26 Giugno 2010

BOLOGNA – ALMATY

Trenta minuti dopo la mezzanotte il boeing 747 Lufthansa atterra all’aeroporto di Almaty segnando così l’inizio della nostra seconda avventura asiatica che siamo pronti ad affrontare con il supporto di un interprete tutto per noi! Memore delle complicazioni doganali legate alla presenza in territorio ex URSS della nostra auto italiana il cui permesso è scaduto circa nove mesi fa Vanni ha organizzato dall’Italia il contatto con un interprete, partorito dopo un fitto scambio di e-mail protrattosi per almeno 15 giorni con il console di Almaty e la ICE, un’agenzia che fornisce interpreti a supporto di commercianti europei che operano qui in Kazakistan.
Sultan Omar arriverà in hotel fra nove ore come confermato nel corso della breve telefonata fatta qualche ora fa dall’aeroporto di Bologna tanto per essere certi di non essere soli ad affrontare i cavilli burocratici kazaki…… l’appuntamento con lui ci rassicura almeno quanto il vedere Asia al suo posto, ferma nel vicino parcheggio dell’aeroporto dove l’avevamo lasciata circa un anno fa. Nascosta da un denso strato di polvere grigia che ne lascia intuire solo la silhouette ci appare in questo momento come l’auto più bella del mondo, perché è davvero bella e poi per tutte le avventure condivise che ci legano a lei almeno quanto a Gazelle ora ferma in Camerun ed alla scomparsa Carolina che rimarrà per sempre nei nostri cuori. La camera che raggiungiamo poco dopo è al quarto piano del vicino Hotel dell’aeroporto, dozzinale e rumorosa per via dell’adiacente pista di atterraggio il suo bagno non ha nemmeno la carta igienica che recupero nel bagno collettivo del piano. I due lettini cigolanti e così corti da non contenerci uniti alla nostra agitazione per le incognite delle quali solo domani avremo una risposta ci lasciano svegli per ore a rigirarci sui materassi come su due graticole. Quando verso mezzogiorno raggiungo la sorvegliante di piano trincerata dietro una massiccia scrivania sul fondo di una lunga striscia di moquette rossa, incontro Sultan, dai lineamenti orientali ma vestito come un manager occidentale. Alla parola d’ordine “Alessandra” segue un bel sorriso di benvenuto ed immediatamente dopo un professionale aggiornamento sulla situazione Asia. Ci sono due possibili soluzioni per risolvere il problema doganale della nostra auto ora praticamente clandestina in territorio kazako….. rivolgersi al tribunale per ottenere un regolare permesso che sarebbe rilasciato in un paio di settimane oppure ottenerlo in cambio di una mancia rivolgendoci direttamente al doganiere di Kopaan che ci rilasciò l’anno scorso un permesso valido per soli venti giorni. Mentre raggiungiamo Vanni al lavaggio auto Sultan mi dice che la scelta è già stata fatta e che lunedì ci accompagnerà alla frontiera dove finalmente ci verrà consegnato l’agognato foglietto. Prendersi cura di Asia ha nel frattempo restituito a Vanni le energie che la notte quasi insonne gli aveva sottratto, quindi raggiungiamo tutti insieme l’ hotel Hyatt dove dopo una bella colazione consumata nella luminosa hall centrale in compagnia di Sultan ripariamo in camera per una doccia ed un sano relax in vista della cena di questa sera con il console e consorte. E’ di qualche ora dopo la bella sorpresa del vedere arrivare all’appuntamento una coppia di spigliati quarantenni anziché i sessantenni dinoccolati e vagamente snob con i quali avevamo immaginato di trascorrere una noiosissima serata… Il poliedrico Marco, ben rivestito di muscoli da bodybuilder è anche interprete e comparsa cinematografica, Marina invece è attrice di teatro. Bionda e delicata indossa un discreto abito panterato ed è una celebrità qui in Kazakistan ci tiene a sottolineare il console, ma parla solo russo e così lui finisce col lavorare tutta la sera come impeccabile interprete simultaneo. L’attenzione si mantiene sempre al massimo, ognuno affascinato dalle altrui storie che emergono nel corso della serata che si protrae fino a tardi senza mai cedere alla noia….. tra una parola e l’altra cerco di immaginare lei mentre recita l’ultimo dramma di successo “ la ballata della solitudine” e lui, innamorato e sensibile mentre si commuove in platea mimetizzato fra il pubblico…. mai avremmo immaginato di trascorrere la serata con una Mariangela Melato Kazaka! Quando alla fine ci salutiamo abbiamo già compiuto un virtuale giro del mondo, dai leoni del Masai Mara alle linee di Nazca, da Miami a Palermo, la città che Marco lasciò appena maggiorenne con 200 $ in tasca ed un gran desiderio di scoprire cosa si celasse dietro quei caratteri cirillici che lo avevano tanto incuriosito da adolescente. Che belle persone e che bella serata!

27 Giugno 2010

ALMATY

Dedichiamo il pomeriggio a passeggiare per le assolate strade del centro oggi deserte per il consueto esodo domenicale degli abitanti di questa Milano kazaka, fuggiti dalla città per inseguire le fresche alte montagne che la circondano. Noi che invece siamo rimasti facciamo fronte all’emergenza caldo torrido cercando l’ombra dei viali alberati mentre avanziamo fra i fatiscenti condomini ed i begli edifici pubblici del periodo sovietico …. tra questi ce ne sono un paio particolarmente interessanti per l’originale design dell’involucro esterno ovvero l’edificio del Circus e la Casa dei Matrimoni. Il primo, coronato da una copertura circolare conica che esplode al centro in una sorta di manico oblungo, è sede di spettacoli acrobatici e di balletti folcloristici, il volume circolare del secondo edificio invece è avvolto da una trina metallica a disegni geometrici… le centinaia di rose rosse sbocciate nel giardino che lo circonda ne esaltano il bianco assoluto e l’armonia delle proporzioni…. sono davvero bellissimi questi edifici del razionalismo sovietico e così antitetici rispetto alla dozzinale edilizia residenziale. Mentre ci soffermiamo a godere della frescura che arriva dagli zampilli d’acqua sparati verso l’alto sulle vasche prospicienti gli edifici pubblici, osserviamo con interesse il vicino Teatro dell’opera drammatica. Scatolare e severo è articolato in facciata da decise semplici geometrie riprese negli eleganti elementi decorativi di bronzo aggettanti sulle campate che scandiscono i fronti con marcati chiaroscuri. Le citazioni del passato regime emergono in forma completamente diversa nell’impostazione rigorosamente neoclassica di alcuni edifici rappresentativi e in alcuni dettagli che scorgiamo qua e la come la coppia di falci e martello disegnate in bassorilievo sulle ante di un cancello grigio o nella stella dorata in cima ad una breve asta sull’angolo di un edificio….. e che dire della pacata tristezza sui visi della gente…. ancora un effetto del passato regime o solo l’insoddisfazione di non aver potuto raggiungere le fresche montagne? Camminando a random lungo i viali di questa piacevole Almaty raggiungiamo la non vicinissima cattedrale le cui cupole dorate emergono oltre le cime degli alberi del parco che la contiene. E’ la chiesa ortodossa più antica della città, i timpani, le torrette e la struttura tutta furono realizzati in legno ed assemblati ad incastro nel lontano periodo zarista. Gialla e bianca, spiccano i tetti rivestiti da squame multicolori in plastica e le cupole ricoperte di fintissime squame dorate. I pochi rimasti in città sembrano tutti qui riuniti attorno alla chiesa, a godere della frescura del parco e del suono delle campane che producono lunghe melodie tintinnanti. Nessun taxi è disponibile per il nostro rientro in hotel….. i pochi che passano sono occupati e non abbiamo intenzione di cedere all’usanza locale di affidarsi ai privati pagando loro un obolo in cambio di un passaggio…. rimaniamo così fermi in attesa di un taxi regolare mentre vicino a noi diversi locali fermi sul bordo della strada salgono tranquilli sulle auto che si fermano e li caricano a bordo….. comodo per loro che conoscono la lingua e la città!

28 Giugno 2010

ALMATY – LAGO BALQASH

In compagnia di Sultan e della fidanzata Gasiza che Vanni ha invitato ad unirsi a noi, tutti stralunati per la sveglia presto raggiungiamo la frontiera di Korday per reperire il regolare permesso doganale di Asia strappato per 10.000 Tenge, l’equivalente di 50 €, al doganiere compiacente che Sultan ha saputo convincere. Cielo azzurro e sole cocente aspettiamo i pochi minuti necessari per ottenere il prezioso foglio che riporta come unica data quella entro la quale dovremo uscire con l’auto tra un mese esatto ovvero a fine luglio. La speranza è che quando usciremo dal Kazakistan ai doganieri non venga in mente di verificare nella loro banca dati da dove siamo entrati perché scoprirebbero che siamo arrivati in aereo ad Almaty ma l’auto invece risulta entrata dal Kirgistan ora in piena guerra civile e del quale non abbiamo sul passaporto recenti visti di ingresso. Rimandato per il momento il problema burocratico ci avviamo verso il lago Balqash la cui estremità più vicina a noi dista 400 km in direzione Nord-Ovest….. distanza considerevole considerate le non perfette condizioni della strada che si snoda lineare attraverso la steppa flessa come un oceano in lunghe onde nelle tonalità del verde. Dalla sua superficie emergono come enormi scogli sparuti speroni di roccia ed i fiori selvatici che disegnano macchie rosa, bianche e gialle. A complicare la suggestiva monotonia del paesaggio arrivano due multe, o meglio due mance elargite per non avere le multe, di 5.000 Tenge l’una ed anche le note di una vecchia canzone kazaka che Gasiza ci propone dal suo telefonino. Si tratta di “Ale Turaly Zhur” la cui dolce e malinconica melodia riempie Asia e poi il paesaggio in un perfetto connubio come se quelle note fossero state generate dalla steppa stessa. Timida ed esclusa dalla conversazione per via della lingua che non conosce Gasiza siede accanto a me sul sedile posteriore e come me soffre per la stanchezza ed il caldo soffocante fino all’avvistamento del Lago che finalmente raggiungiamo nel tardo pomeriggio e la cui superficie azzurra fa esplodere in tutti noi gioia e curiosità. Dopo circa 600 km di steppa che si perdeva infinita all’orizzonte la vista dell’acqua viene infatti festeggiata con l’entusiasmo di chi la vede per la prima volta nella vita e l’illusione di aver raggiunto il traguardo ci da un grande sollievo….. ma la gioia lascia il posto alla delusione quando dopo aver costeggiato per qualche decina di chilometri il bel lago azzurro ora circondato da un paesaggio brullo quasi desertico ci rendiamo conto di non poter dormire nelle topaie che il centro abitato di Myngaral offre ai viaggiatori. Sui nostri visi la disperazione per i 120 km ancora da percorrere in vista di una sistemazione per la notte almeno decente…. solo Vanni non mostra segni di cedimento e nonostante la stanchezza stringe i denti e concentrandosi sulla strada ora meno regolare ci conduce in un Motel nella periferia della cittadina di Balqash dove il maggior comfort della nostra camera lusso è rappresentato dalla presenza del bagno e forse dai tendaggi arzigogolati color marroncino che rivestono l’intera parete finestrata. Nonostante la desolazione del Motel però pulito la cucina del ristorante è ancora aperta alle 22 quando dopo una rapida doccia, necessaria dopo un viaggio durato 15 ore, affamati e stanchi ci sediamo ad uno dei tavoli tutti vuoti.

29 Giugno 2010

LAGO BALQASH – QARAGHANDY

Dedichiamo quel che resta della mattinata dopo la sveglia tardi all’esplorazione di un paio di spiagge nei pressi della cittadina, quelle per capirci più gettonate dai benzinai ai quali chiediamo informazioni. Ci troviamo così a calpestare in prima battuta il ghiaino scurissimo di un centro vacanze del periodo sovietico dove i turisti arrivavano dopo l’acquisto di un biglietto all inclusive che comprendeva anche il cibo della mensa che Sultan ci assicura essere stato orribile. I bassi edifici che ospitavano i turisti sembrano ora disabitati e cadenti ma sono bellissimi i vecchi giochi per bambini sulla spiaggia i cui metalli scoloriti dal tempo ed i meccanismi così disassati da renderli non più utilizzabili conferiscono loro un fascino quasi archeologico. Anche i parasole quadrati di metallo giallo con qualche punta di ruggine non sono male …. penso mentre li guardo stagliarsi contro il costruito che fa da quinta alla spiaggia scura ed all’acqua salmastra lattiginosa ora di colore verde chiaro che non avendo confini visibili ci appare da qui come quella del mare. Questo luogo la cui decadenza ha il sapore forte di un duro passato avrebbe potuto essere il set cinematografico dei film dell’espressionismo tedesco alla Fritz Lang….. ma nonostante l’indubbio fascino non mi fermerei qui se non per il tempo sufficiente ad assorbirne la particolare ed inquietante atmosfera. Dall’alto dei suoi tacchi altissimi Gasiza incede traballando verso l’acqua…. esile e delicata non rinuncia alla tortura del tacco vertiginoso che indossa in ogni circostanza come la maggior parte delle ragazze kazake in età da marito….. poi cediamo tutti e indipendentemente dall’altezza dei nostri tacchi ci sediamo sul ghiaino nero ad osservare quella magnifica superficie verde chiaro, il coperchio d’acqua salmastra che ha ospitato gli ottimi pesci di ieri sera. La seconda spiaggia che visitiamo è stretta fra uno sperone di roccia ed una lingua di scogli che si spingono dentro l’acqua. Più gettonata della prima spiaggia non ha però nessun fascino e le centinaia di mozziconi di sigarette infilate nella sabbia fine nonché i container adattati ad abitazione che fanno da sfondo non aiutano ad apprezzarla. Risaliamo a bordo di Asia diretti a Qaraganda, la terza città per dimensioni del Kazakistan a circa 370 km da qui. Solo dopo mi rendo conto che Gasiza ha un muso esagerato … come quando ad una bambina si toglie la sua bambola preferita. Credo volesse fermarsi al lago ed ora si starà chiedendo come mai noi non abbiamo sentito la sua stessa necessità. Mi chiedo cosa ci trovasse di così irresistibile in un posto come quello, nel quale mai nella vita avrei sostato più di 15 minuti….. siamo diventati troppo esigenti, mi rendo conto…. del resto questo è lo scotto che si paga viaggiando molto e vedendo qua e la dei veri paradisi dai quali è un problema andar via. Ancora steppa a perdita d’occhio più o meno mossa in leggeri pendii, avvistamento di cavalli allo stato brado e molto calore ma nessuna gher all’orizzonte…. il nomadismo tuttora praticato in Mongolia ed in Kirghizistan è stato definitivamente debellato qui in Kazakistan…. peccato! Avrebbe movimentato la monotonia del paesaggio che si è ora complicato delle montagne di riporto del materiale di scarto derivante dalle miniere di carbone e di rame che sono nei pressi. Continuano invece sistematiche a rovinare il paesaggio altrimenti di un certo fascino nonostante la monotonia le linee elettriche sui tralicci che corrono in ogni direzione. Alloggeremo al Chaika, un hotel enorme ed apparentemente pretenzioso che propone appartamenti piuttosto squallidi ed un pò scassati. Optiamo così per due camere nella dependance che fu il primo nucleo dell’hotel. In stile neoclassico ed immerso nella vegetazione l’edificio è piacevolissimo ed ospitò i cosmonauti russi così come riportano le targhe appese all’esterno. la nostra camera sembra concepita per ospitare una bambola piuttosto che due turisti come noi…. leziosa ma pulita è ampia e le sue pareti furono forse sfiorate da un coraggioso astronauta nei lontani anni ’60. Gasiza si è ripresa dal musetto ed è tutta felice, anzi sconvolta per le dimensioni della vasca ad angolo nel bagno….. deve esserle piaciuta molto la sua camera. Durante la cena che consumiamo in hotel Vanni ci racconta che quando era un ragazzino la discoteca del circolo dei comunisti di Forlì si chiamava appunto Chaika….. sulla scia dei ricordi ci confida con il sorriso sulle labbra che allora il bigliettaio della disco amava stendere un alone di mistero attorno a quel nome incomprensibile…..diceva che era il nome di una entità superiore che a loro ancora troppo piccoli non poteva essere svelata….. che delusione per lui scoprire dopo quarant’anni grazie alla traduzione onesta di Sultan che si trattava solo di un banalissimo gabbiano!

30 Giugno 2010

QARAGHANDY – ASTANA

Nel primo pomeriggio dopo altri 300 km di steppa sterminata raggiungiamo Astana il cui nome in lingua kazaka significa appunto capitale. Il presidente che l’ha voluta quindici anni fa voleva fosse chiaro a tutti che la capitale non sarebbe più stata la piacevole Almaty. Ex operaio al potere dal 1991 Nazarbayev fu eletto presidente in qualità di esponente del partito democratico ed ora esercita il suo potere praticamente assoluto all’interno di un parlamento senza opposizione e l’ultima elezione lo ha visto conquistare più del 90% dei voti probabilmente in seguito a brogli elettorali. Astana è il parto della sua sete di protagonismo, il progetto della sua vita. Non volendosi limitare all’usanza di alcuni presidenti europei che nell’intento di lasciare un ricordo tangibile di loro alle nazioni che hanno governato per un breve periodo hanno fatto realizzare una grande opera a loro intitolata, come nel caso della Biblioteca Nazionale di Parigi voluta da Mitterand, non volendosi limitare a questo Nazarbayev ha voluto realizzare una intera città, la capitale, spendendo per questo una cifra astronomica che se ripartita sui 15.000.000 di kazaki li avrebbe resi ricchi. Entriamo ad Astana attraverso la città vecchia riqualificata da alcuni alti e recenti edifici di un certo pregio che sorti accanto ai soliti vecchi e squallidi casermoni riescono in qualche modo a neutralizzarli. Stiamo cercando un hotel dove fermarci ma la città è piena di visitatori per via dei festeggiamenti in pompa magna del compleanno del nostro Nazarbayev e gli hotel sono tutti al completo. La sistemazione arriva casualmente quando fermi ad un semaforo Sultan chiede indicazioni per raggiungere un hotel che abbiamo in lista ad una coppia di signori seduti nell’auto accanto. Compiamo il nostro destino seguendoli nel loro modestissimo hotel in periferia ed occupando un paio di camere piuttosto squallide ma pulitissime. Si tratta dell’Hotel Kemep, realizzato da maestranze non proprio qualificate e senz’altro non esperte nella posa delle piastrelle, così come nella realizzazione degli impianti che nei bagni sono sempre tutti esterni, centimetri di stuccature annerite dal tempo e le docce che perdono acqua. Lasciamo presto l’hotel per accompagnare Gaziza alla stazione degli autobus, mentre noi proseguiamo in taxi verso la città nuova, quella progettata secondo le precise indicazioni del presidente che occupa l’altra sponda del fiume, attirati dagli alti edifici che spuntano radi e sparpagliati dal tessuto urbano. Raggiungiamo per primo l’oggetto immagine simbolo della città ovvero la torre slanciata progettata dal famoso architetto inglese Norman Foster …. un fascio di sottili nervature bianche che si aprono in alto ad accogliere una grande sfera dorata dalla quale si può godere di una fantastica vista d’insieme sulla città. Il bellissimo progetto è stato però realizzato troppo in economia, ce ne accorgiamo una volta saliti sul top. Saldature grossolane, materiali di finitura scadenti compresi i pannelli trasparenti del belvedere che essendo di plastica e non perfettamente lisci tendono a deformare la città sotto di noi. Da quassù il progetto urbano appare chiaramente svilupparsi su un asse che ha ad un estremo la casa del presidente, una sorta di Casa Bianca in scala gigante coronata in alto da una cupola azzurra. Distanziato da chilometri di aiuole fiorite un edificio disegnato come un grande portale segna l’estremità opposta dell’asse principale. Sui due lati sorgono alcuni edifici piuttosto interessanti tra cui un gruppo di torri a base quadrata che si sviluppano salendo con un movimento a onda. Oltre alla profusione di fiori contenuti nei chilometri quadrati di aiuole ci colpiscono la varietà degli stili che caratterizzano gli edifici emergenti dal tessuto, da quello chiaramente cinese con i tetti a pagoda al neogotico….. ce n’è uno molto simile ad un grattacielo di Chicago ed uno che non poteva proprio mancare, quello a piramide con chiaro riferimento al Louvre di Parigi, e così via in un patchwork che accosta agli obelischi ed alle arcate neoclassiche le copie degli edifici contemporanei che più hanno colpito l’immaginario del presidente. Il fiume quasi non lo percepiamo se non quando lo attraversiamo a tutta birra a bordo del taxi…. insomma Astana non mi convince fino in fondo, nonostante le decine di foto scattate con entusiasmo nelle ore caldissime del pomeriggio, fino al tramonto quando esausti ripariamo in un ristorante italiano che Sultan ha già sperimentato in passato e dove mangiamo degli ottimi spaghetti, poi stremati per i 38° di oggi rientriamo al Kemep.

01 Luglio 2010

ASTANA – PAVLODAR

Lasciamo la città solo dopo un ripassino del centro urbano nel quale non contenta voglio scattare ancora qualche foto a favore di luce. Non vi si scorgeranno le brutte saldature né le lastre di granito già sconnesse di molti scalini o i muretti sberciati dopo pochi anni dalla realizzazione. Non si vedrà insomma la scarsa qualità delle realizzazioni ma salterà all’occhio l’accattivante profilo degli edifici progettati dagli architetti europei che si inseriscono in un progetto urbano piuttosto piacevole nel quale anche oggi amiamo perderci per esplorarne gli angoli più d’effetto. Mentre sono in compagnia di Sultan in contemplazione sotto la bella torre di Foster assistiamo all’arresto di un paio di ragazzi, forse fondamentalisti islamici come ipotizza lui. Dice che i fondamentalisti sono trattati alla stregua di terroristi ed escono dai processi sempre con il massimo della pena…… l’attività sovversiva può essere anche solo denunciata dalla presenza a casa tua di un libro o altro materiale. In occasione dei tre giorni di festa nazionale che cadono proprio in concomitanza con il compleanno del presidente la città è in grande fermento, decine di gher vengono allestite nelle piazze che si incontrano lungo l’asse principale così come palchi, tribune e maxi schermi, è normale che i controlli di polizia siano più severi per garantire la sicurezza di tutti, mi dice Sultan come per giustificare la scena. Non abbastanza soddisfatti della città per voler rimanere un giorno ancora ripartiamo diretti a Pavlodar….. ma si tratta di una falsa partenza. Dopo circa 40 km infatti dobbiamo tornare in capitale per riempire il serbatoio di Asia, nella prospettiva proseguendo sulla nostra strada per Pavlodar di non trovare un distributore per almeno altri 100 chilometri. Poi la steppa infinita riempie i nostri finestrini disturbata solo dai tralicci della ferrovia che ci seguono a distanza regolare….. insomma una noia di viaggio al termine del quale raggiungiamo Pavlodar, una città sul fiume senza pregi se non quello di offrirci una camera al nono piano dell’hotel Pavlodar. Come talvolta è successo anche qui paghiamo la camera con un grosso sconto per via del nostro arrivo tardi….. in pratica il prezzo è calcolato sulla quantità di ore che vi soggiorneremo e così essendo noi arrivati dopo le 19 possiamo rimanere fino alle 10 di domani mattina pagando la mezza giornata al costo di 6.000 Tenge, 32 €, per la nostra confortevole camera che gode di una bellissima vista sul fiume e sul paesaggio vivificato dalla rigogliosa vegetazione arbustiva che lo segue. Le belle sorprese dell’hotel continuano nel ristorante dell’ultimo piano dove un gruppo di studenti della facoltà di medicina festeggiano la fine dell’anno accademico. Sono belli e scatenati, soprattutto le ragazze che in abito da sera sfoggiano fisici perfetti da copertina. Quando scoprono parlando con Sultan che siamo italiani e del lungo viaggio che abbiamo fatto dall’Italia fin qui, vogliono assolutamente conoscerci e fotografarci e ballare con noi. Ci abbandoniamo con piacere alle danze ed al nostro momento di gloria sulle note di canzoni rock locali ma anche turche ed americane…. insomma la serata si rivela più divertente del previsto!

02 Luglio 2010

PAVLODAR – SEMEY

La giornata si apre con un paio di novità, la prima è il cielo livido di nuvole grigie, la seconda il check-up di Asia presso la officina Toyota dalla quale esce in forma smagliante ancora con i bigodini. Il direttore della sede Toyota ha persino voluto essere immortalato con Vanni ed Asia, incuriosito dal nostro viaggio raccontatogli brevemente dal fedelissimo interprete Sultan. Il direttore vorrebbe tanto vedere la foto che lo ritrae nel nostro sito internet….. ma solo se pagherà commenterà Vanni in seguito. Uscendo dalla città, piuttosto anonima a parte la bella vista sul fiume della quale abbiamo ampiamente goduto, ne attraversiamo il quartiere più antico dove abbiamo l’inaspettata opportunità di vedere le poche case di epoca zarista sopravvissute al degrado del tempo. Ad un solo piano ed interamente di legno, con la variante delle pareti esterne in tronchi o assi, sono coronate in alto da un tetto di lamiera a quattro acque molto inclinate. Le note di colore che spiccano sulle pareti rese grigiastre dal tempo sono le finestre, le cui cornici intagliate a motivi geometrici o con semplici volute sono talvolta colorate di azzurro e rappresentano l’unico elemento decorativo dei prospetti. Dopo tanti casermoni queste casette sono per noi come dei piccoli tesori, così come le foreste di pini che arrivano una cinquantina di chilometri prima di Semey. Dopo giornate intere tra la steppa il repentino cambiamento di paesaggio con ettari di pini e betulle che sfilano ai bordi della strada ci da un improvviso ed inaspettato sollievo. Sempre più insofferente per le lunghe ore trascorse da giorni in auto senza colpi di scena o paesaggi mozzafiato da osservare fuori dal finestrino inizio a sentirmi come in aereo, col vantaggio di poter fumare quando voglio e lo svantaggio di non avere la sorpresa di inaspettati spuntini offerti dalle gentili hostess di bordo. Colgo così al volo l’occasione di visitare un piccolo villaggio di case di legno che sfila sulla nostra destra sullo sfondo di una foresta lontana…. un portone metallico aperto dà accesso al piccolo borgo racchiuso all’interno di un’ alta staccionata. Non è disabitato come abbiamo creduto in un primo momento ed incuranti delle reticenze di Sultan ad entrare, parcheggiamo nell’ampio spazio aperto al centro del caseggiato. Tutte in tronchi di legno le case occupano i bordi di un ampio rettangolo, verso lo spiazzo centrale si sviluppano invece i recinti per gli animali e le piccole stalle. Quando torno verso i ragazzi dopo un breve giro di perlustrazione li trovo circondati da un gruppetto di uomini e bambini che conversano curiosi con loro. Scopriamo così, grazie alla traduzione simultanea di Sultan che si tratta di un villaggio di operai della forestale che si occupano dei boschi rimasti nella zona circostante. Quando ripartiamo dopo una mezz’oretta spesa in simpatiche chiacchiere ed a scattare foto di gruppo ai sempre più numerosi guardia bosco accorsi curiosi, un’aquila spuntata all’improvviso quasi si scontra con il parabrezza di Asia. Semey ci accoglie dopo qualche decina di chilometri, grigia ed inondata dalla pioggia caduta da poco. E’ la città più povera tra quelle visitate finora e non sembra essersi sviluppata da decenni. La possibile risposta arriva poco dopo, leggendo sulla guida degli esperimenti nucleari eseguiti nei dintorni tra il 1946 ed il 1963….. a questo punto abbiamo solo voglia di ripartire!


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