09 Gennaio 2010

BROWNSVILLE – MONTERREY

L’ingresso di Jimmy in territorio messicano è leggermente laborioso….. con la targa canadese scaduta fin dallo scorso giugno è stato già un miracolo aver circolato per quasi un mese negli Usa senza pagare ammenda per questo problemino non da poco che avrebbe richiesto nel caso di un controllo per strada da parte della polizia una dialettica da arringa anche in Italia…. figuriamoci doverci difendere in lingua americana! I messicani dimostrano subito il loro buon cuore ed una disponibilità esemplare fornendo a Vanni la soluzione condita con una valanga di sorrisi rassicuranti al costo accessibilissimo di una cinquantina di dollari. Non sono solo i sorrisi ad annunciare il passaggio da un “pianeta” ad un altro…. anche i bagni della dogana, senza carta igienica e con le porte sconnesse sono senz’altro il rovescio della medaglia del nostro ingresso nello stato ospitale e rassicurante di Mexico. L’aria messicana ci dà una sferzata di energia ed aumenta la nostra capacità di comunicazione con i locali … il passaggio dall’inglese ancora ostico, allo spagnolo con il quale almeno condividiamo la matrice latina ci fa sentire enormemente a nostro agio…. impossibile non capire o non essere capiti d’ora in poi. Similmente agli africani, i messicani si mostrano senza troppi fronzoli né maschere, spontanei nel bene e nel male ma senz’altro piacevoli. Nonostante la temperatura non sia cambiata rispetto a ieri, oggi sembra più caldo ed il paesaggio pianeggiante leggermente flesso in ondulate increspature ha il colore marroncino della vegetazione bruciata dal sole. Qualche fungo di fumo che si alza lontano fa pensare alle raffinerie della droga estremamente attive qui nel Nord del Messico, ma chissà di cosa si tratta veramente…è più probabile che siano i fuochi di incenerimento fai da te dei rifiuti dei villaggi. Il cielo azzurrissimo ci accompagna lungo i 300 km che percorriamo per raggiungere Monterrey sulla comoda autostrada che si interrompe però all’altezza dei centri abitati più grandi. Entriamo così nostro malgrado in labirintici tessuti urbani le cui stradine disseminate da ripidi dissuasori e carenti di cartelli stradali ci portano un paio di volte fuori strada…. perderci però è impossibile…. il nostro obiettivo è esattamente alla base delle alte montagne scure della Sierra Madre che vediamo spuntare senza mediazioni dalla pianura , direttamente dalla linea dell’orizzonte perfettamente piatta. Infine siamo fortunati…. l’autostrada corre tangente al centro storico della città di Monterrey e con poche deviazioni arriviamo all’hotel Santa Rosa che abbiamo scelto per evitare gli hotel internazionali che se da un lato offrono standard altissimi dall’altro ti proiettano in una dimensione totalmente avulsa dal contesto. Per 80 $ occupiamo una suite al quarto piano del Santa Rosa che a dire il vero non ha molto di messicano se non lo standard decisamente basso per un cinque stelle…. compresa la trapunta di lana compressa, così pesante da schiacciare. La tv di fronte al letto non certo a schermo piatto e con una definizione dell’immagine così scarsa ci fa tornare indietro nel tempo di parecchi anni, ma Antonio il custode è simpaticissimo e ci dice che possiamo fumare in camera se vogliamo…. che peccato…. gli statunitensi erano quali riusciti a farci smettere! Figuriamoci che Francisco, il cameriere messicano dell’hotel di Houston ci aveva comunicato con un certo imbarazzo che dopo le dieci di sera era fuorilegge fumare anche per la strada…. insomma in Usa come in Turkmenistan…. con la differenza che loro non si nascondono dietro a statue della libertà o a presidenti democraticamente eletti. Tutto si può mettere in discussione del Santa Rosa tranne il suo sistema wireless che ci consente di aprire la mail di Catia e Paolo con la quale ci consigliano di andare a mangiare da un loro amico calabrese che risiede da anni qui in città. La ricerca del “Pizza Pazza” impegna il nostro tassista per una buona mezz’ora ma poi eccoci stringere la mano di Pietro che ci invita amichevolmente ad accomodarci in cucina. Mentre Pietro stende un paio di pizze e risponde al telefono per prendere le ordinazioni, io collaboro in parte alla preparazione degli spaghetti alla bolognese che verranno a ritirare tra una decina di minuti. La pizza che Pietro prepara per noi piroettando tra i fornelli ed il piano di lavoro è davvero ottima, così come la sua ospitalità, peccato che negli anni la sua attività di ristoratore abbia subito un grande declino, dal modaiolo T Rey di Soverato, al ristorante di pesce di Todos Santos ai pochi metri quadrati del Pizza Pazza di Monterrey…. del resto nella vita è necessario avere anche un pò di fortuna.

10 Gennaio 2010

MONTERREY

La giornata si apre con la ricerca di un Internet point dove stampare la nostra prenotazione per il volo Monterrey – La Paz acquistato sul sito www.vivaaerobus.com ed in partenza domani pomeriggio…. poi ci dedichiamo alla perlustrazione del centro cittadino iniziando dalla Zona Rosa, il quartiere pedonale nel quale il nostro hotel è immerso. Disseminata di fast food, di negozi e di locali a passeggio la domenica mattina, non è un gran buon inizio. Gli edifici, quasi tutti recenti, necessiterebbero di manutenzione e di un pò di quello stile che troviamo nel vicinissimo Barrio Antiguo, sull’altro lato della Gran Plaza. Cuore della città antica, il quartiere si sviluppa su una serie di stradine lastricate ortogonali tra loro e bordate di vecchie case coloniali a due piani spesso colorate a tinte vivaci e con sobrie modanature a rilievo. Con sorpresa ci troviamo a passeggiare in un mercatino delle pulci che occupa una strada resa pedonale per l’occasione. Ma le sorprese di questa domenica fredda ed assolata non si limitano a questo… per intrattenere i messicani a passeggio il comune ha organizzato una serie di spettacoli nella Gran Plaza, la piazza più grande del mondo ma che sembra piuttosto un grande giardino attrezzato con percorsi pedonali, fontane, panchine e bordato di edifici nuovi e già fuori moda. Molti i venditori ambulanti che vendono sacchetti di patatine fritte e tortillas o coloratissime nuvolette di zucchero filato e molte anche le giovani coppie che si esibiscono in effusioni appassionate. Decidiamo poi di entrare al MARCO, il Museo de Arte Contemporaneo de Monterrey, la cui esposizione è ospitata in un superbo edificio progettato dal famoso architetto messicano Ricardo Legorreta, allievo del più celebre Barragan le cui contaminazioni linguistiche sono evidenti soprattutto negli interni dove gli elementi architettonici geometrici e colorati formano composizioni volumetriche di grande rigore ma anche di gioco per chi osserva. La bellezza dell’edificio è all’altezza dell’interesse delle tele del famoso artista messicano Rodolfo Nieto scomparso nel 1985. Le sue tele coloratissime ed altamente espressive della cultura messicana più antica, risentono delle contaminazioni europee successive ad una sua visita a Parigi negli anni ’60. Difficile esprimere a parole o cercare di descrivere le sue opere se non accennando ai cromatismi accesi stesi a creare opere astratte o figurative nelle quali emergono qua e la citazioni di arte precolombiana. Gli stessi colori vivaci avvolgono il ristorante “La casa de maiz” al n. 870 della ruta Abasolo…. un localino che sembra una piccola opera d’arte, non solo per i tavoli tutti dipinti a mano, ma anche per i quadri appesi alle pareti rosse, compresi quelli a soggetto religioso incorniciati con bordure di garofani finti rossi o rosa. Mangiamo anche piuttosto bene…. naturalmente specialità messicane a base di tortillas di mais e due dolci squisiti. Vanni tutto concentrato sul freddo che sente quasi non si accorge del bel posto che ho scelto per lui…. del resto quando la colonnina del mercurio non è sopra i 20 gradi lui è sempre deliziosamente insopportabile.

11 Gennaio 2010

MONTERREY – TODOS SANTOS

Seguiamo Ovidio, il nostro tassista di fiducia, fino al terminal C dell’aeroporto al cui parcheggio lasciamo Jimmy in sosta a tempo indeterminato…. nel senso che non sappiamo esattamente quanto ci fermeremo a Todos Santos da Catia e Paolo….Vanni è così traumatizzato dal freddo che stenta a credere che in Baja California si possa stare meglio…. e poi non vorremmo abusare della gentile offerta di soccorso…. pur sapendo che Paolo e Catia sono persone squisite accettiamo sempre con una certa reticenza gli inviti… per non sentirci vincolati e meno liberi…. Ma sappiamo già per esperienza che con loro non sarà così ed io sono molto curiosa di entrare nella loro casa ora terminata, che hanno letteralmente conquistato in anni di lotte con le maestranze messicane impreparate e svogliate. Insomma ci imbarchiamo sul volo VIV 440 e sfruttando l’ora di fuso orario dopo quaranta minuti atterriamo sulla meravigliosamente tiepida La Paz. Ci liberiamo in fretta degli inutili strati di lana nei quali siamo avvolti ed ecco che appena usciti nell’atrio vediamo Catia raggiante ed abbronzata venirci incontro…. sembra una ragazzina nel suo coordinato bianco ed i ribelli riccioli biondi. Una abbracciatona e raggiungiamo Paolo che sta passando in auto proprio qui davanti all’uscita in una sincronizzazione praticamente perfetta. Partiamo subito verso Todos Santos …. la conversazione di aggiornamento sulle rispettive esistenze ci accompagna fino alla sterrata che aggirando il centro abitato conduce direttamente verso l’estesa macchia di cactus sul leggero pendio che precede la spiaggia. Paolo e Catia hanno pensato davvero a tutto, considero divertita mentre vediamo l’oceano Pacifico salutarci con gli spruzzi di un paio di balene di passaggio. La serra che vediamo invece luccicante e lontana sulla spiaggia serve a proteggere le uova delle tartarughe marine dai predatori, ci racconta Catia soddisfatta …. va da se che chi sceglie di vivere in un luogo tanto selvaggio deve amare molto la natura e cerca quindi di entrare in armonia con essa. Anche la casa a patio ad un solo piano sembra cercarla questa armonia…. aprendosi sull’oceano che domina dall’alto del leggero declivio affollato di cactus ed altre varietà di piante grasse cresciute spontaneamente. La doppia fila di agavi grigie ed affusolate che circondano la piscina sulla terrazza leggermente ribassata mediano il passaggio tra la vegetazione spontanea ed il costruito e creano una bassa quinta verso il mare del quale arrivano i tonfi sordi delle onde. Arrivati appena in tempo per godere del fantastico tramonto sul Pacifico, ci accomodiamo allegramente nel patio per un brindisi accompagnato dal guacamole che Catia ha preparato con gli avocado saporiti di qui. Rimaniamo a lungo seduti a godere della fantastica atmosfera, del buon vino e della gioia di rivederci, protetti dal brise soleil bianco che raccorda le due ali dell’edificio contenenti le camere. Un paio di candele sono accese. Davanti a noi un rettangolo di prato, una bella scultura di bronzo, la piscina ed il mare incendiato dei toni caldi del sole che scende. Siamo arrivati in paradiso. Avevo dimenticato quanto fosse gustoso il “callo de Ace”, ovvero il muscolo delle conchiglie a forma di cozza gigante che si può gustare in tutta la penisola…. finalmente dopo un paio di anni ecco di nuovo i medaglioni bianchi arrostiti sulla griglia dal cuoco del ristorante “Santa Fe” dove siamo venuti solo per portare i saluti di Maurizio al borioso proprietario. Poi di nuovo a casa a contemplare le stelle vicinissime e poi nella bella camera color rosso mattone dalla cui grande porta a vetri bianca di fronte al lettone vediamo il mare.

12 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

Sono le tre del pomeriggio ed il mare sembra ricoperto di pagliuzze d’argento. La pelle arrossata dal sole ed il cielo perfettamente azzurro fin da questa mattina, quando dopo aver salutato i nostri amici che partivano in missione per La Paz, ci siamo accomodati sui lettini di legno disposti attorno alla piscina ed abbiamo gioito della bellezza attorno a noi. Osservando i rapaci volteggiare nel cielo e cercando le balene oggi latitanti anche dopo una attenta analisi con il binocolo, inseparabile compagno di viaggio di Vanni. Liberi di rimanere nudi, in armonia con la natura selvaggia, continuiamo a stupirci della bellezza di questo luogo e della comodità di questa casa in posizione strategica. Oltre il tappeto di cactus alcuni rilievi sfumano verso Sud in profili articolati e decrescenti verso il mare, scuri e come appannati per la relativa lontananza. A Nord invece il colore blu dell’oceano disegna una profonda ansa contenuta dalla sottile linea chiara di sabbia che va scomparendo lontanissima dentro il blu. Avendo tutto il tempo che vogliamo per osservare e godere del contesto, vicino e lontano, ci accorgiamo delle decine di farfalle colorate che si aggirano fra le aiuole fiorite attorno alla casa…. e dei grossi ragni argentati che hanno scelto come tana i cuscini delle poltroncine attorno alla piscina. Non mancano le cavallette perennemente all’attacco del giardino di Catia, ma per fortuna non ci sono più le capre, quelle tre molestissime che intrufolatesi nel recinto della proprietà l’estate scorsa avevano finito col distruggere le aiuole fiorite, i limoni, gli aranci ed in generale tutto il commestibile, vanificando così le cure che avevano reso rigoglioso il giardino nonostante il clima così poco favorevole. Incontriamo Paolo e Catia solo a metà pomeriggio, quando desiderosi di calpestare quella sabbia contemplata tutta la mattina, ci siamo avviati lungo la sterrata che porta al mare. La scorciatoia che parte dalla breccia nella recinzione di un rancho vicino alla spiaggia ci porta a calpestare campi aridi ed a mescolarci con gli animali al pascolo…. un paio di mucche ci guardano con sospetto mentre noi cerchiamo di passare inosservati di fronte al toro dalle lunghe corna che potrebbe trovare interessanti i pantaloncini rossi di Vanni. il cane che custodisce un gruppo di capre ci avvisa di stare alla larga con una serie di latrati, infine arriviamo all’oceano impetuoso ed alla collinetta di sabbia che lo precede, la barriera naturale che protegge la costa dai cavalloni spumeggianti. Lo contempliamo in silenzio, seduti di fronte al sole che tra un’ora sparirà inghiottito dalla linea dell’orizzonte, rispettosi della sua forza, avidi della sua energia. Una leggera nebbiolina segue la linea della costa sfuocando il profilo della montagna giù in fondo, alle spalle del pueblito di Todos Santos, mentre in primo piano gruppi di pellicani si spostano bassi sull’acqua sfidando le creste dei cavalloni alla ricerca di cibo. La spiaggia completamente deserta contiene le tracce dei pneumatici e le impronte di piedi non nostri….. aspettiamo che il sole scenda ancora un pò sull’orizzonte seduti di fronte al mare inaccessibile, poi sfidando ancora la pazienza del toro e del cane saliamo a ritroso la stradina che porta a casa dove Paolo e Catia ci attendono per una parillada speciale…. noi italiani non avremmo mai immaginato che il sottocollo della mucca fosse così gustoso perché nessuna macelleria da noi la propone…. Mentre gustiamo la carne tenerissima e saporita della “arrachera” ci chiediamo che fine faccia da noi tutto questo ben di Dio…. senz’altro considerato un taglio di scarso pregio… quando rientreremo proverò ad intervistare un macellaio italiano al riguardo. Gustiamo l’ottima cena e continuiamo a chiacchierare bevendo un ottimo rosso francese…. fino a quando stanchi ci ritiriamo nelle nostre camere che si aprono sul patio centrale della casa.

13 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

Ancora una magnifica giornata spesa a prendere il sole tra una bracciata e l’altra in piscina e poi in un sopralluogo in paese per due passi ed un drink al bar del famoso “Hotel California” cui segue puntatina al ristorante Santa Fe per recuperare una bottiglia di frizzantino per la cena di questa sera. Catia e Paolo hanno avuto la bella idea di organizzare una cena sushi da loro. Sarà il cuoco già testato ieri sera a preparare per noi e per gli amici europei trasferitisi qui a Todos Santos i suoi speciali rolls al granchio ed altre squisitezze giapponesi. Quando verso le sei del pomeriggio rientriamo a casa Ciupin è già al lavoro in cucina. Sta preparando un bel numero di rotoli di riso che a me sembra esagerato…. con il suo sorriso aperto ed i movimenti sicuri che rivelano una indubbia competenza, risponde alle mie domande curiose che cercano di carpire qualche inutile segreto. Poco dopo le sette arriva il gruppo di amici tra cui anche Jenny che avevamo conosciuto due anni fa nel bell’hotelito in stile Barragàn dove occupavamo una camera. Con lei c’è la figlia arrivata da Londra per le vacanze di Natale ed una sua amica. Emanuela invece è una fotografa romana di fama, si è trasferita qui un paio di anni fa con il figlio Thomas, un bel ragazzo simpatico ed educatissimo che ora vive a Rio De Janero. Ci accomodiamo tutti attorno al tavolo allestito con lumi a petrolio e candele nella zona più riparata del giardino, ovvero nel patio, accanto all’ampia vetrata del soggiorno. L’atmosfera avvolgente del lume di candela ed i manicaretti del bravissimo Ciupin accompagnano la serata così come la conversazione in una babele di idiomi che spaziano dall’inglese allo spagnolo, dall’italiano al francese…. l’unica lingua con la quale riesco a parlare speditamente con Jenny. A chiudere la serata, quando già gli ospiti sono ripartiti, un bellissimo film di Terry Gilliam, “Il Barone di Munchausen” che Paolo adora e che finiamo col vedere noi due mentre Vanni e Catia si ritirano stanchi nelle rispettive camere. Il film è una bellissima fiaba per adulti…. così poetica da commuovere ma anche buffa da strappare sorrisi e con scenografie degne di Peter Greenway. Felice della visione lascio Paolo già intento a caricare un altro film, un noir di Ferrara che gli piace molto ma che vista l’ora di notte non riesco proprio ad affrontare nonostante l’insistenza un pò molesta …..deve piacergli davvero molto questo film e deve essere così noir da non poterlo vedere da solo!

14 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

La giornata inizia tardissimo e con un ritmo lento che potremmo definire alla messicana interrotto solo nel primo pomeriggio dall’idea di Catia e Paolo di spostarci verso le spiagge più a Sud, riparate dal vento teso di oggi da quel promontorio che vediamo lontano ed il cui profilo ricorda la figura stesa di un indio. E’ così che dopo poco ci avviamo sulla strada polverosa diretti verso Arancio Pescadero con il progetto di un bel massaggio sulla spiaggia, l’ideale dopo la nottata di ieri…. ma poi dopo aver raggiunto il cancello della Spa, l’auto immobile che aspetta solo il turn off della chiave, scatta una sorta di delirio collettivo innescato dalla parola magica sparata come un proiettile da Paolo…. patate fritte! L’auto riprende così la corsa verso “Los Cerritos”, la favolosa baia che contiene tra gli altri un baretto con tavolini sulla spiaggia, il primo oltre lo sperone di roccia che la protegge dal vento che soffia da Nord. Contenti come quattro bambini golosi ci accomodiamo sulle comode poltrone attorno ad un tavolo protetto dall’ombrellone…. e mentre aspettiamo con impazienza che le patate escano dalla cucina del locale, osserviamo basiti un gruppetto di surfisti che sfidano le onde del mare freddo almeno quanto l’aria che li avvolge una volta emersi. I nostri progetti sono ben più interessanti …. e così mentre godiamo della bellezza della bellezza della costa gustando le nostre patate tagliate a mano e croccanti all’esterno, ricominciamo a prendere in considerazione il massaggio , comodamente accessibile nel gazebo a pochi metri da noi. Finisco col farlo solo io e senza tanta soddisfazione dato che il mio uomo è più che altro forte e pasticcione e la mia schiena contiene più nodi di un tappeto. Quando riemergo dal massacro i ragazzi sono ancora seduti al tavolo, infreddoliti per via del sole ormai al tramonto…. si torna casa per una doccia calda ed un sano relax…. di cenare non se ne parla neanche. Ne approfitto invece per terminare il bel libro consigliatomi da Paolo….”A ovest di Roma” di John Fante, e per iniziarne un altro, “A scuola dai salmoni” di Herman Ahara, Macro editore… una chicca che mi appassiona fin dalle prime righe per l’originalità del soggetto, ovvero la macrobiotica nella cultura giapponese usata quasi come un pretesto dall’autore per sviscerare in modo chiaro ed intelligente le problematiche legate alla vita di ogni individuo sempre in bilico nell’eterno dualismo tra Yin e Yang, la ricerca del cui equilibrio permea talvolta inconsapevolmente l’esistenza di tutti noi. Mi addormento confortata dalla lettura, come se quelle perle di saggezza millenaria avessero agito rilassandomi come sonniferi, regalandomi una sorta di equilibrio virtuale …. un placebo che però sembra funzionare.

15 Gennaio 2010

TODOS SANTOS

Oggi è il giorno della ceretta…. un evento ogni volta che mi trovo all’estero, dal quale difficilmente esco soddisfatta e del quale potrei scrivere un saggio intitolandolo “La ceretta nel mondo”…. le risate sarebbero assicurate! Catia si è generosamente prodigata nei giorni scorsi per trovare il contatto giusto, ovvero la signora Lourdes che avrebbe dovuto insospettirci anche solo per il fatto di averle dato indicazioni non precise per rintracciare il suo salone. Quando poco dopo l’una riusciamo a raggiungere la casetta di mattoni su due piani dopo una serie di telefonate fatte per avere indicazioni più precise, Lourdes ci appare dalla fessura della porta, che tiene semi aperta, come una signora piuttosto belloccia ed impostata. Curatissima nella sua messa in piega a riccioloni neri, ed il rossetto immacolato sulle labbra, ci fa accomodare nel salone, fiera del posticino pulito ed accogliente che è riuscita a costruirsi. Che si tratti di fumo negli occhi lo scopriamo fin dalle prime allusioni al tempo che Lourdes può dedicare alla mia depilazione prima che la cliente successiva arrivi…. due ore non le sembrano sufficienti per depilare gambe ed ascelle, quando qualsiasi estetista in Italia sbrigherebbe il tutto in un’ora esatta! Memore della ceretta in Perù costatami tre ore di tribolazioni, mi accomodo rassegnata sul lettino mentre Catia per il momento siede nella sala accanto. Come immaginavo la ricciolona non è tanto pratica, né veloce né sistematica. Affronta piccoli settori di pelle che in alcuni punti esce arrossata per strappi maldestri sui quali poi stende impercettibili goccioline di crema idratante…. insomma Lourdes è più tirchia che professionale… e nonostante usi continuamente la lente d’ingrandimento per far credere di essere una gran pignola, esco dopo due ore con un discreto numero di peli ancora ben visibili anche ad occhio nudo e con un intero polpaccio del quale deve essersi dimenticata. Dopodiché passa con nonchalance all’operazione rapina….. mi dice che le devo 60 Dollari, ma quando le dico che pagherò in Pesos i Dollari diventano 85 ed al cambio sfavorevole di 12,71 ben 1080 Pesos. Non contenta mi scarica una serie di monetine che impiegherei un’ora a contare ma che non coprono senz’altro la differenza con i 1200 Pesos che le ho dato. Quando rientro a casa Catia e Paolo stanno facendo la loro lezione di yoga …. ed a me torna la voglia del sushi di Ciupin. Andiamo quindi in paese, nel suo ristorante ricavato nell’estremità di una sobria tettoia tutta dipinta di bianco. Austera e vagamente triste, ci accomodiamo nell’unico tavolo presente, pronti ad assaggiare le prelibatezze di Ciupin che ci conquista anche questa sera con un roll tempura di gamberi leggermente fritto all’esterno per non parlare dei rolls spices e del sushi di anguilla…. che squisitezza! Quando rientriamo in auto il serpente a sonagli è ancora lì in agonia sulla sterrata che corre parallela alla proprietà. Lo avevamo schiacciato con l’ auto poco dopo essere usciti dal cancello di casa, ed ora Catia costruisce su quell’evento una favola intrisa di magia. Protagonisti della storia quel serpente e Vasco, il gattino che la scorsa estete morì proprio a causa del morso di un crotalo. Fa parte della storia anche Tony, un ragazzo portoghese che viene a Todos Santos solo di rado e che affidò loro il piccolo siamese un paio di estati fa. Il primo evento magico è legato alla morte di Vasco avvenuta esattamente un anno dopo che Tony lo aveva lasciato a loro, proprio lo stesso giorno in cui Tony tornò a Todos Santos dopo un anno di assenza. Il secondo evento magico è quello di oggi, la morte del serpente che ha coinciso con il rientro di Tony qui in paese…. proprio oggi dopo diversi mesi di assenza, come se le tre figure del dramma, Vasco, Tony ed il serpente a sonagli fossero legate indissolubilmente da un destino che li travolge. Non può essere un caso tutta questa storia, così come non può essere un caso che il centro e sudamerica abbia partorito romanzi meravigliosi nei quali la magia rappresenta l’ingrediente necessario allo svolgimento della storia che vi è raccontata. Ecco la ricetta delle BOMBE AL MASCARPONE assaggiate nel ristorante di Carmela a Città del Messico un paio di anni fa e delle quali abbiamo ora la ricetta gentilmente suggerita da Catia, amica di Carmela.
Preparare il mascarpone con lo zucchero, il rosso d’uovo e le scaglie di cioccolato. riporlo in vaschette da ghiaccio di silicone, possibilmente sferiche e fare congelare.
Preparare la pasta filo tagliandola a quadretti ed incollandoli uno sull’altro con il rosso d’uovo, tre strati al massimo a 45° l’uno sull’altro. Mettere al centro la pallina congelata ed avvolgerla chiudendola nella pasta filo. Mettere di nuovo in freezer a congelare.
Cuocere in olio bollente fino a doratura poi cospargere di zucchero a velo.

16 Gennaio 2010

TODOS SANTOS – ISLA MAGDALENA

Partiamo presto tutti ancora assonnati… chi per via degli eccessi di wasabi di ieri sera chi per l’allergia alla sveglia…. l’ idea che un allarme acustico si azionerà mentre sto dormendo mi fa stare sveglia fino all’alba. Forse c’è il sole…. sono davvero confusa questa mattina nonostante siano già le nove…. un’ora di sonno in più strappata per gentile concessione di Paolo che come me non si è addormentato prima delle quattro. Il serpente a sonagli non è più sul sentiero, forse divorato dagli avvoltoi in occasione della loro prima colazione. Seguiamo sobbalzando la litoranea circondata dalla vegetazione spontanea e tormentati dall’ormai familiare effetto greder procediamo fino all’autostrada che punta a Nord verso La Paz e poi oltre su San Carlo, a 350 km da Todos Santos. La guida scattante di Paolo ci consente di arrivare nelle vicinanze di Porto San Carlo, dove siamo diretti, in poco più di due ore ed i suoi riflessi pronti ci risparmiano di andare fuori strada quando poco prima di raggiungere la nostra destinazione finale scoppia il pneumatico posteriore destro….. quello sotto il mio sedere! Non particolarmente turbati scendiamo per far fronte all’emergenza della sostituzione del pneumatico, un leitmotif dei nostri viaggi. Vanni si tuffa con rassegnazione nell’operazione, oggi quasi sollevato per la presenza di Paolo sul quale potrà contare per un aiuto. Qualche tentennamento sul reperimento della manovella del cric e del bullone antifurto, un pezzo speciale da inserire nel complementare che fissa il cerchione, poi in un tempo brevissimo siamo di nuovo a bordo per coprire l’ultimo tratto di strada che ci porterà nel desolato pueblo di San Carlo. Sarà il nostro punto di partenza per l’esplorazione della costa, articolata in questo tratto in lingue di sabbia che si spingono verso l’oceano, isole e boschi di mangrovie. Seguendo la strada polverosa che puntando verso il mare divide in due il centro abitato, osserviamo le baracche di compensato nelle quali vivono i locali, oltre che nelle casette di forati grigi o in quelle che volendosi distinguere dalle più modeste, sono state dipinte con colori tanto chiassosi da risultare inquietanti almeno quanto la desolazione che permea in generale l’abitato. La casa di Octavio Zarabia Mendivil ( tel. (613)1360220 – cel. (613)1143531 – email: cassy1@live.com.mx ) è una di quelle pretenziose. Articolata in diversi volumi, sembra uscita dalle pagine di un fumetto per via di quei due colori…. fucsia e verde pisello, accostati in ogni elemento architettonico e persino nei ghirigori di ferro del cancello. Tavo è quasi pronto…. il piccolo incidente che abbiamo avuto ci ha consentito di ammortizzare il suo ritardo…. una caratteristica culturale forte del popolo messicano, come emerge dai racconti di Paolo e Catia. A bordo della lancia trainata dal pick up di Tavo percorriamo il breve tratto di strada fino al mare, poi lentamente scivoliamo nel liquido trasparente della laguna allontanandoci dalla costa e dal cordone di mangrovie che segue la spiaggia. I nostri sorrisi suggeriscono la felicità di essere qui, per il bel ricordo che ne conserviamo anche noi che ne godemmo un paio di anni fa nel corso di una escursione di un solo giorno che riempì i nostri occhi di immagini stupende fatte di cordoni di dune bianche, gruppi di uccelli marini, delfini e balene. Anche allora furono i nostri due amici a suggerire la visita a questo luogo particolarmente caro…ed eccoci ora tutti insieme a condividere l’ebbrezza della velocità sulla superficie piatta del mare, con il simpatico Tavo al timone che ci conduce orgoglioso di mostrarci il suo fantastico mare nel quale lavora dall’età di otto anni, sfidandone i pericoli, amandone la bellezza. Figura ormai familiare a Catia e Paolo, Tavo è un ragazzo generoso e gentile…. con il grafico delle maree sotto gli occhi valuta il momento migliore per spiaggiare là dove facilmente possiamo raccogliere le gustose Almeja Chocolate nascoste sotto la sabbia intrisa d’acqua, o le strepitose Ostiones de Manglares, le ostriche che troviamo tenacemente fissate alle radici delle mangrovie…. al limitare di questa distesa di fondo marino ora scoperto dalla bassa marea. Sulla scia di un paio di anni fa, quando proprio a Todos Santos dopo venti anni ripresi a mangiare la carne, ora dopo quarantasei anni di totale chiusura nei confronti dei molluschi crudi mi ritrovo ad assaggiare con molta soddisfazione queste fantastiche ostriche…. naturalmente pentendomi di non aver ceduto prima. Per nulla stupito del disgusto che una cena bolognese a base di ostriche mi aveva causato, Paolo sembra invece soddisfatto di questo primo risultato positivo dell’escursione che ci vedrà vagare nel paradiso costiero al largo di San Carlo per un paio di giorni. Il secondo colpo di scena di oggi è l’insospettato talento di Vanni per la pesca alla traina nella quale si esibisce accanto a Paolo mentre Catia ed io seguiamo le operazioni del “Pescator Cortese” tra lo stupore ed il divertimento. Grazie ai pesci che abboccano numerosi alla sua esca tra cui un Lenguado (sogliola) difficilmente presente nel fondale roccioso nel quale ci troviamo ora, ed un paio di Curel (ricciole) e grazie anche alla raccolta di numerose Almeja chocolate ed Ostiones abbiamo un bel bottino per la cena di questa sera che Catia si è offerta di cucinare nella casetta di Tavo sulla Isla Magdalena che raggiungiamo in pieno tramonto. E’ di Paolo l’idea di andare ad ammirare di fronte al mare aperto dell’oceano questo tramonto che ha già tinto di rosa la baia qui di fronte ed il cielo, in sfumature che sembrano spruzzate con l’aerografo, perfettamente specchiate sulla linea dell’orizzonte ora quasi impercettibile. Tutti a bordo del vecchio fuoristrada di Tavo ci avventuriamo sui sentieri dell’isola prevalentemente rocciosa per raggiungere la spiaggia selvaggia disseminata di scogli sui quali le onde dell’oceano si rifrangono spumeggianti lanciando verso l’alto i loro spruzzi bianchi. Il sole già nascosto continua a colorare il cielo e le nuvole sopra l’orizzonte esibendosi in quello che sembra un magnifico quadro astratto nei toni del giallo, viola ed una lingua rosso fuoco. Mentre torniamo verso la casetta leggermente defilata rispetto al piccolo centro abitato, l’unico sull’isola, con i fari che illuminano appena la pista altalenante, Tavo coglie l’occasione per raccontare qualche barzelletta messicana che ci fa ridere a crepapelle….. – Lo zero incontra l’otto e gli dice… ma non sei scomodo con la cintura così stretta? e quando poi incontra un altro zero gli dice…anche insieme non valiamo nulla! – e poi un’altra – Pierino torna a casa da scuola con qualche esercizio rompicapo da fare e ci rimane male quando suo fratello scappa via urlante! – Poco dopo siamo di nuovo di fronte alle due palme, trasportate sull’isola in barca da Tavo, che inquadrano il porticato della casetta di legno color rosa, semplice ma dotata di ogni confort come l’acqua calda, il frigorifero, la televisione e due camere con bagno oltre al piccolo soggiorno diviso dalla cucina da una penisola di legno. Poco dopo l’ingresso di Catia la cucina inizia a sprigionare il profumo di un ottimo sugo di pesce per condire gli spaghetti, mentre Tavo apre una decina di Almeja Chocolate e qualche Meona che gustiamo crude con una spruzzatina di profumatissimo lime….. che bontà, e quanto tempo perso finora penso io. Dopo cena siamo tutti piuttosto stanchi e così crolliamo sui lenzuoli profumati dopo aver contemplato per qualche istante le stelle vicinissime di questa serata senza luna. Come sono felice!

17 Gennaio 2010

ISLA MAGDALENA – TODOS SANTOS

I pannelli di compensato che separano senza isolare la nostra camera dalla zona giorno lasciano passare i rumori della cucina fin oltre la barriera dei nostri tappi di plastica. Il desiderio di essere di nuovo in mezzo al mare ci impone tempi rapidissimi per la colazione e così poco dopo le nove siamo già con i pantaloni arrotolati ed i piedi nell’acqua tiepida della baia, pronti per salire a bordo della lancia armata di quattro canne da pesca che spuntano come cannoni. Due sono da lancio, per la pesca del Pargo che però non abbocca, ma le due da traina iniziano fin dalle prime battute a dare una certa soddisfazione soprattutto a Vanni che pesca tre bei pesci Sierra a pois gialli ed al quale calza a pennello Il soprannome datogli ieri da Paolo. Il nostro “Gastone” se la cava benone ed inizia a prenderci gusto con la canna da pesca…. con la quale non è certo spigliato come un pescatore navigato. Quando per esempio deve tirare a bordo un pesce che tende a scappare il suo viso si contrae in espressioni di grande sforzo…. e che dire del groviglio che è riuscito a creare nel mulinello della sua canna da pesca! La sua esca, un pescetto lucido di plastica rossa soprannominato da Tavo nientemeno che Cadillac, deve piacere molto ai pesci che abboccano numerosi…. un bel da fare anche per Tavo che deve liberare dall’amo i barracuda per lasciarli di nuovo in mare così come i pesci troppo piccoli. Sulla scia di tanta soddisfazione la frenesia della pesca non lo abbandona nemmeno durante la colazione a bordo, a base di squisite Almeja Chocolate, quando immobili sul mare è impossibile pescare alla traina….. allora è lui a muoversi, in bilico sulla prua agita la canna per invogliare i pesci ad abboccare. Insomma non lo teniamo più, e dopo qualche ora si aggiunge al bottino dei tre pesci Sierra e delle tre Ricciole anche un pellicano che tenta di sottrargli il pesce mentre lui lo sta sollevando dall’acqua…. risultato, il pesce scappa ed uno degli ami si conficca nell’ala del pellicano che inspiegabilmente è ora agganciato ad un altro suo simile. Alla grande confusione che segue, generata dai due pellicani che si agitano schizzando acqua e lamentandosi, pone fine il nostro pazientissimo Tavo che con pochi gesti sicuri li libera finalmente dalla trappola. Anche Paolo se la cava alla grande pescando qualche bella ricciola mentre la lancia, tra una corsa e l’altra, raggiunge angoli sempre diversi della baia per assestarsi poi su andature piacevolissime che ci consentono di gustare il paesaggio selvaggio ed ostile delle isole rocciose, come anche quello morbidissimo delle dune di sabbia bianca che si sviluppano su una lunga lingua chiara in mezzo al mare piatto ed intensamente blu. Giovane e giocherellone, Tavo accelera ogni tanto lanciandosi a tutta velocità sulla superficie piatta della baia…. immagino lo faccia per dare una sferzata di energia all’equipaggio, quando ci vede troppo rilassati…. allora tutto sembra volare via come la giacca blu di Paolo che recuperiamo virando a 180° in un’ampia curva. Siamo ormai agli sgoccioli di questo bellissimo weekend trascorso a sondare ogni angolo della costa frastagliata, così varia da stupire ad ogni approdo…. infine dopo aver visto colonie di pellicani e di cormorani seguire la nostra corsa, o fermi e pigiati ad occupare la struttura di un pontile in disuso, così come appollaiati in cima ai pali emergenti incrostati di conchiglie e di sale, e dopo aver visto le eleganti fregate volteggiare con la loro sagoma nera ben disegnata terminante con una affusolata coda a forbice…. dopo aver visto anche i delfini inarcare il proprio dorso inseguendo una preda, e gli sbuffi lontani di due balene di passaggio nel mare aperto dell’oceano flesso in alte onde oltre l’isola Magdalena, dopo aver goduto di tutto ciò raggiungiamo di nuovo la costa in prossimità del pueblito di San Carlo dove ci congediamo dal simpatico Tavo che ci ha quasi regalato l’escursione chiedendoci in cambio la ridicola somma di 3000 Pesos, ovvero 240 Dollari per i due giorni compreso il pernottamento. Rientriamo a Todos Santos dopo una sosta per la cena a Ciudad Constitution dove l’ottima arrachera conquista ancora il mio palato…. infine siamo a casa, nella bella ed accogliente casa che si affaccia sul mare per la nostra ultima notte qui…. domani mattina partiremo infatti per raggiungere Jimmy che ci aspetta al parcheggio di Monterrey…. il tour delle Americhe continua….

19 Gennaio 2010

MONTERREY – SALTILLO

Saltillo è così vicina a Monterrey da consentirci il lusso di gozzovigliare tutta la mattina nella comoda camera dell’ Holiday Inn che occupiamo da ieri sera, poco dopo aver lasciato il vicino aeroporto. Partiamo a mezzogiorno, al limite dell’orario consentito per il check-out, ed immersi nella coltre di smog della città surriscaldata dal sole, ci inseriamo sulla comoda autostrada verso le montagne brulle le cui sfaccettature producono uno spigoloso chiaroscuro…..come se ne osservassimo invece il modello virtuale approssimato per superfici triangolari. Salendo l’aria si fa rarefatta e pulita ed il cielo torna a colorarsi di azzurro….. temiamo tuttavia che i 1600 metri di quota di Saltillo possano penalizzarci con una temperatura ancora invernale. Invece, appena arriviamo nella cittadina resa diafana dal sole forte delle 13 godiamo del fantastico tepore primaverile che ci rincuora. L’Hotel Colonial Alameda sfoggia uno stile coloniale piuttosto discutibile ed anche l’arredo spagnoleggiante è così kitsch da imbarazzarci. I mobili coronati da cascami di foglie e fiori scolpiti nel legno, sono colorati con uno smalto chiaro dall’ effetto anticato ed i letti hanno inserita nella testata una imbottitura fermata da grossi bottoni con lavorazione a trapunta, che scende a formare una sorta di appoggiatesta rigonfio. Chissà se riusciremo a prender sonno in un letto tanto ridondante….. che ricorda più la matrice cinese che non lo stile coloniale spagnolo! Ma è l’unico hotel decente del centro, suggerisce la nostra guida, e l’impiegata alla reception è gentilissima. Il costo di 65 Pesos tasse comprese ci convince poi ad occupare la 109. Usciamo subito dopo per lasciare alla camera il tempo di scaldarsi e ci dirigiamo senza indugi verso la Cattedrale, il pezzo forte del centro storico. Mentre camminiamo per raggiungere la Plaza De Armas che la contiene, notiamo le vetrine stranamente chiassose dei dentisti. Cosparse di poster che illustrano con immagini i vari tipi di intervento ed i relativi prezzi, nascondono in parte gli ambulatori sulle cui poltrone vediamo i pazienti con i volti contratti ed i dentisti al lavoro. I venditori ambulanti mostrano vetrinette piene degli immancabili sacchetti di patatine, fritte artigianalmente, e “botanas” di ogni genere…. tortillas, pannocchie arrostite e tanto altro. Molti i negozi di calzature che offrono la rateizzazione dell’acquisto in venti tranches…. poi negozi di abiti da sposa e di accessori correlati che propongono, racchiusi in scatole trasparenti, coppie di bicchieri a calice con la base cosparsa di lustrini e fiori finti in tinta fissati all’attaccatura della coppa…. insomma Saltillo sembra il manifesto del kitsch messicano ! Arriviamo infine alla piazza ombreggiata da un paio di alberi e nella quale si erge la ottocentesca Catedral de Santiago. La superba facciata in stile Churrigueresco è caratterizzata da sovrapposizioni di ordini di colonne scolpite in elaborati bassorilievi che emergono dalla superficie della facciata creando un articolatissimo chiaroscuro. Sui due lati le torri campanarie imponenti e di diverse altezze sembrano sostenere contenendolo, il volume della chiesa. Ma il vero tesoro è all’interno, racchiuso nel fondo dei due transetti ed inaccessibile fino all’orario di apertura della cattedrale…. alle tre del pomeriggio. Ne approfittiamo per visitare un paio di piccoli musei nei pressi che tracciano con cimeli ed immagini di repertorio la storia di questa regione, Cohauila. Ma poi ecco una bellissima esposizione di foto recentemente scattate in occasione delle feste religiose e pagane come la Via Crucis o la Festa de Agua….. bellissimi i colori esasperati dei costumi ed i visi dei messicani, colti nelle espressioni più diverse. Dallo stupore alla rassegnazione, dalla stanchezza alla gioia…. che belle immagini. Entriamo finalmente nella Cattedrale per vederne i famosi due altari in argento massiccio che occupano le pareti di fondo dei transetti…. ma che delusione! Troppo semplici ed insignificanti i decori in leggero bassorilievo degli altari che ci aspettavamo invece con ceselli degni di Cellini, e poi sono illuminati da tubi al neon fissati allo spigolo superiore e che rendono la loro immagine ancor più fredda. Sopra gli altari, le cui immagini cancello subito anche dalla memoria della macchina fotografica, le eleganti pale in stile moresco sembrano ai nostri occhi il vero tesoro della cattedrale…. articolate in nicchie e colonne intagliate a decori ridondanti sono tutte rivestite in foglia d’oro ed accolgono sculture di Santi e della Vergine col bambino…. bellissime. Spendiamo il nostro pomeriggio rimanendo ancora a lungo in contemplazione della Cattedrale in attesa che il sole già basso ne illumini la facciata stranamente orientata a Nord-Ovest…. Con un gelato in mano e seduti su una panchina di ghisa resa scomoda dalle ghirlande di fiori in rilievo, osserviamo il passeggio abbandonandoci al non ritmo ed alla noia, mentre un cane abbaia passando ed i piccioni svolazzano da un tetto all’altro degli edifici coloniali piuttosto dimessi che formano lo sfondo neutro della piazza. Poi esploriamo il centro storico, a zonzo tra palazzi antichi e recenti, di pregio gli uni, molto messicani gli altri. Infine lasciamo in auto l’hotel per raggiungere il ristorante consigliato dalla guida e che guarda caso troviamo chiuso….anzi, sembra che questo edificio cadente non ospiti attività da decenni!…. del tutto casualmente approdiamo al “Tampico”, un ottimo ristorante contenuto in un antico e sobrio edificio del centro. Appesi alle pareti vecchi piatti di ceramica variamente decorati, dagli alti soffitti di legno scuro scendono invece antichi lampadari a gocce di vetro. Un amore di posto ed un servizio impeccabile….Va tutto benissimo fino a quando l’operazione di pagamento con Master Card viene annullata per tre volte di seguito e così allunghiamo al cameriere come ultima chance la carta Visa. La bellissima serata finisce quasi in tragedia con Vanni furioso perché sul suo telefono sono arrivati via sms tutti e quattro gli avvisi di pagamento confermato ….. insomma una cena salatissima pagata quattro volte a quanto pare!

20 Gennaio 2010

SALTILLO – REAL DE CATORCE

Niente colazione questa mattina….. l’hotel non dispone del servizio ed in camera non c’è nemmeno il comodo bollitore per preparare il caffè americano, quello che ci ha salvati in occasione delle nostre sveglie fuori orario, anche negli hotel più modesti. Vanni, ormai un veterano della colazione fai da te, tiene sempre in una tasca del suo trolley un vasetto di emergenza pieno di Nescaffè…. oggi è costretto a miscelarne un paio di cucchiaini nella bottiglia di acqua minerale dalla quale beve qualche sorso. Dopo pochi minuti siamo pronti per lasciare la squallida città di Saltillo….ma per andare dove? Non sappiamo ancora se Catia e Paolo ci raggiungeranno a Monterrey per scendere insieme verso Oaxaca…. e non abbiamo nessuna voglia di tornare a Monterrey che abbiamo lasciato ieri avvolta in una coltre giallastra di smog…. allora perché non raggiungere la magica Real de Catorce? E’ a soli 300 km da qui e se i ragazzi decideranno di raggiungerci torneremo a prenderli senza un eccessivo dispendio di energie. Mentre ci dirigiamo verso Sud percorrendo la comoda autostrada che sale sui rilievi della Sierra Madre, tentiamo una telefonata di verifica alla quale risponde Paolo che immaginiamo polleggiato a bordo piscina…. arriveranno a Monterrey venerdì con l’aereo del primo pomeriggio…. che bello! Siamo stati benissimo con loro in Baja…. complice la stessa passione per la natura ed un pizzico di follia. Ci avviciniamo a Real de Catorce seguendo la stretta strada lastricata che sale attraverso il deserto della Sierra, disseminato di Joshua Tree, agavi ed una grande varietà di piante grasse, mentre una leggera emozione ci attraversa come un brivido. Il pueblo incastonato tra le montagne spoglie della sierra ha qualcosa di magico per noi…. ne conserviamo un ricordo speciale, legato ad Elisabetta e Valerio conosciuti tre anni fa quando arrivammo qui per la prima volta. Ed ora eccoci di nuovo di fronte all’ingresso ad arco della lunga galleria….l’antica miniera, che emozione! La percorriamo come se si trattasse del limbo, necessario per il raggiungimento del paradiso che ci appare dopo un paio di chilometri sotto forma di Real de Catorce. le case di pietra e la cattedrale, le strade ripide di acciottolato in disfacimento…. qualche nativo e pochi turisti per le strade. E’ Jimmy ad arrampicarsi ora dove già Carolina fu messa a dura prova…. stiamo percorrendo una delle due strade che attraversano il paese longitudinalmente, diretti al ristorante “El Cactus”, unico indizio per ritrovare i nostri due amici. All’insistenza del nostro bussare apre la porta un giovane inserviente che ci comunica che il ristorante di Elisabetta e Valerio apre solo i weekend…. ma potremo forse trovare Elisabetta al negozio di souvenir poco oltre l’ ”Hotel dell’Abbondanza”…. che però troviamo in giorno di chiusura….. siamo proprio sfortunati! Prendiamo una deliziosa camera con terrazzino al primo piano del vicino hotel…. graziosa ed avvolgente ma senza riscaldamento come del resto ogni edificio qui in paese, nonostante gli inverni rigidi dettati dai 2700 metri di altitudine alla quale ci troviamo. Pochi minuti dopo siamo sul nostro terrazzino a godere del tepore del sole, sporti sul davanzale di pietra. Mentre ancora stiamo rimuginando Vanni vede una figura nota percorrere il breve tratto di strada visibile – ma non è Elisabetta?-. La chiamiamo e lei per nulla sorpresa ci sorride e ci saluta con un cenno della mano. Ci precipitiamo in strada per una abbracciatona… che piacere…. la casualità di questo incontro lo ha reso ancora più magico! Dopo venti minuti siamo di nuovo insieme per una lunga passeggiata verso la vecchia miniera in compagnia di Gregorio che zampetta fiero accanto alla sua padrona, mentre il sole calante ci regala una luce bellissima sull’agglomerato di case dal quale ci allontaniamo abbastanza da poterlo percepire come un intero con un solo sguardo. Panni stesi al sole, cani abbandonati sui tetti piani delle case semi diroccate che latrano al passaggio di Gregorio, il cane più amato del paese. Parliamo di tante cose io ed Elisabetta, sviscerando in profondità gli argomenti che ci stanno più a cuore…. è una ragazza intelligente e molto sensibile e la nostra passeggiata diventa presto una sorta di seduta psicoanalitica, liberatoria e costruttiva per entrambe. Da qualche giorno sono fuori di me per le pressioni che arrivano da parte della famiglia di Vanni che ci costringe a rientrare in anticipo. Mi riesce difficile pensare che ciò non scaturisca dal capriccio della madre anziana ed egoista. Elisabetta capisce bene le mie angosce, il mio sentirmi castrata e sola. Ha vissuto una situazione analoga un anno fa quando l’anziana madre di Valerio è arrivata dall’Italia piazzandosi a casa loro e subissandoli di richieste che avevano finito col rendere la loro vita impossibile. Mi consiglia la lettura di un libro, anzi me lo regala prendendolo dallo scaffale del suo negozio che raggiungiamo appena rientrate in paese…. “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky mi darà la forza di uscire dal meccanismo alienante generato dalla negatività di una persona, mi dice Elisabetta….. quanto lo spero! Intanto, nella piazza alberata nella quale siamo sedute ancora a parlare, una ragazza Huichole sta mangiando qualcosa insieme alle sue due figlie piccolissime ed al neonato in carrozzina…. è Ofelia, vittima di stupro così come una delle sue bambine. E’ stato lo zio. Avendo denunciato la violenza al comando della polizia Ofelia è stata allontanata dalla comunità Huichole della quale faceva parte. Sola con i suoi tre figli Ofelia cerca ora di sopravvivere vendendo per la strada qualche pezzo di artigianato. Se la cultura messicana è in generale maschilista, quella antica e chiusa degli Huicholes lo è oltre ogni limite, anzi è molto peggio. Dediti da secoli allo shamanismo sollecitato dall’uso del peyote, il cactus della saggezza e dell’introspezione, vivono da sempre nel deserto della Sierra ed uniscono all’ aspetto mistico e trascendente della loro cultura quello della bestialità che si esprime con violenze sistematiche sugli individui più deboli della comunità. Quando tre anni fa conobbi Elisabetta mi parlò del forte ascendente che questa cultura esercitava su di lei, ancora inconsapevole dei suoi risvolti drammatici. Ora ne ha preso le distanze disgustata, e sta aiutando un ragazzino Huichole fuggito in paese con la madre e la sorella. Gli ha dato un lavoro, l’affetto, e gli insegna ciò che lei ha imparato studiando e vivendo in questi quarantadue anni. Ofelia non ha più di venticinque anni, il viso largo e sorridente nonostante tutto…. decido con Vanni di adottarla a distanza….. abbiamo trovato finalmente una famiglia da aiutare, e lo faremo tramite Elisabetta e Valerio con i quali definiamo le modalità nel corso della cena. Che bello essere con loro! Intanto un blackout ha oscurato il paesino…. Raggiungiamo il camino acceso nel soggiorno di casa loro illuminando i nostri passi con un paio di torce mentre le stelle vicinissime si mostrano in tutto il loro splendore e soffia un vento fresco che ci segue nel breve tragitto. Poi seduti davanti al fuoco, Gregorio disteso sui nostri piedi, continuiamo a raccontarci il vissuto di questi pochi anni. La camera è gelata e buia quando rientriamo in hotel, ma le lenzuola di flanella e la nostra borsa di acqua calda ci consentono di addormentarci al calduccio.

21 Gennaio 2010

REAL DE CATORCE – MONTERREY

Partiamo consideriamo conclusa la nostra missione a Real De Catorce. Poiché Elisabetta e Valerio saranno impegnati per l’intera giornata di oggi nella vicina cittadina di Marohua non ha molto senso rimanere considerando anche quanto fa freddo dopo il tramonto….. e non possiamo nemmeno escludere che Paolo e Catia desiderino fermarsi qui sabato come prima tappa della nostra discesa verso Veracruz. Partiamo con calma, dopo essere stati coccolati con una bella colazione in camera servitaci forse solo per compensare il disagio del blackout che continua anche oggi. Così come tre anni fa uscendo dalla lunga galleria rimanemmo colpiti dalla inaspettata fioritura dei Joshua Tree che considerammo uno speciale saluto, oggi sono le agavi ad essere fiorite, a decine, come trafitte dal lungo stelo che sporgendo verso l’alto segnerà la fine della loro vita. Percorriamo la serpeggiante autostrada 57 che si fa strada tra le cime brulle della Sierra disseminata di tavole calde, ovvero la versione messicana degli autogrill, scatolari e spesso colorate in tonalità squillanti. Poi arrivati a Monterrey inizia la complicata operazione di razionalizzazione dei bagagli accumulati nel bagagliaio di Jimmy che da domani dovrà contenere oltre ai nostri anche i trolley dei ragazzi. Quanta inutile zavorra troviamo contenuta in scatole e zainetti….. almeno sette bottiglie di sabbia, decine di pietre senza alcun pregio se non il ricordo del luogo nel quale le avevamo prelevate, così lontano nel tempo da perdersi nell’oblio. Eppure Vanni fatica a separarsene, come se lasciarle significasse per lui rinunciare a qualcosa di vitale…. patologia o eccesso di sentimentalismo?…. chi può dirlo… Finiamo col tenere le sabbie bianche di Galapagos e Las Palmas, una lastra di sale raccolta in Argentina ed una particolare formazione di gesso…. infine la pietrona verdastra che hanno venduto a Vanni come giada. Ora anche Jimmy è pronto ad accogliere i ragazzi!

22 Gennaio 2010

MONTERREY – MATEHUALA

Arriviamo in aeroporto con leggero anticipo dal vicinissimo Holiday Inn nel quale abbiamo tergiversato fino all’ora del chekout…. è ancora presto ma l’attesa del volo Vivaaerobus proveniente da La Paz scorre via lieve tra uno spuntino ed un giretto al piccolo negozio dell’aeroporto. Volendo stupire i nostri amici con un’accoglienza spiritosa Vanni scrive su un A4 bianco i loro nomi e si ferma in posa davanti all’uscita degli arrivi mentre io sfodero la macchina fotografica per un reportage da divi. Poi eccoli arrivare sorridenti, solari e divertiti dal cartello. Ci abbracciamo e partiamo subito dopo verso Sud…. anche per loro Monterrey non merita nemmeno qualche ora di sosta ! Seduto accanto a Vanni, Paolo mi sostituisce alla navigazione, mi accomodo così accanto a Catia concedendomi il lusso di proseguire il viaggio come pura zavorra. Con Catia è sempre un piacere scambiare due chiacchiere… così tanto che dopo un paio d’ore abbiamo la sensazione di essere appena partite. Anche Paolo e Vanni hanno un buon filling a giudicare dal loro parlottare che ci arriva come un brusio di fondo. Nessuno di noi ha voglia di salire a Real de Catorce, così dopo aver attraversato le distese di Joshua tree ed osservato le belle montagne scure della sierra in lontananza, poco dopo le sei del pomeriggio arriviamo a Matehuala che abbiamo scelto come trampolino di lancio verso il Sud e la costa del Golfo del Messico. Sarà una sosta tecnica per cena e pernottamento dato che la cittadina non ha proprio nulla da offrire oltre a questo hotel Las Palmas che troviamo sulla strada che stiamo percorrendo. E’ un hotel degli anni ’70 molto ben tenuto ed organizzato in casette ad un solo piano distribuite da vialetti. Il ristorante dell’hotel nel quale andiamo appena depositati i bagagli in camera, ci stupisce per l’efficienza del servizio e l’originalità delle pietanze…. almeno per noi che non conosciamo i piatti tipici di questa regione. Su suggerimento di Paolo e Catia assaggiamo l’ottima crema de elote y huitlacoche, dove l’elote è il mais e lo huitlacoche è un fungo della pannocchia che la avvolge come una polpa bitorzoluta, chiara all’esterno e bruna all’interno. Il risultato è una vera squisitezza! I ragazzi continuano con il capretto che dicono buonissimo, mentre Catia ordina una pietanza insolita quanto il suo nome, nopal …. si tratta delle foglie carnose del fico d’india sbucciate e lessate in acqua. Assaggio curiosa… il sapore ricorda quello del peperone…. gustosissimo. Siccome siamo tutti golosi e lo huitlacoche ci è piaciuto molto ordiniamo le quesadillas condite con il sugo scuro del fungo del mais… wow che cena! ….. e com’è piacevole essere con i nostri due amici…. ci sono tutte le premesse per la buona riuscita di questo nostro viaggio insieme. Usciamo dal ristorante attratti dai grandi Joshua tree illuminati da faretti che circondano le piscine…sarà forse per il vino bevuto questa sera, ma i tronchi disseminati dei residui delle foglie lanceolate sembrano le zampe di grossi mammut. Poi a nanna…. i 1600 metri di quota hanno reso questa serata freddissima.

24 Gennaio 2010

CIUDAD VALLÈ

Quando poco dopo mezzogiorno ci svegliamo siamo tutti ancora un pò ubriachi…. la testa come immersa in un liquido ed una grande spossatezza. Poi la colazione al ristorante ci rinfranca abbastanza da decidere di perlustrare questa zona ricca di corsi d’acqua e di cascate immerse nella rigogliosa vegetazione subtropicale… Vanni invece torna a letto. Nonostante la delusione bruciante di ieri e desiderosi di dare un’altra chance a Tamasopo, percorriamo in taxi i 50 km che ci separano da uno dei luoghi più belli tra i tanti analoghi visti in giro per il mondo… Il Ponte de Dios è un collegamento naturale tra due ampie pozze d’acqua turchese alimentate da cascatelle che scendono tra la vegetazione rigogliosa…. una sorta di grotta scavata nella roccia scura all’interno della quale l’acqua iridescente sembra illuminata dal basso…. un fenomeno simile a quello della famosa grotta azzurra di Capri, inserito qui in un contesto da paradiso terrestre con felci, muschi e cascatelle… così evocativa che quando vedo Catia e Paolo emergere dalle sue acque per un momento penso a Tarzan e Jane ! Dopo la risalita a piedi davvero mozzafiato visitiamo un altro gruppo di cascatelle e pozze naturali d’acqua che ricordano vagamente Agua Azul in Chapas… poi torniamo soddisfatti in hotel dove Vanni ancora in maglietta non è ancora uscito dalla camera. Ceniamo in un posticino carino e piuttosto rustico…. una bella parillada di carne che ci viene servita su un braciere di ghisa nera appoggiato al centro del tavolo. In uscita la sorpresa dei saluti calorosi di un paio di signori seduti ad un tavolo…. l’unica spiegazione possibile è che fossero ieri sera tra i clienti del night club …. abbiamo dei fans !

23 Gennaio 2010

MATEHUALA – CIUDAD VALLÈ

Vanni rientra dalla colazione stranamente poco affettuoso…. Jimmy ha uno pneumatico a terra ! Rassegnato inizia le operazioni di sostituzione mentre borbotta tra se – vita dura quella dei camionisti! – …. poi il lancio di una moneta ci convince definitivamente ad un sopralluogo ad Estation Catorce. Vicinissimo a Real de Catorce, il paesino si trova in pieno deserto, alla base delle montagne della sierra. Mulinelli di polvere sollevati dal vento lungo le strade di terra battuta rendono ancor più surreale l’agglomerato di case basse che formano quinte continue e multicolore. Tagliato in due dalla ferrovia, il paesino si è sviluppato molto negli anni successivi al film di Salvatores che annunciò al mondo che vi si potevano trovare i peyotes, i piccoli cactus dai poteri magici. Paolo e Catia che non vengono qui da tredici anni stentano a riconoscere in questo paese quello visto allora…. c’è persino un modernissimo distributore di benzina Pemex sulla strada principale…. ed alti lampioni che non fanno che accentuarne la desolazione. Nulla è cambiato però all’interno del ristorante Tokio, nemmeno Donna Margarita che vediamo entrando accanto all’altare adorno di fiori finti e dell’immagine sacra di Maria, tridimensionale e coloratissima. Donna Margarita è un’anziana signora devota a Dio ed al Peyote, qui indissolubilmente legati in un misticismo poliedrico e profondo… è così sensibile Donna Margarita che stringendo le mani di Paolo lo riconosce, poi in un momento di grande commozione per tutti noi ricorda il marito morto sei anni fa, attaccato da uno sciame di vespe in Texas…. le lacrime solcano il suo viso ed inumidiscono i nostri occhi. Rimaniamo in sua compagnia il tempo di scambiare due parole, bere un tè ed osservare il giardinetto fuori dalla porta, fatto di vecchi secchi di plastica e di alluminio contenenti piante fiorite, poi ripartiamo verso Sud ed iniziamo ad assaggiare la gomma di peyote che si ottiene dalla bollitura del cactus. Dovendo guidare Vanni si astiene mentre scivoliamo a bordo di Jimmy sulla strada stretta che conduce a Charcas e poi a Rio Verde ed infine a Ciudad Valles. Attraversiamo alcuni incantevoli paesini dal sapore tipicamente messicano, sprigionato dalle strade strette, i colori delle case, dagli intonaci scrostati resi diafani dalla luce di mezzogiorno. Ci fermiamo in piazzette dove i pochi alberi impolverati lasciano vedere le facciate elaborate di chiese barocche e gli uomini seduti sulle panche in muratura o sugli scalini, i visi coperti dai sombreri di paglia intrecciata. Qualche cavallo si muove lungo la strada dove file di bassi cactus segnano i confini di proprietà nelle periferie, poi eccoci attraversare il Tropico del Cancro ed entrare nella regione di Hidalgo. La vegetazione diviene sempre più lussureggiante man mano che procediamo verso Sud Est scendendo dalle ultime pendici della sierra…. poi leggiamo sulla guida di un bell’hotel immerso nella vegetazione e circondato di cascatelle naturali…. si trova nei pressi della cittadina di Tamasopo che raggiungiamo con una breve deviazione. E’ già il tramonto e ciò che vediamo sono campi di canna da zucchero a perdita d’occhio e squallide cabanas, per non parlare del paesino triste, sporco e senza fascino di Tamasopo. Perdiamo circa un’ora nella ricerca di un posto carino dove sostare, poi rassegnati abbandoniamo il progetto e percorriamo gli ultimi cinquanta chilometri per raggiungere Ciudad Valle che così al buio non percepiamo in tutta la sua bruttezza. Atterriamo all’Hotel Quinta Mar consigliatoci da un tassista ma le cui camere ci deludono rispetto all’impatto dell’edificio che le contiene, poi decidiamo di cenare in hotel quasi mettendo in croce il cameriere con una serie di richieste di bis di tequile a fine pasto che ci fanno fare tardi rispetto all’orario di chiusura del ristorante. Unici clienti perdipiù leggermente molesti, decidiamo di uscirne solo a mezzanotte dopo che anche la carta della pulizia dei pavimenti con una quantità di lisoformio da uccidere era stata giocata dal personale di servizio ormai sfinito. E’ di Paolo l’idea di andare al night club che raggiungiamo con una breve corsa in taxi. Qualche problema per entrare vista la presenza di noi due donne… ma poi ci infiliamo con uno stratagemma e siamo dentro. Siamo così su di giri che Vanni poco dopo sale sul palco ed inizia a muoversi accanto ai tubi della lap dance nascondendo in parte alla vista dei messicani sbavanti la vista delle ballerine mezze nude che vi si stanno esibendo….. a breve saliamo anche Catia, che si esibisce in un balletto piuttosto provocante, ed io che nel frattempo sono rimasta in reggiseno e jeans…. che ridere! Paolo intanto si è agitato un bel pò percependo che la situazione potrebbe degenerare in una rissa….. i signori presenti essendo più che altro interessati alla vista delle tristi ballerine seminude che si divincolano alla pertica… Usciamo poco prima del lancio dei pomodori, come attori di un varietà che ha cercato di portare un pò di allegria, perché il sesso è gioia e non tutta questa tristezza…. che serata divertente!

24 Gennaio 2010

CIUDAD VALLÈ

Quando poco dopo mezzogiorno ci svegliamo siamo tutti ancora un pò ubriachi…. la testa come immersa in un liquido ed una grande spossatezza. Poi la colazione al ristorante ci rinfranca abbastanza da decidere di perlustrare questa zona ricca di corsi d’acqua e di cascate immerse nella rigogliosa vegetazione subtropicale… Vanni invece torna a letto. Nonostante la delusione bruciante di ieri e desiderosi di dare un’altra chance a Tamasopo, percorriamo in taxi i 50 km che ci separano da uno dei luoghi più belli tra i tanti analoghi visti in giro per il mondo… Il Ponte de Dios è un collegamento naturale tra due ampie pozze d’acqua turchese alimentate da cascatelle che scendono tra la vegetazione rigogliosa…. una sorta di grotta scavata nella roccia scura all’interno della quale l’acqua iridescente sembra illuminata dal basso…. un fenomeno simile a quello della famosa grotta azzurra di Capri, inserito qui in un contesto da paradiso terrestre con felci, muschi e cascatelle… così evocativa che quando vedo Catia e Paolo emergere dalle sue acque per un momento penso a Tarzan e Jane ! Dopo la risalita a piedi davvero mozzafiato visitiamo un altro gruppo di cascatelle e pozze naturali d’acqua che ricordano vagamente Agua Azul in Chapas… poi torniamo soddisfatti in hotel dove Vanni ancora in maglietta non è ancora uscito dalla camera. Ceniamo in un posticino carino e piuttosto rustico…. una bella parillada di carne che ci viene servita su un braciere di ghisa nera appoggiato al centro del tavolo. In uscita la sorpresa dei saluti calorosi di un paio di signori seduti ad un tavolo…. l’unica spiegazione possibile è che fossero ieri sera tra i clienti del night club …. abbiamo dei fans !

25 Gennaio 2010

CIUDAD VALLÈ – TUXPAN

Animati dal desiderio di scoprire altri angoli paradisiaci della regione di San Luis Potosi, ci spingiamo oggi verso il Rio Gallinas, immerso nella vegetazione rigogliosa subtropicale e collegato alla Ruta 70 da una strada ancora in costruzione. Trovare l’imbarcadero ha il sapore di una caccia al tesoro, ma chiedendo ai pochi passanti in sombrero ed evitando invece quelli che sventolano depliant turistici fuori dai finestrini delle auto che ci inseguono come facili prede, arriviamo finalmente ad un incrocio presso il quale deviamo seguendo l’indicazione di un cartello pubblicitario. Usciamo poi da una cava di ghiaia nella quale ci siamo ritrovati sbagliando strada ed eccoci varcare la staccionata di legno che ci proietta su un prato all’inglese contenente una bella casa fatta di ciottoli rotondi… siamo arrivati al fiume. Quegli stessi signori che ci avevano indicato la strada all’ultimo incrocio sono qui ad attenderci con le pagaie ed i giubbotti di salvataggio in mano. Uno sguardo al fiume ce ne mostra l’acqua di uno straordinario azzurro iridescente…. circondato dalla vegetazione e dalle alte rocce del canyon che ne contiene il letto sinuoso. Ci avventuriamo poco dopo sulle sue acque tranquille a bordo della barchetta di legno stretta, lunga e coloratissima, mentre un ragazzo pagaia a poppa, così timido da sembrare muto. Il silenzio è totale… l’acqua sempre più azzurra si spinge all’interno del canyon di rocce chiare erose come lingue di fuoco pietrificato proprio come quelle dell’isola Maddalena in Sardegna. Ci rendiamo presto conto che dovremo guadagnarci la cascata pagaiando…. due brevi tratti di rapide ci costringono infatti a darci da fare con i remi e poi a scendere per percorrere a piedi brevi tratti di scomode rocce inclinate. Vanni stretto nel suo giubbotto di salvataggio è sempre più teso…. l’acqua non è il suo elemento e la barchetta raccoglie molta acqua nonostante Paolo e Catia provvedano a raccoglierla e rigettarla nel fiume. Inoltre il ragazzo “muto” non sembra particolarmente sveglio e poi avevamo sentito parlare di alligatori…. insomma è un gran brutto momento per il mio amore! Continuiamo ancora a pagaiare scivolando sullo specchio azzurro del fiume silenzioso, finché iniziamo a sentire il brusio lontano di una cascata che però continuiamo a non vedere ….tra le risate iniziamo a pensare si tratti di uno scherzo…il suono registrato e amplificato da casse nascoste tra le rocce tanto per illudere i turisti, ma poi il mistero si risolve quando avvistiamo una serie di cascatelle che scendono da bassi speroni di roccia, tra le foglie fresche di giovani felci. Approdiamo poi presso una piccola spiaggia dalla quale iniziamo la salita che ci porterà ad una meravigliosa ampia grotta. L’ ingresso coperto in parte dalle liane che scendono dall’alto, si apre su un laghetto blu iridescente…. è meraviglioso! E’ così bello che non resistiamo ad un tuffo e ad una breve nuotata nelle sue acque tiepide, blu come gli occhi di Bette Davis….. insomma la regione di San Luis Potosi continua a sorprenderci mostrandoci i suoi inaspettati tesori. Poco oltre, dopo un’ansa del fiume scorgiamo la grande cascata Tamul, un’alta caduta d’acqua che osserviamo appollaiati su uno scoglio, da lontano. Sulla via del ritorno Vanni è più rilassato, ed anche il nostro capitano inizia a rispondere con monosillabi alle nostre pressanti domande…. per esempio cosa sono quei fili che scendono tesi dalle rocce dentro l’acqua? Scopriamo così che stiamo navigando su un corso d’acqua estremamente pescoso, soprattutto di gamberoni e langostine che rimangono intrappolati alle nasse appese a quei fili. Poi incontriamo “Negro”, un simpatico cagnolino che si sposta nella nostra stessa direzione alternando al nuoto qualche breve tratto di passeggiata sulla riva. Sta seguendo a distanza il suo padrone che scende in barca verso l’approdo. Simpatico quanto il suo cane, ci consiglia un posto dove mangiare crostacei freschi…. “Il Capitain” che aprirà ufficialmente solo a Pasqua e che raggiungiamo poco dopo. Seduti sulle sedie di plastica bianca nel piccolo edificio ancora senza finestre né pavimento, gustiamo i nostri gamberoni saporiti e scambiamo due parole con la proprietaria e cuoca…. una signora sveglia ed intraprendente. Lasciamo il piccolo centro abitato per dirigerci a Sud attraverso la linea quasi impercettibile sulla carta stradale cui corrispondono stradine secondarie che sfiorano la foresta e penetrano all’interno di vivaci paesini ancora non toccati dal turismo, ma veraci ed avvolgenti come ogni luogo qui in Messico. Traguardiamo di seguito Tanchanaco ed Aquismon lambendo pascoli popolati di mucche ed evitando un paio di maialini che attraversano la strada correndo…. intonaci scrostati e tetti di lamiera, i colori forti delle case ad un solo piano. Porticati si aprono sulla piccola piazza che racchiude la vita del paesino… lo zocalo ombreggiato di alberi dove i messicani amano ritrovarsi per due chiacchiere o anche solo per una siesta ad occhi chiusi, mentre una anziana signora vende abiti tradizionali ricamati con colori vivaci… questa è Aquismon, lo stereotipo di tutti i paesini del Messico. Seguendo la strada serpeggiante tra le pendici della Sierra Madre, poco dopo aver attraversato Tamazunchale, entriamo nello stato di Veracruz e solo tardi, ormai stanchissimi raggiungiamo la cittadina di Tuxpan che si sviluppa sul fiume omonimo sfociante nel vicino Golfo del Messico. Il centro abitato non sembra un granché, sciatto come l’hotel che scegliamo dopo averne visitati un paio. Il Florida ha poco da offrire se non un paio di letti sui quali crolliamo stremati per il lungo viaggio di oggi e per la pagaiata alla quale non siamo abituati.

26 Gennaio 2010

TUXPAN – XALAPA

L’unico vantaggio di svegliarsi qui a Tuxpan è quello di poter raggiungere con un breve spostamento il famoso sito archeologico di Tajin, che fu un importante centro cerimoniale delle culture classiche del Golfo del Messico tra il 300 ed il 1200 d.c. e nel quale ci tuffiamo volentieri poco dopo la colazione. Passeggiamo curiosi tra le suggestive piramidi a gradoni, i campi per il gioco della pelota e gli edifici che furono le residenze civili dei notabili di allora, godendo della bellezza e della tranquillità immobile di questo luogo…. così in contrasto con i delitti che vi furono commessi nel nome di un Dio che ora non esiste più nemmeno nella memoria dei nativi più anziani. Impossibile non pensare alle centinaia di sacrifici umani che si svolsero su questi altari ora dilavati del sangue che vi fu versato. Sarà per questo che nei siti archeologici messicani percepisco sempre oltre alla bellezza straordinaria anche una sorta di energia negativa…tetra. Raccordati da un prato verde acceso gli edifici sono piuttosto interessanti per la particolare texture di nicchie che ne caratterizza l’involucro esterno…. il più bello è senz’altro la Piramide delle Nicchie che ne contiene 365. Il numero sottolinea il forte legame della civiltà olmeca con il susseguirsi delle stagioni all’interno dell’anno solare….. gli Olmechi infatti basarono la loro economia sull’agricoltura piuttosto che sulle guerre o il commercio. In sintonia con la vena agreste sono le venditrici all’uscita del sito che propongono sacchetti contenenti bacche di vaniglia fresca…. le compriamo naturalmente! Felici e rigenerati dalla visita a questo bel luogo continuiamo il nostro viaggio costeggiando il mare fino ad una trentina di chilometri da Veracruz, quando deviamo salendo fino ai 1400 metri di Xalapa, la capitale dello stato di Veracruz. Troviamo al primo colpo un gradevolissimo hotel, il “Clara Luna”, e poco dopo l’ottimo ristorante “Asadero Cien” dove finalmente assaggio la mia zuppa preferita…. la sopa azteca, e dove tutti noi godiamo degli ottimi piatti e del servizio avvolgente. Nel corso della serata conosciamo Antonio, un liutaio messicano dal viso celtico che ha studiato in Italia a Cramona. Molto rude per essere un liutaio, al contrario del suo giovane assistente, esile e troppo sottomesso al bruto Antonio. Finisce in chiacchiere accompagnate da troppe bottiglie di vino rosso che finiscono col generare forme di molesta aggressività che stentano a spegnersi…. peccato, la giornata era stata perfetta !

27 Gennaio 2010

XALAPA – VERACRUZ

Illuminata dal sole della mattina Xalapa si mostra in tutto il suo fascino. Spalmata sul terreno scosceso, la città è pulita nonostante il traffico intenso, orinata ed articolata in una serie di parchi uno dei quali contiene il Museo Archeologico che visitiamo approfittando del clima improvvisamente peggiorato. La visita si sviluppa all’interno delle sale piacevolmente concepite nell’alternanza con giardini circoscritti e coperti all’interno dei quali sono esposti tra la vegetazione reperti archeologici della civiltà olmeca. L’architettura leggera e geometrizzata del museo, circondata dal giardino fiorito in cespugli di gardenie, camelie, azalee e sterlizie, contiene una serie di colossali teste olmeche risalenti al 300 – 900 a.c. ed una serie di oggetti più recenti di squisita fattura…. come i meravigliosi cagnolini di terracotta su ruote o le sculture di bambini sull’altalena e gli strumenti musicali, flauti ed ocarine ornate da figure animali. Fantastiche le decine di sculture rappresentanti divinità, in pietra o argilla, espressive ed eleganti. Insomma una location perfetta che racchiude l’enorme patrimonio archeologico autoctono. Lascio Xalapa a malincuore…. avrei dedicato volentieri ancora un pò di tempo alla visita del centro storico di questa città universitaria generosa e colorata che lasciamo subito dopo la visita al museo…. fuggendo dal freddo di questi 1400 metri in odore di nevicate. Scendiamo alla vicina Veracruz, il porto più importante del Golfo del Messico e vivace città caraibica della quale il ricordo di Paolo si ferma a venticinque anni fa, ma che per noi è ancora tutta da scoprire! Entriamo nella zona del porto dopo aver avvistato dalla strada la costa non particolarmente interessante…. poi un ponte ci proietta nel centro storico caratterizzato da un mix di edifici vecchi e nuovi tra i quali emergono, saggiamente illuminati, quelli del periodo coloniale, le ampie finestre ingentilite da ricami in stucco ed elementi emergenti dalle facciate spagnoleggianti. Procediamo tra le strade attorno al cuore del centro storico cercando di evitare lo scontro con i tassisti camicaze che sfrecciano agli incroci implementando la vivacità folle di questa città che tra venti giorni si animerà del carnevale più scatenato del centro e nord America. La ricerca di un hotel ci proietta nel cuore pulsante del centro, lo zocalo, ovvero la piazza alberata sulla quale si affacciano gli edifici più rappresentativi della città compresa l’immancabile cattedrale realizzata qui in blocchi di pietra chiara e con la cupola rivestita di ceramiche policrome. Ci fermiamo al centralissimo hotel Veracruz scelto dopo una serie di sopralluoghi ai modesti hotel del centro….non è un granché ma dal terrazzo della camera vediamo la piazza affollata di gente, gli alberi e la facciata della cattedrale ben illuminata. Scendiamo subito e ci uniamo alla folla, passeggiando immersi nella musica dei mariachi che armati di chitarre sono fermi accanto ai bar a vendere qualche nota ed un pò di sana allegria. Pochi passi e siamo attratti dal ristorante Villarica, lo stesso che ieri sera a Xalapa avevamo trovato chiuso. Elegante e raffinato ci delude fin dalle prime battute…. il cameriere che sembra agire sotto l’effetto di sedativi ci serve un vino bianco caldo, le ostriche camuffate con olio d’oliva sono vecchie così come il carpaccio di tonno …. insomma sono più i piatti intonsi che rispediamo in cucina che non quelli che riusciamo ad assaggiare…. un disastro annunciato dalla postilla sul menu che non avevamo letto e che dice “ il prodotto contrassegnato dall’asterisco si serve sotto la responsabilità del cliente” …. come a dire che se finisce all’ospedale per intossicazione alimentare sono cavoli tuoi! Nel bar accanto, il Gran Bar del Portal, un locale storico che Paolo ricorda bene, ascoltiamo un bel concerto di musicanti…. suonano in tre un bellissimo xilofono con intarsi di legno tipicamente veracruzano, accompagnati da un batterista. Ancora una breve passeggiata ci porta sul Malecon dove un gruppo numeroso di ragazzi e bambini provano le danze al ritmo di samba in vista del carnevale imminente. Seduti sul marciapiede ascoltiamo l’esplosione dei tamburi cui corrispondono gli sculettamenti di ragazze e bambine…. com’è frizzante Veracruz !

28 Gennaio 2010

VERACRUZ

Perdo l’intera mattinata dormendo, poi dopo un succo di ananas espresso bevuto al bar andiamo a zonzo per il centro storico che esplode nei colori forti degli edifici di tutte le epoche. Talvolta con citazioni decò o coloniali o con geometrismi aggettanti dalle facciate che molto ricordano lo stile degli anni ’60-’70 rimarcati da accese policromie. Miriadi di negozietti occupano i piani terra con vetrine talvolta invitanti come la pasticceria nella quale entriamo ingolositi che espone su grandi vassoi di alluminio torte e paste in scala gigante. Usciamo con un piccolo ma sostanzioso bottino, una tortina di ananas che assaggeremo più tardi mentre ora ci dedichiamo all’esplorazione del mercato coperto saturo di prodotti che sporgono appesi anche sulle nostre teste mentre camminiamo lungo gli stretti percorsi lasciati liberi. Troviamo di tutto…. dall’abbigliamento tradizionale alle statue della Confraternita Santa Santissima. Sono decine quelle che riproducono in vari colori e dimensioni la figura femminile della Santa che pur ispirandosi all’iconografia classica della Madonna ne sostituisce la testa con un inquietante teschio. Catia fa qualche domanda alla ragazza grassoccia che vende i macabri feticci… scopriamo così che il culto della Santa Santissima può essere associato ad altri culti, per esempio quello cattolico, perché la Santa non è gelosa, dice lei, accompagnando l’affermazione con un sorrisino malizioso, inoltre il suo culto offre il vantaggio di vedere avverati i propri desideri…. insomma vorrebbe tanto vendercene una! Come spesso accade le bancarelle più accattivanti sono quelle di frutta e verdura che qui si colorano di profumati frutti esotici, dei piccolissimi avocado che Catia assicura essere saporitissimi e delle foglie del fico d’india già pulite delle spine, pronte per essere cotte. Poco più avanti sono accatastati su un ripiano bianco i formaggi di Oaxaca che gentilmente ci viene chiesto di assaggiare, sono meticolosamente avvolti in fresche foglie di banano….ed ecco il reparto pescheria che sfoggia pesce freschissimo al contrario di quello propinatoci ieri sera…. e ci sono anche grossi granchi dalle chele blu, ancora vivi ed intrappolati in gruppi dentro a bozzoli di fibre vegetali appesi sopra il bancone. Siccome da qualche giorno ripenso ai “machec” acquistati un paio di volte a Merida…. i meravigliosi scarafaggi ornati di perline sul dorso, mi informo presso una merceria dove sia possibile acquistarne qualcuno. E’ passato tanto tempo dall’ultimo avvistamento, risponde la gentile merciaia, ma ci da informazioni precise sul luogo dove potremmo chiedere. La ricerca si rivela inutile. Non è stagione ed inoltre il machec non fa parte delle tradizioni locali…. quindi dopo un paio di tentativi rinunciamo all’acquisto del delizioso animalino e ci ritroviamo casualmente con i ragazzi tutti belli sbarbati a colpi di spadino, seduti su una panchina dello Zocalo, tra giovani coppie che si baciano appassionatamente e lustrascarpe assopiti nella siesta. E’ di Paolo l’idea di avventurarci lungo il Malecon (lungomare), alla ricerca dei luoghi lasciati 25 anni fa e che ora stenta a riconoscere. Il massiccio recente sviluppo urbano ci fa apparire quest’area costiera come una sorta di Miami dei poveri. La lunga sequenza di spiagge selvagge delle quali Paolo ci parla inseguendo i suoi ricordi in un mix di delusione e compiacimento sono quasi nascoste ora dagli edifici che vi sono sorti a ridosso ed anche la bella punta di Boca del Rio che vediamo in prospettiva ci appare come sbocciata in un gruppo di emergenti grattacieli. La similitudine con Miami ci appare con forza in prossimità del fiume, dove la ramificazione in brevi canali è stata ricondotta ad una logica urbana con tanto di villette immerse in giardini rigogliosi…. ci sono anche i pontili, mancano solo i lussuosi motoscafi. La bella spiaggia è quasi sparita, inghiottita dalla strada e dagli edifici che ne seguono il profilo…. ed il mare non ha il bel colore intenso di quello della Florida. Rientriamo sbigottiti per la sorpresa riservataci da Veracruz che ci aspettavamo più messicana e meno allineata agli stereotipi dei “ricchi” vicini americani. La scelta del ristorante non ci coglie alla sprovvista…. Paolo e Catia hanno avuto indicazioni precise dalle diverse persone intervistate circa il miglior ristorante di pesce della città…. La Palapa Bajo è senza dubbio il migliore. Periferico e lontano dalle aree turistiche della città, ci gratifica con gamberetti, robalo e la famosa mucharra fritta… tutto squisito in questo semplice ristorante rischiarato dai tubi al neon, dove all’orario di chiusura delle 19 le cameriere raccolgono le ultime ordinazioni iniziando subito dopo a spostare le sedie sopra i tavoli ed a pulire i pavimenti…. per fortuna non usano il lisoformio!

29 Gennaio 2010

VERACRUZ – CATEMACO

Lasciamo la città spingendoci verso Sud lungo il malecon, il mare visibile solo nei brevi tratti lasciati liberi dagli edifici, i veri protagonisti della costa. Siamo diretti a Catemaco, un paese famoso per il lago attorno al quale si è sviluppato e per gli stregoni, i Brujos, che vi abitano. Una sorta di curanderi che riescono a ripulire i loro clienti dalla negatività accumulata, attraverso misteriosi riti magici. L’area attorno a Catemaco sembra inoltre racchiudere inaspettate bellezze naturali, piccoli paradisi incontaminati avvolti dalla vegetazione rigogliosa della selva, pozze d’acqua purissima nelle quali immergersi e l’isola delle scimmie stranamente giunte dalla Tahilandia. Ciò che ci colpisce invece mentre procediamo sulla litoranea verso Catemaco è l’atmosfera agreste di queste zone la cui vicinanza al mare sembra essere del tutto indifferente alla popolazione che vi abita senza nessuna intenzione di sfruttarne le potenzialità. Le spiagge rese invisibili dalle colline che si spingono fino al mare, la terra buona dal colore rossiccio, coltivata variabilmente a tabacco, pomodori, canna da zucchero e ananas, accoglie alberi maestosi, alcuni bellissimi hanno la corteccia liscia e rossiccia e sviluppano la loro chioma su rami contorti in armoniose volute. Si chiamano “mulatti”, rispondono due signori ai quali chiediamo incuriositi. Nel paesaggio agreste non potevano mancare le mucche, e le pecore talmente grasse da sembrare gonfiate. Lungo la strada decidiamo di fare una sosta a Monte Pio, un pugno di case malandate sorte nei pressi della spiaggia, là dove due corsi d’acqua sfociano nel mare. Il cielo nuvoloso contribuisce ad accentuare l’atmosfera quasi surreale di questo luogo vagamente inquietante, dove la spiaggia è occupata in parte da una fila di ampie tettoie di canne sotto le quali sono a decine i tavolini di plastica vuoti. Mentre i ristoratori allungano speranzosi i menu osserviamo un turista messicano fai da te che ha piantato la sua piccola tenda fucsia al margine di una tettoia ed ha acceso un focherello sul quale cucina gamberetti in umido. Due giovani ragazzi provano posizioni acrobatiche mentre un cane vaga sul bagnasciuga. Abbandoniamo il paesino la cui “notorietà” deriva dai pirati che vi abitarono un tempo, per scendere ancora verso l’obiettivo finale. La bellezza del lago bordato di colline verdeggianti ci sorprende come un regalo, mentre il sole già basso offre una splendida vista dalla terrazza della nostra camera, a pochi metri dall’acqua ora color rosa. Solo una palma del giardino interrompe la continuità della superficie piatta dell’acqua mentre dall’altra parte il vicino centro abitato si profila lungo la costa, la cupola della chiesa unico elemento emergente dal suo profilo. Rimaniamo a lungo a contemplare il profilo frastagliato del lago, fino a quando la luna piena alzandosi di fronte a noi stende un cono argentato sulla superficie nera dell’acqua ora leggermente increspata…. che bello spettacolo ci regala oggi Catemaco! Dopo un breve aperitivo gustato nell’ordinato giardino del nostro piacevole Hotel La Finca, percorriamo i due chilometri che ci separano dall’abitato, inseguendo uno dei ristoranti su palafitta che si alzano sulla battigia del lago tra le decine di barchette di legno per le escursioni ormeggiate con brevi cime alla vegetazione spontanea. Tutti gli abitanti del paese sembrano in possesso dei depliant pieni di foto che sventolano per invogliare ad andare, ma noi tutti proiettati sulla cena rimandiamo a domani la scelta dell’accompagnatore. Stranamente troviamo tra i piatti tipici del menu l’anguilla alla messicana, che ordiniamo curiosi. Di fronte alla strana poltiglia che ci viene servita Catia offre una sua spiegazione….essendo l’anguilla simile ad un serpente è stata preparata come se fosse un crotalo, ovvero lessata e ridotta in poltiglia, quindi passata in umido e speziata, sarebbe stato un perfetto condimento per gli spaghetti ! Seduti sotto la tettoia del ristorante Aloa conserviamo il contatto con il chiaro di luna che rischiara il cielo nell’asola rettangolare libera dal parapetto, sopra i rami della vegetazione lacustre ed i tettucci delle lance resi scuri dalla notte. Non essendo il ristorante particolarmente piacevole ne usciamo subito dopo la cena per raggiungere la piazza principale sulla quale si affaccia la chiesa che sembra modellata nel marzapane e dove i cani randagi, spelacchiati e pulciosi muoiono di fame. Con una breve passeggiata arriviamo poi alla “Osteria”, il locale più carino di questa cittadina che di sera ci appare triste come un luna park… il giardino rischiarato da qualche torcia accesa ci conduce al locale, le cui pareti di pietra ed il legno scuro del bancone gli conferiscono un’atmosfera intima e calda. Cristiana e Michele, convinti di questa loro scelta di vita quanto due esiliati, si prodigano in chiacchiere e finiscono col raccontarci una parte della loro vita…. beviamo ed ascoltiamo, poi ripieghiamo verso le nostre confortevoli camere con vista.

30 Gennaio 2010

CATEMACO – BAUTISTA TUXTEPEC

Le nuvole grigie sopra il lago ci scoraggiano dall’affrontare l’escursione all’isola delle scimmie in programma per oggi e così seguendo il consiglio di Cristiana ed il rettangolo giallo sulla carta stradale ci dirigiamo senza indugi verso Tlacotalpan, cittadina coloniale ora patrimonio dell’Unesco animata in questi giorni dalla festa della Candelaria, una ricorrenza religiosa nel corso della quale vengono benedette le candele. Ma prima di lasciare definitivamente la regione, una leggera schiarita ci invoglia a fermarci all’ultima cascata di questo viaggio a sfondo naturalistico…. il Salto de Eyipantla dove più che dalla caduta d’acqua siamo colpiti dalla professionalità di Daniel, il bambino di nove anni che ci accompagna lungo il breve sentiero e che ci racconta come se stesse recitando a memoria, tutto quanto c’è da sapere di questo luogo….. quanti metri di altezza, la larghezza del salto, la profondità della pozza sottostante e quanti film sono stati girati qui… dimenticavo del numero degli scalini per raggiungere la base…. 354, una follia scendere!… tanto più che anche dal mirador nel quale siamo la cascata non sembra particolarmente interessante. Non appena lo congediamo con una mancia proporzionata alla sua tenera età vediamo Daniel correre sorridente ai vicini videogiochi protetti sotto la tettoia di lamiera…che bimbo simpatico e professionale, una rarità qui in Messico! Inseguiti dalle nuvole arriviamo a Tlacotalpan, la città coloniale che nel ‘700 fu importante porto commerciale sul fiume Papaloapan e che ora sfoggia oltre ai colori sgargianti, anche chilometri di porticati poco profondi e diversi per stile che caratterizzano i piani terra di tutti gli edifici. I prospetti chiaroscurati in arcate variabili, le colonne più o meno bombate ed i capitelli nei diversi stili definiscono i fronti continui delle strade acciottolate creando prospettive sospese tra la metafisica alla De Chirico e la vivacità di un quadro naif. L’impatto già forte si complica del caos delle bancarelle, della musica amplificata e delle decine di visitatori, tra cui molti fricchettoni che vendono il loro artigianato, accorsi qui in occasione della Candelaria….. avremmo preferito poter gustare il singolare centro storico libero dall’ingombrante allestimento, per osservarne le architetture particolari ed i colori accesi che ne fanno un vero gioiellino ora appena percepibile. Ma la festa incalza ed alcuni ragazzi stanno allestendo le barriere di legno a protezione dei locali pubblici e dei marciapiedi…. domani alcuni tori saranno liberati nelle strade del centro in una sorta di Pamplona messicana che segnerà il culmine della festa. Decidiamo di non fermarci qui per la notte e proseguiamo invece verso Oaxaca sulla strada lenta e stretta che attraversa per chilometri campi di canna da zucchero. Non si contano le catene di rimorchi ricolmi diretti agli zuccherifici, lenti ed ingombranti non è semplice superarli, ma hanno un braciere acceso su un lato del retro che segnala l’ingombro sulla strada…. un sistema davvero un originale, ma qualcuno deve aver perso uno dei “fanali”, rotolato giù….. in basso oltre la strada c’è un bel focherello! Arriviamo a Bautista Tuxtepec all’ora di cena. Inutile proseguire, Oaxaca è ancora troppo lontana per essere raggiunta oggi, meglio cercare un hotel per la notte…. troviamo il Gran Plaza, inaspettatamente confortevole rispetto alle previsioni. Trattandosi di una cittadina di passaggio non votata al turismo e considerando anche gli standard messicani, immaginavamo di dover dormire in una topaia! La sorpresa arriva in ritardo, quando dopo aver cenato nel freddissimo ristorante “La Carretta”, praticamente all’aperto, ci stendiamo sui materassi con molle così sporgenti da farci sentire come in graticola e con cuscini alti e duri da torcicollo… ma tutto sommato è già andata bene così!

31 Gennaio 2010

BAUTISTA TUXTEPEC – OAXACA

Leggermente acciaccati ci ritroviamo al piano terra all’orario ormai consolidato delle 10.30, poi a bordo di Jimmy raggiungiamo la periferia ancora grigia di nuvole e ci spingiamo verso le montagne della Sierra che valicheremo salendovi in cima…. nessuno conosce la quota del valico, nemmeno i poliziotti che incontriamo proprio lassù dopo più di due ore di di curve tra le montagne scoscese completamente rivestite di una selva lussureggiante dove le foglie più piccole sfiorano il metro e mezzo di lunghezza, come ad esempio le bellissime “orecchie di elefante” che spuntano in ciuffi sul bordo della strada. Siamo così fortunati da vedere il bocciolo peloso che contiene la foglia, ancora arricciato su se stesso come la testa di un cigno sul lungo collo. Ci fermiamo alcune volte a contemplare la natura forte e rigogliosa che sfuma in alto inghiottita dalle nuvole basse nelle quali talvolta anche noi ci troviamo immersi, come in un oblio cromatico. Se non fosse per le centinaia di curve che contiene, la strada sarebbe molto rilassante. Alla generosità della natura si contrappone l’assoluta inospitalità degli abitanti dei pochi villaggi incastonati nella foresta…. la catena tirata a sbarrare la strada di accesso ci scoraggia dall’entrare e quando chiediamo il motivo di tanta riluttanza alla signora che gestisce un primordiale punto di ristoro sulla strada, la pelle olivastra segnata dal tempo e dalla durezza della sua esistenza. Risponde che per accedere è necessario avere il permesso dello sceriffo perché la comunità vuol essere certa che chi entra lo faccia con buone intenzioni….. come sia possibile contattare lo sceriffo rimane però un mistero. L’appetito di Paolo crea l’occasione per una sosta qualche chilometro oltre, in un contesto del tutto simile ma anche completamente diverso. Le due ragazze che gestiscono la trattoria coloratissima che incontriamo lungo la strada non fanno che sorridere mentre ci fanno accomodare al tavolo della cucina che si trova di fronte al focolare, il più caldo in assoluto di tutto il simpatico locale. Il piano orizzontale del grande camino rettangolare colorato di rosso è pieno di pentole, graticole e piastre sulle quali stanno scaldando qualche tortilla per noi. Hanno sistemato sui tavoli composizioni di fiori freschi che crescono spontaneamente su queste montagne, le più belle sono le calle, il fiore nazionale immortalato nei quadri di Frida Kalo e nei murales di Rivera. I cibi che ci propongono, semplici e gustosi comprendono anche i fagioli neri preparati con la sola aggiunta di una cipolla in cottura, ed una salsa di peperoni color arancio, leggermente piccante e dalla fragranza intensa. Soddisfatti per l’accoglienza che ha accompagnato il buon cibo, ci congediamo e continuiamo a scendere fermandoci qua e la per comprare i prodotti locali esposti lungo la strada. Profumati frutti selvatici appena raccolti ed un mazzo gigante di bellissime calle, carnose e di varie misure che Catia ed io sistemeremo nelle rispettive camere dell’Hostal De La Noria, quando poco più tardi giungiamo ad Oaxaca. L’hotel è in posizione strategica, sulla ruta Hidalgo e vicinissimo allo Zocalo che raggiungiamo dopo aver preso possesso delle due ampie camere troppo buie che si aprono sul patio interno. La bella piazza dello Zocalo è esattamente come il ricordo che ne conservo. Le aiuole fiorite di rosse stelle di Natale creano una sorta di ordinato sottobosco agli alberi dalle enormi chiome ombrose, le panchine sono tutte occupate da messicani in relax e da turisti mentre i lustrascarpe sono ancora al lavoro accanto ai loro troni metallici. Come per soddisfare l’esigenza di un veloce ripasso ci spostiamo ora nella piazza adiacente dove l’imponente cattedrale sfoggia una bella facciata barocca in pietra verde, quella tipica di Oaxaca con la quale sono realizzati tutti i palazzi storici del periodo coloniale. Che bella città e che gioia essere qui…. L’aria tiepida di questa serata invernale ci accompagna nella breve passeggiata verso la Hostaria de Alcalà, un ristorante piacevolmente curato del quale conservo l’ottimo ricordo di una sopa azteca strepitosa ma che questa sera troviamo un pò sottotono.

01 Febbraio 2010

OAXACA

Mi sveglia il rumore della porta che si richiude, sono solo le 7.30 e Vanni non è nel suo lettone. Nonostante il mio rincoglionimento capisco in un baleno che è andato a cercare il suo meccanico, Miguel, quello che tre anni fa lo conquistò smontando il cambio di Carolina per ripararlo, avendo come unici strumenti le sue mani e qualche chiave inglese. La ricerca di Miguel era partita fin da ieri sera, quando dopo avermi chiesto il nome dell’hotel dove eravamo vi era tornato per ricostruire il percorso che lo avrebbe portato all’officina. Il problema questa volta non è grave come allora, ma le sospensioni di Jimmy cigolano in modo imbarazzante e Vanni, precisino com’è, deve porvi rimedio. Sono già le 10.30 quando riemergo definitivamente dal mio sonno, il tè ormai freddo ed il piatto di ananas sono già sul mio comodino….. che amore Vanni! Mi aggiorna subito sulle novità, una delle quali è che cambieremo camera. Catia ha insistito per avere le due camere che si affacciano sulla terrazza anziché sul patio interno…. fantastico, anch’io trovavo questa eccessivamente tetra e rumorosa. La seconda notizia è che Catia mi aspetta per due passi in città mentre Vanni e Paolo, ormai inseparabili, andranno a far lavare ed ingrassare Jimmy. Il verdetto di Miguel è che le sospensioni sono perfette, il problema è dei blister che però non si possono sostituire, non qui a Oaxaca…. ma un generoso strato di grasso allevierà il cigolio! Esco con Catia verso le 11, siamo alla ricerca di indizi che ci portino sulle tracce di Alejandro Santiago, l’artista di Oaxaca i cui “2501 migrantes” rappresentano il motivo del nostro arrivo in città. Dopo averne parlato con il gallerista di Miami vogliamo assolutamente vederli. Ma la galleria Quetzalli che vende opere dell’artista non risponde al telefono, chiusa forse per via della festa della Candelaria, e non abbiamo trovato nel sito internet chiari indizi sul luogo dove poter vedere le sculture dei migrantes…. forse a Teococuilco, il suo paese natale? Alejandro Santiago è un artista indio cresciuto in un piccolo villaggio vicino alla cittadina di Etla, che si è via via spopolato dei suoi abitanti emigrati negli Stati Uniti. L’idea di realizzare 2501 figure umane in argilla, una sorta di “esercito di terracotta” messicano, nasce dal desiderio di ripopolare idealmente il villaggio e si collega anche alla denuncia delle migliaia di messicani uccisi sulla frontiera mentre tentavano di emigrare negli Usa clandestinamente. Il capolavoro generato dall’impegno di Alejandro e di decine di giovani aiutanti reclutati tra i ragazzi della provincia, è stato esposto di recente a Monterrey ed alcuni filmati dell’installazione sono visibili su You Tube, ma vorremmo vederlo dal vivo, qui dove ci aspettavamo di trovarlo, nel luogo dove è stato concepito e realizzato. Partendo dalle poche indicazioni raccolte in un negozio dove ci fermiamo a chiedere, scopriamo che la galleria sull’angolo di piazza San Domenico espone alcune sue tele oltre ai prodotti dell’artigianato locale…. seguendo la pista vediamo poi altri suoi dipinti nella galleria al primo piano dello stesso edificio. Una grande tela nei toni del giallo, nero e arancio, bella ed espressiva, ci colpisce per la figura centrale…. una sorta di lupo nero stilizzato ed inquietante. Altre opere sono raccolte nel magazzino della galleria, tra cui un paio di acquerelli trattati con cera, sempre sospesi tra astratto e figurativo e con forti valenze culturali indigene…. ma i Migrantes dove sono? Nel suo spagnolo perfetto Catia cerca di carpire qualche informazione dalla signorina addetta alla vendita….. ed insiste per avere almeno un indirizzo Email al quale contattare direttamente l’artista. Data la scarsa collaborazione chiede di parlare con il direttore della galleria che forse potrà darci informazioni più chiare….. ripasseremo domani. Chiusa almeno per oggi la parentesi investigativa ci abbandoniamo al passeggio per le strade del bel centro storico disseminato di edifici coloniali tra i quali spiccano le belle chiese tutte di pietra verdina. Ci concediamo poi una breve sosta in un bar dello Zocalo dove ci sediamo per un drink dissetante, di fronte a noi gli alberi frondosi creano macchie d’ombra sulle aiuole rosse di fiori e sui messicani fermi sulle panchine indifferentemente impegnati a mangiucchiare qualcosa, a fare tante sane chiacchiere o semplicemente a riposare, come noi. Ci raggiunge la musica di uno xilofono di legno tipicamente veracruzano, percosso da tre ragazzi vestiti con magliette variopinte, ed i numerosi venditori ambulanti di artigianato dai quali acquisto un paio di bellissime borsettine costruite intrecciando la carta stagnola riciclata degli involucri di prodotti alimentari…. divertita osservo le scritte che spuntano qua e la o i ritagli di immagini pubblicitarie. Sono simpatiche, ma non avrei mai immaginato che si trovassero in vendita anche nello shop del Moma di NY come mi conferma Catia. Segue l’acquisto un giro perlustrativo al mercato coperto dove ci accoglie un frastuono di colori e di folla. Dall’abbigliamento ai fiori alle interessanti bancarelle che vendono solo peperoni secchi in decine di varietà ed il Mole Poblano, impasto tipico della regione di Oaxaca, preparato con decine di spezie e cacao e che spesso accompagna i piatti di carne nei ristoranti della città. Tornando verso l’hotel incontriamo casualmente Vanni e Paolo a passeggio, sono appena rientrati dalla missione Jimmy che ora è pulito e silenzioso. Approfittiamo dell’incontro per chiedere loro se questa sera hanno voglia di fare il Tamezcal che Catia propone. Curiosi all’unanimità di provare il tradizionale bagno di vapore preparato secondo l’antico rituale precolombiano, fissiamo l’appuntamento per le otto di questa sera…. che curiosità! …. e ceniamo subito alla pizzeria da Angelo, squisita. E’ già buio quando in taxi raggiungiamo la periferia della città, e ci fermiamo di fronte alla casa in mattoni di terra cruda rischiarata appena dalla luce fioca di una lampadina. Due cani gironzolano svogliati tra bottiglie di plastica vuote abbandonate sotto la tettoia di lamiera che segna l’ingresso alla casa. La ragazza vestita di bianco che ci aspettava fuori sorride contenta…… non sempre i tassisti riescono a trovare la casa ci confida sollevata…. ci invita poi ad entrare nella prima modesta stanza dove ci sediamo in attesa delle indicazioni che arrivano poco dopo. Perplessi e divertiti entriamo uno alla volta nello spogliatoio arredato con una panca ed un attaccapanni di legno fissato alla parete …. i nostri corpi coperti solo da un lenzuolo bianco, sono pronti per accedere alla stanza che dà accesso al Tamezcal. Rischiarata da qualche candela e odorosa di erbe aromatiche, è il luogo nel quale si svolgerà il rito individuale di purificazione dalle energie negative che si svilupperà in due fasi come segue. In piedi su una stuoia appoggiata al pavimento ci sottoponiamo docili al rito dell’incenso eseguito facendo passare vicino al nostro corpo, ora completamente nudo, un piccolo braciere dal quale esce un fumo denso e profumato. La stessa ragazza che ci aveva accolti esegue lentamente attorno a noi il movimento a spirale che ci avvolge in una nuvoletta odorosa ….. afferra un mazzetto di erbe con il quale percuote il nostro corpo davanti e dietro, dai polpacci alla testa, quindi getta a terra quelle stesse erbe che ci invita a calpestare. Così purificati entriamo chini e di schiena attraverso la bassa porta ad arco che dà accesso al Tamezcal dove Tamez significa vapore e Calli casa. Arrivato il mio turno raggiungo Vanni e Paolo già dentro al piccolo igloo ellittico tutto rivestito di conci di pietra scura, sono seduti sulla panca in muratura che ne segue il bordo, mi sorridono ….. dopo qualche istante scoppiamo a ridere per via della confessione di Vanni che avvicinandosi al mio orecchio mi dice sottovoce dell’eccitazione scatenatasi nel vedere la mia “fustigazione” con le erbe aromatiche….che serata ! Infine siamo tutti dentro a godere del calore sprigionato da un gruppo di pietre porose precedentemente arroventate ed ora raccolte in un mucchietto sul fondo della piccola stanza. Dalla porticina di ingresso la ragazza ha introdotto una ciotola di legno contenente acqua medicinale….. Vanni che non ha mai caldo abbastanza, soprattutto in sauna che normalmente fa a 90°, ne versa un pò sulle pietre per produrre il vapore…. poi non contento afferra un lembo del suo lenzuolino e lo agita in alto per far scendere l’aria più calda…. che ragazzaccio! Nonostante gli interventi di Vanni non raggiungiamo mai temperature da capogiro e possiamo così godere appieno della magia di questo momento….. purificati dal rito ed avvolti nel calore di questo bozzolo di pietre scure, come un ventre materno nel quale viviamo una sorta di simbolica rinascita. Tra un commento e l’altro beviamo l’acqua fresca contenuta in una caraffa e cospargiamo la nostra pelle con la gelatina delle foglie fresche di aloe che la ragazza ha introdotto aprendo per un attimo la porticina di legno. Usciamo dal Tamezcal dopo circa trenta minuti, pronti per la rudimentale ma efficace doccia fredda azionata da una ragazza tirando la manovella che scende dal soffitto dello spogliatoio. Quando con Catia raggiungiamo Paolo e Vanni li vediamo già sotto massaggio, sono stesi sui lettini ospitati nella stanza dei riti preparatori, rischiarata da gruppi di candele che illuminano un crocifisso, la statua della Vergine Maria ed un idolo pagano collocati su due vecchi mobili di legno che fungono da altarini. Il massaggio rilassante rivela presto la scarsa professionalità delle due ragazze, ma siamo ormai così conquistati dall’atmosfera del luogo e dall’antica ritualità legata al Tamezcal che accettiamo anche il massaggio con estremo piacere. Mentre aspetto il mio turno leggo sul depliant che questa pratica affonda le sue radici nelle culture mesoamericane più antiche e che antichi Tamezcal si trovano nelle aree archeologiche di Palenque e di Piedras Negras in Guatemala…. poi finalmente mi stendo anch’io su uno dei lettini per il massaggio che mi rilassa così tanto da farmi sentire come liquefatta. La serata si conclude con una lode alle due ragazze che hanno trovato il modo di guadagnare denaro offrendo un servizio antichissimo, purificante e vivificante agli stranieri, facendo rivivere aspetti di una cultura davvero illuminante!

02 Febbraio 2010

OAXACA

Mi sveglio troppo tardi per andare con Catia e Paolo al tour delle 10 nel giardino botanico adiacente la basilica di San Domenico e Vanni non ancora in forma per gli acciacchi dei giorni scorsi preferisce rimanere vicino alla bouganville fiorita in compagnia del suo Mac comodamente posizionato su un tavolino della terrazza assolata che condividiamo con i ragazzi….. decido così di uscire sola. Vorrei andare alla galleria Quetzalli per avere notizie dei Migrantes, ed approfittare della passeggiata per godere ancora un pò degli edifici in stile coloniale variamente colorati che creano fronti continui sulle strade del centro storico. Mentre cammino approfitto dell’incontro con una signora indio per acquistare, sulla scia di Catia che me li aveva mostrati nella sua cucina a Todos Santos, una serie di preziosi stuzzicadenti di legno lavorati in cima con animali bidimensionali stilizzati e colorati. Mentre passeggio con la simpatica signora immagino quelle figurine sulle olive o i cubetti di pecorino in occasione delle nostre cene con gli amici… approfitto della sua compagnia per un gelato insieme e due chiacchiere nelle quali riassume la storia della sua famiglia. E’ così bello per me restituire un’anima ai venditori ambulanti, conoscere anche loro oltre ai prodotti che propongono…capire le differenze assaporando le affinità, le donne poi sono le più disposte a mostrarsi e le più curiose di sapere come si vive altrove. Quando più tardi risalgo il corso verso la galleria incontro Catia e Paolo reduci dal tour botanico del quale sono estremamente soddisfatti….. mi comunicano subito che alla galleria Quetzalli non sanno nulla dei Migrantes, mentre sono riusciti a parlare con il proprietario di quella visitata ieri il quale si è subito attivato mettendosi in contatto telefonico con la moglie di Alejandro Santiago. Le notizie sono buone…. la prima è che i Migrantes sono tornati a Santiago Suchilquitongo, nei pressi di Oaxaca provenienti dall’esposizione di Monterrey. La seconda è che ci aspettano domani per mostrarcele! Non potevamo essere più fortunati! Torniamo insieme in hotel per comunicare a Vanni, già abbronzatissimo, la buona notizia che non sembra però esaltarlo…. si tratta di rimandare di un giorno la nostra partenza da Oaxaca accorciando così il tempo già ridotto all’osso a nostra disposizione per raggiungere Managua. Accetta di buon grado, contento soprattutto come me di trascorrere ancora un giorno in compagnia dei ragazzi con i quali si è instaurato un rapporto di perfetto equilibrio e di divertente complicità. Ancora due chiacchiere tutti insieme in terrazza e partiamo in missione…. andremo a Teotitlan del Valle dove è pronto il tappeto che completerà il loro soggiorno, commissionato diversi mesi fa ad uno dei numerosi laboratori locali che si dedicano alla tessitura dei tradizionali tappeti di lana colorata con pigmenti naturali….. prodotti tipici dell’artigianato che da questa cittadina vengono poi esposti in tutto il mondo. Arriviamo in poco più di mezz’ora nel paesino reso deserto dalla siesta….. ne approfittiamo per una breve passeggiata esplorativa alla cattedrale dipinta di bianco sulla quale risaltano i pochi elementi aggettanti colorati di rosso, blu e giallo. … poi arriviamo all’appuntamento delle 14.15 presso il laboratorio dove è pronto il bellissimo tappeto eseguito con disegno a caracol nei toni dei rossi….. starà benissimo nel loro soggiorno! Mentre lo contempliamo cercando comprendere le obiezioni di Paolo che lo aveva immaginato leggermente diverso da così, Catia mi spiega che le tonalità del rosso sono ricavate da una muffa, la Cochinilla, che si forma nelle foglie del fico d’india, insomma ogni continente ha i suoi segreti in fatto di colori! Contenti del buon risultato partorito in cinque mesi di lavoro, risaliamo in auto per raggiungere la vicina cittadina di El Tule, famosa per gli alberi millenari che contiene. Il più antico dei due che fiancheggiano la deliziosa chiesetta bianca ha un’età stimata di 2000 anni ed un tronco enorme articolato in elementi sporgenti che sembrano naturali contrafforti di sostegno. Quando lo vidi per la prima volta nel 1989 il contesto era molto più selvaggio e non organizzato come ora in giardinetti protetti da inferriate. Pensare che questo antichissimo esemplare di Cipresso di Montezuma anche detto Huahuauete, era già nato quando Gesù Cristo fu crocefisso, ed aveva già più di 1500 anni quando gli spagnoli colonizzarono il Messico, fa un certo effetto a tutti noi che gli giriamo intorno ammirandone oltre alla chioma estesissima anche il tronco che pare come una enorme costruzione scultorea nella quale si possono leggere profili di animali e la morbidezza di una capigliatura un pò mossa, suggerita dai fasci verticali delle fibre della corteccia. Il suo figlioletto di circa 1000 anni è sull’altro lato della chiesa seicentesca, bellissima e sobria nei pochi pochi decori riassunti nelle due torrette laterali. Il cielo sempre più grigio e l’appetito che incalza…. decidiamo di pranzare qui, ma dove? Inseguendo un indizio di Catia e Paolo raggiungiamo la “Marisqueria El Camaron” che troviamo proprio di fronte al cimitero. Poco più di una baracca di lamiera, ma con un pappagallo in gabbia, una vasca per i pesci ed un gruppetto di musicanti del Nord che intonano le canzoni un pò noiose della tradizione nortenia, il locale è affollato di messicani….. una sorta di garanzia per noi che qui mangeremo bene. I tavolini sono tutti occupati da messicani DOC, a parte noi quattro che seduti al tavolo di plastica bianca ci mimetizziamo a fatica contro la parete di canne. La vispa cameriera inizia col farci assaggiare una salsina piccante color verde ed una rossa di pomodoro e verdure accompagnata con totopos, ovvero le tortillas fritte. Arriva poi con quattro assaggi di sopa de gambas, una squisitezza che lei specifica essere una cortesia della casa. A questo punto sono già sazia, ma arriva l’ineluttabile ananas ripiena di mariscos, una pietanza che avevo notato su un altro tavolo e che mi aveva ingolosita….. un misto di gamberi, calamaro e verdure varie tagliate finemente compreso l’ottimo coriandolo, il tutto cucinato alla griglia all’interno di mezzo ananas tagliato longitudinalmente e svuotato in parte della polpa. Il mix di gamberi, coriandolo ed ananas è perfetto ma la dimensione della portata avrebbe messo a dura prova anche due persone digiune! Un acquazzone ci coglie all’improvviso e qualche schizzo ci raggiunge dal tetto di canne che però tutto sommato tiene, forse rinforzato da un lamierino che non vediamo…. il pappagallo chiuso nella gabbia troppo piccola inizia ad urlare come impazzito ad ogni nota proveniente dal gruppo di musicisti armati di chitarre e contrabbasso, poi quando le mie mascelle alzano bandiera bianca di fronte all’ananas ripiena ancora semipiena e la pioggia smette di scendere lasciamo soddisfatti la Marisqueria e quasi rotolando raggiungiamo Jimmy parcheggiato vicino al famoso albero. Niente cena oggi e nemmeno due passi fuori dall’hotel visto il maltempo che nel frattempo ha raggiunto anche Oaxaca. Protetti nella nostra bella camera ascoltiamo i botti dei fuochi d’artificio che segnano l’apice della festa della Candelaria ed immaginiamo le signore che portano alla benedizione i loro personalissimi Gesù bambini. Sono solo le 21.30 quando spegnamo la luce…. cenare alle quattro del pomeriggio ci ha confuso un pò le idee!

03 Febbraio 2010

OAXACA

La pappa reale presa ieri pomeriggio su suggerimento di Catia allevia lo stordimento della sveglia presto e alle 8.30 mi sorprendo già pimpante sotto la doccia…. oggi non voglio perdere la visita delle 10 al Giardino Etnobotanico che i ragazzi mi avevano consigliato vivamente di vedere. Mi accompagna Catia, mai sazia di notizie sulle essenze della flora autoctona con le quali potrebbe arricchire il suo bel giardino di Todos Santos. Ci avviamo insieme lungo la strada lastricata che conduce alla basilica di San Domenico, accompagnate dal tepore del sole che fa capolino dietro lo strato sottile di nuvole. La visita al Jardin Etnobotanico de Oaxaca si snoda attraverso un percorso disegnato tra piante ed alberi rigorosamente autoctoni, iniziando dalle specie coltivabili come il mais ed i fagioli e proseguendo poi in una miriade di varietà di alberi, cactus, agavi e molto altro che ci sorprendono talvolta per l’insolita bellezza dei fiori o dei baccelli che li contengono. Tra le tante vediamo anche la pianta della vaniglia, un rampicante della specie delle orchidee ed un basso gigantesco cactus soprannominato “la sedia della suocera” la cui immagine stampigliata sui biglietti di ingresso è stata scelta come simbolo del giardino. Troviamo anche il tronco rossiccio in fase di spellatura dell’”albero mulatto” visto per strada qualche giorno fa ed un albero reso favoloso dai suoi fiori a scopetta color fucsia…. e che dire delle tante varietà di agavi spesso fiorite, talvolta con sfumature rosa sulle loro foglie carnose. Lascio ben presto il gruppo per scattare foto rapita dalla bellezza di questa natura perfetta riassunta nell’ampio giardino…..sacrificando volentieri le spiegazioni della guida a vantaggio della contemplazione della pura bellezza, dell’armonia delle forme, della perfezione. Ne esco sollevata e felice, anzi felicissima di aver trascorso due ore in questo accessibile paradiso, poi torniamo sui nostri passi ripercorrendo il corso verso lo Zocalo ma deviando verso la boutique della galleria Quetzalli dove avevo visto esposti originali abiti costruiti con materiali riciclati. Eccoli ancora in vetrina gli abiti a balze realizzati con sporte di tela plastificata delle quali sporgono qua e la i manici…. e la collana fatta con i bozzoli dei bachi da seta della regione… un paio di acquisti ed usciamo…. Di nuovo all’inseguimento delle opere di Alejandro Santiago percorriamo le strade del centro storico, tra stucchi bianchi che risaltano sulle facciate colorate e le ampie finestre dei piani terra protette da inferriate leggermente spanciate verso la strada. Sulle porte dei piccoli negozi alimentari sono appese file di sacchetti colorati contenenti decine di varietà di botanas nei diversi aromi, altrove le porte nascondono i negozi di rigattieri o cliniche dentistiche, infine arriviamo alla sede distaccata della galleria Quetzalli dove ammiriamo ancora qualche tela del nostro artista dai prezzi purtroppo inavvicinabili. Le ampie dimensioni dello spazio espositivo fanno pensare ad un vecchio magazzino riadattato per poter accogliere grandi opere ed installazioni…. il pavimento di cemento lucidato e le pareti bianche lo rendono poi estremamente fashion ed internazionale. Sondato il sondabile non ci resta che andare a visitare l’atelier di Santiago, quello per capirci nel quale l’artista realizzò i 2501 migrantes. Tutti a bordo di Jimmy ci avviamo verso Santiago Suchilquitongo, un villaggio del municipio di Etla che raggiungiamo dopo circa trenta minuti di pellegrinaggio. Non abbiamo nessuna certezza di trovare qualcuno ad accoglierci, tanto meno di trovare l’azienda che contiene il laboratorio viste le indicazioni sommarie che Noel Cayetano, il direttore della galleria di Oaxaca ( M.Alcalà 407-30, Plaza Santo Domingo. Tel 951 5148338. noelcayetanoart@yahoo.com ) ha gentilmente fornito a Paolo e Catia. Ci avventuriamo alla cieca tra le strade del villaggio, poi cerchiamo l’aiuto dei locali chiedendo informazioni, ma solo una signora sembra sapere di cosa stiamo parlando…. e dire che si tratta di un artista di fama internazionale! Seguendo le nuove indicazioni passiamo di fronte al municipio e vi giriamo attorno costeggiandone il fianco…. ci troviamo così a percorrere una strada sterrata che passando sotto il ponte dell’autostrada si allontana dal centro abitato. Immersi nel desolato paesaggio collinare cerchiamo la diga di riferimento vicino alla quale troviamo come da indicazioni il grande setaccio per l’argilla e la casa colonica colorata di rosso che adocchiamo da lontano. Sui toni gialli dell’ erba secca, dei rovi e dei pochi arbusti, il tetto di lamiera del magazzino laboratorio spicca almeno quanto il cielo finalmente azzurro. Senza mai perderlo di vista seguiamo la sterrata che supera un fitto canneto e ci fermiamo di fronte alla catena tirata che sbarra la strada….. siamo arrivati. Proseguiamo a piedi attraverso il sentiero che conduce alla casa, invitante e preceduta da una profonda tettoia che ne segue tutta la facciata. Il sentiero è segnato sui due lati da alcuni Migrantes ritti tra l’erba secca che li nasconde in parte….. maschere inquietanti dilaniate da ferite, i sessi esposti, gli occhi sporgenti, sembrano lì per introdurre l’antro di uno stregone. Onorio ci viene incontro. E’ un giovane ragazzo del luogo che si occupa della custodia del laboratorio e dei Migrantes che dopo l’esposizione di Monterrey nel 2007 riposano stesi tra l’erba secca, uno accanto all’altro come in un cimitero. Gentile e disponibile Onorio ci racconta di aver fatto parte del team di giovani che lavorò attivamente alla realizzazione delle statue di argilla…. una diversa dall’altra. Modellavano il corpo fino al collo poi il maestro eseguiva la testa e caratterizzava il corpo con tagli inferti a colpi di machete…. poi venivano cotti e colorati spiega mostrandoci il forno ed una serie di corpicini ancora da colorare…. forse a sostituzione dei pezzi danneggiati dal trasporto. Non fa un bell’effetto vederli ancora tutti uguali uno accanto all’altro e grigi di argilla…. la sensazione è quella di essere di fronte a copie male eseguite e pronte per la vendita. Ma di vendere i migrantes non se ne parla dice Onorio…. continueranno a migrare da una installazione e l’altra in giro per il mondo…. presto 50 andranno a Londra ed altri 50 a Mexico City. Il denaro per finanziare “Atlantide” il nuovo progetto del maestro arriverà invece dalla vendita delle tele e dal ricavato delle installazioni…. ne vediamo alcuni enormi prototipi ancora in fase di studio. Di grandi dimensioni i corpi arrivati da Atlantide sono cosparsi di altre piccole figure in rilievo aggrappate in superficie o incise nell’argilla…. figure di santi e madonne, animali e fiori. Quelle che vediamo ancora smontate, dove i busti sono adagiati accanto alle alte gambe, sono le matrici dalle quali verranno ricavati gli stampi per i bronzi. Chissà che effetto faranno realizzate in metallo scuro…. finiranno col perdersi i tagli e le figure in bassorilievo che popolano le alte figure umane…. che grande privilegio essere tra i primi a vederle ! Potrò sempre vendere le foto a qualche rivista d’arte penso … magari con la complicità di Gaia! Ma torniamo alla distesa di Migrantes stesi a terra tra l’erba in file ordinate per altezza, visti dall’alto della tettoia sembrano i cadaveri di uno sterminio…. una sorta di Auschwitz messicana, ma poi avvicinandoci ne vediamo i colori e le forme così lontane dalle fisionomie umane, piuttosto fantocci irrigiditi nell’argilla, volti sospesi tra la caricatura umana e l’iconografia delle culture precolombiane. Tutt’altro che realistici ma inquietanti per il dolore che si legge in quei corpi non finiti e già logorati dal breve tempo della loro esistenza. Corpi che sembrano racchiudere il germe della loro distruzione e che odorano di morte, i Migrantes che se ne vanno in cerca di fortuna, carichi di sogni e di miseria sono 2501, il numero esatto di quelli che hanno lasciato Teocoquilco, il villaggio natale del maestro….. è una grande soddisfazione per noi averli visti qui dove sono stati realizzati! Alejandro Santiago non c’è ma tornerà a Oaxaca sabato…. troppo tardi sia per noi che per Catia e Paolo che partiranno per la Paz proprio sabato mattina…. ma la visita di oggi ha stimolato in loro qualche progetto, come quello di portare i migrantes in Baja California perché diventino protagonisti di una installazione tra i cactus di Todos Santos…. sarebbe strepitosa, o a Cabo San Lucas…. ne parleranno domani con la moglie di Alejandro che li ha invitati a cena. Che peccato non poter partecipare anche noi…. ma hanno promesso che ci terranno informati sugli sviluppi del caso Migrantes. Contenti di aver finalmente toccato con mano le sculture che abbiamo sognato vedendole su You Tube o raffigurate sul catalogo mostratoci a Miami che ha generato l’idea di cercarle….. torniamo ad Oaxaca giusto in tempo per un sacchetto di patate fritte gustate presso il carretto ambulante “Cara de papas” dove un paio di ragazzi ne estraggono in continuazione dal pentolone di olio bollente. Per strada nei pressi dello zocalo. Paolo ed io siamo i primi a contenderci i sacchettini pieni dopo l’arrivo del carretto alle 17….. lo consideriamo un antipasto gustoso alla cena che seguirà dopo un paio d’ore in un ristorante senza nome perché caduto nell’oblio così come le pietanze non eccelse come ce le aspettavamo. A nanna presto…. domani si parte!

04 Febbraio 2010

OAXACA – SANTO DOMINGO TEHUANTEPEC

Alle 10 è già l’ora di lasciare la piacevolissima Oaxaca e con lei i ragazzi dai quali non vorremmo separarci così presto…..la condivisione di un percorso in queste due settimane fitte di scoperte, emozioni e piccole avventure ci ha dato l’opportunità di conoscerci nel migliore dei modi possibile …. girovagando…. ma ora è difficile accettare l’idea di non ritrovarli domani mattina al nostro risveglio così come nascondere gli occhi lucidi di lacrime ….. almeno per i più sensibili di noi. Di nuovo soli sistemo lo schienale troppo inclinato del mio sedile ed affrontiamo il traffico di Oaxaca che ci spinge fuori dal centro e poi dalla periferia lungo la strada che conduce a Mitla e che già conosciamo. Continui saliscendi ci aspettano sulle montagne della Sierra Madre Sur, la quota dei valichi come sempre sconosciuta…. unici indizi dell’altitudine i boschi di conifere che improvvisamente si sostituiscono alla vegetazione tipicamente subtropicale, e le orecchie che talvolta sembrano immerse in un liquido. Le montagne che si aprono ai lati della strada serpeggiante sono coperte di alberi… tra i più belli quelli argentei e senza foglie dai cui rami spuntano bellissimi fiori gialli , radi e preziosi. Altri hanno bacche ovoidali penzolanti e fiori bianchi a ventaglio…. insomma nonostante le curve è un piacere essere qui. Dopo diverse ore di viaggio un lungo rettilineo annuncia la città di Santo Domingo Tehuantepec che ci appare piuttosto anonima fin dalle prime battute…. decidiamo così di proseguire fino a Salina Cruz, sul mare a soli 11 chilometri da qui. Peccato che al promettente cerchietto sulla carta stradale non corrisponda una ridente località balneare bensì un’area interamente dedicata alle raffinerie che occupano l’intera costa, ed il mare che a fatica riusciamo a scorgere dietro gli impianti è ora affollato di petroliere alla fonda….. alla luce di ciò non stupisce la strana reazione del gestore del ristorante dell’hotel Calli di Santo Domingo che abbiamo nel frattempo raggiunto tornando sui nostri passi. Di fronte alla nostra legittima richiesta di avere per cena una dozzina di ostriche eventualmente reperite nella bancarella che le vende all’esterno della struttura dell’hotel, il responsabile ha posto un secco rifiuto….. col senno di poi credo ci abbia salvato la vita ! L’hotel è confortevole ed organizzato attorno ad un bel giardino ordinato e fiorito, tra cui un paio di alberi che esibiscono sui loro rami cuscinetti di fiori color malva…. uno spettacolo. Atterrati in questa sorta di paradiso non ne usciamo nemmeno per la ricerca di un ristorante con ostriche alternativo a quello dell’hotel….. ciò che abbiamo visto della cittadina è sufficiente per abbandonare ogni tentazione esplorativa!

05 Febbraio 2010

SANTO DOMINGO TEHUANTEPEC – TAPACHULA

Per evitare che a Vanni venga un esaurimento nervoso, preso com’è dal suo progetto di raggiungere Managua nel più breve tempo possibile, rinuncio alla visita dello Zocalo nel centro storico di Tehuantepec nonostante la chiesa carina intravista ieri dalla strada potesse valere una sosta anche breve. Il fatto poi che la receptionist abbia prospettato dalle dieci alle undici ore di viaggio per raggiungere Tapachula, la cittadina sul confine guatemalteco che ci siamo proposti di raggiungere oggi, finisce col togliermi ogni speranza di diversivi costringendomi a salire in auto subito dopo la colazione. Partiamo poco dopo le 10 …. il cielo completamente coperto di nubi non riesce comunque a smorzare il caldo umido quasi soffocante che ci avvolge da quando ieri abbiamo raggiunto la pianura scendendo dalle montagne della Sierra. Il piacevole clima primaverile di Oaxaca ci mancherà forse per tutto il resto del breve viaggio che rimane da compiere…..abbiamo deciso infatti di raggiungere il Nicaragua costeggiando l’oceano Pacifico, senza mai risalire sulle montagne che si snodano fino al profondo Sud delle Americhe…. e poi che importa, nonostante le goccioline di sudore che imperlano le nostre fronti ci procurino un certo fastidio, sarà piacevole ricordarle quando entreremo nella morsa di gelo che stringe l’Italia fin dalla nostra partenza. Ancora immersi nella vegetazione rigogliosa della fascia collinare ci abbandoniamo alle belle sorprese che ci riserva la natura generosa….fiori ed alberi dai profili accattivanti o dalle enormi chiome si susseguono a boschi di manghi e palme in un piacevole mix, rilassante quanto una buona tisana. Dopo cinque ore di viaggio arriva l’ultima piacevole sorpresa di oggi…. ovvero la città di Tapachula che raggiungiamo con cinque ore di anticipo rispetto ai pronostici della signorina dell’hotel Calli ….. che vien da pensare non sia mai stata qui! Questa città non è nulla di speciale, penso quando esco dall’hotel per visitare lo Zocalo e fare una puntatina al mercato dove vorrei acquistare qualche mango abbastanza maturo da poter essere mangiato nonostante non sia ancora la stagione giusta. Il tessuto urbano del centro storico è quasi tutto molto recente ed in stato di pesante degrado. Uniche eccezioni la cattedrale fin troppo patinata nel suo uniforme intonaco color crema, il palazzo che contiene il museo ed il nostro hotel “La Casa Mexicana”( 8° av. Sur 19 Esquina 2° Poniente. Tel. 01(962)6266605.www.casamexicanachiapas.com hotel@casamexicanachiapas.com ) ospitato nei due piani di un antico edificio coloniale. Fu costruito in adobe, mattoni crudi, ed arricchito con colonne di legno intarsiato che ne sostengono il porticato al piano terra. Interamente colorato di rosso, ha le poche camere disposte attorno ad un piccolo patio occupato per metà da una sorta di foresta tropicale e da una piccola piscina. Una serie di arcate ribassate seguono i tre lati del perimetro al piano terra, mentre al piano superiore un ballatoio conduce alla nostra bella camera “Maria Bonita”, dedicata come le altre nove a donne messicane che si sono distinte nel corso della storia per impegno civile e sociale. E’ una vera chicca questo hotel boutique, disseminato di quadri, sculture e di meravigliosi fiori tropicali, carnosi e coloratissimi! Dopo il breve e deludente giro di ricognizione in città ci assestiamo all’ombra del porticato di legno al piano terra di fronte alla piccola foresta, dove sorseggiando il nostro Campari Orange ghiacciato gustiamo la splendida location di oggi…. una vera fortuna vista la stanchezza e l’incazzatura sopraggiunta poco prima del nostro ingresso in città, quando un paio di signori ci avevano fermati lungo la strada mostrando come referenza i tesserini di un’ agenzia della dogana. Vedendo che Vanni dava loro ascolto e gli mostrava i documenti di Jimmy perdendo solo del tempo sotto il sole cocente ed il caldo soffocante, sbotto dicendogli di proseguire senza indugi. Chiaro che per i due, assolutamente non impiegati della dogana bensì di una agenzia a caccia di polli cui affibbiare un paio di fogli inutili in cambio di denaro, il caldo non doveva sembrare così insopportabile, e nemmeno per Vanni che aveva letto sulla guida qualcosa in merito…. che dire…. sbottiamo entrambi per opposti motivi, ma poi dopo una piacevole doccia fredda tutto torna tranquillo, soprattutto dopo che il Vanni avendo parlato con un distinto signore alla reception che lo rassicurava circa l’inutilità di quel documento, torna finalmente sereno. Nelle ore che seguono rimaniamo a godere della frescura del patio dal quale usciamo solo verso sera quando raggiungiamo il vicino ristorante Casas Viajas tanto sponsorizzato dalla guida Lonely Planet. Tanto per cambiare il ristorante è chiuso da tempo come ci conferma uno dei due soci dell’hotel….. mancano i turisti qui a Tapachula ed i pochi che si fermano passando tra il Guatemala ed il Messico non sono sufficienti a far sopravvivere queste strutture adatte soprattutto ad un pubblico straniero. I locali non sono disposti a spendere tanto per un pasto per quanto raffinato possa essere. Anche il ristorante francese dell’hotel è stato un flap per gli stessi motivi ed ha chiuso nell’arco di sei mesi. Siccome dobbiamo nutrirci opzioniamo il ristorante che il cameriere ci ha consigliato, quello dell’hotel Don Miguel, così finto da proporre gli spaghetti e la punta di filetto alla maionese come piatti tradizionali …. per non parlare dell’Amaretto di Saronno che viene proposto a Vanni come digestivo tipico! Non abbiamo mai riso così tanto….. risate alle quali si unisce anche il cameriere resosi forse conto della gaffe. Illuminato dalla luce artificiale il chiostro dell’hotel è ancora più intrigante perché sono più visibili i tanti oggetti d’arte ospitati nelle nicchie o appoggiati su antiche credenze di legno scuro….. infine ci ritiriamo presto in camera per un fine serata d’amore.

06 Febbraio 2010

TAPACHULA

Al risveglio il mio ventre sembra un blocco di pietra….. la consapevolezza di avere una infezione gastrointestinale piuttosto seria arriva pochi minuti dopo con una serie di sintomi devastanti tra cui una spossatezza da febbre a 40. Per ovvi motivi non lascio la camera, è Vanni invece a raggiungermi poco dopo la colazione. La notizia che sta leggendo sulla prima pagina del giornale non è incoraggiante…. il titolo a caratteri cubitali dice “ Mal no identificado satura los hospitales. Al dia mas de 200 enfermos con diarrea, vomito e intensos dolores”….preoccupato e con gli occhi sgranati prosegue la lettura sull’articolo in seconda pagina, così tanto per incoraggiarmi…. nel quale il giornalista spiega che è stato dichiarato l’arrivo della “marea rossa” in seguito alla morte di una bambina che aveva consumato una zuppa di vongole….proibito il consumo di conchiglie, caracol ed ostriche. Ora è tutto chiaro! il responsabile del ristorante dell’hotel Calli di Tehuantepec ci ha effettivamente salvato la vita rifiutandosi di acquistare per noi le ostriche un paio di sere fa, ma non si è preoccupato del caracol (lumaca di mare) contenuto nella mia insalata di pesce…. ne avevo assaggiato un solo pezzetto perché il sapore vagamente metallico non mi aveva convinta….. ed ecco il risultato che ha scaturito! Dopo essere uscito di nuovo Vanni torna questa volta con una buona notizia, anzi con un certificato doganale che ci consentirà di uscire dal Messico con Jimmy….. aveva ragione lui alla fine…. ed uno sciroppo disinfettante nauseabondo che devo bere tre volte al giorno. Null’altro da dire della giornata di oggi che trascorro a digiuno chiusa nella nostra camera tra un crampo e l’altro. La sera Vanni esce a cercare consolazione negli squisiti tagliolini al ragù preparati da Emanuele, il cuoco del ristorante Italia con il quale intrattiene anche una piacevole e lunga conversazione. Mentre ancora non so dove è sparito arriva a tranquillizzarmi dopo circa tre ore un sms sul suo telefono. E’ l’avviso di pagamento della cena con carta di credito…. solo ora realizzo che non è stato rapito né malmenato…. ripiombo così serenamente nella mia agonia!


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