interfono tra la terrazza e la stanza-stalla sottostante….un foro largo una decina di cm è stato praticato nel solaio di copertura e serve a tenere in contatto le persone all’interno della casa con quelle che soggiornano sul terrazzo. Accompagnati dalla luce del tramonto rientriamo al confortevole hotel di Natitingou rimandando a domani il raggiungimento del parco nazionale.

10 Gennaio 2009

NATITINGOU – PARC NATIONAL DE LA PENDJARI

Partiamo con l’obiettivo di raggiungere l’area geografica vicina a Tanguieta dove vedremo la quarta ed ultima variante tipologica delle Tata Somba beninesi….le famose case fortezza. La strada è tutta asfaltata fino al villaggio, poi deviamo verso Tayakou attraverso un’ampia sterrata immergendoci nella brousse con pochi alberi che contiene i nostri gioiellini. Ci fermiamo dove la nostra guida ci indica, nei pressi di un baobab isolato lungo la strada, e poco oltre vediamo delinearsi il profilo della piccola fortezza che questa volta riusciamo a visitare senza troppe storie patteggiando un compenso di 2.000 cfa. Essendo quest’area povera di alberi con i quali costruire solai e pilastri, la casa fortezza è necessariamente di dimensioni più piccole….compresa l’altezza del solaio che ci costringe, una volta entrati, a procedere chini….i pilastri di legno terminanti con la classica forma a v sono alti appena 150 cm. La stanza-stalla al piano terra è di dimensioni piuttosto ridotte, non più di 20 mq compresi i piccoli ambienti attigui che occupano le basi delle torrette circolari, nei quali gli animali entrano attraverso le piccole aperture quadrate al centro della parete. Da questo ambiente non c’è nessun modo di salire al tetto piano se non uscendo e salendo la ripida scaletta esterna ricavata dal tronco appena sbozzato. Non ci sono tetti di paglia qui, né granai né camere, tutto lo spazio del terrazzo è riservato all’essiccatura delle granaglie…..ma le torrette non mancano ad articolare il muro perimetrale in ondulazioni che si inseguono su tutto il volume. Le Tata Somba di oggi sembrano piuttosto citazioni di una tradizione costruttiva che presto sparirà….Le capanne abitate da questa famiglia sono sparse attorno ad essa. Di forma cilindrica e poste una accanto all’altra, non hanno però il carattere degli incredibili castelli di fango. Torniamo sui nostri passi ed a bordo di Gazelle raggiungiamo di nuovo il centro di Tanguieta dove ci fermiamo per una visita all’ospedale italiano Fatebenefratelli ed un saluto a Padre Fiorenzo ( fiorenzo.tgta@yahoo.it tel. +229 90663398, +229 23830036 ) che fondò l’ospedale e che ora ci accoglie con un bel sorriso ed una poderosa stretta di mano. Essendone il fondatore, inizia a raccontare la storia della crescita dell’ospedale, da piccolo nucleo a grande centro annesso alla missione…e della sua vita, strettamente legata alla medicina, che lo vede diviso tra il Benin ed il Camerun dove ha avviato un centro di ortopedia. Vanni è sempre molto commosso di fronte a questi personaggi di grande fede e generosità, quindi gli lascia una generosa offerta e ripartiamo, diretti alle cascate di Tanougou che vediamo prima di arrivare all’entrata del Parco. Aiutati da un paio di ragazzi dell’associazione che si occupa della gestione della cascata, ci arrampichiamo sui piani inclinati delle rocce fino a raggiungere la seconda più alta cascata d’acqua. Il percorso per raggiungerla sembra una grande scultura ricavata nella roccia scura e caratterizzata da lisce superfici inclinate dove l’acqua scendendo crea tanti piccoli salti. La pozza, che raccoglie il getto concentrato di acqua in caduta, ci ricorda molto quella vista nei pressi di Kpalimé, anche se qui la vegetazione più rarefatta consente al cielo azzurro di oggi di specchiarsi sulla superficie del laghetto. Mentre siamo seduti in contemplazione, il portavoce delle giovani guide seduto accanto a noi, si lamenta del poco guadagno legato all’attività della cascata…..diamo qualche consiglio e suggeriamo un paio di idee per poter sfruttare le potenzialità del luogo….come ad esempio investire un micro-credito nell’acquisto di una piccola piroga per portare i turisti vicino al getto d’acqua, o ripopolare di farfalle per aggiungere attrazioni a questo luogo….ormai non ne possiamo più di lamentele! Ripartiamo ancora verso Nord sulla sterrata che prosegue fino all’ingresso di Baria del Parco de la Pendjari, poi dopo l’acquisto dei biglietti di ingresso ( 10.000 cfa a persona + 3.000 per Gazelle ), sempre guidati da Joseph, ci dirigiamo verso il cuore del parco, nell’acquitrino melmoso di Bali. Sviluppatosi nel cuore della savana è pieno di coccodrilli e c’è anche qualche ippopotamo che sonnecchia quasi completamente immerso. E’ un posticino incantevole questo acquitrino, sul quale si affaccia qualche grande albero pieno di nidi….circondato da vegetazione valliva e popolato anche da numerosi uccelli. Rimaniamo incantati ad osservare ascoltando gli splendidi suoni della savana….è meravigliosa anche la luce, che a quest’ora si tinge delle tonalità calde del tardo pomeriggio. Ci avviamo poi sul sentiero che conduce all’hotel de la Pendjari, sorto nel cuore di questo grande parco che spingendosi verso Nord sconfina in Burkina Faso….il fiume che ne traccia il confine naturale scorre a pochi chilometri dalla nostra confortevole camera con aria condizionata. Sono davvero pochi gli avvistamenti che riusciamo a fare prima del crepuscolo, quando decidiamo di rientrare definitivamente in hotel…..qualche antilope, babbuini, ma nessun felino e nemmeno gli elefanti dei quali però non mancano le tracce. Pare che siano ghiotti dei cuori di palma e non si contano le palme abbattute e smangiucchiate così come le inconfondibili impronte nel fango ormai secco che li aveva visti passare nella stagione delle piogge. Ad attenderci per la cena, la piacevole compagnia di una coppia di italiani nostri coetanei, che condividono con noi la passione per i viaggi e l’avventura. L’ incontro casuale di Umberto Brusasca ( umbertobrusasca@yahoo.it – tel 335 5298305 ) e di sua moglie Graziella Gregorio, oggi nel parco, si è trasformato in una bellissima serata insieme riccamente condita di racconti nostri e loro relativi ai viaggi più recenti……naturalmente anche loro collezionano vecchie Toyota Land Cruiser…..che bel sodalizio quello di questa sera e che complicità! Non sentirsi soli in questo girovagare in paesi al limite dei requisiti minimi di sicurezza personale, aiuta a sentirsi più forti! Ceniamo inaspettatamente bene sotto l’enorme makuti dell’hotel…..la costoletta di maiale è il pezzo di carne più tenero che io abbia mangiato da mesi.

11 Gennaio 2009

PARCO NAZIONALE DE LA PENDJARI

L’appuntamento delle 6.30 con Joseph è decisamente troppo presto viste le ore piccole fatte ieri sera in piacevole compagnia. Partiamo con il cielo ancora buio ed una meravigliosa luna piena alta sull’orizzonte, ma di animali non c’è traccia…..solo dopo un’oretta avvistiamo un gruppo di piccoli elefanti che attraversano in fila indiana la pista. Il paesaggio è un incanto…..soprattutto alle prime luci dell’aurora che precede l’alba. Gli acquitrini di cui il parco è ricco sono quelli che ci affascinano di più….per la perfetta riflessione della vegetazione sulla superficie immobile e densa dell’acqua. Questi sono anche gli unici punti in cui è consentita una sosta per sgranchire un pò le gambe… Percorriamo circa 150 km prima di rientrare in hotel verso l’ora del pranzo, delusi per la penuria di animali avvistati nella mattinata…anche Umberto e Gabriella, incontrati per caso su una pista, avevano lamentato la stessa considerazione. Dato che il Parco non ci da soddisfazione, prendiamo la nostra rivincita nell’intimità silenziosa del nostro letto a baldacchino protetto da una zanzariera azzurra….siamo così spossati che poi rimandiamo l’appuntamento delle 16 con Joseph a data da destinarsi, prendendoci tutto il nostro tempo per recuperare la spossatezza di oggi. Alla fine rimaniamo in hotel….tanto di animali qui ce ne sono davvero pochi…e mentre gustiamo l’ ottimo crème caramel che arriva inaspettato dalla cucina, commentiamo la richiesta di finanziamento da parte di Joseph, ….ha chiesto a Vanni 7 milioni di cfa per finanziare il suo progetto nell’ambito del turismo.

12 Gennaio 2009

PARCO DE LA PENDJARI – MALANVILLE

Seguendo il consiglio della nostra guida, alle 7 siamo già a bordo di Gazelle nella vana speranza di avvistare qualche animale prima delle ore più calde….Joseph ( yokossi.joseph@yahoo.fr ) potrebbe avere ragione se di animali però ce ne fossero! Poiché la pista che dovremo percorrere oggi verso Banikoara sarà impegnativa perché in pessime condizioni, ed il tempo non è mai abbastanza quando si devono affrontare 120 km di questo tipo….ci avviamo senza indugi in quella direzione. I 75 km all’interno del parco sono disseminati dei buchi lasciati dagli elefanti e dagli ippopotami negli invasi argillosi durante la stagione delle piogge. Sobbalziamo in continuazione con l’aggravante di non vederne nemmeno uno…..solo qualche antilope e facoceri rappresentano il magro bottino della mattinata. Una volta usciti dall’area protetta, la nostra guida si ferma a prendere informazioni….dal 2003 non ha percorso la pista che prosegue fuori dal parco, e deve avere le idee un pò confuse. Alla fine, per non sbagliare, devo mostrargli il nostro gps che lo convince a deviare verso est al bivio per Banfora che raggiungiamo dopo una serie di scossoni che mi fanno rompere la spallina del reggiseno. Solo alle 15.00, dopo 8 ore di pista a tratti estremamente impegnativa, raggiungiamo il primo obiettivo di oggi, la cittadina di Banfora, nella quale accettiamo di fare una sosta. Joseph è affamato e così ne approfittiamo per unirci al pranzetto che consumiamo in un modesto ristorante popolare che ha alcuni tavoli nel cortile di una casa. Le verdure abbinate al riso che assaggiamo sono buone anche se molto piccanti….ma la cosa sorprendente è il costo del pranzo. 1.700 cfa per i tre piatti che mangiamo e la coca cola da un litro…meno di tre euro totali. Dopo il pranzo ci muoviamo in direzione Kandi, la cui strada è con nostra sorpresa perfettamente asfaltata….un lavoro probabilmente recente. Ci congediamo da Joseph scaricandolo sulla strada principale del paese, lo paghiamo del compenso stabilito di 10.000 cfa al giorno più le spese per il rientro a Natitingou in taxi-brousse. Con una certa fierezza mi siedo al mio posto di copilota ed ecco che il paesaggio riappare in tutta la sua interezza. Posso così ammirare i miei alberi preferiti, i flamboiant dai fiori rossi e carnosi e senza foglie che discretamente colorano il cielo azzurro sopra la brousse gialla di erba secca. Atterriamo all’hotel Sota di Malanville, mezzi morti, verso le 18. Dopo 11 ore di viaggio…..ma l’hotel per fortuna è confortevole anche se l’acqua calda è solo un sogno, ed il climatizzatore, che fa un gran baccano, aumenta il nostro mal di testa. Costo di 22.000 Cfa. Ceniamo benissimo qui al Sota. Il cuoco ci propone un ottimo bollito servito con il suo brodo e le verdure….ed ottimi dessert.


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