17 Febbraio 2008

PARCO NIOKOLO KOBA – KAYES

L’idea di lasciare questo posto che ci ha accolti e coccolati per qualche giorno mi dispiace molto e l’ansia che ieri sera non mi faceva dormire credo sia proprio legata alla nostra imminente partenza. La paura dei serpenti, che mi ha accompagnata sempre nel corso della mia vita ha avuto ieri sera un apice davvero scomodo. Dev’essere stato quel serpente nero di ieri, che era sulle frasche vicine al fiume e che io non ho visto. Il nostro accompagnatore ha dapprima fatto un balzo indietro, poi lo ha fatto scappare lanciandogli un grosso ramo. L’emergenza però è scattata verso sera, quando le paure si acuiscono. Mi osservavo, mentre ero stesa supina sul mio lettino, con gli occhi spalancati ed il fiato sospeso …rigida come una statua. Nessun commento, a volte capita, ed io non sono un bell’esempio di equilibrio. C’è voluto tempo, molto tempo perché riuscissi a tranquillizzarmi tanto da prendere sonno , ma poi questa mattina tutte le ombre erano scomparse, tranne che sotto i miei occhi. Partiamo insomma, dopo un caldo saluto ad Omar, il simpatico cameriere, che ieri sera per non vedersi sottrarre un’altra cassetta da Vanni, ha propinato agli ospiti del lodge musica italiana cantata in spagnolo…tra cui il ballo del qua qua…inascoltabile! Salutiamo anche Moussà , ringraziandolo caldamente per la sua grande disponibilità. (Moussà Diakitè –  HYPERLINK “mailto:wassadou@niokolo.comwassadou@niokolo.com ) . Arriviamo a Tambacounda dopo aver attraversato un coloratissimo mercato ai margini della strada presso un piccolo villaggio. Le donne vestite dei loro abiti tradizionali dai colori sgargianti vivacizzano le anonime bancarelle di legno. Restiamo a Tamba solo il tempo necessario ad un Bancomat ed il rifornimento di carburante, poi viriamo verso Kidira, sul confine a 180 km da qui. Brousse ( savana ), mandrie di ovini o buoi che migrano da un lato all’altro della strada e carretti trainati dai muli. Lo scarso traffico ed i  pochi villaggi attraversati ci consentono di correre ai 100 km/h sulla strada quasi deserta. Alla frontiera senegalese poche formalità, anzi ce la caviamo con i soli tre timbri di uscita sui passaporti ed il carnet de passage. Passiamo l’ampio fiume che segna la frontiera, lo vediamo affollato di donne che lavano e bambini che sguazzano allegramente, le terre emerse interamente coperte di panni stesi ad asciugare. Sull’altro lato, dopo un chilometro circa di strada, tutta piena di camion parcheggiati pronti per il controllo doganale, entriamo negli uffici maliani dove altri timbri vengono apposti sui passaporti  già vistati ed anche sul carnet de passage. Continuiamo per Kayes, altri 100 km ed avremo centrato l’obiettivo di oggi….Attraversiamo fantastici paesaggi…fatti di foreste di baobab seminascoste dalla  foschia tipica di queste aree calde ed umide del Mali. Cambia anche la tipologia delle abitazioni qui. I muri, intonacati di “banco”,  cioè argilla mista a paglia ed agli scarti di lavorazione del burro di Karitè, sono scanalati delle impronte delle dita che lo hanno steso con movimenti circolari e leggermente lucidi. Ogni unità abitativa ha un forno, sempre di argilla, coperto a cupola. Li vediamo solitamente occupare gli angoli più anneriti  dei cortili. Pur essendo Kayes la città più importante del Mali occidentale dopo Bamako, ci appare come un grande villaggio polveroso ed incasinato. Gli edifici maltenuti ed anonimi si succedono lungo le strade asfaltate che percorriamo in cerca di un hotel. Sono le uniche due asfaltate…quelle che tagliano longitudinalmente la cittadina ex coloniale che si sviluppa su una sponda del fiume Senegal. A vivacizzare le facciate disegni e scritte dipinti per pubblicizzare l’attività che vi si svolge ai piani terra, oltre le porte senza vetrine dei negozi….e sono barbieri, venditori di tessuti o di coca cola….Le attività artigianali più rumorose e necessitanti spazio trovano posto all’esterno degli edifici , in aree dedicate , sotto tettoie di lamiera sul nudo suolo. Sono fabbri, falegnami, ed anche signore che scavano delle grosse zucche ricavandone ciotole perfettamente emisferiche …le famose calebasse. Ognuno di loro vuole venderci qualcosa mentre scendiamo a dare un’occhiata. Uno dei fabbri si avvicina chiedendoci di non scattare foto, ma noi non abbiamo nemmeno la macchina fotografica qui ….e possiamo immaginare quanto una fotografia scattata in situazioni come queste, di duro lavoro in condizioni igieniche precarie, insomma là dove non c’è proprio nulla di bello da ricordare, ma solo povertà estrema e stenti da testimoniare, possa solo essere umiliante per il soggetto che la subisce. Evitiamo quindi di offendere il loro orgoglio e la loro dignità con uno scatto inutile e passiamo oltre. Le signore ci invitano a comprare le loro zucche svuotate ed il falegname invece, che vende dei bei mortai scavati nel legno,  non vuole venderceli adducendo come scusa il fatto che lui vende solo all’ingrosso. Peccato. Continuiamo la ricerca dell’hotel con un paio di tentativi andati a vuoto, poi Vanni ci salva adocchiando un cartello che pubblicizza il Kamankole Palace, un quattro stelle nuovissimo che non compare su nessuna guida. Andiamo in fretta, nella speranza di trovare ancora una camera libera, che per fortuna c’è. L’hotel è in fase di smobilitazione da un incontro al vertice di tre ministri e le relative delegazioni, per un totale di 120 persone che lo avevano occupato per tre giorni rendendolo inaccessibile a chiunque altro. Certo le stelle di questo hotel sembrano essere state rubate dal cielo più che meritate come dice Vanni. Infatti a parte l’apparente grandeur dell’edificio visto dall’esterno, una volta entrati le magagne saltano all’occhio una di seguito all’altra. Anche qui non potremo pagare con le carte di credito….per difficoltà di connessione alla linea telefonica dicono….ma poi hanno internet e lo usano! Il costo è sostenibile, 42.000 CFA compresa la colazione per occupare una camera piuttosto squallida e con moquette, che sembra un controsenso con questo caldo. Tutti i cavi  dell’impianto elettrico corrono sotto la moquette …altro che impianti a norma! Lo sciacquone del water non funziona, o meglio scarica acqua in continuazione. Evito di commentare la posa in opera delle piastrelle e gli scassi per gli impianti …più che un bagno sembra ancora un cantiere! Neon al centro del soffitto e tendaggi made in china, come tutto l’allestimento del ristorante  di chiara impronta orientale…ora iniziamo a capire come mai un hotel costruito un anno fa sembri già così vetusto. Gusto cinese e maestranze africane rappresentano un connubio esplosivo …ci rendiamo conto solo ora. Una volta preso possesso della 121 usciamo in missione. Vanni si è accorto un paio di giorni fa che abbiamo perso un pezzo di Gazelle, una lamiera sagomata che protegge il cambio…assolutamente da rimettere altrimenti lui non avrà più pace….me ne rendo conto vedendo che ricorda esattamente la posizione di tutti i demolitori incontrati durante il nostro precedente tour della città alla ricerca dell’ hotel. Prende accordi con un certo Moussà, un ricambista dell’usato che gli promette un pezzo non originale ma analogo per domani a mezzogiorno. Non pago ripartiamo alla ricerca dell’originale presso gli altri demolitori. Trova  una toyota identica a Gazelle parcheggiata in un cortile …ma non è in demolizione ed il proprietario cattolico rispetta il giorno di riposo la domenica, quindi se ne riparla domani. Ci spingiamo anche sull’altra sponda del fiume, oltre il ponte, dove la città va gradatamente diradandosi …E’ uno spasso vedere cosa riescono a fare loro con l’acqua del fiume…sul piccolo molo che si spinge nell’acqua del fiume gruppi di persone lavano qualsiasi cosa, dalle cisterne di un camion, alle pecore, alle auto, gli indumenti e ….sorpresa….le pecore che vediamo bianchissime asciugarsi al sole. Facciamo un bel giro al mercato alla ricerca di uno spremiagrumi, ci sono arance dolcissime qui, ma nessuno che ne sprema il succo… sarebbe meglio poter fare da sé se solo lo trovassimo, un banalissimo spremiagrumi….trovo invece degli ottimi manghi, maturi al punto giusto che mangio mentre Vanni è dal barbiere. Torniamo poi in hotel, per un riposino e la cena che consumiamo tra le cornici bianche e rosse del ristorante. I cuochi senegalesi  preparano per me ottimi gamberi saltati serviti in un letto di insalata verde e per Vanni il pollo. Tutto è squisito! Un punto a favore dell’hotel.

18 Febbraio 2008

Kayes

Che sorpresa al risveglio! Una dissenteria acuta mi impedisce di muovermi dalla camera….alla fine me la sono presa in Mali! Sfumano i programmi che prevedevano di raggiungere Sandarè, un villaggio sulla strada per Bamako dove si potrebbero trovare degli smeraldi da comprare. Vanni esce per un doveroso sopralluogo in farmacia e poi a caccia del pezzo di ricambio.

20 Febbraio 2008

KAYES – BAMAKO

Dopo due giorni di digiuno totale e dieta a base di acqua zuccherata e salata per reintegrare i Sali minerali perduti per forza di cose, mi rimane una debolezza infinita e la lingua di colore verdognolo. Gazelle invece è in forma, con il suo copricambio usato perfettamente installato dopo essere stato adattato a colpi di martello e scalpello dai volenterosi ragazzi del demolitore. Vanni mi raccontava tutto, quando rientrava in hotel descriveva le sue scorribande a Kayes in compagnia di Moussà, il ricambiata. Attraverso le sue parole ho visto Kayes e le persone che ha incontrato. Il nuovo ospedale costruito da un gruppo di cattolici italiani, il vescovo che già fa il calcolo delle conversioni che questo stimolerà, non tanto per potervi accedere, quanto per uscirne vivi! Mi rendo conto di quanto sono debilitata ad ogni gesto e movimento che mi costa una fatica inaspettata…..salgo su Gazelle e prendo posto mollemente sul sedile accanto a mio marito che con un bel sorriso gira la chiavetta….si riparte! Ha i capelli cortissimi adesso, e con la sfumatura alta alla moda maliana….sembra un marine e così abbronzato è uno schianto. Sono davvero contenta di averlo sposato il mio maschione dal cuore buono che per sdrammatizzare rispondeva agli sms delle mie amiche spacciandosi per un quasi vedovo. Mentre attraversiamo Kayes per lasciarla alle nostre spalle, mi rendo conto che Vanni la conosce ormai come se fosse la sua città, con tanto di  persone che lo salutano vedendolo passare su Gazelle. Deve aver mobilitato tutta Kayes per quel pezzo di ricambio! Dopo qualche chilometro siamo ancora nella brousse, a tratti piena di alberi dalle varie chiome, frondose oppure no, fiorite oppure no. I fiori sono stati una bella sorpresa oggi lungo questi 620 km di strada asfaltata in buono stato. Dopo il vento forte che sollevando la polvere rendeva incerti i contorni delle case e rendeva la vegetazione come immersa in una nebbia rada, ecco i fiori, rossi e carnosi ad occupare le estremità dei rami spogli di una particolare varietà di albero. Un tocco di colore acceso nel paesaggio fatto di pochi colori pastello è un piccolo spettacolo. Sono gli alberi del kapok, i Bombax Costatum, leggiamo sulla nostra guida Polaris. In questo periodo hanno perduto tutte le foglie e contro il cielo azzurro spiccano le miriadi di fiori nelle tonalità dal rosso corallo all’arancio, come tulipani dai petali carnosi. Quando il fiore sparirà lascerà il posto al frutto che maturo rilascerà nell’aria i batuffoli bianchi del kapok. Che bel viaggio quello di oggi….anche per i villaggi che incontriamo che presentano un elemento nuovo. Sono pieni di granai cilindrici d’argilla coperti con un cono appuntito di canne e sollevati da terra di circa una trentina di centimetri. Il perimetro di base infatti appoggia su pietre o supporti di legno. Sembrano tanti funghi. Arriviamo a Bamako a metà pomeriggio e troviamo una camera all’hotel Rabelais a gestione francese. Si articola in un paio di edifici, diversi tra loro per tipologia e colore. Quello che contiene la reception è bianco e preceduto da un piccolo giardino che dà sulla strada principale. Al suo interno ci sono un piccolo bar, l’infermeria, un paio di negozietti di souvenir ed una pasticceria-gelateria, il tutto arredato negli stili più vari, probabilmente succedutisi per sovrapposizione negli anni e farcito di suppellettili dell’artigianato locale. Proseguendo attraverso un piccolo corridoio si arriva al retro, un cortiletto che affaccia su una stradina di pertinenza usata come parcheggio dell’hotel. Ancora oltre l’edificio azzurro che contiene le camere e che si sviluppa a corte attorno alla piscina. Al piano terra il ristorante e la cucina. La nostra camera è al primo piano, confortevole e con aria condizionata, costerà 39.000 CFA, circa 60 € al giorno. Dopo averne preso possesso ed un po’ riposato usciamo per la cena…Vanni legge di un locale qui vicino, il “Coeur d’Afrique”, un’istituzione….ma il parcheggiatore ci dice che è chiuso purtroppo, per sempre. Ci dirotta al “Pirates” sempre vicino che raggiungiamo con una breve passeggiata. Bamako è la patria della musica maliana, avendo dato i natali a Salif Keita, Habib Koitè ed Ali Farka Tourè, tutti di fama internazionale. Leggiamo che si suona ovunque qui in capitale ed anche al Pirates, tutte le sere dalle 22.00 in poi, quindi la nostra scelta è ok….sono io che invece non lo sono tanto. La breve  passeggiata mi ha depauperato di ogni forza, ed anche il filetto di bue meraviglioso che ho appena gustato non ha fatto altro che farmi tornare la nausea. Povero Vanni, anche questa sera dovrà trascorrere la serata in camera!

21 Febbraio 2008

BAMAKO

Magdalena Konaté arriva in camera verso le undici….è la dottoressa che ho fatto chiamare dalla reception. Di mezza età ed un po’ grassoccia sembra una zia, vestita del suo completo di cotone marrone in stile anni ’70 con volant colorati ai polsi e piccoli orecchini sui lobi. Ha gli occhi vispi quando mi guarda e mi chiede di spiegarle cosa succede. Ancora stesa sul letto inizio a raccontarle la cronaca della malattia, con tanto di specifiche sul cibo ingerito prima e dopo il fattaccio. Misura la pressione del sangue (106 – 65), poi inizia a tastarmi il ventre mentre ancora mi rivolge qualche domanda, quindi formula la sua diagnosi, a dire il vero un po’ incerta…per sapere esattamente di cosa si tratta prescrive una serie di analisi da fare, del sangue e delle feci. Dai sintomi non si può escludere che si tratti di paludisme ( malaria ), ma potrebbe essere altro. Torna dal breve sopralluogo in infermeria con tre cartine di pastiglie, tra cui anche un antibiotico contro la gastroenterite tifoide….insomma le premesse non sono incoraggianti, speriamo che le analisi ci rassicurino almeno sulle patologie più gravi. Mentre io rimango spappolata sul letto, Vanni incontra Modibo, il cliente di Carlo Lucchese qui in Mali. E’ arrivato a prenderlo qui in hotel con un macchinone e l’autista. Cortese e sorridente lo ha accompagnato in banca, anzi direttamente dal direttore, dove ha così potuto ritirare una bella sommetta, per di più passando oltre una discreta file di persone in attesa. Insomma un potente di Bamako questo simpatico Modibo! Ma la sua cortesia non si è limitata a questo…lo ha accompagnato agli uffici di Air France per l’acquisto dei nostri biglietti di ritorno e si è reso disponibile per l’imballaggio dei nostri souvenir presso la sua azienda, dove anche Gazelle sarà parcheggiata fino al nostro prossimo ritorno qui. Insomma una grande bazza per noi questo gentile signore. La clinica Algi è a non più di 200 metri dal Rabelais. Piccola e gestita da un gruppetto di infermiere e dottoresse che indossano bei sorrisi ed abiti coloratissimi sotto i camici che in questo clima allegro e spensierato sembrano quasi di troppo. Se non fosse per l’odore forte di disinfettante penserei di aver sbagliato indirizzo. Siamo gli unici a sedere sulle poche poltroncine della sala d’attesa. Al banco accettazione, qui di fianco a noi, una signora ha già provveduto a stampare le etichette per i contenitori e la ricevuta di pagamento…poveretta non sapeva più come spiegarmelo che avrei dovuto lasciare anche un po’ di sell, o cacà, lì in clinica…io non riuscivo a capire…ma alla fine ce l’abbiamo fatta. La mia infermiera è, come da copione, robusta ed energica, ma sempre sorridente. Prepara tre vetrini per la prova colturale del sangue, sui quali scrive i miei codici con un pennarello blu, si annaffia le mani di disinfettante ed inserisce l’ago spingendolo sempre più in profondità con un’energia che proprio non mi aspettavo. Dolore massimo! Per fortuna finisce in fretta, spalma le goccioline sui vetrini ed è finita. Torniamo al “Pirates” anche questa sera. L’accoglienza è calorosa, tutti ci riconoscono e ci trattano ormai come due clienti di vecchia data. Il gruppo di musicisti è numeroso e pian piano trovano il loro affiatamento suonando piacevoli brani un po’ di tutti i generi ….certo il reggae rende molto qui. Vanni, carino come sempre, offre loro da bere….lo meritano proprio questi ragazzi!

22 Febbraio 2008

BAMAKO – NARENA – KOUREMALE’ – KANGABA

Una giornata indimenticabile quella di oggi…innanzitutto perché io finalmente dopo i pilloloni di antibiotici sto meglio , poi perché siamo diretti proprio nel cuore di quello che fu il grande impero del Mali, la regione Mandingo. Questo piccolo itinerario ci impegnerà per un paio di giorni, e non essendoci possibilità di essere alloggiati in strutture decenti anche se spartane, dormiremo nella nostra tenda cinque stelle…al bivacco. Partiamo dopo una colazione abbondante a base delle mitiche ciambelle del Rabelais….una consolazione preventiva per l’attraversamento di Bamako che ci aspetta tra poco. Per raggiungere Narena infatti, il primo villaggio del nostro tour, percorreremo la strada che si spinge verso la Guinea….che guarda caso parte proprio dalla parte opposta della città della quale disponiamo di una cartina così sommaria da risultare inutile. Sarà per me una buona occasione per vederla finalmente questa città, considerando che i giorni scorsi il mio mondo era circoscritto all’interno del triangolo ai cui vertici erano l’hotel, la clinica ed il ristorante Pirates!  Alcuni alti edifici emergono sul profilo basso della città che sfiora il fiume Niger, i volumi scatolari del Sofitel, il grattacielo etnico della zecca di stato e poco altro. Alcune ampie strade attraversano come arterie ordinate la città , così diverse dalle strette strade non asfaltate con fogne a cielo aperto sulle quali affacciano le case vere dei quartieri storici. Il traffico oggi è scorrevole nonostante si tratti di una capitale e per di più africana! Gli imbottigliamenti di Nouakchott sono solo uno scomodo ricordo, mentre circoliamo in questo flusso ordinato di una città che sta crescendo con buone intenzioni ed ottime strutture. Raggiungiamo il quartiere Djikoroni  in un tempo ragionevole …è proprio da qui che la nostra strada prende inizio. Al bivio seguiamo la strada con lavori in corso sulla destra. C’è una discreta foschia e molto calore che sentiamo entrare dai finestrini aperti, così i monti Mandingo sulla nostra destra ci appaiono un po’ sfuocati. Attraversiamo piantagioni di grandi alberi di mango, distese di sportine di rifiuti, alcuni piccoli villaggi mandingo fino ad arrivare a Siby, un grosso villaggio ai piedi della falesia dove decine di bancarelle vendono solo i profumati frutti di mango. Continuiamo verso Narena, dove le falesie di arenaria si articolano in erosioni bizzarre  tra cui un gigantesco dito di roccia staccato dalla parete e apparentemente in miracoloso equilibrio. Appena arrivati in paese chiediamo ad un poliziotto di un posto di blocco come possiamo fare ad incontrare gli orpelliers, i cercatori d’oro che sappiamo essere proprio da queste parti. Ci dice di raggiungere l’edificio dell’armeria che ci indica a qualche decina di metri verso l’interno. Là troveremo il capo del villaggio che senz’altro ci aiuterà a trovarli. Il capo è sorridente e cortese nel suo caffettano blu acceso. Gli spieghiamo brevemente e lui subito ci presenta Namuri Keita, un ancien combattent, come ci dice lui appena salito in auto, poi spiega meglio….c’era la ribellione negli anni tra il 1976 ed il 1977 nei territori sul confine con il Burkina Faso….ma non capiamo bene se lui era uno dei ribelli o se invece combatteva contro di loro. Quest’uomo magro e non più giovane si mostra subito preparato, energico ed un po’ autoritario. Malcelando la sua indole al comando dà indicazioni secche a Vanni e controlla con fare inquisitorio se ho scritto bene il suo nome sul mio foglio di appunti, così come il nome della zona nella quale siamo diretti, Narema Kelebani. Seguiamo la breve pista che si insinua nella brousse , poi scorgiamo dei colori e dei corpi in movimento….siamo arrivati. Un piccolo mercato alimentare precede l’area di scavo vera e propria che si estende su 600 mq. all’ombra dei piccoli arbusti rimasti superstiti. C’è così tanta gente qui… sembra che un intero villaggio vi sia arrivato alla ricerca dell’oro, chi a piedi, chi in taxi-brousse…tutti ora sono in gran fermento. Superato il gruppetto dei mercanti d’oro, ora sonnacchiosi ad aspettare il bottino della giornata, e le signore intente a friggere soffici frittelle e fette di mango, zigzagando tra i bracieri dove si stanno cucinando spiedini di carne, arriviamo dal boss della miniera , che Namuri ci presenta. Una stretta di mano e gli innumerevoli  – ca va?- …d’obbligo qui in Mali ogni volta che si incontra qualcuno, anche se solo per chiedergli una indicazione per strada. Dopo i convenevoli Karim Traore ci fa  capire che se vogliamo visitare e fotografare il sito di scavo che lui gestisce dobbiamo scucire 5000 CFA. Eseguiamo all’istante. Ci inoltriamo camminando sulla terra battuta dai tanti piedi che vi circolano, attenti a non mettere il piede in fallo. Gli scavi avvengono in sezioni circolari del diametro di circa 60 cm e scendono fino alla falda di terreno aurifero la cui profondità varia dagli otto ai dieci metri. Sul fondo dei buchi attivi, uomini seduti in posizione yoga scavano a 360° attorno a loro stessi creando così cilindri perfettamente ergonomici, cioè costruiti sulle dimensioni del loro corpo in posizione seduta. Quasi non li si vede laggiù, nel buio dello stretto pozzo che ogni tanto si riempie d’acqua. Piccole nicchie scavate nella parete verticale consentono loro di scendere o salire, la torcia fissata sulla fronte ed una piccozza rudimentale …tutta l’attrezzatura è qui. Sopra il buco una folla ….parenti o amici?….che tra una chiacchiera e l’altra sollevano dal basso un contenitore pieno di terra legato ad una corda. Il lavoro di fino lo fanno le donne. Armate di calebasses, immerse nell’acqua limacciosa fino al ginocchio, le gonne rimboccate alla cintola si prodigano nel lavaggio del terreno alla ricerca di qualche pagliuzza d’oro. Con armoniosi movimenti rotatori della grande zucca eliminano argilla e detriti , poi ancora rigirano tra le mani il recipiente aggiungendo sempre un po’ d’acqua, fino a quando sul fondo non è rimasta che una polverina nera. Una di loro mi mostra orgogliosa il frutto del suo lavoro. Ha un bel sorriso  perchè quella sabbia nera…brilla….è piena di preziose pagliuzze. Poco oltre un’altra donna sta lavando un bambino di qualche mese….sempre dentro una grande calebasse. Ci sono tanti bambini qui, soprattutto piccolissimi  legati a fagotto sulla schiena delle loro madri al lavoro. Finito il giro torniamo da Karim il boss. Sta raccogliendo il frutto del lavoro di un minatore. Ancora coperto di fango rappreso, sta soffiando via dal suo bottino di oggi gli ultimi granelli di sabbia nera. Karim è pronto  con la sua bilancina protetta da una scatola di cartone come riparo dal vento (che non c’è), che potrebbe influire sulla pesata. L’oro finisce dentro un tubetto vuoto di medicinali, il minatore afferra le poche monete che gli vengono date come compenso, 500 CFA per 0.15 grammi di pagliuzze. Dopodichè scattano le richieste. Parte da lontano Karim….dalla generosità sempre dimostrata da parte degli italiani nei confronti del popolo maliano,  per esempio fornendo ed installando pompe per l’acqua nei villaggi. Qui al campo guarda caso il gruppo elettrogeno che fa funzionare le pompe per l’estrazione dell’acqua dai buchi è rotto. Karim propone 1 kg. di oro a 24 carati in cambio del gruppo ( F4L 812 DEUTZ ) senza il quale la miniera rende al 40%….e questo è un disastro per tutti, dal primo all’ultimo degli attori di questo che più che altro sembra uno strano rito vissuto da una collettività in festa. (Karim Traore tel. 3101742). Vanni non si sbilancia, ma prende nota del modello del pezzo da sostituire….ci penserà. Intanto si è fatto tardi per noi che dovremmo raggiungere Kangaba  seguendo una pista che non sappiamo bene dove prendere, quindi ci congediamo da tutti diretti a Kouremalè sul confine, dove chiederemo. Arrivati al primo posto di blocco ci sconsigliano di proseguire seguendo la pista per Banankoro. C’è proprio una pista che dal villaggio che abbiamo appena attraversato, ad un paio di chilometri da qui, porta direttamente a Kangaba . Seguendo alla lettera le indicazioni giriamo a destra proprio all’altezza del villaggio sulla stretta stradina costeggiata dalle bellissime abitazioni cilindriche di argilla coperte con il caratteristico tetto a cono di paglia e legno. Davanti alle case, leggermente defilati , vediamo dei piccoli forni cilindrici di argilla, sono aperti in alto e servono per la tostatura dei semi del karitè …dai quali poi si farà il famoso burro. Oltre il villaggio si apre la pista di terra rossa che attraversa la brousse verso Est. Ai bordi i caratteristici termitai a fungo, gli alberi delle tipologie più svariate, ma nessun altro essere umano nei 33 km. che ci conducono alla meta….solo un ragazzo in bicicletta ed un uomo che cammina accanto ad un bue. Attraversiamo anche un paio di villaggi sperduti, dove l’HIV deve essere un problema serio a giudicare dai grandi cartelli che inneggiano all’uso del preservativo. Strano vederli qui tra queste capanne, dove tutto sembra immobile a parte i bambini che corrono seminudi tra la polvere. Che fascino questi luoghi e che felicità essere qui ad assaporarli, anche solo per un istante. Intanto il sole calante allunga le poche ombre sulla nostra strada e restituisce al paesaggio la sua atmosfera più magica. Quando arriviamo a Kangaba, un villaggio sacro, è già quasi sera. Ci guardiamo attorno  alla ricerca di qualcosa…ma cosa? Leggiamo un cartello che pubblicizza un hotel…sembra incredibile che ne esista uno in questo villaggio sperduto….incredibile ma vero! Lo raggiungiamo grazie ad un ragazzino che si offre di accompagnarci…ed eccolo, l’hotel più scassato di cui abbia memoria e la notizia strana è che tutte le camere sono occupate…che sollievo! C’è il ministro del turismo con tutta la delegazione al seguito ci comunica il giovane gestore…e rifiuta anche la nostra proposta di campeggiare nel cortile di pertinenza, utilizzando il loro bagno pubblico. Addirittura si inventa una storia….dice che con il ministro ci saranno anche gli agenti segreti …e lui non vuole casini con noi in tenda nel cortile….problemi di sicurezza?! ….non vorrebbe dover essere costretto a chiudere l’attività per via della nostra presenza lì….Che fantasia questi maliani. Ma quale ministro! Le camere, scopriamo poi, sono occupate da ragazzi e ragazze arrivati da Bamako in occasione della fiera Mandì che inizierà domani. Ma che sciocco questo gestore…scomodare addirittura il ministro. Usciamo dall’hotel dopo una birra consumata nel tavolino della pista da ballo all’aperto che già spara musica a tutto volume. Passando davanti alla gendarmeria a Vanni viene l’idea di chiedere se possiamo campeggiare lì. Come sempre ci viene indicato il capo, il Maggiore Djibrillo Maiga, comandante della brigata di Kangaba ( 6144991 – 6762560) che ci si rivolge con una gentilezza e pacatezza davvero esemplari. Gli spieghiamo che dobbiamo trovare un posto dove fermarci con la tenda per dormire…un posto che sia sicuro per noi, e dove non essere d’impaccio a nessuno. Ci consiglia di andare alla spiaggia, in riva al Niger, vicinissima al paese. Addirittura ci accompagna a vedere il posto salendo in auto con il suo piccolo Mohamed di quattro anni. Nonostante il posto sia davvero incantevole vanni non ne vuole sapere….troppo isolato ed esposto a rischi di ogni genere. Torniamo quindi alla gendarmeria dove ci congediamo dal comandante ringraziandolo per l’offerta di accomodarci senza problemi nello spiazzo antistante la gendarmeria, che accetteremo, e per la cortesia concessaci. Certo dormiremo tranquilli questa notte….col machete in auto ed i gendarmi a due passi…ma il bagno?…dovremo fare in qualche altro modo, cioè senza! Dopo il sopralluogo nello spiazzo torniamo in hotel per la cena….è l’unico ristorante qui. Ci accomodiamo di nuovo al nostro tavolino in pista dove consumiamo la nostra cena con accompagnamento di musica africana, bella ma a tutto volume! Siccome siamo bianchi ci vengono date le posate e due tozzi di pane. La cena è semplice ma saporita e presto l’atmosfera si anima del ballo di un gruppo di ragazze arrivate per tempo da Bamako. Non resisto, ed anche se sono ancora debilitata mi faccio prendere dal ritmo e sulle note del noto musicista maliano Mangala Camara, mi unisco al gruppetto disposto a cerchio e ballo con loro. Sono simpaticissime, mi prendono in mezzo, mi imitano…insomma ci divertiamo. Del ministro ed i suoi agenti segreti nemmeno l’ombra….ma si sa, loro se ne stanno ben nascosti! In tenda c’è un caldo torrido ed il gendarme di guardia che guarda la tv, fuori dalla porta, a pochi metri da noi, tiene il volume altissimo…ma poi ci addormentiamo.

23  Febbraio 2008

KANGABA – BAMAKO

Mi sveglio tardissimo, dopo che Vanni si è già preparato il Nescafè nella bottiglia dell’acqua….ma per la colazione vera andiamo in hotel dopo un cordiale saluto al comandante Djibrillo e la sua piccola truppa. Un tè nero , un altro Nescafé caldo per Vanni ed un pezzo di pane…c’est tout! La marmellata qui non c’è. Mentre banchettiamo arriva un ragazzo già visto ieri sera, ci saluta e molto gentilmente ci chiede come abbiamo risolto il problema del nostro pernottamento…è il DJ che animerà la festa di oggi, sorridente e dall’aria sveglia. Ne approfitto per chiedergli un consiglio su eventuali cd da comprare, la musica di ieri sera mi piaceva molto, quindi ecco i suoi preferiti: Fodebaro ( musicista della Guinea ), Ali Farka Tourè ( il cd edito dal figlio che contiene una sua raccolta dal titolo “ vieux Ali Farka Touré”), Mangala Camara ( musicista maliano) EMI. Li troverò nei negozi del quartiere Debanane di Bamako.  Ma abbiamo ancora qualcosa da fare prima di rientrare in capitale, per esempio ….tornare sul fiume per vederlo in pieno sole e poi andare a vedere ciò per cui questo paese è famoso, la sua Casa Sacrée. Seguendo il lungo sentiero alberato che porta la fiume incrociamo un gran numero di carretti, pedoni e muli che preannunciano il grande fermento di attività che vi troveremo. Infatti ecco i pescatori lanciare le reti circolari dalla prua delle loro piroghe scure ed affusolate, altri costruiscono reti seduti sulla spiaggia, altri ancora aspettano sotto una tettoia di stuoie che arrivi la pinasse ( una piroga un po’ più grande) a prenderli per  traghettare sull’altra riva. Poi ci sono le immancabili lavandaie che piegate a 90° e con le gonne alzate oltre il ginocchio lavano e quindi stendono sulla sabbia ad asciugare, molti metri quadrati di bucato. Nel quadretto non mancano certo i bambini, sempre inseparabili dalle loro madri fanno ciò che tutti i bambini fanno in queste occasioni….sguazzano ridenti nell’acqua.  Intanto la pinasse arriva carica di persone, motorini e biciclette che vengono scaricate a forza di braccia…e qui le braccia non mancano mai per aiutare qualcuno! Per curiosità chiedo al costruttore di reti  quali pesci si pescano qui e lui risponde che ce ne sono di due tipi, il Capitain e la carpa. Vicino all’incrocio con la strada per Bamako ci fermiamo per la visita alla Casa Sacrée  di Kangaba. Patria dei miti e degli eroi dell’Africa occidentale, quello che ora è solo un grande villaggio fu un tempo la culla dell’antico impero del Mali, dove leggenda e magia si fondono. L’epicentro di questo patrimonio di tradizioni e conoscenza  è la Casa Sacrée, al centro del paese e sotto gli occhi di tutti. Piccolo edificio circolare intonacato e colorato di un indefinibile colore chiaro. Alcuni disegni colorati ne vivacizzano il perimetro, saranno senz’altro il simbolo di qualcosa penso io….due porte murate proteggono i misteri che questa casa contiene, mentre un tetto di paglia a cono ne fa da coronamento. Ogni sette anni si riuniscono qui i cantastorie provenienti dal sud per officiare il rito della manutenzione del tetto. Si dice che i due più puri tra le persone coinvolte nel lavoro, un uomo ed una donna, si impegnino in quella circostanza , con la sola forza delle loro formule magiche a sollevare il grande cono ed a posarlo delicatamente a terra, dove finalmente inizia il restauro. Una storia incredibile…vorrei proprio vederli questi due fenomeni! La poesia e la magia di questo luogo scema un po’ quando un bambino che mi vede fotografare mi suggerisce di raggiungere un gruppo di anziani lì vicino che mi indica puntando il manico della sua vanga. Sono i custodi della Casa, tre fannulloni  seduti all’ombra di una tettoia antistante un piccolo emporio. Salta fuori che se voglio scattare foto devo scucire 2500 CFA, sembrava strano che fosse gratuito! Ci liberiamo a fatica del gruppetto di mocciosi che improvvisandosi modelli sbucavano sempre davanti al mio obiettivo per poi volersi rivedere sul display della macchina fotografica…deliziosi…. Raggiungiamo Bamako dopo circa tre ore di pista un po’ dissestata, 90 i chilometri percorsi, dopodiché troviamo con facilità la strada che porta all’hotel Rabelais….ormai siamo di casa qui in capitale! Già che ci siamo andiamo in clinica a ritirare il mio primo referto della malaria che per fortuna è negativo. Mentre io riposo al fresco della nostra camera Vanni scende a dirigere i lavori di pulizia di Gazelle e di disinfestazione della tenda che questa notte era piena di zanzare. Questa sera l’aria densa della città odora di fogna. L’odore è ovunque, anche nei luoghi sigillati come la nostra camera dove passa filtrato dall’impianto di condizionamento. Quando usciamo per andare al nostro Pirates per la cena, una foschia fitta, forse polvere, rende le strade quasi spettrali…insomma non un granché questa capitale. Stesso tavolo, stessa cortesia,  ordiniamo gli stessi piatti dell’altra volta…più abituée di così ! Ottimi sia il potage di verdure che il filetto di bue. Tanto per rimarcare il fatto che siamo degli incredibili abitudinari Vanni offre anche questa sera un drink ai musicisti, sono tre ed un po’ fiacchi….ma poi inseriamo una piccola variazione chiedendo al proprietario l’indirizzo dell’artista autore delle sculture al piano terra. E’ Raoul, un cubano che però non ci raggiunge in tempi brevi, tanto vale ricontattarlo al nostro ritorno qui tra una ventina di giorni.

24 Febbraio 2008

BAMAKO – SEGOU

Lasciamo il Rabelais verso le 10 diretti a Segou, città popolosa che si affaccia sul fiume Niger a sud-est di Bamako. Attraversiamo il grande ponte des Martyrs e dopo qualche chilometro ci inseriamo nella grande arteria che attraversa tutto il Mali fino a Gao, sul confine con il Niger. Siamo ancora nella brousse che qui sembra ancora più secca…per il colore giallo acceso dell’erba alta. Attraversiamo molti villaggi animati dagli immancabili mercati affollati e coloratissimi, poi ci fermiamo di colpo nei pressi di un centro abitato. Abbiamo finalmente visto uno di quei forni cilindrici di argilla pieno delle noci di karité  dalle quali si estrae il burro. Appena ci avviciniamo arriva il padrone di casa, un ragazzone alto e sorridente che ci conferma la nostra ipotesi, sono davvero le noci di karaté…e non solo, ci porta anche all’interno della sua “concessione”, il terreno di pertinenza sul quale affacciano disposti sul perimetro i piccoli edifici, ovvero le stanze della casa. Al centro c’è lo spazio vitale della casa, il cortile, nel quale si svolgono tutte le attività all’aperto della famiglia e qui occupato in parte da tre stupendi granai a fungo, pieni di miglio ed arachidi dice lui,  oltre alle decine di pentoloni, bacinelle e mortai sparsi a terra. Un’anziana signora seduta all’ombra di una tettoia e circondata di pentolini ci saluta e ci invita a raggiungerla. Ha in mano un contenitore di plastica pieno di burro di karaté appena fatto.  Lo mangiano loro questo burro, ci dice il ragazzone, e lo usano anche come medicinale, ma non specifica oltre. Inizia invece a raccontare la lunga procedura da seguire per farlo, che partendo dal frutto, grande quanto un’albicocca e dalla polpa bianca e burrosa, si concentra poi sul suo seme che cotto nei forni che abbiamo visto perde così la scorza legnosa. I semi vengono poi macinati a forza di braccia nei mortai, quindi si amalgama  questa farina con acqua bollente per ottenere una pasta scura che verrà ancora  rimescolata  con le mani  aggiungendo acqua finché essa cambia colore e diventa bianca. Allora si farà riscaldare nei pentoloni e dalla schiuma di bollitura si otterrà finalmente il burro….ma che bella lezione quella di oggi! Chissà se Rebecca conosce tutta la trafila che c’è dietro al prodotto finito che lei commercializza in Italia! Ci congediamo dalla gentile famigliola lasciando una piccola mancia non so quanto gradita. Continuiamo a viaggiare lungo la strada  per Segou  tra la paglia gialla della brousse disseminata di alberi di ogni forma e dimensione, qua e là villaggi di argilla con i bellissimi granai a fungo, poi una decina di chilometri prima della città, fermi ad un posto di blocco, chiediamo al poliziotto dove inizia la pista per Segou Koro, l’antica capitale del grande e potente regno Bambara, il cui fondatore Biton Mamary Coulibaly regnò tra il 1712 ed il 1755. – La pista inizia proprio dietro la prima bancarella sul bordo strada alla nostra sinistra, là dove ci sono quelle pecore che brucano sulla spazzatura – risponde il poliziotto. Che fortuna esserci fermati proprio qui! Raggiungiamo quello che è ormai solo un grande villaggio percorrendo una stretta pista che dalla statale si spinge verso il fiume, ed ecco le prime case di argilla, i granai, poi il centro abitato che percorriamo per un breve tratto prima di essere agganciati da un paio di ragazzi che si propongono come guide. Proprio quello che ci vuole…ci sono tre o quattro cose interessanti da vedere qui e se loro ci accompagneranno noi ci risparmieremo la fatica di cercarle. La tassa è obbligatoria, 2500 + 2500, più quello che riterremo di voler dare alla guida per il disturbo. Gazelle rimarrà custodita da uno dei due sotto l’unico albero della piazza, mentre noi ci incamminiamo sotto il sole cocente del primo pomeriggio. Vanni come in un gioco di prestigio estrae dal fondo del sedile posteriore un ombrello mai visto prima, forse dimenticato dal precedente proprietario….è proprio quello che ci vuole…. affrontare questi 40°C  con il comfort  dell’ombra. Andiamo. Il villaggio sembra deserto, ma poi vediamo dove sono tutti…in riva al fiume a godersi l’ombra dei grandi alberi frondosi oppure direttamente a bagno nell’acqua fresca del Niger . Queste case sono le prime che vediamo in stile Bambara, dalle caratteristiche forme arrotondate, come per l’effetto del dilavamento degli intonaci che sono realizzati con il banco, un miscuglio di fango, crusca di riso ed i residui della lavorazione del burro di Karitè , tanto per aumentarne l’impermeabilità. Gli intonaci sono stesi a mano, cioè proprio con le mani….se ne vedono le impronte delle dita lasciate nei movimenti circolari della messa in opera. Ci sono un paio di belle moschee qui. I contrafforti sono a lesena e sporgono in alto oltre il limite dei muri perimetrali con forme arrotondate appunto, come gelati a stecco già un po’ succhiati. La cosa divertente è che per necessità il coronamento in cima ai minareti è costituito da bellissime uova di struzzo anziché  le sfere d’oro caratteristiche dell’architettura sacra araba. Andiamo anche a visitare una piccola scuola cranica con le caratteristiche tavolette di legno a forma di preghiera sulle quali sono scritti in arabo i versetti coranici. Vanni ne afferra una e posa per me….sembra un angioletto quando lo inquadro sul display! Andiamo poi alla tomba del fondatore, il mitico Biton, animista convinto e che non vedeva di buon occhio le moschee che sua madre convertitasi aveva fatto costruire…..queste madri! Lasciamo infine il villaggio percorrendo a ritroso la pista fino alla nazionale, poi gli ultimi dieci chilometri fino alla piacevole Segou dove troviamo una camera all’hotel Djoliba che gestito da tedeschi sembra la scelta migliore in città. L’hotel è ombroso e pulito, per non parlare del duplice effetto del condizionatore e ventilatore a pala …alla vista dei quali Vanni va in brodo di giuggiole. Riposo fino al tramonto gestendomi tra la camera ed il pergolato mentre il mio amore esce a socializzare ed a sondare un po’ il terreno, ma al tramonto, quando raggiungiamo insieme la riva del fiume ci si spalanca un mondo nuovo ed affascinante. Stiamo sul moletto ad osservare i preparativi per il mercato di domani come incantati dal fermento inarrestabile di pinasse e piroghe in arrivo ed in partenza. Sono piene di merci e persone. L’acqua della riva e’ tutto un ribollire di corpi umani ed animali. C’è chi scarica le merci dalla cima delle pinasse, chi dirige i lavori, chi afferra bacinelle o scatoloni, o ceste piene di cose. Ci sono i muli, nell’acqua alta fino alla pancia in attesa che i loro carretti vengano riempiti, chi scarica pezzi di legno secco, o un letto matrimoniale smontato….la  processione delle merci va verso la spiaggia vicinissima e già affollata di gente e contenitori….una meraviglia, per di più accompagnata da quel piccolo miracolo che si ripete ogni sera, il tramonto. Ancora incantati dallo spettacolo continuiamo la passeggiata lungo il fiume, tra le belle architetture di argilla colore rosso acceso mentre pensiamo… che bel posto è Segou la domenica sera!  Ceniamo al ristorante di fronte all’hotel  dove ci ha consigliato di andare il referente di Vanni, un giovane ragazzo rasta carino e preparato, ma che vuole rifilarci una guida a 100 € al giorno per la visita dei paesi Dogon. C’è musica dal vivo questa sera qui al ristorante…e che musica! Quattro suonatori di calebasses utilizzate per costituire quattro diversi strumenti musicali…..cosa non riescono a fare con queste zucche! Accompagnano la nostra cena mediocre con suoni e canti paradisiaci…è la musica Bambara il cui canto racconta di storie d’amore…e di sesso, a giudicare dai risolini che a tratti increspano le labbra dei cantanti e dei locali che ci capiscono qualcosa…che soavi melodie!

25 Febbraio 2008

SEGOU – DJENNE

Ci svegliamo presto e andiamo subito al mercato dove tinozze di pesce secco e sacchi di granaglie , pentole di latta e collane di perline unitamente alle verdure tutte e l’immancabile frutta rendono pittoreschi gli spazi deserti di ieri sera . Certo la bellezza dei preparativi alla luce del tramonto rimane insuperata. Lasciamo gli odori intensi del mercato per intraprendere il viaggio di circa 300 km  verso Djenne. Attraversato il fiume Bani, un affluente del Niger,  eccoci in territorio Bobo, altra etnia, altra cultura. La differenza più evidente per noi che passiamo tra i villaggi in auto è nella collocazione dei granai, mentre nei villaggi Bambara ogni “concessione” (unità abitativa) ha al suo interno i granai della famiglia, i Bobo hanno tutti i granai raggruppati in un unico punto del villaggio perché considerati un bene della collettività che in quanto tale deve essere difeso da tutti…differenza profonda e culturalmente rilevante. Siamo quasi arrivati a Djenne quando lasciamo la statale e seguendo l’indicazione che non lascia spazio a dubbi deviamo a sinistra dirigendoci nuovamente verso il fiume. Al posto di blocco subito dopo la deviazione paghiamo il biglietto di ingresso in città, un obolo di 1000 CFA a testa…per il restauro della moschea ci dicono…per la quale la città è diventata famosa nel mondo. Proseguiamo verso il delta interno del Niger diretti all’isola sulla quale sorge la “regina del delta” come è stata da tempo soprannominata, la bellissima Djenne. Attraversiamo le  fertili pianure ora in secca, piene di mandrie al pascolo. Il vederle rimanda ad un’idea di abbondanza e ricchezza che mi da un senso di grande sollievo…finalmente mi abbandona il senso di colpa evidentemente latente legato al fatto che io posso mangiare tutti i giorni…non me ne ero mai resa conto fino ad ora, .troppo sensibile?….E’ senz’altro così, ma così è! Arriviamo al fiume Bani dopo aver attraversato alcuni paesini Bobo e Pehul  con belle e piccole moschee in stile sudanese, sempre caratterizzate da linee morbide ed arrotondate come a suggerire l’ erosione delle piogge che arriveranno puntuali nei mesi di luglio e agosto. Le pareti esterne sono punteggiate di bastoni lignei  conficcati nella muratura….è una caratteristica stilistica forte questa e legata ad un problema pratico oltre che strutturale. Da un lato i bastoni in aggetto servono ad irrobustire i muri portanti, dall’altra fungono da impalcatura agevolando le operazioni di intonacatura che avvengono ogni anno. Arriviamo al fiume e con la solita fortuna saliamo sul Bac (traghetto) che è appena arrivato. Dietro di noi un carretto trainato da una coppia di asini è pieno di merce …sarà senz’altro un ritardatario che si reca al mercato del lunedì. Sul Bac oltre a turisti e locali a piedi o in bicicletta ci sono anche una serie di venditori di souvenir che propongono oltre alle collanine e ninnoli vari anche delle incredibili automobiline costruite piegando il metallo delle scatole di conserva o delle lattine di bibite…è proprio vero che qui in Africa nulla si perde, ma tutto si trasforma! Djenne ci appare subito dopo il ponticello, i contorni resi indefiniti dalla calura, le case del colore della terra. La terra è ovunque, anche nell’aria, sollevata dal movimento incessante generato dal grande mercato che occupa la piazza antistante la moschea, quest’ultima di una bellezza sorprendente. Ci facciamo largo su Gazelle tra la folla in lento movimento che intasa la strada tangente la piazza. Certo abbiamo un bel problema….al telefono con l’hotel Le Maafir, il migliore qui, anche questa mattina mi hanno confermato che non hanno stanze libere…. e nemmeno negli altri hotel della città si trova qualcosa. Che guaio! Sull’isola per di più non ci sono spazi dove campeggiare, stipata com’è di case. Vanni insiste di voler andare  al Le Maafir a controllare se davvero è pieno ed io che  trovo l’idea nient’altro che una perdita di tempo lo guardo con l’aria un po’ seccata …..ma poi la camera libera ha dato ragione alla sua ostinazione. Vanni ha spesso delle intuizioni geniali, ed una grande dose di fortuna che un po’ gli invidio. Un paio di turisti, ci dice il proprietario come per giustificarsi, hanno telefonato per disdire e così la camera n° 1 è nostra. Piccola ma fresca e con bagno…praticamente un regalo! L’hotel è ad un solo piano e si sviluppa  attorno ad un giardino dove i pochi alberi stanno ancora crescendo. E’ costruito in terra cruda ricoperta di “banco” secondo la tradizione locale, alcune camere si affacciano sul giardino attraverso piccoli loggiati  a nicchia con archi ad ogiva. Sui muri grigi di terra risaltano le cornici bianche delle porte  e delle finestre. Gli uccellini cantano svolazzanti ed i lucertoloni variopinti nei colori rosso blu e bianco prendono il sole aggrappati ai muri. Rimaniamo un po’ seduti  sulle poltroncine di vimini al centro del giardino, tanto per lasciare il tempo al calore di sbollire un po’. Mentre siamo lì a scrivere e a guardare i lucertoloni ci rendiamo subito conto di essere circondati da italiani. E’ un viaggio organizzato da KEL 12, sono tutti un po’ attempati a parte il loro accompagnatore di origine libanese ma che vive a Bamako, Ismail. Belloccio e  simpatico finisce col dare a Vanni un sacco di preziose indicazioni sulle mete che raggiungeremo nei prossimi giorni….numeri di telefono di guide da contattare, sia per i paesi Dogon che per il deserto a nord di Timbuctu, i migliori hotel dove soggiornare. Rimaniamo bloccati in hotel per il caldo insopportabile fino alle diciotto, poi usciamo per un giro di perlustrazione nella piazza dove il mercato inizia a sfaldarsi…vista l’ora. E’ tutto un movimento di carretti carichi e scatoloni che passano da un posto ad un altro. La moschea con la sua mole imponente ed i minareti sembra modellata dall’acqua. Saliamo sulla terrazza di fronte, parzialmente ombreggiata da un riparo di stuoie, da qui la vista della piazza e della moschea in controluce è splendida. Per salire siamo passati dentro la cucina  in piena attività di un’abitazione, mentre i bambini piccoli volevano a tutti i costi prenderci per mano. Sono un amore, con quella pelle che sembra velluto e gli occhi sempre sorridenti. Saliamo brevi rampe di scalini in muratura, larghe poco più delle nostre spalle e con alzate impegnative, ma poi eccoci di fronte alla spettacolare vista della piazza ancora in grande fermento e della moschea trafitta di bastoni. Rimaniamo giusto il tempo di vedere calare il sole dietro la moschea, poi torniamo sui nostri passi e ci fermiamo un attimo dal sarto a poche decine di metri dall’hotel. E’ un ragazzo giovane che confeziona abiti con la sua vecchia Singer a pedale, un pezzo da museo, e che sembra sapere il fatto suo. Mi accordo sulla riparazione dei miei pantaloni dipinti a mano presi a Segou ieri….sono troppo larghi. Dopo qualche minuti torno con i pantaloni recuperati in camera, gli spiego come fare, ma ad ogni parola ribatte con un – è il mio lavoro – inutile parlarne ancora….si ma lui non vuole nemmeno prendermi una misura! Torno in hotel, dove Vanni, gentile come sempre e grato di poter fare finalmente una bella chiacchierata in italiano con qualcuno che non sia io, sta organizzando uno spuntino a base di formaggio grana per il gruppetto di Italiani…E’ un successo…non solo per il formaggio che gradiscono, ma anche per i racconti dei nostri viaggi che Vanni  profonde con generosità. Il cielo è pieno di stelle quando ci accomodiamo in giardino per la cena,  poi stremati dal sesso e dal caldo sveniamo sotto la zanzariera del nostro letto appena increspata dal ventilatore.

26 Febbraio 2008

DJENNE

Ci trasferiamo dalla camera 1 alla numero 12 che è più grande e con aria condizionata…con il caldo che fa suona come una promozione! Ci prendiamo il nostro tempo per qualche coccola ancora, poi usciamo prima che il calore renda difficile qualsiasi movimento. La piazza oggi è quasi deserta senza il mercato ad animarla, ed anche nelle stradine lungo le quali camminiamo  si respira una quiete da the day after. E’ bella Djenne, con le sue antiche case di fango decorate in alto con merlature liquefatte ed i volumi delle case che si compenetrano alla rinfusa creando dei bei chiaroscuri. Ogni casa si sviluppa su uno o due piani ed ha un suo cortile interno sul quale affacciano le stanze e dove riposano capre e muli. La terrazza è su ogni tetto, per il fresco notturno e per l’essiccazione delle granaglie e del bucato, vi si accede da strette scalette che si incastrano tra i volumi miracolosamente salde nella loro struttura di argilla cruda. Le più antiche hanno facciate decorate da lesene terminanti in merlature arrotondate, tra queste alcune hanno la porta d’ingresso protetta da un piccolo riparo ricavato dalla spanciatura del muro che piega come arricciandosi verso l’esterno. La pace di oggi è impagabile, il lavoro del sarto perfetto….più tardi gli porterò ancora un po’ di lavoro da fare. Quando il sole inizia a scendere verso l’orizzonte usciamo di nuovo dalla nostra zanzariera bianca immersa nel bianco delle pareti passate a calce. Solo ora noto il soffitto che si articola in un paio di livelli, come due gradini dal profilo arrotondato alti circa 20 cm l’uno, a formare il più esterno un rombo con gli angoli arrotondati, il secondo più interno una sorta di otto…risultato, sembra una grande vagina spalancata. Per le strade della città ancora il silenzio del lavoro dei pochi artigiani protetti nelle loro stanze al piano terra. I bambini sono i veri protagonisti delle strade oggi, e della piazza che si è trasformata in un campo di calcio. Non si muove una bava d’aria e pian piano la polvere sale dalle strade di terra creando una sorta di densa foschia….irrespirabile. Torniamo in hotel giusto in tempo per l’ennesimo black out  che non si risolve, fumiamo una sigaretta al buio e poi, armati delle nostre torce torniamo verso la piazza illuminata, solo in parte dalla luce fioca di qualche neon sparso qua e la in modo casuale. La quasi totale assenza di luce pubblica ci regala in compenso un cielo stellato favoloso ad ogni alzata di capo. La maggior parte delle persone che affollano le strade a quest’ora camminano nel buio incuranti …evidentemente non temono di infilare un piede in un qualche rigagnolo di scarico o sulla spazzatura…la città è bella ma primordiale e le fognature tombate sono state fatte solo in un paio di quartieri, troppo pochi per poter camminare sereni al buio con un paio di sandolini come i miei! Poco oltre la piazza entriamo nel ristorante “Chez Baba” dove si può bere birra e dove oggi passando di qua avevo richiesto per me una omelette che qui non è abitudine mangiare. Rifiutandomi di mangiare polli qui può essere problematico trovare una alternativa. Comodamente seduti nel cortile del ristorante mangiamo le nostre omelettes accompagnate da fagiolini strepitosi e per i quali chiedo di poter intervistare il cuoco….per cercare di carpirne il segreto. Ousmane Barry arriva poco dopo al nostro tavolo. E’ giovanissimo, gentile e disponibile, iniziamo a chiacchierare di fagiolini ed altro, poi finisce col raccontarci la storia della sua carriera di cuoco iniziata qui da Baba sette anni fa. Vorrebbe mettersi in proprio naturalmente, visti i suoi successi con i clienti….noi intanto pensiamo che qui a Djenne manca proprio una gelateria. Il latte qui non manca e nemmeno i turisti. Diamo un appuntamento a Ousmane in hotel domani mattina per uno scambio di indirizzi e gli promettiamo che a dicembre gli porteremo una gelatiera…tanto per provare come viene! Dimenticavo dei fagiolini col pomodoro, che si fanno cucinare con un bicchiere d’acqua, olio, pomodoro fresco e cipolla. Si uniscono poi un dado ed una foglia di alloro.

27 Febbraio 2008

DJENNE – MOPTI

Consumiamo la nostra colazione in giardino in compagnia del cuoco, Ousmane, che ha pazientemente aspettato che ci svegliassimo. I nostri buoni propositi di alzarci presto sono stati anche oggi del tutto disattesi e così l’appuntamento delle otto è diventato delle nove in tacito accordo tra me e Vanni. Arriviamo a Mopti nella canicola del mezzogiorno e ne rimaniamo inizialmente un po’ delusi…la cittadina certo non colpisce per la sua bellezza soprattutto ad un primo superficiale approccio, a differenza della città che abbiamo appena lasciata, la regina del Delta. Anche Mopti è una città del Delta del Niger, importante perché in posizione strategica tra Djenne, i paesi Dogon e Timbuctu, nonché punto di partenza privilegiato per le escursioni in piroga che noi però rimanderemo al prossimo dicembre, quando il fiume in piena renderà tutto più scorrevole e ci eviterà di dover percorrere a piedi  lunghi tratti di fondali emersi. Qui in città  troviamo posto all’hotel “ Y a pas de problème “, una chicca con terrazza ombreggiata, piscina, decori etnici sparsi un po’ ovunque e per di più piuttosto economica. Il costo di 25.000 CFA per la nostra camera con aria condizionata, zanzariera e saponcini fatti a mano a base di burro di karité nella doccia, ci sembra del tutto onesto. Poco dopo la sistemazione in camera usciamo in missione alla ricerca di un bancomat che accetti la Visa.  Lo troviamo ma è fuori servizio, ci incoraggia l’ottimismo del direttore che non dispera e che ci conferma che da un momento all’altro potrebbe rientrare in servizio, aspetta una telefonata di ok quando la connessione sarà ripristinata…mah! Un tour nella città vecchia che occupa un’intera piccola isola ci fa un po’ rimpiangere Djenne…nessun edificio ci sembra di particolare interesse ed il tessuto urbano è discontinuo per la presenza di molti edifici di recente costruzione e di nessun pregio estetico se non la moschea anch’essa recentemente realizzata in stile sudanese, praticamente una copia in piccolo di quella mitica di Djenne.  Andiamo finalmente al Bar Bozo che affacciandosi sul porto rappresenta il miglior punto di osservazione di tutto il fermento legato alle attività di scambio e di trasporto. Avvicinarsi in auto sembra una missione impossibile da portare a termine, ma Vanni non demorde anche se sembra infinito il tempo che trascorriamo a schivare le odorose ceste di pesce secco, i carretti pieni e vuoti  e le persone stesse portatrici ognuna di qualcosa dentro a catini in precario equilibrio sulle loro teste o in pacchetti e scatoloni a mano. Arriviamo…..quasi portati dal movimento osmotico delle cose e dei corpi, e ci fermiamo a due passi dal Bar Bozo, praticamente una istituzione qui ed importante trait d’union tra i turisti ed i venditori locali che dalla banchina sotto la terrazza mostrano i loro prodotti artigianali e trattano a gesti sul prezzo. Osservandoli e trattando a mia volta per un acquisto imparo che le due mani giunte significano 10.000, la mano aperta 5.000. Faccio il mio acquisto divertendomi come una matta. Il mio interlocutore è uno spasso e poco dopo aver incassato lo vedo stendersi felice su di una stuoia  sulla banchina, accanto al suo radiolone acceso ed una motoretta. Gesticola ancora per dirmi che è felice e che con la sola vendita a me potrà riposare per il resto della giornata. Ridiamo insieme anche se separati dall’alto muro della terrazza…ma che importa…le risate arrivano comunque ed anche l’obiettivo della mia Lumix. Che soddisfazione aver reso felice qualcuno! Scatta l’amore per Mopti….finalmente qui sul porto tutto il fascino della città ci si mostra nel suo incasinato e puzzolente splendore. Sono centinaia le piroghe ormaggiate lungo il fiume Bani e non mancano le pinasse, più grandi ed a motore….spesso abitate. Proprio qui sotto di noi decine di piroghe in movimento sono spinte da “gondolieri” provetti che affondano le lunghe pertiche nella melma sul fondo e cosa lodevole lo fanno senza cantare “O sole mio”. Portano merci ma soprattutto persone, provenienti da chissà quali villaggi, qui sulle rive della piccola darsena. Bar, ristorante e teatro, questo è il Bozo. Rimaniamo ancora un po’ a goderci lo spettacolo dell’andirivieni e delle piroghe in sosta, unite a ventaglio a gruppi di sei o sette, le prue come incollate le une alle altre, poi andiamo alla fabbrica delle piroghe qui di fianco, un’altra cosa da non perdere! Lastre di legno spesse non più di 3 o 4 centimetri  sono unite tra loro a creare le superfici disegnate della carena della piroga con il solo utilizzo di chiodi ribattuti, ecco spiegato il motivo di tutti quei pitalini d’acqua buttati continuamente all’esterno dai passeggeri delle piroghe in movimento! Una volta realizzato il fondo vengono sistemati ai due estremi gli elementi di raccordo a punta, quindi i fianchi e gli elementi trasversali che fissano la forma compiuta. La cosa più incredibile è la preparazione dei chiodi e degli altri strumenti di ferro che consentono di lavorare il legno all’interno del cantiere. Vengono fatte scaldare pezzi arrotolati di scatolette alimentari, per esempio di pomodori o sardine o altro. Messe tra le braci mantenute roventi da un sistema di pompaggio dell’aria azionato facendo ruotare il pedale di una ruota di bicicletta, vengono poi battute a martello dai forgeron. Il risultato?  Chiodi perfetti! Torniamo alla terrazza del Bozo per goderci ancora un po’ di spettacolo. In lontananza sulla riva opposta del fiume intravediamo le capanne dei pescatori Bozo. Sono capanne provvisorie di paglia modellata a forma di igloo e disposte in ordine casuale sulle lingue di terra ora emerse. I pescatori Bozo praticano il nomadismo sulle isole del delta in cerca di acque sempre più pescose….li vediamo arrivare sulle loro piroghe piene di ceste di pesce secco. Quando il tramonto và scemando è già ora di tornare in hotel , ma non sarà facile uscire da questo casino. Vanni allunga una mancia al ragazzino muto che ha custodito Gazelle, e’ aiutato da un piccolino dotato di favella che rappresenta la sua voce, e che arriva da me in lacrime…il muto non vuole dividere con lui la mancia ed è necessario il mio intervento per convincerlo. Un paio di parole al muto ed ecco un bel sorriso apparire sul viso del piccolino finalmente legittimato a dividere il piccolo tesoro. Ci rituffiamo tra le ceste odorose di mercanzie, i carretti e le piccole cucine improvvisate a terra dove alcune signore sollevano profumate frittelle sferiche dai loro paioli pieni d’olio. Riconquistiamo la strada maestra ancora incasinata ma più scorrevole e dopo una breve sosta per ammirare le lastre di sale che arrivano da Taoudenni nel cuore del Sahara, raggiungiamo la terrazza dell’hotel per la cena. Zuppa di legumi e filetto di Capitain, il pesce del Niger, non si può sbagliare, è ottimo.

28 Febbraio 2008

MOPTI – SONGHO – SANGA

A poco più di 100 km. da Mopti che lasciamo nel grande fermento del mercato del giovedì, eccoci arrivare in territorio Dogon, con Songho che ne rappresenta l’avamposto sulla valle. Bello, bellissimo con i suoi stupendi granai costruiti in banco. Certo molto turistico e con la presenza insopportabile di bambini questuanti un cadeau o un bon bon. Andiamo con la nostra guida che ci spiega nei dettagli le particolarità del villaggio e più in generale della cultura Dogon. I granai ad esempio, che ad uno sguardo superficiale possono sembrare tutti uguali, sono maschili e femminili. I primi sono più alti e con il tetto di paglia a cono, hanno tre aperture ed all’interno sono divisi in due parti, una riempita di miglio, l’altra di sorgo. Quello femminile è più basso e coronato da una specie di cupola ribassata. Ha una sola apertura e l’interno è diviso in quattro settori nei quali vengono riposti gli strumenti della cucina ed i gioielli. Accanto al granaio maschile c’è sempre quello femminile….il numero tre è il numero maschile che si riferisce all’organo sessuale così come il quattro è quello delle grandi e piccole labbra dell’organo femminile. Cinque sono le famiglie del villaggio ma ci sono quattro quartieri e tre moschee. Insomma tutta la cultura Dogon di origine animista è permeata dal dualismo maschio femmina che si riflette in ogni cosa, anche nella struttura degli insediamenti. La scuola è stata costruita dagli italiani, l’ospedale dai tedeschi, loro non organizzano nemmeno lo smaltimento dei rifiuti del quale sembra si stia occupando un’altra organizzazione internazionale. Le donne filano il cotone ed i maschi lo tessono su piccoli telai a mano creando lunghe strisce di tessuto bianco. Le donne si dedicano all’approvvigionamento dell’acqua dai pozzi non sempre vicini ai villaggi, gli uomini costruiscono le case ed in autunno si dedicano alla raccolta del miglio. Elemento caratteristico di ogni villaggio è il Togu Na, ovvero il luogo della parola, è il primo edificio ad essere costruito nel villaggio che si sviluppa poi attorno ad esso. E’ un’ampia tettoia la cui struttura di travi di legno è sostenuta da sette ( 3+4) pilastri decorati ad altorilievo con figure zoomorfe ed antropomorfe scolpite. La copertura è costituita da tre strati di paglia di miglio appoggiati gli uni sugli altri fino a raggiungere spessori considerevoli di circa tre metri. Ciò che appare evidente osservando il “luogo della parola” è la sua scarsa altezza utile….là sotto vi si può stare solo seduti, a discutere di ogni cosa, a giocare o ad intagliare una porta. Tutte le decisioni del villaggio vengono prese sotto il Togu Na, rigorosamente frequentato dai soli uomini. Il motivo per il quale è così basso c’è ed è uno spasso….i Dogon detestano le discussioni animose, gli scatti d’ira, le parole pronunciate a voce alta….la posizione seduta è quella che maggiormente stimola la pacatezza….pare sia più difficile arrabbiarsi da seduti. Che geni questi Dogon! Dopo qualche sosta ad osservare le case più caratteristiche del villaggio, come quella del cacciatore che ha appese alla facciata le pelli secche degli animali uccisi, iniziamo ad arrampicarci sulla falesia verso il luogo sacro del villaggio dove si svolgono i riti di circoncisione dei bambini che hanno compiuto i 14 anni. E’ il rito di iniziazione che consentirà ai maschietti di diventare adulti accedendo al patrimonio culturale che si tramanda verbalmente da secoli…il sapere Dogon. Solo da un anno a questa parte, ci dice la guida, è stata sospesa la pratica crudele della infibulazione per le ragazzine….non ci posso credere! Mi sembra quasi di sentire l’eco delle loro urla mentre accettano loro malgrado la tortura della castrazione del loro femminile pur di essere accettate dai membri del villaggio …. Assurdo e crudele. Vorrei scappare subito, lontano da questa stronza cultura maschilista che mi stringe la gola. Non appena sbollita la collera mi siedo accanto a Vanni su una delle pietre del sacrificio, osserviamo i disegni sulla parete della cavità . Vi sono rappresentati i simboli della vita Dogon dipinti nei colori bianco rosso e nero: gli animali sacri come il coccodrillo, il serpente, lo sciacallo e la tartaruga, le maschere e le divinazioni. In una grotta attigua sono ammucchiate decine di calebasses a formare rudimentali strumenti musicali che vengono suonati dai bambini durante la festa rituale. Questa cavità sarà il loro riparo nelle giornate del mese che segue la circoncisione, staranno qui in raccoglimento, ma torneranno a dormire a casa dai loro carnefici. Un misto di islam ed animismo caratterizza la cultura di questo villaggio, troppo finalizzato al turismo per i nostri gusti, vista la quantità di mercatini di oggetti artigianali. Sganciamo 10.000 CFA per la visita e 5.000 per la custodia di Gazelle….un po’ caruccio questo parcheggio. Arriviamo a Sanga a metà pomeriggio dopo aver attraversato il bel paesaggio fatto di baobab ed alberi di karité sparsi tra la paglia gialla della brousse, fino a raggiungere le rocce della lunga falesia popolata dalle genti Dogon. La strada corre per un tratto parallela ad un corso d’acqua che poi attraversa. I terreni circostanti risultanti per sottrazione dalle formazioni rocciose della falesia pullulano del verde dei ciuffi delle cipolle. Sono molte le donne al lavoro con i figli saldamente stretti nei fagotti sulle loro schiene….ma ora quando le guardo sento solo una pena infinita. I bambini più grandi invece cercano continuamente di assaltare la nostra Gazelle dalla quale è quindi impossibile scendere per una foto o una pipì. I grandi stanno a guardare e non ostacolano gli attacchi …proprio dei grandi educatori questi signori Dogon! Una volta in paese raggiungiamo il “Campament Hotel La Guina”, il migliore e probabilmente l’unico qui al villaggio . Per 25.000 CFA ci offre una camera dozzinale ma pulita e con bagno…l’ aria condizionata funzionerà solo dopo le 18. E’ arrivato il momento di telefonare alla guida consigliataci da Ismail …il signor Ana che risponde al numero 2442014, ed è il capo dell’ agenzia cui fa riferimento anche il tour operator italiano Kel 12…siamo in una botte di ferro. Beviamo in sua compagnia una bibita fresca all’ombra del pergolato dell’hotel, mentre progettiamo il nostro tour. Ci consiglia di trascorrere almeno tre giorni tra i villaggi sulla falesia, gli unici nei quali sopravvive la cultura animista, l’antica cultura dei Dogon che secoli fa si rifugiarono su queste rocce inaccessibili proprio per fuggire dall’islamizzazione dilagante nei loro territori d’origine. Popolo estremamente fiero della propria cultura questo. Ana ci chiede 120.000 CFA (200€) per i tre giorni, compreso il cibo, le tasse e le mance varie per le foto. Abdoulaye, un ragazzo di 26 anni sarà la nostra simpatica guida, ma non parlando italiano sarò io la traduttrice per Vanni. A cena la solita omelette rappresenta l’ unica chance per me in questo paese di polli!

29 Febbraio 2008

SANGA – BANANI – IRELI – AMANI – TIRELI – KOUNDOU

Partiamo verso le nove , in ritardo come sempre rispetto ai buoni propositi del giorno prima. Abdoulaye aspetta accanto a Gazelle in compagnia di Ana, il boss, che vuole essere immortalato in uno scatto fotografico di gruppo prima della partenza. Lasciamo Sanga in pieno fermento….oggi è giorno di mercato. A proposito di questo vale la pena specificare che la cadenza dei mercati Dogon non è settimanale, cade bensì ogni cinque giorni… non esistendo un giorno fisso l’unico modo per sapere quando c’è un mercato è chiedere alla gente del villaggio…comoda questa usanza Dogon! La strada si inerpica subito in cima alla falesia , qualche tratto è a cemento, il resto invece una sassaiola di pietre acuminate che Vanni cerca di evitare…ma poi arriviamo al luogo delle “tables de divination du renard” che rappresenta la nostra prima breve ed interessantissima sosta. Praticamente funziona così, l’indovino disegna sulla sabbia dei grandi rettangoli, a loro volta ripartiti in settori rettangolari più piccoli ognuno dei quali rappresenta una famiglia. Al suo interno l’indovino struttura la domanda per la quale si vuole trovare una risposta, ponendo sassolini ( un mucchietto sono i soldi, separati sono i giorni, i mesi o gli anni ) e bastoncini ( le persone ) in modo ben preciso come solo lui sa fare. Finita la costruzione della domanda nel rettangolo, l’indovino vi sparge anche delle arachidi che le volpi la notte andranno a mangiare spostando così sassolini e bastoncini e lasciando impronte che l’indovino leggerà traendo le risposte cercate. Perché la volpe? Frutto dell’unione impura tra dio e la terra nasce la volpe che non può parlare ma in quanto frutto del divino conosce la verità. L’unico modo quindi per conoscere il disegno divino è interrogare la volpe attraverso la tavola delle divinazioni. Lavoro tutt’altro che semplice, prerogativa della sola casta patriarcale degli indovini che tramandano il loro sapere al primogenito maschio. Attenti a non spostare niente ci aggiriamo tra domande e risposte, curiosi di leggere anche noi qualcosa tra quei simboli sparsi a terra… un signore dal viso segnato e misterioso, l’indovino, suggerisce qua e là il criptico disegno divino. Divertiti risaliamo su Gazelle e proseguiamo lungo la stradina ancora verso la cima della falesia che poi scorgiamo in tutta la sua estensione poco prima di ridiscendere sull’altro versante. La parete è verticale e piuttosto alta, i colori dal rosso al bruno….poi ci si apre la vista meravigliosa del villaggio di Banani, arroccato sul ciglio della falesia. Costituito da edifici cilindrici e scatolari di varie dimensioni, il villaggio è dello stesso colore della roccia che gli fa da sfondo. Ciò che sembra osservandolo da qui è una scultura ad altorilievo, come un movimento di basse canne d’organo, l’ennesimo miracolo partorito dalla creatività umana….un capolavoro sospeso tra scultura ed architettura di fronte al quale rimaniamo incantati ad osservare. Abdoulaye ci fa notare che poco più in alto degli edifici del villaggio si vedono altre piccole case, inserite nelle nicchie naturali della parete verticale di roccia a picco, sono le antiche abitazioni dei Telem, i pigmei, che abitavano qui prima dell’arrivo dei Dogon dedicandosi alla caccia ed alla raccolta delle bacche spontanee per vivere. Ci chiediamo come potessero arrampicarsi fin lassù i piccoli uomini….forse con l’aiuto di corde e senz’altro con la magia nera, almeno nel caso la corda si fosse spezzata dice Abdoulaye. Quando i Dogon in fuga dalle loro terre Manding per via dell’islam che non volevano, arrivarono qui modificarono l’habitat a loro vantaggio. Da bravi agricoltori bruciarono la brousse per ricavarne terreni coltivabili e fecero così fuggire la selvaggina e distrussero le piante che fornivano ai Telem i frutti selvatici. Fu un disastro per loro che si videro così costretti ad abbandonare le loro case ed a fuggire verso i territori dell’Africa centrale. Banani è così bella da sembrare una scultura di terra sulla roccia fatta di volumi semplici ma estremamente plastici. Poco più sotto c’è il paese basso dove i granai a fungo, maschi e femmine, rappresentano gli elementi emergenti nell’architettura fatta di fango. E’ arrivato il momento della visita, che ci vede arrampicarci tra gli stretti sentieri del villaggio dove la roccia è sbozzata qua e là a forma di gradino. Saliamo fino al Togu Na, la casa della parola, dove un paio di signori Dogon stanno facendo dei manufatti artigianali…. poco oltre, l’inevitabile mercatino per turisti che non manca mai e nemmeno il gruppo dei bambini questuanti che ci seguono gesticolanti. Alla fine l’islam è arrivato, soprattutto nei villaggi della pianura più facilmente raggiungibili e dopo di esso, con il turismo è arrivata anche la cattiva abitudine del chiedere, insomma un bel mix di abitudini discutibili. Lasciamo la bella Banani per raggiungere altri bellissimi villaggi, tutti similmente aggrappati alle pendici della falesia, sotto le antiche case Telem, e sono Pegue, Ireli ed Amani, nel quale ci fermiamo ad osservare i caimani sacri, tutti tranquilli e grassi ai bordi dello stagno recintato del villaggio. Prigionieri della barriera di rovi, non possono spostarsi dallo stagno questi animali sacri….ma perché mai dovrebbero visto che giornalmente vengono sacrificati animali da dar loro in pasto?! La sacralità di questo animale è legata all’esodo dei Dogon dalle terre native, o meglio al loro arrivo in questa falesia prescelta per il loro stanziamento. Erano quattro le famiglie che si erano spinte fino qui e che si trovarono di fronte ad un bacino d’acqua da superare. Vennero loro in aiuto i caimani che li fecero salire sul loro dorso e li portarono sull’altro lato del grande lago, in salvo….da questo evento la sacralità del caimano non è più stata messa in discussione. Proseguendo per Tireli attraversiamo campi arati per la semina del miglio punteggiati di baobab, tamarindi, alberi del karitè, di mango e qualche acacia, la pianura a valle della falesia è variopinta per via dei minerali presenti e sfuma verso le rossastre dune lontane. Arrivati al villaggio di Tireli, che si sviluppa prevalentemente a valle, ci accordiamo per vedere la “danza delle maschere”, famosa per la coreografia e le maschere che rappresentano un altro degli aspetti sacri del popolo Dogon. Condivideremo lo spettacolo, che ci costerà così 50 € anziché 100, con un piccolo gruppo di turisti. Seguendo i consigli di Abdoulaye ci accomodiamo in posizione strategica a sedere su una grande roccia che dà sul piccolo spiazzo di terra battuta dove si svolgerà la festa. La macchina fotografica è accesa…siamo pronti! Un gruppo di suonatori di tamburi e pifferi, tutti rigorosamente negli abiti tradizionali colore blu indaco, indossano cappelli a cono in pelle e fibre vegetali e sono in formazione compatta su uno dei lati corti dello spiazzo. Iniziano a suonare una melodia ritmica e forsennata mentre alle loro spalle i danzatori scendono verso di noi in gran corsa da un sentiero roccioso….sono scatenati e coloratissimi e le maschere che coprono il viso di ognuno di loro sono di legno tutte diverse e variopinte. Iniziano a correre e saltare seguendo un percorso ovale, mentre tre di loro appoggiati ad una roccia di fronte a noi stanno legandosi ai piedi trampoli vertiginosi. Osserviamo i loro gonnellini di rafia rosa e gialla ed i pettorali confezionati solo con piccole conchiglie bianche, ma la parte più interessante dei loro costumi sono le maschere. Rappresentano gli animali che popolano queste terre, altre invece il feticcio della donna sacra, gli allevatori di bestiame o i malati con il gozzo. Altre maschere svettano altissime sulle loro teste, almeno due metri di scultura a trina a rappresentare la casa a più piani….la casa primordiale. I danzatori sui trampoli invece rappresentano coloro che scacciano gli uccelli con le fionde affinché non mangino il prezioso miglio. Insomma molta della vita Dogon è rappresentata in questa danza assolutamente impedibile. Torniamo alla macchina dopo il gustoso spettacolo durato almeno una mezzora, siamo diretti a Banani, dal quale proseguiamo poi fino a Koundou dove ci fermiamo per la notte. L’Auberge Asama è quanto di meglio si può trovare in questi villaggi, ma visto lo scarso livello di pulizia decidiamo di dormire sulla nostra tenda. L’auberge ci servirà per la cena, che gustiamo sulla piccola terrazza e la doccia….questa sì sacra, dopo questa giornata di arrampicate sulle rocce sotto il sole cocente! Andiamo a letto poco dopo le 21….la cena rischiarata da un lume a petrolio ha finito con l’abioccarci. Non sono stanchi invece i ragazzini che per almeno un’ora sono rimasti a pochi metri dalla tenda, per loro una grande novità, a rimirarsela tra risa e sollazzi e con le torce puntate su di noi. Addormentarsi non è stato facile, con i fasci di luce che dal basso investivano la tenda, ma sopra di noi il firmamento intero in tutto il suo splendore ha reso più sopportabile la situazione che contemplava anche il raglio dell’asino, il belare delle caprette nel piccolo ovile fatto di rami intrecciati a due passi da noi. Infine Morfeo arriva e con esso l’oblio.

01 Marzo 2008

KOUNDOU – YOUGANAH – YOUGADOUROU – YENDOUMA

Mi sveglio all’alba ed attraverso la zanzariera di fianco a me vedo dall’alto il cortile della casa di fianco. Curiosare non è nel mio stile ma questo spaccato di vita così a portata di mano mi stimola al voyeurismo e quindi, prima di crollare di nuovo sul mio cuscino, mi ci dedico senza remore. L’attività laggiù è in gran fermento, un uomo vestito di un caffettano azzurro beve un bicchiere del suo tè alla menta ed una ragazza sposta bacinelle piene di qualcosa….intanto asini e caprette a zonzo nel cortile intonano coretti a più voci. Intanto anche Vanni si sveglia ed esce, ma io non mi muoverò fino al suono della sveglia …alle 7.15. Consumiamo una colazione frugale sulla terrazza ombreggiata, una rinfrescata al viso con l’acqua minerale ed una passata di protezione 50 sul decolletè. Siamo pronti. Partiamo alle 8 accompagnati dall’aria fresca della mattina presto, il primo obiettivo è vicinissimo, si tratta della parte alta del villaggio nel quale abbiamo dormito, Koundou, in alto sulle rocce della falesia. Mi aiuta a salire un prestante giovanotto che cortesemente nelle situazioni più critiche mi tende la sua mano per tirarmi sulle pietre ossidate. Camminiamo su un sentiero appena abbozzato che sale ripidissimo sulla falesia, a tratti sembra scomparire inghiottito dalle ampie superfici inclinate ed appena increspate di roccia scura. Insomma un sentiero più che altro da capre lungo il quale ci fermiamo solo una volta per una sosta ristoratrice all’ombra di un grande baobab. Continuiamo dopo qualche minuto verso la parte alta della parete di roccia a picco che fortunatamente abbiamo quasi raggiunto….ma che meraviglia questa Koundou Gouma! Caratterizzata dai pochi volumi semplici delle abitazioni e dei granai di argilla, si inserisce in una delle nicchie naturali che rientrano nella parete verticale della falesia, quelle abitate fino a qualche secolo fa da quel gran popolo di arrampicatori che furono i Telem. Poco più in alto altre cavità conservano ancora ciò che resta delle case a cilindro e delle grandi giare sferiche con coperchio nelle quali depositavano il cibo. Lo spettacolo è unico….all’orizzonte la pianura, sabbiosa in questo periodo secco, è cosparsa di alberi, sotto di noi le pietre scure staccatesi dalla parete rocciosa. Noi siamo qui come sospesi nell’ampia cavità dal cui suolo si ergono le case scatolari dei Dogon….come volumi isolati o compenetrati gli uni negli altri. Costruita a ridosso della roccia è la casa del chasseur, il cacciatore ed in questo caso anche guaritore del piccolo insediamento nel quale vivono solo due famiglie, venticinque persone in tutto. Abdoulaye ci dice che questo signore prepara le sue medicine con le erbe, ma si aiuta anche con la magia bianca per svolgere nel migliore dei modi il suo ruolo. Ricorrono alle sue cure anche pazienti che arrivano dai villaggi vicini…insomma deve essere bravo se ha un pubblico così ampio! E’ seduto su uno scalino di roccia a ridosso della casa, indossa una tunica ocra con il cappuccio, il volto segnato e lo sguardo profondo…non stupisce che tanti si rivolgano a lui per cercare di ottenere un miracolo! La facciata della sua casa con torretta laterale è piena delle pelli gonfie appese di gatti selvatici ed altri animali che non riconosco, oltre ai teschi annegati nell’argilla della parete, di piccole scimmie….insomma l’ antro dello stregone in piena regola, con quell’aspetto un po’ inquietante che nel suo caso non guasta. Qui l’animismo non è ancora stato intaccato dall’islam. Una grotta con una pozza piena dell’acqua che filtra dalla roccia a due passi dalla casa, ci fa capire la posizione privilegiata di questo luogo dal quale non è necessario scendere a valle per approvvigionarsi, un caso unico qui… frutto della magia del chasseur? Chi può saperlo…Lasciamo la magica Koundou Gouma con un fragile acquisto, un piccolo braciere d’argilla scura e porosa che un bambino ha provveduto ad avvolgere in un una palla di stracci….per il viaggio. Scendiamo a fatica attraverso il “sentiero” ripidissimo…il prestante ragazzone sempre pronto ad aiutarmi, lasciamo la dovuta mancia al custode di Gazelle e partiamo verso Youganah percorrendo ancora un breve tratto di pista nella brousse a valle. Una seconda arrampicata ancora più impegnativa della prima mette a dura prova i miei muscoli sottotono per raggiungere il villaggio sulla falesia. Questa volta sono due i miei aiutanti, due ragazzini di 16 e 13 anni che mi porgono gentilmente la mano e, all’occorrenza, mi afferrano le braccia sollevandomi oltre l’ostacolo di roccia. Poverini! Vanni non è con noi….ha preferito rimanere ad aspettarci comodamente seduto su Gazelle, vicino ad un posto di ristoro del villaggio a valle…che pigrone! A Youganah vediamo il Togu Na, tappa obbligata della visita di ogni villaggio in quanto fulcro della vita sociale che vi si svolge, nonché edificio particolarmente rappresentativo dell’arte Dogon per via dei suoi pilastri di legno scolpiti a bassorilievo. In seconda battuta vediamo la maison des règles, ovvero la casa dove le donne mestruate vivono in isolamento durante i primi cinque giorni del ciclo, quindi facciamo una visitina alla signora che si occupa della tintura dei tessuti con l’ indaco. Il pigmento in polvere riempie un piccolo orcio posto in un angolo della sua stanzetta, di fianco alcuni tessuti originariamente bianchi sono a mollo in un denso liquido color blu intenso che ribolle dentro un paiolo. La polvere colorante è ricavata dalla macinatura delle foglie dell’indaco, una pianta a cespuglio che ho visto qui fuori….la signora che svolge questo lavoro ha un sorriso meraviglioso ed è bravissima nell’eseguire sulle pezze di tessuto ancora bianco le piccole cuciture che creeranno nella sua trama i motivi geometrici più chiari. Da Youganah raggiungiamo il villaggio di Yougadourou percorrendo un sentiero in quota che ci consente di non scendere a valle per poi risalire. Si trova più in alto però del villaggio che abbiamo appena lasciato, quindi dopo una mezz’ora di marcia senza sforzi ricominciamo ad arrampicarci come caprette tra le rocce impervie a tratti da elicottero. Mentre salgo affannata mi chiedo come possano le donne del villaggio salire tutti i giorni attraverso questo sentiero cariche dei secchi pieni d’acqua attinta dai pozzi a valle…che per di più tengono in equilibrio sulle loro teste! Certo loro hanno il vantaggio dell’allenamento, ma io preferisco pensare che si tratti di uno dei misteri Dogon. Quasi ogni attività viene svolta dai membri dei villaggi nella pianura dove si coltivano cipolle, miglio ed altri ortaggi. Laggiù si costruiscono i mattoni di argilla cruda che servono per costruire le case sulla falesia…la vita insomma arriva dal basso ma si ferma lassù ai piedi delle alte pareti verticali di roccia. Sono molti i villaggi a valle, ma la vera cultura Dogon , quella animista, viene custodita ormai solo nei villaggi in quota, irraggiungibili a tutti i non allenati. Raggiungiamo Yougadourou dopo più di un’ora di marcia sotto il sole cocente delle 13. Il sentiero scompare in prossimità delle grandi rocce da scalare, o si trasforma a volte in uno stretto passaggio dove i due piedi non possono stare accostati. Si procede con un piede davanti all’altro evitando con il corpo le pietre sporgenti in alto, poi finalmente arriviamo a quello che ho soprannominato il “pronto soccorso per turisti” costituito da una tettoia di paglia di miglio con una lunga panca accostata su un lato e bibite fresche da bere. Un paradiso. Siamo nella parte bassa dell’insediamento, le cui case scatolari o cilindriche ( alla moda Telem ) svettano in cima alle grandi rocce sulle quali sono state costruite. Non mancano certo i granai a fungo e nemmeno il Togu Na che si affaccia su una piazzetta molto più a monte ombreggiata da un grande baobab centrale. Vicino alla casa della parola Abdoulaye mi mostra una grande calebasse dipinta a disegni geometrici di colore verde, al suo interno sono raccolte le offerte per la grande festa Sigui che cade ogni 60 anni, la prossima si svolgerà nel lontano 2027. Lascio anch’io il mio piccolo obolo tra le bianche piccole conchiglie che costituivano un tempo la moneta locale, certa del fatto che quei 1000 CFA non saranno mai utilizzati per sponsorizzare quella festa. Ancora un piccolo sforzo ed arriviamo alla fine del villaggio, alla base della parete verticale. Siamo a poche decine di metri dalle abitazioni Telem, lassù nelle cavità della roccia, le vediamo benissimo…uno spettacolo! Sopravvissute miracolosamente fino a noi, sono cilindriche e costruite in argilla, appena fuori ci sono le poteries , i loro orci sferici sempre coperti dal coperchio di argilla. Iniziamo l’operazione di discesa…non semplice ma meno faticosa. I due accompagnatori mi salvano qua e là dai miei barcollamenti, sempre attenti mi porgono le loro mani un po’ sudate ma forti….che angeli, poi all’ombra di un albero per una sosta necessaria mi unisco al loro banchetto…stanno mangiando il frutto del baobab, la cui consistenza ricorda quella della meringa ed il sapore vagamente acidulo è simile a quello del limone, ma dolciastro….Un concentrato di vitamina B1 e C che non voglio perdermi, quindi ne mangio e lo trovo decisamente buono e dissetante….alcuni sassolini rimangono in bocca, sono i semi che conserverò per mia madre…voglio testare il suo pollice verde anche nei casi più estremi. Quando dopo più di tre ore arrivo alla macchina accompagnata da Abdoulaye ed i due giovanotti, vedo Vanni che riposa come un pascià. E’ steso sopra ad una branda strategicamente posta all’ombra del grande albero frondoso, vicina a Gazelle ed all’Auberge che gli ha fornito bibite fresche per tutto il pomeriggio. Non si può certo dire che non sappia organizzarsi al meglio il mio Vanni! Ci accomodiamo anche noi sulla panca lì vicina, beviamo bibite fresche, poi Vanni, visto il mio viso congestionato prende da Gazelle lo spruzzino a pompa, quindi con mia grande soddisfazione inizia a spruzzarmi l’acqua nebulizzata ovunque…che meraviglia…è quasi come una doccia! Il tempo di riprenderci e ripartiamo per raggiungere la terrazza dell’Auberge di Yendouma bassa, dove però l’aspettativa di un po’ di venticello fresco è del tutto vana. Sorpresa delle sorprese. Abdoulaye ci informa che proprio oggi qui in paese si svolgerà una festa del tutto simile a quella che tradizionalmente segue i funerali, ci spiega, con spari di fucile e musica prodotta percuotendo dei campanacci. Andiamo arrampicandoci sulle rocce fino quasi al Togu Na, il punto più alto del villaggio haimè, dove ci fermiamo in una piccola piazzetta. Il gruppo dei festanti partito dalla casa della parola arriva alla piazzetta accompagnato da spari a salve e nuvolette di fumo che escono dai fucili artigianali che impugnano… prosegue oltre per poi ritornare ancora al Togu Na. Sono i primi spari che sento così vicini e mi fanno una certa impressione…percepisco una sorta di pericolo che poi passa subito osservando i gesti un po’ comici di questi signori armati. Il villaggio monocromo si anima di corpi, colori, schiamazzi e suoni, mentre per osservare meglio alcuni ragazzini stanno salendo sul tetto piano di una casa su di una scala Dogon. E’ particolarissima e ne abbiamo viste a decine in questi giorni, sempre addossate ai granai che si riempiono dall’alto….consiste in un tronco d’albero terminante a forcella opportunamente sagomato su un lato con tagli orizzontali a scalino…scendere dalla quella scala deve essere una sorta di prova di coraggio! Nel frattempo alcune bambine curiose mi hanno vista darmi il burro cacao sulle labbra….un istante dopo sono attorno a me in processione, vogliono tutte che lo faccia anche a loro…forse pensano si tratti di un gioco e quindi inizio a giocare anch’io spalmando il burro su tutte quelle labbra sorridenti…che spasso! Esaurito il burro cacao torniamo all’Auberge dove ceniamo con una soupe d’ognon e poulet per Vanni ed Abdoulaye. La temperatura in tenda è soffocante, ma dopo una serie di manovre per togliere i sacchi a pelo e stendere i sacchi lenzuolo, riusciamo ad prender sonno.

02 Marzo 2008

YENDOUMA – BAMBA – DOUENTZA

Colazione in terrazza, chiusura della tenda e pagamento delle consumazioni ..il copione si ripete anche questa mattina. Andiamo verso Bamba un altro villaggio di pianura, dove saluteremo Abdoulaye mentre noi proseguiremo sulla pista per Douentza. Prima però dobbiamo soddisfare la curiosità di Vanni che ha letto da qualche parte che in uno dei villaggi vicini a Yendouma Ato c’è l’atelier di un artista cui manca una mano e vuole andare a trovarlo. Questa volta sono io ad aspettarli comodamente seduta su Gazelle….di salire ancora proprio non ne ho voglia. Li guardo allontanarsi lungo la strada pietrosa che sale verso la falesia, verso il villaggio che da qui non riesco a scorgere. Trascorro il mio tempo chiacchierando con due simpatici bambini che incuriositi si sono fermati per sapere chi sono e cosa faccio ferma lì. Stanno ritornando al villaggio dopo una mattinata trascorsa, loro malgrado, a lavorare nell’orto di famiglia in compagnia delle loro madri, sono impolverati, vispi ed hanno una gran voglia di raccontarmi del loro piccolo mondo Dogon. Mi parlano della scuola che la domenica però è chiusa, degli alberi che si trovano nella brousse e della coltivazione di cipolle alla quale hanno appena finito di lavorare. Dopo un’oretta torna Vanni, ha con sè un paio di disegni dell’artista, eseguiti a pennarello di cartoncino A4 ….non c’era molto da comprare dice, perché la maggior parte dei disegni sono in mostra a Parigi….caspita! Lasciamo Abdoulaye, sulla strada per Douentza subito dopo il grande villaggio di Bamba….una stretta di mano, un sorriso ed una mancia adeguata. Non ci si può sbagliare dice…ma noi confidando sul nostro navigatore Garmin invece andiamo fuori pista…e non solo…ci insabbiamo completamente! Provando e riprovando ad uscire dalla sabbia finiamo con lo sprofondare sempre più mentre Gazelle inizia ad emanare un preoccupante odorino di bruciato. Siamo vicinissimi ad un villaggio e questo giustifica l’arrivo di una ventina di bambini vocianti che colgono l’occasione per giocare un po’ …. tutto è relativo ed il loro entusiasmo per il nostro insabbiamento finisce col contagiare anche noi. Che energia questi mocciosetti… istruiti da Vanni iniziano a darsi da fare con la vanga togliendo un po’ di sabbia qua e là, ma soprattutto fanno casino e si divertono come pazzi. Le loro risate mi accompagnano mentre mi allontano a cercare un aiuto più efficace…in un campo qui vicino avevo visto arrivando qualche adulto al lavoro e li ritrovo seduti all’ombra di un albero a pranzare. Quello che deve essere il capo mi dice che verranno certamente al aiutarci se noi saremo così gentili da ricambiare in qualche modo…accetto di slancio la proposta che mi sembra assolutamente equa e dopo un quarto d’ora sono già al lavoro. Affrontano l’emergenza con tale perizia, che io e Vanni scaricati da qualsiasi responsabilità relativa a Gazelle, ci dedichiamo al gioco con i bambini, mentre il gruppo degli adulti taglia rami dagli arbusti che poi posizionano sotto le ruote, scavano, sembra che tirino fuori auto dalla sabbia ogni giorno. Il nostro salvataggio si trasforma in una piccola festa, con giochi, canti, balli e l’immancabile doccia con lo spruzzino, il nostro pezzo forte con i bimbi. Dopo una ventina di minuti il salvataggio è completato e Gazelle esce dalla buca al primo tentativo. Siamo salvi grazie a questi cinque volenterosi agricoltori che ricambiamo con una mancia così abbondante da commuoverli….ma hanno meritato ogni centesimo di quei venti euro che abbiamo dato loro. Ci riportiamo sulla pista per Douentza chiedendo ad un signore del villaggio, il maestro, che gentilmente ci accompagna fino al bivio che potrebbe trarci in inganno. Siamo salvi. A Douentza dopo un paio di tentativi andati a vuoto, raggiungiamo l’”Auberge la Faleise” solo grazie all’aiuto di un ragazzo che sale con noi per guidarci….è giorno di mercato oggi e molte delle strade del paese sono bloccate dal flusso di gente e merci ad esso collegato. Saidou ci guida attraverso un groviglio di stradine sterrate fino all’auberge che si trova sulla statale asfaltata, quella che collega Bamako a Gao, l’asse stradale del Mali. L’albergo è scassato da morire e manca anche l’acqua corrente….ci raccontano che è così in tutta la città, ma chissà se è vero….Ci consegnano un secchio pieno d’acqua e la chiave della 4. Ceniamo benissimo qui in hotel, come sempre ci siamo accordati all’arrivo sul menu, per dar loro la possibilità di andare a fare la spesa ed a noi di non dover mangiare strane cose. Patteggiamo con il cuoco per un paio di omelette con patate fritte e zuppa di cipolle con pomodoro….squisiti, ma nonostante questo la tensione tra noi due è al top! Poco prima della cena abbiamo litigato sempre per i soliti motivi….Ismail aveva dato a Vanni un paio di nominativi di operatori di Timbuctu da contattare per organizzare il nostro tour a Taoudenni , la miniera di sale nel cuore del Sahara. Ovviamente sono io a dover telefonare e parlare con loro per prendere accordi, quindi è normale che lo faccia seguendo le mie modalità, non le sue. Con il cellulare di Omar, il cameriere inizio a chiamare. Il primo numero è non raggiungibile, al secondo risponde un signore al quale espongo il nostro progetto fin nei particolari ed al quale chiedo di farmi un prezzo per la sua collaborazione. Ovviamente mi dice che dovremo ricontattarlo quando saremo in hotel a Timbuctu per vederci e, sul progetto dettagliato fare un prezzo….Vanni intanto mi parla a due centimetri dall’ orecchio affinché io insista per avere questo benedetto prezzo subito….insisto. L’interlocutore risponde qualcosa di incomprensibile per via della linea disturbata, quindi cade la linea e Vanni mi mangia la faccia. Si è messo in testa di voler avere subito i prezzi dei due operatori per poi poter contrattare con i due referenti una volta arrivati a Timbuctu. Mi scende una catena bestiale! Io che non amo parlare di denaro, né tanto meno dover essere la portavoce di chi ha atteggiamenti opposti ai miei nei confronti di ciò, nonostante questo mi sforzo di venirgli incontro prestandomi ad eseguire nel migliore dei modi le telefonate e lui mi accusa di incapacità? Assurdo. Da quando ci siamo sposati Vanni sembra aver recuperato tutta l’arroganza di un tempo….si sarà montato la testa per quel mio si? Consumo la mia cena in assoluto silenzio, quindi prima di incamminarmi verso la camera gli comunico che il mio viaggio con lui termina questa sera qui a Douentza, domani organizzerò il mio rientro in Italia.

03 Marzo 2008

DOUENTZA – TIMBUCTU

Al risveglio finiamo col fare la pace e poco dopo la colazione ripartiamo diretti a Timbuctu. La strada non asfaltata è in cattivo stato e sembra essere stata percorsa da centinaia di mezzi cingolati per le piccole affossature che una dopo l’altra ci fanno continuamente sobbalzare. Dopo tre ore siamo come intontiti dalle vibrazioni. Vanni inizia a vedere le stelline, concentrato com’è a fissare la strada che ogni tanto ha anche delle enormi buche che non sempre riusciamo ad evitare, con tonfi micidiali per la nostra povera Gazelle. E’ proprio finendo dentro ad una buca particolarmente profonda che si spezza una parte del gancio della mia cintura di sicurezza, esattamente come capitò in Tanzania con Carolina, e la parte terminale del paraurti anteriore. Insomma una bella botta che ha strappato un grido anche a Vanni. La bellezza del paesaggio però ci compensa dei disagi e ci vede passare dalle ultime propaggini della falesia con bellissime rocce verticali isolate, alla brousse, alle dune di sabbia del deserto ed infine alle distese piatte dei laghi prosciugati. Pochissimi i villaggi, perlopiù caratterizzati da capanne circolari di stuoie e fasci di paglia tipiche delle popolazioni nomadi del Sahel. Incredibili i colori della brousse, la savana, le cui distese di paglia secca a perdita d’occhio si accendono delle tonalità del giallo limone. A Korioume la strada termina sull’argine di un piccolo affluente del Niger che scorrendo di fronte a noi ci impedisce di proseguire. Che fare? Scendiamo perplessi dall’auto, non sembra ci siano alternative al traghetto del quale però non c’è traccia….ma poi arrivano a salvarci i locali che con nostro grande sollievo si propongono subito come guide. Mentre Vanni si intrattiene con il signore che ci guiderà, si avvicina una giovane madre. Ha in braccio una bambina di un paio d’anni, con un gesto rapido le solleva il gonnellino mostrandomi una ferita che ha nel sederino. Mi sta chiedendo aiuto senza pronunciare una parola, i suoi occhi sono disperati ed io non so che fare. Non abbiamo medicine e non essendo io un medico non posso nemmeno fare una diagnosi. Mi ritraggo un po’ scossa e molto dispiaciuta, lei ora mi guarda seria, quasi con disprezzo per non averla aiutata a guarire sua figlia. Mi rendo conto ancora una volta che nulla viene risparmiato ai viaggiatori che si avventurano nelle aree più povere dell’Africa….e la miseria di questa gente ci viene sbattuta continuamente in faccia, come un ricatto. Noi dovremmo essere sempre pronti ad aiutarli, in qualche modo, come se potesse esserci una soluzione a questa povertà inarginabile. Risaliamo in auto. Il nostro accompagnatore non parla una parola di francese, ma seduto accanto a Vanni gli indica con precisione la pista, ed arrivati di nuovo di fronte ad un piccolo corso d’acqua gli fa capire di attraversarlo a tutta birra. Non avevo mai pensato che Gazelle riuscisse a spostare tanta acqua fino alla doccia che mi sono fatta, finalmente, seduta sul sedile posteriore. La guida aveva dimenticato di chiudere il finestrino….ci mancava solo questo! Oltre il guado procediamo sempre seguendo la pista che la guida ci indica fino al punto dove un paio di auto ferme ci fanno capire di essere arrivati all’approdo del Bac, il traghetto sul Niger. Arriva lento il piccolo Bac, risalente la forte corrente del fiume. Aspettiamo che l’operazione di scarico sia terminata, quindi saliamo assieme ad altre due auto e tutta la coperta è piena. Vanni mi fa notare che stiamo viaggiando con un clandestino a bordo e mi porta a vedere. Un giovane ragazzo, seduto sulla sua piroga, è attaccato con le due mani alla poppa del traghetto….andare al traino si sa è più comodo! Altri 16 km di strada stranamente asfaltata ci portano in città, alla cui periferia troviamo il nostro hotel, l’ “Hendrina Khan” – il più nuovo, il più in – leggo sulla guida. Figuriamoci gli altri! L’hotel è squallido ma pulito, la nostra camera ha un grande letto, il bagno, l’acqua corrente e l’ aria condizionata. Il servizio lavanderia è contemplato e, sorpresa delle sorprese, sono disposti ad organizzarci il tour a Taoudenni. Un trionfo…. Sarà Abderhamane , il gestore ad occuparsi di tutto, quindi lo seguiamo nel suo piccolo ufficio senza finestre per mettere a punto il programma. In cinque giorni si può andare e tornare, ci dice. Occorre un’auto d’appoggio con autista e la guida tuareg che sarà il nostro passepartout in questo territorio un po’ bellicoso. Ci racconta che i Tuareg sono un po’ in subbuglio e che non sarebbe sicuro per noi andare soli, sarebbe quasi certo il furto della nostra Gazelle ed anche la nostra incolumità sarebbe in dubbio. 1500 chilometri nel deserto significano 800 litri di gasolio per le due auto, 5 cartoni di bottiglie d’acqua, riso, acciughe, spaghetti, cipolle, carote, pane, scatolame vario, dado Maggi, zucchero, tè verde, caffè ed un capretto vivo da sacrificare durante il viaggio per sfamare i due tuareg….roba da matti. La sola idea di partire con un animale vivo per poi vederlo sgozzare strada facendo mi fa trasalire e la mia immaginazione fa il resto. Mi ritrovo in lacrime davanti ad Abderhamane che non sa più cosa dire….è desolato. Esco da quel loculo di ufficio per fumare una sigaretta, quindi vado con Vanni dal direttore della banca che avvisato da Abderhamane ci aspetta. Preleviamo il milione di CFA ( 1480 € ) che ci servirà a finanziare la spedizione nel deserto, di cui 500.000 per il noleggio del pick up, l’autista, la guida ed i viveri. 430.000 per il gasolio ( i due serbatoi e 3 barili da 200 litri ) , 30.000 per l’acqua. Non avendo nessuna voglia di seguire le operazioni di rifornimento vado in camera per un riposino, mentre Vanni ed il direttore dell’hotel escono a reperire tutto il necessario. Partiremo domani mattina alle 5.

04 Marzo 2008

TIMBUCTU – ARAOUANE

Le ultime operazioni di carico dei viveri e dell’acqua sul pick up si svolgono nel buio della notte. Sono le 5.30 del mattino. Un saluto veloce a Lamanà ed Atahar che vedo solo ora e dopo pochi minuti saliamo a bordo di Gazelle…. seguiamo il nostro mezzo d’appoggio tra le stradine deserte della città ancora abbandonata tra le braccia di Morfeo. Le ultime case della periferia sono già immerse nella sabbia delle basse dune del deserto, e così senza il conforto della luce del giorno l’impresa, che sarà comunque impegnativa, assume una connotazione spettrale che ci fa rabbrividire. I dubbi ci assalgono. Riusciremo a percorrere questi 750 km che ci separano da Taoudenni? Questa partenza alla luce fioca delle sole stelle fa sembrare tutto più difficile….e per quanto il deserto possa piacerci noi non siamo abituati a percorrerlo ….figuriamoci di notte! Ci mette una lunga ora il sole a sorgere, stupendo oggi più che mai, si alza all’orizzonte regalandoci il miracolo della luce. Che spettacolo! La palla arancione è ben definita in tutta la sua circonferenza, poi salendo diventa pian piano pura luce. Le ombre sono ancora lunghe quando alle 7.30 ci fermiamo per la colazione, vicini ad un albero per accendere il fuoco con i suoi rami secchi. Pane, sardine marocchine e tè maliano in tre bicchieri….una meraviglia dalla quale Vanni si astiene. Fin da questo momento si fanno chiare alcune dinamiche del viaggio che possono essere così riassunte: le donne nel deserto non lavorano, le stoviglie si puliscono strofinandole con la sabbia, i tuareg mangiano portando il cibo alla bocca con le mani ed infine che i nostri due compagni di viaggio, inizialmente molto sulle loro, sono carini e disponibili, simpatici e molto musulmani….la preghiera all’alba, poco prima della colazione ne è stata un chiaro segnale. Il percorso è duro, procediamo slalomando tra le piccole dune di sabbia con la seconda marcia sempre inserita. Vanni si dimostra ancora una volta un pilota bravissimo ed avendo ritrovato con la luce del giorno, tutta la necessaria sicurezza nelle proprie capacità, procede in coda al pick up senza mai lasciarsi seminare. Ciuffi di vegetazione creano piccole dune di sabbia che ci fanno sobbalzare, poi la sabbia diventa liscia e come per magia vediamo materializzarsi all’orizzonte una carovana di cammelli carichi di lastre di sale. Il carovaniere è in testa alla fila ordinata di dromedari, cammina sulla sabbia precedendo i quattordici animali affaticati dalla marcia forzata. Ci fermiamo ad osservare la l’insolita lenta processione….quindi Lamanà ci indica un gruppo di cammelli ancora in sosta poco lontano da noi. Li raggiungiamo. Sono dieci, ancora accucciati a riposare dal tramonto di ieri. Sulla sabbia accanto a loro, addossate a due a due in precario equilibrio, stanno le lastre di sale, sembrano tante piccole tende canadesi bianche. Sono legate con corde di corteccia di baobab per poter essere caricate sui fianchi dei dromedari. Ognuno di loro carica quattro lastre da 35 kg l’una più altri due pezzetti più piccoli e gli otri dell’acqua….insomma una faticaccia per loro che ora sentiamo emettere eloquenti lamenti….hanno capito che stanno per essere caricati del fardello, la loro lunga marcia sta per riprendere. Quasi 200 kg di carico per ognuno di loro in marcia sulla sabbia nella quale tendono a sprofondare, non deve essere un gioco da ragazzi….anche a giudicare dalle carcasse di dromedari morti che ogni tanto incontriamo nel nostro procedere. Da Taoudenni le carovane impiegano circa 20 giorni per ritornare a Timbuctu, dove il sale sarà scaricato e venduto. Marciano dall’alba al tramonto senza mai fermarsi, nemmeno per preparare il tè del quale i berberi ed i tuareg vanno ghiotti. Le operazioni legate alla sua preparazione vengono infatti eseguite in marcia, così come i saluti di due carovane che casualmente si incrocino provenendo dalle due direzioni opposte….saluti cerimoniosi che si protraggono per tutta la durata dell’incrociarsi delle due file di dromedari. Cosa si dicono? Di tutto, come ci ha spiegato Abderhamane prima della nostra partenza….iniziano con l’informarsi della salute dei vari familiari, questo anche nel caso che gli interlocutori non si conoscano, poi continuano confrontandosi sui costi di miglio, zucchero, carne, tè, nei diversi mercati della regione. Insomma gli argomenti non mancano a questo popolo di chiacchieroni. Un paio d’ore dopo il fortunato incontro, alle 12 esatte, ci fermiamo per il pranzo all’ombra di un’acacia. Ce ne sono diverse in questo angolo di deserto, tutte piene di piccole foglie, ma soprattutto di lunghe spine. Lamanà sistema una coperta sulla sabbia e mi invita a coricarmici…le donne qui non lavorano continua a ripetermi. E’ un sogno qui…soffia un venticello fresco, l’harmattan, e tutto attorno la sabbia color albicocca fa da cornice al nostro banchetto. Comodamente distesa all’ombra dell’acacia li osservo lavorare. Prima di tutto raccolgono qualche ramo secco da terra, quindi Atahar, l’autista, compone un castelletto con i rami delle diverse dimensioni ed è fatta! Spaghetti alla tuareg chiarisce Lamanà non appena mi permetto, da buona italiana, di dargli qualche consiglio sulla cottura….li cuoce direttamente nel sugo, fatto con cipolla, poco pomodoro, carote, dado Maggi ed acqua, quanto basta per avere una cottura perfetta. C’era da immaginarselo che qui l’acqua non andasse sprecata e se ne aggiungesse all’occorrenza fino a cottura. Saggezza tuareg. Riprendiamo il viaggio sulla sabbia a tratti molle, troppo molle per non affondare e Vanni per quanto guidi come uno di loro non ha ancora imparato, perché nessuno glielo ha ancora suggerito, che quando ci si ferma non si deve frenare mai, nemmeno leggermente perché anche un leggero affossamento degli pneumatici significa alla partenza un insabbiamento sicuro. Per ben due volte i nostri accompagnatori si ritrovano a spalare sabbia ed a posizionare gli scivoli metallici sotto le ruote posteriori….infine la tecnica è acquisita ed è sempre in folle che Gazelle si ferma leggera sulla sabbia. Dopo un po’ di sballottamento per via dei fastidiosi ciuffi di vegetazione secca che con il vento creano piccole dune di sabbia, ecco le belle distese di liscia sabbia chiara e poi, prima di arrivare al villaggio di Araouane, saliamo sulle grandi onde di sabbia bianca. Che meraviglioso paesaggio questo, dove le grandi dune sembrano un ondulato fuori scala, parallele le une alle altre. Le cavalchiamo a tutta velocità mentre il sole sta scendendo….che bella sensazione di libertà e che felicità essere qui! Le casette di banco del villaggio sono come scatole di colore chiaro in cima ad una duna altissima di sabbia avorio. Ci fermiamo proprio davanti a quella sella sorella di Lamanà….visto che siamo qui una visita parenti è doverosa. Appena scendiamo da Gazelle siamo assaliti, come da copione, da un gruppo di bambini di tutte le età, curiosi ed in cerca del solito cadeau. Li lascio a Vanni mentre scappo con la macchina fotografica approfittando dell’ultima luce di oggi per immortalare questo paesaggio al tramonto che mi appare di una bellezza sconvolgente. Saremo ospiti di Lamanà questa sera….le provviste rimangono su Gazelle, intonse. Mentre la sorella è ai fornelli per preparare un piatto a base di riso, noi seduti sul tappeto buono della stanza d’ingresso ci intratteniamo con i suoi due bambini deliziosi, Mohamed e Deja di dieci e cinque anni. Due giochi poi si cena. Noi due sempre sul tappeto buono, gli uomini nella stanzetta adiacente e le donne in cucina, sull’altro lato del cortile. Le poche stanze della casa occupano il perimetro di un rettangolo di circa 6 metri x 10. Al centro il cortile, affollato di polli e pulcini, è il fulcro della casa e funge da disimpegno per le stanze che vi si affacciano. I pavimenti non esistono, ovvero sono di sabbia, e nemmeno il bagno….per i bisognini si esce fuori!

05 Marzo 2008

ARAOUANE – FOUM EL ALBA

Dopo la notte in tenda consumiamo la nostra colazione sempre al nostro posto sul tappeto buono che ho saputo provenire dalla Mauritania, poi si parte per una impegnativa giornata di salti sulla markouba e cioè i soliti piccoli cespugli con dunetta alla base. Dopo un po’ sembra di impazzire…decine di chilometri di balzi ad una velocità di 10/15 km/h….con le mie due ernie cervicali che naturalmente si fanno sentire ma non troppo….mi piace troppo il deserto per poter star male! Verso sera il fondo migliora così tanto da poterci concedere la bella velocità di 80 km/h …correre così è fantastico…senza ostacoli, in relax. Ci fermiamo dopo un bell’avvistamento. Una carovana lunghissima si sta dirigendo proprio là dove anche noi ci fermeremo per la notte, il pozzo di Foum ed Alba. Intanto il paesaggio è cambiato ed i fastidiosi cespugli hanno lasciato il posto alle rocce scure che a tratti formano piccole montagnole. Paesaggio magnifico anche questo…..ci spostiamo dal pozzo di qualche chilometro per raggiungere il luogo dove bivaccheremo….tanto per non essere disturbati da nessuno, dice Lamanà. Si sa che i pozzi sono molto frequentati dalle carovane ed i carovanieri sono persone che hanno sempre bisogno di qualcosa da chi viaggia in auto…quindi per non avere seccature ci isoliamo al riparo di una montagnola fatta di sabbia rosata e pietre scure….un incanto. Una breve ricognizione attorno a Gazelle ce ne mostra i danni provocati oggi da tutti quei salti….stiamo perdendo la tenda. Quattro dei sei attacchi che la tengono fissata al tettuccio sono rotti…domani la legheranno saldamente al porta pacchi. Stelle magnifiche accompagnano la nostra cena….ed il lavaggio delle stoviglie con la sabbia al quale, per solidarietà, mi unisco. Ora cucino io per me e Vanni, francamente mangiare spaghetti o riso tutte le sere mi sembra eccessivo con questo caldo!….gradisco invece molto il loro tè maliano…forte e zuccherato è quello che ci vuole per affrontare queste giornate piuttosto impegnative anche per me che non guido, ma soffro con Vanni ad ogni difficoltà del percorso.

06 Marzo 2008

FOUM EL ALBA – BIR OUNANE – TAOUDENNI

La difficoltà di oggi è rappresentata dalle rocce, da evitare continuamente per non forare. Alcune sono così alte da colpire il fondo di Gazelle, altre ci fanno sobbalzare provocando danni sempre più ingenti alla nostra tenda alla quale dovremo probabilmente rinunciare. A mezzogiorno in punto ci fermiamo come sempre per il pranzo, è Bir Ounane il pozzo prescelto oggi per la nostra sosta. Piselli e cipolla con omelette è il nostro menu, loro come sempre mangiano spaghetti. Non è semplice per me cucinare adattandomi a questi pochi comfort, ma alla fine, a parte la sabbia che scricchiola sotto i nostri denti ad ogni boccone, mangiamo con gusto i miei manicaretti. Oggi sono numerose le carovane che incrociamo, e tutte con un gran numero di cammelli. Cariche di fieno per gli animali e dirette a nord, oppure cariche delle lastre di sale, dirette a Timbuctu….ma c’è una costante, ogni volta che per vederle ci avviciniamo concedendoci una sosta, arrivano all’assalto i carovanieri berberi a chiedere medicine, accendini, cibo….o qualsiasi altra cosa venga loro in mente osservando il contenuto della nostra Gazelle, come se si trovassero davanti ad una bancarella del mercato. Cambiano le circostanze, ma la sostanza è sempre la stessa. Intanto la tenda si è staccata da tutti i suoi supporti e viaggia ora legata al portapacchi….voglio proprio vedere come faremo a non cadere questa notte, quando per essere aperta la tenda dovrà essere slegata dal suo sostegno. Per il momento rimarrà ben stretta , infiocchettata con la corda arancione di Vanni che la cinge come se fosse un bel regalo. Attorno a noi il paesaggio di sabbia si increspa a tratti con ammassi di rocce scure, le stesse che purtroppo sono anche sulla nostra pista….ed è per questo che poco dopo essere ripartiti, mentre stiamo percorrendo un tratto rettilineo, l’ennesima pietra che colpisce il cerchione fa sgonfiare la ruota anteriore destra. Anche questo intoppo non ci voleva! Già questa mattina abbiamo impiegato più di una mezzora per uscire con grande sforzo da un insabbiamento ….questa è la goccia che fa traboccare il vaso. I nostri due accompagnatori appena si accorgono di non essere seguiti tornano sui loro passi e si tuffano a capofitto sul lavoro di sostituzione del pneumatico….a Vanni non era mai andata meglio di così, ma la ripartenza è accompagnata da tensioni forti….tutti questi ostacoli rendono il traguardo sempre più lontano e qui in mezzo al nulla, la paura di non riuscire a far fronte ad eventuali altre emergenze, si fa strada. Le pietre si diradano, ma Vanni non aumenta la sua velocità…mancano ancora 130 km a Taoudenni e sono già le 16, con questa media dei 40 km/h arriveremo domani! Ma gradatamente tutto sembra prendere una piega diversa….la sabbia si tinge di rosso e cordoni di morbide dune rendono il paesaggio di una bellezza straordinaria. Le pietre lasciano il posto a bianche concrezioni di gesso che complicano di incredibili sfumature il paesaggio, mentre le dune lontane si tingono di viola. Si profila ad un certo punto, oltre la barriera di dune rosse, una montagna rocciosa di grande bellezza….per un momento è come un tornare indietro nel tempo, al bellissimo Akakus libico di 10 anni fa. Scivoliamo dentro questa meraviglia non senza sforzi per via delle dune da superare negli stretti passaggi tra le rocce. Fortunatamente la sabbia di questi stretti passaggi obbligati è come consolidata dalle orme delle centinaia di dromedari che l’ hanno percorsa rendendola più dura…intanto il pensiero va a Taoudenni sempre più vicina, ed agli sforzi che stiamo affrontando per raggiungerla….chissà se è per questo che poi, quando il procedere si fa liscio come l’olio e quasi planiamo sulla sabbia silenziosa, circondati da questa forma essenziale di autentica bellezza, quasi sveniamo di piacere… Nei pressi di Taoudenni file ordinate di centinaia di dromedari procedono nelle due direzioni….cariche di foraggio verso la miniera di sale, dove a parte ciò non c’è nulla, o con le lastre rettangolari verso Timbuctu. Ogni volta è una festa incontrare queste ultime carovane del Sahara che purtroppo si estingueranno nel giro di pochi anni…triste invece vedere gli scheletri dei poveri dromedari che oberati dal peso delle lastre non ce l’hanno fatta ad uscire da questo deserto, tanto affascinante quanto impietoso. Riusciamo a raggiungere l’obiettivo poco prima del buio. Seguiamo il pick up tra le basse montagnole di terreno di riporto della miniera, oltre le quali sono celati i buchi di estrazione rettangolari. Qua e là le casette fatte dei blocchi di terreno salato estratti per raggiungere gli strati di sale, sembrano più ovili che non gli alloggi dei minatori. Sono l’unica donna qui e questo giustifica l’arrivo di molti a curiosare subito dopo il nostro arrivo. Sosteremo di fronte alla casetta di Abdi, il nipote di Lamanà, nonché fratello maggiore di quel simpatico Mohamed col quale abbiamo giocato ad Araouane. Hanno lo stesso bel sorriso….peccato che la necessità di sopravvivere abbia costretto Abdi a questo lavoro infame che li ha separati. Mohamed aspetta che io gli porti la foto di suo fratello quando tornando ci fermeremo di nuovo ad Araouane ….è curioso di vedere se è cambiato in questi cinque mesi di lontananza… Non deve essere semplice lavorare qui per sei mesi di seguito, nel cuore del Sahara, lontani da tutto ed in compagnia dei soli uomini ed i capretti che saranno via via sacrificati per essere mangiati….il muezzin non manca però, lo sentiamo intonare la sua preghiera che echeggia nel nulla di questo luogo. La drammaticità qui è palpabile e noi rappresentiamo una nota di allegria e colore arrivata come per caso dal lontano orizzonte. Abdi prepara la cena per tutti noi e per qualche ospite che si è aggiunto all’ultimo momento….spaghetti tuareg buoni come sempre. E’ già notte quando finiamo la nostra cena, ma le stelle luminosissime e tutte presenti questa sera, ci forniscono quel poco di luce che ci serve per raggiungere la nostra tenda a due passi da qui. Non si vede più nulla….nè montagnole né squallidi ovili….siamo liberi di immaginare le distese di sabbia e l’armonia del deserto…..del tutto assenti qui.

07 Marzo 2008

TAOUDENNI – BIVACCO

La sveglia suona poco dopo l’alba, alle 6.30. Il fabbro arriverà presto e noi dovremo essere svegli per patteggiare con lui il prezzo della riparazione dei sei attacchi della tenda e consegnargli i pezzi. Il tempo di bere un tè maliano ed il nescaffè consumati a sedere sulle coperte stese davanti alla casetta di Abdi ed ecco il forgeron. Si presenta a Vanni e gli propone un prezzo sul quale Lamanà suggerisce di contrattare. Finisce con l’accordarsi per 35.000 CFA per l’intero lavoro, circa 50 €, e parte con lui verso il laboratorio. Intanto il sole è salito, le mosche non danno tregua ed in giro non si vede quasi più nessuno, sono tutti al lavoro dentro gli scavi perfettamente rettangolari, ad estrarre le preziose lastre che fin dal medioevo venivano acquistate dai mercanti portoghesi e veneziani per entrare nelle mense europee. La mattina scorre lenta nell’attesa che il lavoro del forgeron e la sistemazione della camera d’aria siano ultimati. Un lungo viaggio di ritorno, scandito dall’avvistamento delle carovane e dei pozzi, tutti allineati sulla rotta Nord – Sud, ci attende, ma intanto l’ambizioso obiettivo è raggiunto e per il momento ci crogioliamo nella nostra felicità. Per non sprecare tempo prezioso, mentre gli uomini sono occupati nelle varie riparazioni io vado con Abdi in giro per la miniera sempre in compagnia delle mosche così numerose da rappresentare assieme agli scorpioni ed i topi, unici animali qui oltre ai capretti ed i dromedari in sosta, una sorta di flagello. Arriviamo alla “concessione” di un suo amico che vediamo intento a rifinire una lastra con una specie di piccozza, sta eliminando dalla plaquette le parti argillose o impure. Scendiamo giù nel foro quadrato di circa 5 metri di lato attraverso una piccola scala scavata nel duro terreno salato, che ne rende agevole l’accesso. Saltano subito all’occhio i diversi strati del terreno sezionato. Hanno colori diversi a seconda della quantità di sale che contengono in percentuale variabile….dal rosso, al marrone, al bianco verdastro o avorio. Sono solo due gli strati che si estraggono in lastra, e si trovano a circa quattro metri di profondità, sono alti dai 10 ai 15 cm di spessore. Il primo strato che si incontra a partire dall’alto è quello di terza qualità, il meno salato e più impuro che normalmente si getta o si dà da mangiare agli animali dopo averlo macinato. Il secondo strato è di seconda qualità e nello spessore che si estrae se ne fa una lastra spessa circa 3 cm e di dimensioni 125 x 50 cm. Il terzo strato è il migliore, salatissimo, puro e verdastro. Con un po’ di fortuna se ne ricavano due plaquettes sempre della stessa superficie. Il lavoro procede per sezioni, scavando sotto lo strato durissimo di halite del quale non si fa nulla, ma che serve per sostenere il terreno sotto il quale si scava procedendo in orizzontale e spesso scontrandosi con il vicino che ha scavato verso lo stesso punto. Si procede scavando per blocchi della dimensione della lastra, uno standard che ogni minatore rispetta, eliminando dapprima lo strato morbido soprastante la falda di sale, poi affondando il picco per qualche centimetro attorno alla lastra affinché si stacchi. Si procede con la stessa modalità anche per i due strati sottostanti, i più preziosi, e così via per il blocco successivo sempre scavando in orizzontale fino all’inevitabile scontro con il vicino. Il lavoro di un giorno, se non ci si risparmia, permette di estrarre 12 lastre delle quali tre vanno allo scalpellino che le ha pulite. Vengono immediatamente vendute ai carovanieri ed ai camionisti sempre più presenti qui in miniera. Mi spiega Abdi che l’arrivo dei camion ha consentito rifornimenti più veloci di cibo ed altro per i minatori del villaggio. Mi mostra con un sorriso la “cabina telefonica”….una stamberga all’esterno della quale il marito di sua sorella sta maneggiando un telefono satellitare. Ci sono anche il fornaio ed il fabbro….insomma tutto l’essenziale c’è qui alla miniera….tranne le donne ed i bambini che renderebbero più umano questo luogo triste e desolato, dove nemmeno il fantastico deserto circostante è visibile, nascosto com’è dalle montagnole del terreno di riporto degli scavi. Una città fatta di buchi nel terreno e stamberghe, popolata di topi, scorpioni , mosche e dei circa 600 minatori sempre al lavoro dalle 6.00 alle 11.00 e poi dalle 14.30 alle 17.00 del pomeriggio, nei mesi compresi tra ottobre ed aprile, quando il caldo è ancora sopportabile. Vita dura qui! Partiamo alle 15.00, dopo aver installato tutti gli attacchi ora riparati ed aver acquistato e caricato su Gazelle le imperdibili lastre di sale della più antica miniera del Sahel. Durante il viaggio incontriamo ancora carovane composte da centinaia di dromedari che scorrono in fila indiana sulla sabbia color mattone. Il paesaggio è bellissimo qui vicino a Taoudenni, articolato in alte dune che all’orizzonte si tingono di viola…ogni volta che ci arrampichiamo con Gazelle su una di queste è un’emozione come da montagne russe. Ancora banchi di gesso bianchissimo e rari ciuffetti verdi interrompono il cromatismo tutto nei toni del rosso. Campeggiamo dopo il tramonto in una magica distesa di sabbia rosa punteggiata di rocce nelle stesse tonalità di colore, che ne complicano il profilo….non saprei dire dove ci troviamo esattamente, ma il nostro Garmin dice che mancano 279 km ad Araouane. Quello che invece sappiamo per certo è di essere capitati in un angolo di deserto popolato da formiconi alati che si infilano ovunque, dentro la zuppa di cipolle e su per i pantaloni.

08 Marzo 2008

BIVACCO – CAMPO ENI

Partiamo poco dopo le 7.00 percorrendo la pista che si svolge tra la sabbia rosata e le rocce più o meno aguzze che ne costellano la superficie mossa da dune lievi. La sabbia a tratti è molle e Gazelle ruggisce in seconda sforzandosi di non affondare. Qua e là evitiamo le pietre più grosse zigzagando verso l’orizzonte che va perdendosi in armoniche increspature. Questa mattina è Atahar a forare, questo tratto di pista proprio non perdona. Ci fermiamo per la necessaria manutenzione….sono le 9.10 e sul Gps mancano ancora 240 km per Araouane, il nostro obiettivo di oggi….ma poi la nostra attenzione si sposta sulle operazioni che i nostri compagni di viaggio stanno compiendo sul pneumatico forato….è incredibile e Vanni quasi è commosso nel vederli…..Non hanno o non vogliono usare la ruota di scorta del mezzo che Vanni ha noleggiato per loro….quindi smontano completamente il pneumatico ed iniziano a cucire la camera d’aria….si proprio con ago e filo! Vanni, già affascinato dal lavoro da certosino compiuto sugli attacchi della tenda dal forgeron, rimane basito di fronte a questa arte di arrangiarsi, elementare ma efficacissima. Intanto il passeggero ospite, prepara l’immancabile tè maliano trois verres. E’ un giovane ragazzo timido e non parla una parola di francese. E’ salito a Taoudenni per un passaggio fino a Timbuctu…lo schiavo, come lo ha soprannominato Vanni per il fatto che Lamanà ed Atahar non lo hanno accolto dentro l’abitacolo del pick up, lasciandolo sul cassone, seduto sui barili di gasolio, esposto al vento polveroso ed al sole così forte da cuocere il cervello. Non c’è da stupirsi di nulla qui, nemmeno che la schiavitù illegale in Mali, sia di fatto praticata dalle popolazioni tuareg del deserto. A Taoudenni sono molti i ragazzi che lavorano in stato di schiavitù per ripagare debiti maturati a Timbuctu dalla loro famiglia, o quelli che lavorano solo per la loro sopravvivenza e quella della famiglia rimasta in città. Dicevo che lo schiavo prepara il tè mentre i due tuareg stanno incollando una toppa sulla cucitura della camera d’aria. A proposito di questo ottimo tè, deve piacere proprio tanto da queste parti perché quando capita di incrociare le carovane, vediamo spesso qualcuno che agita in marcia il piccolo braciere fumante con la teiera in bilico sulle braci…peggio degli inglesi questi uomini del deserto! Ripartiamo dopo una ventina di minuti, un tempo accettabile per una foratura…ma poi alle 10.50 siamo ancora fermi per l’insabbiatura di Gazelle in cima ad una duna di sabbia chiara così fine da sembrare polvere. I tentativi di disinsabbiamento si protraggono con ogni mezzo nelle ore successive, ma senza alcun risultato, anzi, Gazelle affonda sempre più nella sabbia. A nulla vale scavare, mettere pietre e paglia sotto i pneumatici….Gazelle non esce dalla sua buca sempre più profonda. Alle 14 è unanime la decisione di interrompere gli inutili tentativi ….si pranza, o meglio loro pranzano, Vanni invece controlla i fusibili …la luce di inserimento del 4X4 non si accende più e poco fa Vanni ha probabilmente commesso un errore inserendo il differenziale con il 4X4 inserito. Il rumore che ha seguito l’operazione promette male e secondo lui abbiamo rotto il 4X4. Sarebbe atroce se così fosse! – Non rimane che aspettare che passi un camion – dice Lamanà, – siamo sulla pista e qualcuno prima o poi passerà da qui, potrebbe essere che ne arrivi uno mentre noi stiamo pranzando -. Ma in questi quattro giorni di viaggio non abbiamo avvistato un solo camion, se non quel camion cisterna dell’ENI che si aggirava proprio da queste parti un paio di giorni fa. E’ di Atahar l’idea di andare a chiedere aiuto al campo ENI che si trova a 15 km in direzione Ovest da qui. Vanni andrà con lui e lo schiavo, io rimarrò qui con Lamanà, ormai è deciso. Salgono in tre sul pick up e spariscono dalla nostra vista, inghiottiti dalle dune chiarissime qui intorno….io e Lamanà cerchiamo un po’ di ombra sedendoci vicinissimi a Gazelle, due chiacchiere, un riposino ad occhi chiusi e dopo circa una mezzora ci alziamo di scatto al rumore di mezzi in avvicinamento…..che sorpresa….sembra di essere assaliti da una serie di mezzi all’arrembaggio. Sono tre le auto in arrivo ed un grosso camion da deserto con ruote enormi….mai visto un dispiegamento di mezzi così per un insabbiamento mi dice Lamanà visibilmente sollevato e quasi commosso. Ma la cosa più divertente è rappresentata dai tre militari con i volti coperti dal passamontagna nero che armati di kalasnikov si avvicinano guardinghi seduti sui bordi del cassone di un pick up color avorio. Dal Toyota Land Cruiser nuovo fiammante scendono Fabio e Paolo, i due tecnici Eni italiani, quindi il responsabile del cantiere, un energico algerino che inizia fin da subito ad impartire ordini ai suoi uomini e Vanni. Fabio e Paolo ci spiegheranno poi che per contratto si spostano dalla base sempre scortati dalle guardie armate….in questo Sahara spesso lacerato dalle rivolte tuareg, non si può mai sapere cosa accadrà, quindi meglio prendere le necessarie misure di sicurezza. Intanto si è creata una piccola folla di tecnici e meccanici, segue qualche presentazione, poi l’algerino munito di radiotrasmittente inizia ad impartire ordini e tutto inizia a muoversi, compresa Gazelle che agganciata posteriormente al verricello del camion attraverso un lungo cavetto d’acciaio, esce velocemente dalla sua prigione indietreggiando fino a valle dove la accoglie la sabbia finalmente ben soda. Il meccanico, che indossa una pulitissima tuta blu da lavoro, sale a bordo della nostra mitica Gazelle e fa un paio di prove per verificarne il 4X4, ma appena inizia a risalire la duna appare evidente anche a me che le uniche due ruote motrici sono quelle posteriori….il sistema di trazione integrale è rotto! I militari armati, che durante le operazioni di soccorso erano saliti sulle dune circostanti per controllare che nessuno arrivasse ad attaccarci, risalgono sul loro cassone. In pochi attimi quello che era stato un luogo affollatissimo si svuota di ogni forma di vita, completamente…andiamo tutti al campo dove siamo stati gentilmente invitati affinché il meccanico possa esprimere una diagnosi più precisa ed eventualmente provvedere in qualche modo. Fortunatamente la pista per il campo è battuta ed i 15 km che ci separano da esso non ci danno alcun problema. Prendiamo posto in uno degli alloggi su ruote del campo ripulito ed allestito per accoglierci dove finalmente dopo cinque giorni ci concediamo una bella doccia ristoratrice. Raggiungiamo i ragazzi italiani poco dopo un breve riposo consumato sui lettini della nostra camera, ci presentano il capo del campo, un signore algerino vivace, simpatico e che detesta il caldo come capiamo nel corso della piacevole conversazione. Siamo di nuovo nella nostra camera in attesa che si faccia l’ora di cena, quando arriva la notizia devastante che Gazelle non potrà essere sistemata qui…serve un pezzo di ricambio, il perno del transfert, e nessuno qui è in grado di riparare l’originale rotto. La situazione si fa complicata. Ceniamo nella piccola saletta del campo dove tutto è pulitissimo, posate, bicchieri e piatti sono lustri in modo quasi innaturale. Un centrotavola rigoglioso di frutta fresca vivacizza il nostro desco attorno al quale ci sediamo in compagnia di Paolo, Fabio e dei due simpatici tecnici che scopriamo essere i responsabili dei lavori di sondaggio del territorio in cerca di petrolio, che la ditta algerina esegue per conto dell’ENI. La conversazione inizialmente in lingua italiana accompagna le portate del diner che si apre con una insalatina fresca, praticamente un miracolo qui…per proseguire con un potage di verdure, quindi cosce di pollo con patate fritte e finocchi in salsa. Frutta e piccoli budini confezionati costituiscono il dessert. Terminata la cena l’algerino, che era venuto in nostro soccorso nel deserto, si congeda con un bel sorriso. Noi iniziamo a raccontare con entusiasmo dei nostri viaggi nei due continenti, spaziando dal Mali, al sudamerica e all’Alaska. Sono tutti curiosi di sapere ed ascoltano con interesse le nostre avventure, poi arrivato il momento della sigaretta mi avvicino alla porta in compagnia dell’algerino, l’unico dei presenti con la mia stessa necessità di fumare. Iniziamo così una bella chiacchierata in francese sugli argomenti più vari tra cui la condizione femminile in Algeria e conseguentemente della famosa scrittrice Kalida Messaiudi della quale cui lessi il libro di denuncia “ad occhi chiusi” tanti anni fa e che ora, mi dice lui, è ministro della cultura…finalmente una bella notizia! Mi fa anche notare che oggi è la festa della donna….la festa più maschilista che l’uomo abbia mai potuto concepire…replico io. Alle 10, dopo la piacevole conversazione ci congediamo dai nostri salvatori e poco dopo entriamo tra le candide lenzuola dei nostri due lettini.

09 Marzo 2008

CAMPO ENI – DAJET EN NAHARAT

Poco dopo le 6.30 ci troviamo con Paolo e Fausto nella saletta per la colazione…con grande soddisfazione osserviamo il tavolo imbandito di succulente leccornie tra cui i biscotti che non mangiamo da mesi, marmellate varie e nutella. Dopo Mopti non abbiamo più avuto occasione di mangiare dolci quindi si può ben capire il nostro entusiasmo alla vista di quei biscotti. Usciamo poi per organizzare un po’ di cose, ma arriviamo tardi…Lamanà sta già scaricando da Gazelle il bagaglio più pesante, per alleggerirla al massimo. Poco dopo arriva anche l’algerino che, con nostro grande sollievo, ci conferma la decisione di assegnarci un’auto d’appoggio, un Toyota Land Cruiser nuovo fiammante e dotato di cavo d’acciaio da usare per eventuali disinsabbiamenti. Ci invitano anche a passare dal distributore per riempire tutti i nostri due serbatoi di gasolio…che angeli! Con quest’ultimo ennesimo atto di generosità il pool di algerini ed italiani ci salva definitivamente dal perdere l’aereo il 15 di questo mese. Con le due auto d’appoggio siamo tutti più comodi, compreso lo “schiavo” che ora viaggia comodamente seduto dentro l’auto ENI in compagnia di due coetanei che come lui parlano arabo. Quando partiamo sono tutti a guardare il corteo delle tre auto in uscita dal campo, poi le mani di tutti iniziano a muoversi in segno di saluto. Un po’ di sabbia resa molle dai mezzi in transito, poi i cespuglietti fetenti che ci fanno sobbalzare come se fossimo non su di una gazelle, ma su un toro scatenato. Ci insabbiamo due volte, ma con l’aiuto dei nostri uomini che ora sono cinque , ne usciamo velocemente. Dopo tre ore di sobbalzi e scossoni arriviamo finalmente sulle lisce dune di sabbia chiara che come grandi onde di latte macchiato ci trasportano a tutta birra verso sud. Gruppi di dromedari si stagliano sul bianco e soffice mantello di sabbia, offrendoci uno spettacolo ancora una volta di un’armonia incredibile. Ma il rodeo non è ancora terminato e presto, troppo presto, ritorna il flagello dei ciuffi di vegetazione che ora dobbiamo affrontare ad alta velocità per non affondare, senza la trazione integrale, nella sabbia. Il rodeo si ripete alternandosi a lunghi tratti di dune a grandi onde piacevolmente lisce sulle quali recuperiamo il grande piacere di essere qui. Ci fermiamo un paio di volte in questa lunga corsa verso Timbuctu…..per l’immancabile pranzo di mezzogiorno con sosta fissa fino alle 14.30 quasi imposta da Lamanà fin dall’inizio del viaggio, ed in prossimità di Araouane che non raggiungeremo per via della grande duna che dovremmo affrontare, per affidare allo zio di Atahar che vive qui nomade in una bianca tenda berbera, il bagaglio che Abdi invia alla madre. Ci rendiamo conto solo ora, vedendo le scatole passare di mano in mano, che abbiamo trafugato viveri destinati dall’Europa Unita alla miniera….ma siamo nelle loro mani in mezzo al deserto e perciò facciamo finta di non vedere. Risaliti a bordo continuiamo la lunga marcia fino al tramonto, quando arrivati in un avvallamento protetto dalle dune, ci fermiamo. Sono così stanca che crollo sulla sabbia dove rimango stesa in posizione leonardesca per un’oretta a godermi le luci del tramonto. Intanto Lamanà ha acceso il fuoco per cucinare la cena ed ogni tanto arriva ad offrirmi un bicchierino di ottimo tè fumante. Che grande guida Lamanà….e che bella persona….ha infuso coraggio a tutti noi, ed ha aiutato quando necessario senza risparmiarsi. Sempre efficiente e comprensivo….siamo stati fortunati ad avere lui. Dopo qualche lavoretto alla macchina anche Vanni mi raggiunge e si stende accanto a me. Rimaniamo così, immobili e stanchi ad osservare le stelle che nel frattempo sono arrivate tutte, anche quelle cadenti. Raggiungiamo il gruppetto dei tuareg per la cena attorno al fuoco a base di spaghetti, ma adesso che il gruppo è aumentato non ci considerano un granchè. Sono tutti in cerchio loro, vicini alla ciotola fumante dalla quale si servono prendendo gli spaghetti a pugno nella mano. Rifornimento di carburante dai barili ed a letto presto….domani ci aspetterà il tratto più duro…130 km di dune anche altissime.

10 Marzo 2008

DAJET EN NAHARAT – TIMBUCTU

Alle 6 siamo già svegli….alle 6.30 partiamo. Sono così tesa che scoppio in lacrime. Sono stati giorni duri questi ultimi e l’idea di dover affrontare quello che sarà il più duro di tutti senza 4X4 mi fa cedere. La palla di fuoco è ancora nascosta dietro le dune quando partiamo al seguito di Atahar, è il momento migliore per andare per via della maggiore compattezza della sabbia ancora fredda. Le dune si alzano fin da subito in ampie curve e sul nostro percorso compaiono a tratti i malefici ciuffetti, ma ci ripaga l’ avvistamento di alcune volpi del deserto che corrono a balzi fuori dalle loro tane, spaventate dal rumore delle nostre auto. Vanni guida a tutta birra ….è l’unico modo per affrontare la sabbia senza venirne risucchiati. Saltiamo come matti, a volte voliamo per poi riprecipitare subito oltre una piccola inevitabile duna. La pista è un inferno a questa velocità ed i sobbalzi rompono anche la nostra lastra di sale da 30 kg e spessa 3 cm…. non voglio pensare a come saranno le mie vertebre all’arrivo. A tratti la pista è così scavata da sembrare immersi nella sabbia, come se fossimo in una pista da bob….ad ogni movimento del volante si sbanda strisciando sull’alto bordo laterale, e a volte in curva la macchina è così sbandata da rischiare il rovesciamento. In un paio di occasioni nel corso di questa folle corsa verso la salvezza, sfioriamo tronchi di acacie cresciute troppo vicine alla pista….io finisco col colpevolizzare Vanni che ha voluto a tutti i costi affrontare questi 1600 km con un’auto sulla quale non ha nemmeno provveduto a montare dei pneumatici tassellati da sabbia e che ha voluto guidare su un elemento difficile senza la necessaria esperienza. Dopo quasi tre ore di questo inferno fatto di continue prove da superare, quando già all’orizzonte si profilava la skyline di Timbuctu, sull’ultima duna Gazelle si arrende stremata. Scendiamo tutti ed arrivano ad aiutare anche le persone stanno andando in città a piedi. Insomma è una folla quella che si accalca a spingere con le mani ben piazzate sul portellone posteriore di Gazelle, grazie a questo aiuto imprevisto siamo fuori in una decina di minuti e dopo altri dieci siamo in hotel dove il direttore preoccupato per il nostro ritardo aspetta fuori dalla porta. Siamo in ritardo di un giorno e mezzo, rispetto ai cinque giorni previsti….che avventura memorabile questa! Anche Atahar scende dall’auto ed arriva verso di noi….vuole che traduca per Vanni ciò che ha da dirgli : – in cuor mio non ho mai pensato che si potesse affrontare quel pezzo di pista senza 4X4. Complimenti a Vanni per la guida eccellente e coraggiosa. – Mentre traduco mi pento di averlo quasi aggredito in macchina questa mattina…ma ognuno di noi ha le proprie ragioni e solo perché alla fine tutto è andato bene quasi miracolosamente, non significa che non avremmo potuto risparmiarci molti degli stress che invece abbiamo vissuto. Se penso che per le mie esperienze precedenti io associavo il deserto al relax, alla meditazione ed alla bellezza armonica….che cambiamento di prospettiva ha rappresentato per me questo viaggio! Invitiamo Lamanà ed Atahar a cena per un doveroso commiato, quindi mi congedo da tutti e mi precipito sotto la doccia, mentre Vanni sistema un po’ i bagagli su Gazelle caricando la zavorra di souvenir che avevamo lasciato in hotel. Il letto ci rivede insieme dopo un paio d’ore….io spappolata, lui ancora iper energico che organizza a suon di sms la nostra cena al Biavati la sera del 16 maggio, poche ore dopo il nostro atterraggio a Bologna…..ho sposato Hulk! Alle 17 come d’accordo con il figlio del direttore usciamo per un tour nella città vecchia….ma che delusione questa Timbuctu…..passeggiando per le stradine povere e sporche, dove non c’è nulla da vedere se non le porte delle case rinforzate con grandi borchie di metallo luccicante, capiamo che la grandeur di questa città è solo un ricordo del passato e che solo il suo nome TIMBUCTU, altisonante ed evocativo, è rimasto immutato nella memoria collettiva, tante volte citato, sempre presente nel nostro immaginario come un luogo di grande fascino ed importanza commerciale. Non incontriamo nulla di veramente bello da vedere, o da ricordare, solo la grande moschea di banco ispido di bastoni risalente al 1350, il cui minareto a forma di imbuto rappresenta una eccezione tipologica di un certo interesse. Poi l’antica università anch’essa con un bel minareto…e niente altro. Solo miseria, tristezza e grigie scatole di banco, le case di Timbuctu, ravvivate solo dalla presenza dei forni collettivi circolari, a quest’ora in piena attività. La sosta per l’acquisto di prodotti artigianali è un punto fermo al quale è difficile sottrarsi nel corso delle visite guidate, e nonostante specificato strada facendo la nostra ferma intenzione di baipassare, Momo, la nostra guida, ad un certo punto si ferma vicino ad un’anziana signora seduta di fianco alla porticina della sua casa. Apre un sacchetto di tela e ne estrae i suoi capolavori….collane e braccialetti del colore dell’oro ma realizzati interamente in paglia. Sono bellissime le collane, e leggere come piume. Il costo irrilevante di meno di due euro l’una mi spinge a comprarne diverse ed a lasciarle anche una mancetta, per premiare la sua abilità e la sua originale idea. E’ impagabile il piacere che dà vedere spuntare un sorriso sul viso di una donna….ed avendo fatto così poco per provocarlo. Ci congratuliamo con lei e proseguiamo tutti contenti incamminandoci nel labirinto di strade polverose per tornare a Gazelle che ci aspetta davanti la grande moschea. Rientriamo in hotel per un altro breve riposino e per rispondere ai tanti sms arrivati negli ultimi sette giorni di isolamento telefonico. Alle 19.00 Lamanà arriva puntuale all’appuntamento per la cena. E’ elegantissimo nel suo caffettano bianco che lascia intravedere una camicia nera a righe chiare, in tinta con il turbante anch’esso nero….non lo avevo riconosciuto abituata com’ero a vederlo nel suo caffettano verde oliva. Dopo una decina di minuti ci raggiunge al tavolo Atahar anche lui ripulito come si deve. Iniziano subito le difficoltà legate all’uso necessario delle posate per la zuppa che loro lasciano completamente intonsa. Qualche chiacchiera, poi Vanni và loro incontro afferrando la coscia di pollo con le mani, dopo di che anche loro iniziano a mangiare. Ci scambiamo i numeri di telefono, ripercorriamo insieme alcuni momenti del nostro viaggio insieme che ci fa sentire molto legati a loro, poi ci congediamo con il proposito di rivederci il prossimo dicembre. Non ci sono molti turisti che amino spingersi nel deserto del Mali e quindi il loro lavoro è scarso purtroppo. Adotterei volentieri Lamanà a distanza, ha tre figli da sfamare e lo stimo molto, questo tuareg di poche parole, ma serio e corretto…ci penserò. (Lamanà Sidali, guide de desert, 00223 6042177. Atahar Sidi, 00223 9065309).

11 Marzo 2008

TIMBUCTU – MOPTI

Partiamo di buonora dopo essere usciti dalle lenzuola che hanno avvolto altri corpi prima di noi. L’odore dei cuscini non lascia spazio ad alcun dubbio. Ne usciamo volentieri quindi, nonostante gli asciugamani avvolti attorno ad essi ci avessero aiutati a superare la sensazione di disagio legata al pensiero di eventuali malattie della pelle a carico degli ospiti precedenti. Alle 7.30 siamo già a bordo di Gazelle diretti al Bac sul fiume e poi oltre, alla capanna dei bellè, gli ex schiavi, dove la bambina piccolissima ha bisogno delle medicine che le ho comprato. La madre non c’è, è il padre a mostrarmi il culetto ormai guarito della figlia. Inizia poco dopo la pista scassata verso Douentza….ancora scossoni e buche che per dimensione e posizione, in cima a salite che le rendono invisibili, hanno tutta l’aria di veri e propri attentati. Perdiamo un bullone che fissa la vaschetta dell’acqua del radiatore, un fanale anteriore e quasi anche l’altro che Vanni lega con un cordino. Gazelle sta letteralmente cadendo a pezzi. Dopo i 210 km micidiali arriviamo finalmente sul goudron dove Vanni lanciato a tutta birra verso Mopti riesce finalmente dopo giorni e giorni ad inserire la quinta marcia. Costeggiamo piccoli villaggi di banco, dalle bellissime piccole moschee che le punteggiano come tanti piccoli gioielli emergenti sulle monotone casette scatolari. A Mopti ci dirigiamo senza indugi verso l’hotel “Y a pas de probleme”, all’ombra della cui terrazza mi gusto una pericolosa insalata verde accompagnata dall’ottimo tè maliano. Vanni è da qualche parte con Gazelle, per un rifornimento ed il controllo del pneumatico che avevamo forato salendo a Taoudenni che ora ha una grossa bozza sul fianco. Quando dopo un paio d’ore torna Vanni mi dà una notizia che avrei preferito non sentire….quella mattina a Taoudenni, mentre Vanni era dal forgeron, Lamanà mi aveva mostrato la nostra camera d’aria danneggiata facendomi notare che i due tagli paralleli e vicini la rendevano non recuperabile. Ne avrebbero montata una nuova per un costo di 15.000 CFA, poco più di 20 €. Oggi Vanni, facendo smontare il pneumatico, ha visto che la camera d’aria, che doveva essere nuova, è più logora della nostra e con una toppa che chiude due tagli vicini pressappoco quanto i nostri. Avrebbe potuto chiedere lo stesso importo per la riparazione, anziché fregarci in questo modo! Che delusione i nostri due compagni di viaggio….inutile pensare di poter instaurare con loro un onesto rapporto di amicizia, appena possono ti fregano….questa è la triste realtà. Ma torniamo a questo bel posto che è Mopti….ancora di martedì, come 14 giorni fa, vigilia di mercato con grande movimento di piroghe e merci in vista del grande giorno di scambi, compravendite e festa. Il mercato è l’evento che riunisce le genti dei villaggi vicini e le mette in contatto con i compratori che vengono anche da lontano. Non possiamo mancare allo spettacolo del tramonto al Bar Bozo, quindi andiamo per tempo ad osservare il grande show che questa sera comprende anche un ragazzo che proprio qui sotto il muro della terrazza fa manicure e pedicure ai suoi clienti seduti in fila ordinata a terra. Poi ancora pinasse che arrivano e ripartono cariche e poi scariche….senza sosta. Approfittiamo di una bilancia del mercato per controllare il nostro peso dopo due mesi d’Africa…io ho perso cinque chili, Vanni quattro…non male! Il taxi ora aspetta fuori dal bar, davanti al cantiere delle piroghe. Tornare sulla strada attraversando il mercato in allestimento non è semplice nemmeno per un taxista di qui, ma comunque trova un varco tra carretti, corpi e ceste dalle quali arriva il pungente odore di pesce secco. Ceniamo nella bella terrazza dell’hotel dove questa sera ci godiamo il bel venticello mentre una cameriera con parrucca, lenta come una lumaca e sempre con l’espressione di chi ti sta facendo un favore, ci serve le gustose pietanze.

12 Marzo 2008

MOPTI – SEGOU

Lasciamo Mopti con la ferma decisione di tornare…questa città ci ha proprio conquistati con la sua vivacità legata al porto, alla gente simpatica e sempre sorridente, a parte la cameriera di ieri. Ce ne andiamo volgendo il capo indietro….ma che dire…tutte le cose hanno un termine e noi ormai siamo agli sgoccioli di questa prima parte del viaggio attraverso l’Africa che ci vedrà toccare altri numerosi stati di questo grande continente. Mentre percorriamo a ritroso la strada verso Bamako, sono tanti i ricordi che affiorano ed altrettanti i propositi legati al nostro ritorno il prossimo dicembre, quando la stagione delle piogge appena terminata avrà gonfiato d’acqua questo delta del Niger e tutto avrà un aspetto diverso, compresa la vista dalla terrazza del Bar Bozo che allora sembrerà navigare anch’essa come una pinasse sulle acque limacciose del fiume in piena. Sono poche le cose tralasciate in questi 27 giorni in Mali ma questo paese ci è piaciuto così tanto da non volerne perdere nemmeno una briciola. La navigazione sul fiume, tra i villaggi di pescatori e la bella Gao al confine con il Niger saranno i punti fermi del nostro prossimo passaggio qui. Non possiamo lasciare il Mali senza portare con noi almeno una calebasse , è per questo che ci fermiamo a Bla e ne acquistiamo due al costo irrisorio, ma senz’altro esagerato, di 2000 CFA, vista l’espressione del viso di chi ce la sta vendendo….come se stesse facendo una necessaria rapina. A Segou arrivo piuttosto stanca, devono essere questi 40°C costanti nelle ore centrali della giornata, ed il climatizzatore di Gazelle ormai scarico di gas. Torniamo all’hotel Djioliba, piacevole e pulito. Domani saremo a Bamako.

13 Marzo 2008

SEGOU – BAMAKO

Con questo caldo Bamako sembra irraggiungibile senza il conforto dell’aria condizionata a bordo. Attraversando il lungo ponte des Martyrs entriamo nel cuore della città della quale riconosciamo gli enormi volumi del Sofitel seguendo i quali e proseguendo oltre arriviamo al nostro hotel Rabelais dove la proprietaria, una signora francese di mezz’età, ci accoglie con un sorriso. Siamo ormai clienti affezionati qui visto che per la terza volta torniamo ad occuparne una delle belle camere al primo piano. Inizia il rito di preparazione dei bagagli con tanto di pesatura dei colli nel rispetto delle regole Air France. La lastra di sale rotta finisce con qualche tovaglia dogon e le babbucce di cuoio marocchine in una valigia di tessuto a disegni pacchiani acquistata per l’occasione. Mai visto nulla di più kitch e cadente, tant’è che la maniglia si è già rotta ed anche i brodi si stanno aprendo. Legata una corda, tanto per non perderne il contenuto, pesa la bellezza di 34 kg, due in più di quelli consentiti per un solo collo. Il bellissimo pietrone arancione traslucido di Vanni finisce nel mio trolley svuotato degli indumenti che lascerò qui. Peso 30 kg. Il suo trolley rosso pesa 14 kg…insomma riassumendo dobbiamo comprare ancora due sacche per contenere anche gli ultimi souvenirs e sfruttare al massimo il peso complessivo consentito per i bagagli in stiva di 46 kg a persona, più i 12 in cabina. Che delirio andare avanti e indietro con tutto quel peso dalla macchina alla bilancia del magazzino dell’hotel….qualche battibecco rende poi la cosa insopportabile, ma Vanni ha una resistenza da superman! Modibo ci raggiunge con un ritardo di circa un’ora. Seduti a bordo piscina beviamo una bibita e chiacchieriamo di tante cose, compresa la difficile situazione politica e sociale nella regione a nord di Timbuctu, dove eravamo noi, per via dei ribelli tuareg. Gheddafi fomenta la ribellione, che si protrae dagli anni ’90 con spargimenti di sangue, rapimenti e ricatti allo stato maliano. Insomma questi tuareg che non hanno proprio voglia di lavorare, dice Modibo, e che ancora praticano la schiavitù ai danni dei Bellè, chiedono continuamente denaro allo stato in cambio della non belligeranza. Discutiamo fino al tramonto poi Modibo si dilegua in gran fretta….forse deve pregare. E’ simpatico, nerissimo nel suo caffettano bianco, e indossa un vistoso orologio d’oro con brillanti che nemmeno io indosserei mai talmente è vistoso. I suoi due cellulari hanno suonato continuamente, quasi a voler sancire che si tratta di un impegnato uomo d’affari. Dopo un breve relax in camera cerchiamo di contattare Ismail, il ragazzo libanese conosciuto a Djienne che accompagnava il tour di italiani . Vanni deve aver scritto male il numero di telefono, 5145528, non rimane che andare a cercarlo nel suo locale, l’Exodus che ci aveva caldamente raccomandato. ( HYPERLINK “mailto:exodusmali@gmail.com” exodusmali@gmail.com ) Il taxi arriva in pochi minuti e dopo aver percorso le buie strade polverose della periferia della città entriamo in quello che ci sembra un piccolo ippodromo e poco dopo raggiungiamo una struttura di legno che sembra deserta. Una volta entrati siamo avvolti dall’atmosfera soffusa del locale ed accolti con un saluto caloroso da Ismail, che sta facendo qualcosa dietro al banco del bar. Ci chiede naturalmente del nostro viaggio, poi racconta la storia di questo Exodus che lui ha creato dal nulla, ma nel quale non c’è ancora nessuno a parte noi tre ed i camerieri. E’ carino qui, ha fatto un bel lavoro Ismail, dividendosi per di più tra questa attività ed il suo lavoro di guida. Ci consiglia di leggere un libro, si intitola “Africa Trekk” ed è stato scritto da Sonia ed Alessandro Poussin….da non perdere per noi che viaggiamo molto! Dopo un aperitivo con due misurini di rum che mi stende dopo un’astinenza di mesi, ci comunica che non ceneremo lì. E’ stato invitato da una sua amica italiana che lavora qui ed ha organizzato questa sera una cena da lei con amici….andremo con lui. La casa di Milena non è molto distante dal nostro hotel, spaziosa, pulita, arredata in modo sobrio ed ha un bel giardino. La cosa che mi colpisce entrando è la stupenda scultura di cartapesta che riproduce una due cavalli azzurro metallizzato in scala più piccola naturalmente, ma lunga comunque circa un metro. Visto il mio entusiasmo Milena mi fa vedere quelle che sono in camera da letto, un pullman ed un missile, fantastici e piuttosto grandi riempiono tutto lo spazio libero. Sono così belle queste sculture che ne vorrei avere una anche per noi. Già la immagino parcheggiata nel soggiorno di Forlì….magari una Gazelle…l’idea mi sembra fantastica! Ma non si trovano in nessun mercato…lei le ordina direttamente da questo artista che le costruisce….come fare? Senza naturalmente! Siamo in otto a partecipare alla cenetta a base di ottimi gnocchi di patate preparati dalla padrona di casa. Lavora qui a Bamako in qualità di architetto presso un’agenzia spagnola che si occupa della conservazione e dello sviluppo sostenibile dell’edilizia tradizionale in banco. Con lei sono Arancia, una ragazza spagnola che lavora per una ONG nel settore della nutrizione, Charles, che arriva dal Lussemburgo e che sta seguendo per conto del suo paese un progetto imprecisato. Poi c’è Natascia, unica rappresentante di colore, amica di Milena, scatenata e con l’immancabile parrucca, Fernando, spagnolo e medico senza frontiere. Insomma un bel gruppetto europeo a sostegno del settimo paese più povero d’Africa. Qualche chiacchiera in italiano con Ismail e la padrona di casa accompagna la cena che ci vede tutti seduti attorno al tavolino del salotto a gustare gli ottimi gnocchi e l’insalata della quale ultimamente vado matta. Dopo la cena alcuni di loro andranno alla Terrasse a scatenarsi in balli sudamericani, noi ci incamminiamo verso l’ hotel a piedi ….decisamente alticci.

14 Marzo 2008

BAMAKO

Dopo l’ottima colazione con le meravigliose torte dell’hotel, inizia l’attesa di Modibo che alle 10.45 non è ancora arrivato all’appuntamento delle 9.30. Gli telefoniamo per sollevarlo dall’impegno ma lui risponde  farfugliando  che ha mandato suo fratello,  poi aggiunge che ci raggiungerà alla sede Toyota. Seguiamo il taxi che ci conduce alla clinica Toyota dall’altra parte della città, dove poi ci sentiamo rispondere dal signor Sidibe, il capo dei meccanici dell’officina, che oggi non hanno il tempo di guardare l’auto per vedere quali pezzi sono da sostituire ….Per rimetterla un po’ in sesto avevamo loro chiesto un preventivo ed un elenco dei pezzi eventualmente da ordinare alla casa madre, ma loro ci snobbano dicendo che non hanno pezzi di auto così vecchie, non hanno tempo di stilare un elenco dei pezzi da ordinare….ma in fondo cosa sono 25 anni rispetto alle potenzialità della nostra Gazelle? …proprio non hanno voglia di lavorare….saranno tuareg anche loro? Esco furiosa e sempre più propensa al razzismo che anche Vanni condivide. Il pomeriggio trascorre lento attorno alla piscina dell’hotel ed i buoni propositi di andare a visitare il Museo Nazionale sfumano con il passare delle ore. L’alibi c’è naturalmente, per sedare i lievi sensi di colpa che mi assalgono in questi casi, continuo a ripetermi una frase di questo tipo: – la nostra esperienza in Mali è stata così piena, così vera e profonda  che l’idea di osservare degli oggetti ben inseriti nelle vetrinette di un museo non aggiungerebbe nulla alla conoscenza di questa bellissima nazione -. Eppure questo museo è il più interessante di tutta l’Africa occidentale per cui troveremo un momento per la visita al nostro rientro qui in dicembre. Alle 20 arriva Modibo, puntuale all’appuntamento per la cena in hotel alla quale lo abbiamo invitato in compagnia della moglie….ma arriva solo ed ha già mangiato ci dice, durante una riunione di lavoro svoltasi nel suo ufficio mentre discutevano dell’aumento eccessivo delle tasse doganali. Rimane con noi a chiacchierare, tra un boccone e l’altro, mentre il suo telefono non smette di suonare. Ci conferma la notizia del rapimento di due turisti austriaci nel deserto della Tunisia da parte di Al Quaeda, lo scorso 22 febbraio. Dopo aver attraversato il deserto algerino al seguito dei loro rapitori, ora sarebbero nel nord del Mali,  vicinissimi a Taoudenni, dove noi eravamo pochi giorni fa….- vous avez eu de la chance – ci dicono tutti ed è abbastanza vero. Alle 23 crolliamo dal sonno….ma stiamo migliorando!

15 Marzo 2008

BAMAKO – BOLOGNA

Modibo arriva alle 10 con un anticipo di 30 minuti. E’ in compagnia della sua seconda moglie e di una bambina piccolissima ma bellina da morire con i capelli ordinati in piccole trecce. Ieri sera ci aveva introdotto l’argomento della sua famiglia, per questo era venuto solo…come fare a scegliere chi invitare tra le tre mogli senza fare un torto alle altre due? Nella sua casa enorme convivono tutte tre e le numerose figlie, ben sette, di cui la più grande ha diciassette anni e la più piccola sette mesi. Con la prima moglie l’amore è finito subito…e sono iniziati i problemi legati alla sua sterilità dopo la prima gravidanza. La seconda invece è la sua favorita, più istruita delle altre e moglie perfetta sa come renderlo felice e inoltre lo sostituisce in azienda quando lui è assente. Con lei ha fatto cinque figlie e non avrebbe mai sposato la terza se non fosse che sua madre ha insistito affinché prendesse una della sua stessa razza, ma nemmeno questo  è servito ad avere un figlio maschio….suo grande cruccio. Ci dice che non è facile gestire le gelosie delle tre mogli, ma ognuna di loro vive in un’ala della casa a lei riservata ed ha un suo giardino….non manca proprio nulla a queste donne….dice lui come per giustificarsi agli occhi di noi occidentali. Ed è normale che un uomo della sua levatura abbia tre o quattro mogli…perché in definitiva le compra…penso io. Mentre osservo sua moglie e la piccolina  mi chiedo se  facciano parte di quel fortunato 7% risparmiato dall’infibulazione…. nonostante la curiosità mi trattengo dal chiedere perché se così non fosse non potrei più rivolgere la parola a questo signore che si occuperà di noi per tutto il pomeriggio e poi fino al nostro check-in  questa sera. Non vedendo Vanni, ancora provato dalla digestione della tartare di ieri, Modibo glissa l’uscita di questa mattina rimandando il nostro incontro alle 16 del  pomeriggio…..rilancio per le 15, non ho voglia di trascorrere tutto il pomeriggio in hotel a guardare Euro news in tv…e Bamako è davvero al di sopra di ogni tentazione di visita. Alle 17 arriva….ci accompagna al museo che a quest’ora è chiuso, quindi ci porta con sé allo stadio dove oggi gioca la sua squadra del cuore, il Djoliba AC , primo in classifica, ma che sta perdendo contro l’ultima in classifica, la USFAS. Siamo gli unici bianchi della tribuna coperta, la gradinata è caldissima ed il calcio non è lo sport che preferisco. Mai avrei pensato di concludere così il nostro viaggio, nello stadio di Bamako, dove i venditori ambulanti sfilano con  bevande e catini pieni di finocchi crudi o uova sode con tanto di condimenti, sale e pepe, in due barattoli a parte. I catini sono rigorosamente tenuti in equilibrio sulla testa dalle ragazze sempre itineranti sugli spalti, mentre molti bebè dormono tranquilli, nonostante il rumore delle tifoserie e dei tamburi, nei loro fagotti stretti alla schiena delle madri al lavoro. Usciamo dallo stadio delusi per la sconfitta schiacciante della squadra di Modibo….un salto in hotel a prendere Gazelle già piena dei nostri bagagli e poi si parte con destinazione casa di Modibo dove  la famiglia intera è ad accoglierci. Una volta parcheggiata Gazelle nel comodo garage annesso alla casa, dove rimarrà al sicuro nei prossimi mesi, ci accomodiamo sotto la tettoia dove una bimba arriva tutta orgogliosa a mostrarci una foto di qualche tempo, fa che ritrae Carlo Lucchese in compagnia della famigliola. Dopo molte chiacchiere con la primogenita e le mogli, ci congediamo da tutte loro, è già ora di andare all’aeroporto vicino per il check-in. Si torna a Bologna.


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