18 Luglio 2009

BAIA DI AKTAY

La nave scivola sulla scura superficie piatta del mare rendendo quasi impercettibile la navigazione. Dopo aver consumato in cabina la colazione a base di fagioli in scatola, facciamo il punto sullo sviluppo del nostro viaggio…considerando che Mehry ci aspettava a Turkmenbashi, punto dal quale avremmo poi seguito l’ itinerario rigorosamente stabilito e senza possibilità di variazioni perché concordato con il ministero preposto, decidiamo di evitare il Turkmenistan. Ne abbiamo avuto a sufficienza di situazioni frustranti e di polizia intimidante …. d’ora in poi vogliamo far rientrare nei nostri progetti di viaggio solo stati che non richiedano lettere d’invito per potervi accedere. Figuriamoci che ieri sera il copilota azero ha definito matti i turkmeni…. che sottostanno ad un regime dittatoriale così rigido che non è nemmeno permesso fumare in strada! Siamo fuggiti in fretta dall’Azerbaijan, perché mai dovremmo entrare nella morsa delle rigide regole turkmene? ….e poi in quanto tempo Mehry riuscirebbe ad ottenere dal ministero l’approvazione di un cambio di itinerario? Ormai decisi, telefoniamo scusandoci per l’inconveniente e comunichiamo la nostra rinuncia all’ingresso in Turkmenistan pur rendendoci disponibili per il rimborso spese a Mehry, nel caso lo ritenesse opportuno. Verso l’una arriviamo come previsto al largo di Aktay dove alcune petroliere vuote sono ferme all’ancora….è a questo punto che la nostra Mercury 1 inizia a rallentare fino a fermarsi di fronte alla città la cui skyline è ora chiaramente definita, distante solo qualche chilometro da noi. La osserviamo stando accostati alle piccole gru del ponte superiore…unico punto d’ombra di tutta la nave, mentre ascoltiamo il rumore metallico dell’ancora che scende. Poco dopo, mentre siamo intenti a preparare il nostro trolley, sicuri di sbarcare in tempi brevi, dalla capitaneria di Aktay arrivano notizie poco incoraggianti….non essendoci banchine disponibili al momento, il nostro sbarco è previsto per domani mattina….tra le quattro e le cinque. Ma come siamo organizzati ! Noi otto europei ci ritroviamo casualmente nella saletta refrigerata del bar a leggere nelle diverse lingue le nostre guide Lonely Planet, mentre i locali sono appostati nella sala adiacente a chiacchierare ed a bere qualcosa. Visto che l’attesa a bordo sarà lunga propongo al copilota di organizzare un party musicale con vodka libera…tanto per vivacizzare la serata che inizierà tra almeno sette ore. Vanni invece sfida i presenti a backgammon. Dal ponte, che di tanto in tanto raggiungiamo per ingannare il tempo, studiamo la città di fronte a noi, stretta tra il deserto che la circonda ed il mare blu ed inquinato. Ne osserviamo i grattacieli cercando di indovinare quale di essi conterrà il nostro hotel…con l’aiuto del binocolo scrutiamo le spiagge o cerchiamo nell’acqua una increspatura che possa far sperare nell’avvistamento di uno storione. Poi sistematicamente ripieghiamo nella fresca saletta del bar per sfuggire a questa calda estate centroasiatica, mentre la noia incombe su noi viaggiatori penalizzati dalla forzata immobilità. Finiamo col fumare troppo, mangiare troppo ed entrare ed uscire un numero imprecisato di volte dalla cabina a temperatura sahariana, poi anche senza party né vodka il sonno arriva presto, accompagnato dagli schiamazzi della festa che arrivano dal ponte sotto il nostro oblò…..è pur sempre un sabato sera da festeggiare per le inservienti scatenate ed i marinai della nave !

19 Luglio 2009

AKTAY

Alle otto ci svegliamo ancora immobili in mezzo al mare, ma poco dopo i motori iniziano a rombare e la Mercury 1 a vibrare nel suo lento abbrivo verso il porto dove attracchiamo alle 9. L’inserviente ancora semi addormentata ci consegna i passaporti mentre un ispettore con un gruppo di militari al seguito ispezionano la nave e l’eventuale cibo contenuto nei nostri bagagli. E’ così che perdiamo il tonno e lo spezzatino in scatola, ma non i biscotti e le pesche. Dopo un tempo che sembra infinito scendiamo sulla banchina e da questa siamo condotti in minibus all’ufficio della dogana dove tutti i bagagli vengono vengono aperti e controllati sommariamente. Arriviamo al controllo dei passaporti seguendo una rigorosa fila indiana, un paio di timbri vengono apposti sul visto kazako così come sul foglio di registrazione che dovremo presentare entro cinque giorni all’ufficio immigrazione. Sarebbe finita qui, se non fosse che tutti i possessori di mezzi di trasporto devono rimanere in attesa della consegna del veicolo successiva al disbrigo delle formalità burocratiche che nei paesi ex URSS non sono cosa da poco. In compagnia di una signora tedesca, sole in attesa dei mariti, rimaniamo bloccate fino alle 14 sulle sedie troppo scomode della sala d’attesa deserta….Vanni mi racconta poi dell’arroganza dei militari preposti al controllo della procedura burocratica dello sdoganamento di Asia….uno di questi che lo ha fatto correre avanti e indietro perché voleva la copia di un documento, gli ha fatto capire che davanti a lui doveva stare sull’attenti….roba da matti!…il regime sembra aver plasmato le loro menti in modo irreversibile. Alle 15 raggiungiamo finalmente l’hotel Zelyonaya che senza insegne a segnalarlo si confonde dietro gli alberi sembrando piuttosto il prolungamento delle case vicine. Entro a vedere se si tratta proprio di un hotel e già che ci sono guardo un paio di camere per poter scegliere la migliore. Sono tutte suite con soggiorno adiacente, arredate in modo piuttosto dozzinale compreso il piccolo scarafaggio con il quale condividiamo il bagno. Quando dopo pochi minuti Vanni entra nella doccia ed apre il rubinetto dell’acqua, ne esce un getto di liquido nero che sembra petrolio…e che per qualche minuto non accenna a cambiare colore. Guardo l’asciugamano bianco appeso al gancio del bagno e mi chiedo come possano fare il bucato!……ma dopo cinque minuti di scorrimento l’intensità del nero va scemando ed infine vince la trasparenza. Doccia e relax poi usciamo in esplorazione per vedere com’è da vicino questa città che abbiamo contemplato a lungo dal ponte della nave. Strade perfettamente asfaltate e numerosi nuovi edifici alla moda giustapposti ai condomini del periodo sovietico, questi ultimi resi brutti dalla scarsa manutenzione e dalle superfetazioni fatte dagli inquilini, come la chiusura dei terrazzi e delle logge con mezzi di fortuna, quindi ognuno a modo suo. Non resistiamo al richiamo della spiaggia oggi affollatissima di corpi e di auto parcheggiate sulla sabbia al posto degli ombrelloni….rimaniamo ad osservare la moltitudine comodamente seduti in un bar sul mare protetto dall’afflusso dei bagnanti da balaustre metalliche che si spingono fin sulle rocce bagnate dalla marea. Da qui vediamo anche un piccolo molo di legno dal quale i bambini si tuffano ed all’orizzonte la spiaggia che continua piegandosi in una baia. Nonostante la temperatura altissima nessuno ha con sé un ombrellone, preferiscono tuffarsi nelle acque trasparenti del Caspio nonostante l’inquinamento…..dovremmo tuffarci anche noi, a caccia del pregiatissimo beluga, solo così riusciremmo ad assaggiarne le preziose uova nere. Mentre beviamo i nostri drink all’ombra di un parasole di paglia a due metri dall’acqua, vediamo un ragazzo raccogliere tra le rocce dei gamberi di mare…..un buon suggerimento per la cena di questa sera. Al ristorante Pinta, che raggiungiamo in taxi per evitare le aggressioni che la guida ritiene possibili, non c’è nessuno. Una gentilissima e belloccia cameriera dai lineamenti orientali come molti qui in Kazakistan, ci porge un menu con traduzione in inglese e si mette a disposizione scostandosi solo di poco. Caviale rosso ed una generosa scelta di piatti di pesce e carne, ma non sembra il locale giusto per una bella scorpacciata di pesce come la intendiamo noi….le foto sul menu fanno pensare piuttosto a piatti poco veraci e molto probabilmente precotti e dopo aver assaggiato capiamo che l’intuizione era corretta. L’Azerbaijan continua a perseguitarci anche qui….quando saliamo sul taxi scassato guidato da un analfabeta azero che sgomma in curva e che non ha capito dove dobbiamo andare….ci propone due hotel che non sono il nostro e poi inizia a sbraitare come se fosse colpa nostra se non sa leggere il biglietto da visita dell’hotel scritto nella sua lingua! Alla fine ci facciamo riaccompagnare al ristorante e siccome insiste nel volerci accompagnare è Vanni ora ad indicargli la strada.

20 Luglio 2009

AKTAY – Spiaggia 60 km Nord

Quando alle 10 finalmente mi sveglio, Vanni si è già accordato con Alexey, un giovane ragazzone biondo che si occupa della sicurezza dell’hotel. Si è reso disponibile ad accompagnarci in escursione nel deserto a Nord di Aktay con partenza domani mattina prestissimo….verrà anche la sua fidanzata che parlando inglese farà da trait d’union tra lui, che sarà la nostra guida, e noi. L’inaspettata presenza di lei fa pensare piuttosto ad una escursione condivisa dietro un compenso ancora da stabilire, piuttosto che di un viaggio con guida al seguito…felice dell’inusuale modalità accetto di buon grado la proposta che dovrà essere definita nel corso delle prossime ore. La sosta di oggi ad Aktay è l’ideale per sbrigare al più presto la formalità della registrazione all’ufficio immigrazione che, leggiamo sul retro del foglietto rilasciatoci in frontiera, deve essere eseguita entro cinque giorni dall’ingresso nel paese. Alexey si offre gentilmente di accompagnarci e si informa presso l’impiegato di turno che parla solo russo, nell’ufficio pieno di gente intenta a compilare moduli scelti tra i tanti esposti in una bacheca trasparente appesa al muro. La risposta dell’impiegato è che non dobbiamo registrarci….solo se supereremo i cinque giorni di permanenza qui…..allo scadere del 5° giorno. Torniamo in hotel poco convinti ed anche le impiegate alle quali facciamo leggere il foglietto confermano che le indicazioni scritte in russo parlano di una registrazione entro il quinto giorno….risaliamo sull’auto di Alexey che intanto borbotta “stupid policy” ma il risultato non cambia ed usciamo dall’ufficio ancora una volta senza registrazione dichiarando chiuso l’argomento almeno per oggi. Siamo ancora alla reception quando il giovane Alexey propone una variante al progetto dell’escursione…..gli viene l’idea di partire questa sera alle 20, quando lui e Galima avranno finito di lavorare. Campeggeremo in una spiaggia 60 chilometri a Nord di Aktay e domani mattina al risveglio proseguiremo il viaggio raggiungendo Fort Shevchenko, la bella moschea ipogea di Shakpak Ata, il Sherkala ovvero un pinnacolo di gesso alto 300 metri stranamente affiorante dalla steppa ed infine la “valle delle sfere”, disseminata di grosse pietre stranamente sferiche. – Se saremo abbastanza bravi riusciremo a tornare ad Aktay in serata – dice l’intraprendente Alexey. La proposta ci piace….non abbiamo ancora usato la tenda e condividere il campeggio con una giovane coppia del luogo potrebbe essere divertente….è deciso, partiremo tra qualche ora. Impiegheremo la pausa pranzo di Alexey per fare la spesa e per caricare la sua tenda e l’occorrente per il barbecue…..dopodiché saremo pronti. Sono io ad accompagnarlo per l’acquisto dei pezzi di maiale già preparati con cipolla ed una salsa speziata, così come l’acqua, la frutta e la legna. Seduta in auto accanto a lui mi diverto un sacco ad ascoltare la sua musica hip pop ed a seguirlo nei vari mercati e supermercati…i più adatti a seconda di ciò che dobbiamo acquistare…..ma alla falegnameria per la legna da ardere non avrei mai pensato! Dopo una breve sosta in ospedale per richiedere il certificato di malattia per Galima che domani non si presenterà al lavoro, siamo di ritorno in hotel…..ora è Vanni a seguirlo nel suo garage dove lasceranno tutti i nostri bagagli e caricheranno i loro. Alle 19, nel bel mezzo di un riposino in camera una cameriera bussa alla porta e ci comunica che i ragazzi saranno pronti tra un quarto d’ora….ci siamo quasi ! La fidanzata di Alexey ha i lineamenti orientali e si muove con una grazia da ghesha…..al contrario di lui, alto biondo e dalla pelle chiarissima, lei è di corporatura minuta ha i capelli neri e la pelle olivastra. Ci saluta con un sorriso…l’inaspettata vacanza l’ha resa visibilmente felice….con i suoi pantaloncini neri e canotta coordinata che lascia intravedere il bikini in tinta sembra una bambina che ha appena ricevuto un regalo. Saliamo tutti a bordo di Asia e partiamo attraversando la città ancora rovente dei 40° di oggi. Edifici vecchi e nuovi, strade ben tenute e monumenti commemorativi….lasciamo tutto alle nostre spalle per inoltrarci nella steppa piatta ed arida dove a pochi chilometri dalla città ci sorprende l’inaspettato spettacolo di un cimitero che sfila alla nostra destra con la sua miriade di cappelle funerarie nei vari stili che dalla strada lo fanno sembrare una città in miniatura, un monumento dell’architettura araba e zarista. Quando dopo meno di mezz’ora lasciamo la strada diretta a Fort Shevchenko, il cartello segnaletico indica che abbiamo percorso 61 km da Aktay. Seguiamo ora la pista verso il mare che ci impegna per circa 10 km. Il paesaggio brullo interrotto solo dalla presenza di due case basse e spoglie all’interno di un recinto di legno. Vi abitano due famiglie di allevatori di cammelli e di cavalli che vediamo sparpagliati nella steppa circostante. Man mano che procediamo verso il mare la piatta distesa si complica di promontori rocciosi dalla cima piatta come enormi altari attorno ai quali la pista piega con qualche tratto scosceso che percorriamo con qualche difficoltà. Infine dall’alto delle rocce scorgiamo il mare azzurro ed una bellissima spiaggia selvaggia che si piega in un lieve arco. Alle sue spalle la falesia di roccia che la difende dall’assalto dei viaggiatori non muniti di fuoristrada. Scendiamo ancora gli ultimi difficili metri di pista ed eccoci atterrare in paradiso….il sole al tramonto rende ancora visibili le rocce scure e levigate che come dorsi di ippopotami affioranti sembrano galleggiare nell’acqua trasparente del Caspio mentre le bianche conchiglie sbriciolate marcano la battigia con una linea chiara. Siamo talmente accaldati che immediatamente dopo essere scesi da Asia camminiamo verso l’acqua gelida spinti dalla voglia matta di un bel bagno…..ma non andiamo oltre il ginocchio rimandando invece a domani mattina il gelido bagnetto. Intanto Alexey ha acceso il fuoco per il barbecue e montato la loro canadese sulla spiaggia….mentre noi rimaniamo a lungo in contemplazione di questo luogo magnifico, quasi increduli che il Kazakistan possa ospitare luoghi così belli da meritare di entrare nella nostra selezionatissima top ten. Felici gustiamo il piacere dell’essere qui e poi l’ottimo kebab cucinato da Alexey secondo la tradizione kazaka, ovvero irrorando spesso gli spiedini con l’acqua in modo da ammorbidire la carne e smorzare il calore delle braci. Infine arrivano tutte le stelle a festeggiare con noi la bellezza di questa notte senza luna….continuiamo a vederle anche quando stesi dentro la nostra tenda a guscio montata sul tettuccio di Asia, pensiamo allo straordinario regalo che Alexey e Galima ci hanno fatto portandoci in questa spiaggia particolarmente magica.

21 Luglio 2009

Spiaggia 60 km Nord – Fort Shevchenko – AKTAY

Quando verso le 8 scendiamo dalla nostra tenda la nostra colazione è già pronta, appoggiata sul pareo indiano che solitamente usiamo per nascondere le valigie nel bagagliaio da sguardi indiscreti. I sederi affondati nella soffice sabbia continuiamo a contemplare la spiaggia ed il mare bellissimi sotto il sole debole di questa giornata già calda. Partiamo poco dopo senza nemmeno aver sfiorato l’acqua turchese del gelido mar Caspio e mentre ancora percorriamo la pista mi viene in mente di leggere le coordinate geografiche di questo bel posticino….tanto per poterlo rintracciare nel caso un giorno volessimo tornare da queste parti….( Lat. N 44° 08’ 40.18’’ – Long. E 50° 52’ 13.96’’). Ancora sulla pista facciamo una breve sosta presso gli allevatori per l’acquisto di una bottiglia di latte di cammello, bevanda nazionale nonché toccasana per qualsiasi malattia dice Galima, ed una bottiglia di latte di giumenta, ancor più acido del primo mi comunica Vanni che li ha assaggiati entrambi. In breve siamo sulla strada asfaltata che punta a Nord verso Fort Shevchenko dove arriviamo verso le 11. Nel frattempo gli scossoni della pista percorsa hanno rotto uno dei due supporti che fissati sul tetto di Asia sostengono la ruota di scorta…..il rumore fastidioso che ne arriva convince Vanni a smontare il tutto ed a caricare la ruota nel bagagliaio già pieno zeppo di cose compreso il barbecue. Io e Galima intanto visitiamo il museo della piccola cittadina che si affaccia sul mare circondata dalla steppa desertica e dalle leggere colline lunari che si alzano in prossimità della costa. Il museo è ordinato come il piccolo centro urbano del quale ci colpiscono le basse case scatolari tinteggiate a colori pastello e gli abitanti dai lineamenti mongoli caratteristici delle popolazioni nomadi dell’Asia centrale. La sala principale del museo è stata dimensionata attorno ad una grande yurta, la tradizionale abitazione delle popolazioni nomadi della steppa. A pianta circolare, la tenda si sostiene su di una struttura di legno a elementi radiali colorati di rosso raccordati al centro della copertura da un elemento circolare aperto…..ai listelli sono fissate le pezze di feltro di lana nelle tonalità naturali dei grigi e dell’ avorio in strati sovrapposti per aumentare l’isolamento termico dell’interno dell’ambiente abitato. Quest’ultimo esplode dei cromatismi accesi degli arredi ovvero delle stuoie, dei tappeti e delle immancabili trapunte, nient’altro a parte le belle strisce colorate tessute a mano a disegni geometrici, lunghe alcuni metri e larghe dai dieci ai venti centimetri che ornano le pareti disposte in diagonale sulle pezze di feltro. Bella e confortevole fa venir voglia di abitarvici per qualche giorno…rimane da verificare come sono le vere yurte, quelle abitate dai kazaki che vivono nelle steppe del Nord. Attorno al grande volume cilindrico sono esposti gli oggetti che fanno parte del patrimonio culturale kazako come gli strumenti musicali tradizionali, gli oggetti d’arredo, i monili e le sacche rettangolari tessute come tappeti che, appese alle pareti interne, costituiscono gli armadi delle yurte. Poi le selle decorate con inserti di osso, le scarpe e gli stivali con le suole di legno, gli abiti e tanto altro ancora. Una sezione distaccata del museo è dedicata al poeta ed artista ucraino Shevchenko che trascorse qui gli anni del suo esilio a cavallo del 1850. Molti i libri ed i dipinti esposti, ma la cosa che probabilmente conquistò le folle fu il suo amore per questo popolo e lo studio che ne derivò sulle loro tradizioni ed il loro stile di vita che lui registrò nei suoi scritti. Ci spostiamo solo dopo una sosta in un ristorante dove una simpatica signora dai lineamenti mongoli serve ai nostri due compagni di viaggio un piatto tipico costituito da una base di riso condita con pezzetti di carne e verdure crude. La signora si presta volentieri a posare per le foto che le chiedo e poi è lei a chiedermi di immortalarla in compagnia di un signore che ne approfitta per farle qualche scherzosa avance. Che simpatia…e che bel viso questa robusta sessantenne in gran forma! Poco dopo mezzogiorno siamo già in auto diretti alla famosa moschea di Shakpak – Ata. Per raggiungerla scivoliamo ancora tra la steppa, sull’ampia strada sterrata diretta a Nord-Est, ma poi vediamo su una lieve collina un piccolo edificio cubico coperto a cupola, difficile scorgere altro da questa distanza ma Alexey suggerisce di avvicinarci e con una breve deviazione raggiungiamo la tomba del X secolo. Costituita da blocchi rettangolari di pietra chiara, vi si accede tramite un’apertura che termina a punta ed è coperta in alto da una piccola cupola di pietre appena sbozzate sulla quale è posto un pinnacolo dalla forma vagamente fallica. All’interno qualche serpentino fa da custode, tutto intorno invece, una serie di stele funerarie variamente scolpite a bassorilievo sono abbandonate sul suolo. Nell’edificio accanto rimasto incompiuto o semi distrutto dal tempo sono una serie di lastre di pietra incise a disegni fallici, o forbici stilizzate?….e di animali. Lasciamo la necropoli e riprendiamo la sterrata ancora per poche decine di chilometri poi deviamo a sinistra imboccando una pista della quale Alexey non è poi così sicuro non essendoci cartelli segnaletici di conferma….tutti comunque in caratteri cirillici. La deviazione ci proietta in un paesaggio lunare dalle tinte ulteriormente smorzate dalla luce diafana del sole allo zenit. Magnifiche le sfumature dei piccoli morbidi rilievi che increspano il susseguirsi di piccole vallate e di promontori. Ogni tanto una barriera rocciosa piatta in sommità esplode in policromie che sfumano verso valle. Dopo aver chiesto indicazioni ai rari pastori che fortunatamente incontriamo, entriamo in un’ampia brulla depressione racchiusa tra due speroni rocciosi piuttosto divaricati….sullo sfondo la fascia azzurra del mar Caspio ci fa sognare un improbabile tuffo. La scatola azzurra sormontata da una cupola bianca che vediamo lontanissima sulla nostra destra, dove la roccia scura del promontorio è segnata da fasce orizzontali di roccia calcarea bianca, là troveremo la moschea di Shakpak-ata. La raggiungiamo seguendo la pista che serpeggia ancora tra le rocce….il mare turchese sempre più vicino è un invito irresistibile per noi ormai liquefatti, immersi come siamo da ore nell’aria rovente di questo pomeriggio di mezza estate. Accanto alla recente moschea azzurra, nascosta dentro la parete verticale della falesia calcarea c’è la moschea ipogea del XII secolo. Una moderna scala in muratura è stata costruita per renderla accessibile anche a chi abitualmente non si dedica agli sport di alpinismo….saliamo le decine di scalini ed eccoci nei pressi della piccola porta di legno che si apre sulla superficie candida della roccia. Vedendola così da vicino notiamo le bizzarre forme dell’erosione che la rendono simile ad una trippa in macro scala. Entriamo poi nel primo vano di ingresso scavato anch’esso come il resto delle sale, nella candida roccia cedevole. Alcuni alti gradini scolpiti nello stesso materiale ci conducono al secondo accesso, un pò più alto del primo e chiuso da un vetro fisso dove decine di farfalle colorate svolazzano nervose nell’illusione di poter uscire. Da qui accediamo alla moschea vera e propria scavata a forma di croce e coperta al centro da una cupola. Un foro circolare nella sua sommità garantisce la ventilazione dei quattro bracci. L’ambiente interno è estremamente suggestivo per via del colore bianco che ci avvolge in contrasto con i tappeti colorati appoggiati a terra nei due bracci leggermente rialzati della croce. Nessun decoro alle pareti, solo i capitelli dei 4 pilastri che definiscono i bracci mostrano scanalature verticali o inclinate. Scritte arabe sono incise su una parete, così come una mano ed una piccola figura di animale stilizzato. L’utilizzo dei fori scavati nella parte alta delle pareti rimane dubbio…..Alexey sostiene che servissero per ospitare delle torce, ma il fatto che siano passanti fa pensare piuttosto che dovessero servire ad ospitare corde di sostegno forse di tappeti decorativi. Usciamo a contemplare la particolare erosione della parete nella quale sono scavate le aperture rettangolari di una estesa necropoli, poi scendiamo di nuovo verso Asia e grazie alle indicazioni della custode della moschea raggiungiamo la strada principale asfaltata dopo pochi chilometri. Sono già le quattro del pomeriggio e siamo tutti piuttosto provati quindi abbandoniamo il progetto di vedere il pinnacolo di Sherkala che ci impegnerebbe per sei ore, dice Alexey forse solo per evitare la fatica di raggiungerlo, e proseguiamo per Aktay dove arriviamo verso le 18 dopo una breve sosta alla necropoli della città che sembra una città araba in miniatura. Una bella doccia ed un riposino sul divano sono sufficienti a farci riprendere le forze e poi ci pensa il taxista a darci una bella scrollata. Appena saliti a bordo alza lo stereo a tutto volume ed inizia a sfrecciare come un matto per le strade fortunatamente poco affollate della città…..in Italia sarebbe stato passibile di denuncia! Così shakerati raggiungiamo un ristorante sulla spiaggia dalla cui terrazza godiamo di un bellissimo tramonto sul mare e degli spettacoli di un varietà che a Vanni ricordano la Cesenatico di 40 anni fa…..una brezza tiepida soffia dal mare.

22 Luglio 2009

AKTAY

Solo relax oggi!….ed una meravigliosa merenda a base di caviale russo consumata dopo il sopralluogo al supermercato. Ingolositi nel vederlo esposto nella vetrina refrigerata mentre cercavamo un dentifricio, abbiamo immediatamente concepito l’idea della merenda rivelatasi squisita. Certo non è il beluga imperial….ma è pur sempre un buon caviale ed il costo di 3300 tenge (15€ ) per un vasetto di 113 grammi lo rende decisamente economico. Andiamo poi alla ricerca di una carta stradale della regione cercandola inutilmente all’agenzia viaggi Caspian tour. La sede è ospitata nell’edificio bianco a forma di torta specializzato in matrimoni e la cui hall centrale è piena di ridondanti abiti da sposa ricchi di volant. Nessuna cartina disponibile anche nella libreria ospitata nell’edificio 23 del microrayon 11 indicataci dall’impiegata dell’agenzia….a questo punto vale la pena spendere due parole su questo particolare sistema di riferimento urbano concepito in periodo di regime e tuttora usato ad Aktay. L’unica strada ad avere un nome, peraltro troppo lungo per poter essere ricordato ed usato è l’ampia arteria che attraversa la città da Nord a Sud. Ogni quartiere ( microrayon ) ha un numero che però non compare da nessuna parte se non nella mappa della città, così come numerati sono gli edifici (dom). Per chi non conosce a memoria i numeri dei microrayon non è semplice trovare qualcosa in questa città gestita dai numeri. Se qualcuno ad esempio scrivesse una sequenza di numeri su un foglio potrebbe aver scritto il suo indirizzo….3 – 15 – 4 indica l’interno 4 dell’edificio n° 15 del microrayon n° 3. Pare che il regime prediligesse l’uso dei numeri anche nei cimiteri sulle cui lapidi i numeri rappresentavano l’unico riferimento per l’individuazione di una tomba…..il nostro codice fiscale sarebbe stato considerato prolisso come un romanzo!

23 Luglio 2009

AKTAY

Un’altra giornata di sosta ad Aktay … quasi forzata. Il nostro visto di ingresso in Uzbekistan ci consente di entrarvi a partire dal 26 luglio e considerando i due giorni di tempo che impiegheremo per raggiungere la frontiera non vale certo la pena partire oggi. Secondo le informazioni raccolte qua e la non incontreremo hotel lungo questo tratto di strada che attraversa la steppa desolata, quindi meglio stare comodi qui nel nostro hotel che a differenza degli altri di stampo internazionale fa molto Kazakistan, caratterizzato com’è dal geometrismo rigoroso dello stile squisitamente sovietico. Tentiamo ancora inutilmente di registrarci all’ufficio immigrazione oggi chiuso e spendiamo il resto della giornata girovagando per la città a scattare foto agli enormi condomini costruiti trenta anni fa ed ai pochi monumenti di pregio sorti lungo l’asse viario principale….come quello piuttosto bello dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale. Troviamo anche una carta stradale della regione di Mangistau di cui Aktay è il capoluogo…..fondamentale per trovare la strada da seguire verso l’Uzbekistan dato che il nostro Garmin non ha mappe aggiornate inserite. Il difficile reperimento della carta stradale è avvenuto per gradi, ultimo dei quali la soffiata dell’importatore cui Vanni si era rivolto per il reperimento di un pezzo di ricambio per Asia…. che scrive su un foglietto – Sign.ra Rita, microrayon 5 dom 4 – sembra una caccia al tesoro! Con l’aiuto della parziale carta della città sulla nostra guida individuiamo il microrayon nel quale entriamo attraverso la stretta strada che distribuisce i vari edifici del quartiere…..l’edificio 4 è sul fondo…vediamo il numero scritto in grande nella parte più alta del muro perimetrale. Un condominio anonimo e squallido come gli altri di questo quartiere. Non essendoci qui vetrine a mostrare i prodotti in vendita nei negozi ma solo qualche scritta in caratteri cirillici sopra la porta di legno…..se non sai esattamente dove trovare le cose che cerchi difficilmente riesci ad individuarle passando per la strada. Quasi tutte le attività commerciali sono ospitate nei piani terra dei grandi edifici, nascoste da pesanti porte di legno che non lasciano intravedere nulla…..in fondo è un modo come un altro per non stimolare il consumismo! Finalmente riusciamo ad avere la cartina anche se scritta in russo. La giornata nuvolosa di oggi se da un lato ci regala una temperatura leggermente più fresca dall’altro non invita alla spiaggia nella quale le poche persone che vediamo evitano di tuffarsi nelle acque fredde del Caspio oggi increspato da qualche ondina…. Tergiversiamo fino a sera quando raggiungiamo il lussuoso hotel Renaissance per la cena. Due parole scambiate al bar con un rappresentante neonazista tedesco di Berlino e poi ci accomodiamo al tavolo nell’inutile speranza di poter assaggiare il caviale beluga che però non compare nemmeno in questo menu. Risultato….conto salatissimo per una cena non proprio eccelsa.

24 Luglio 2009

AKTAY

Appena svegli usciamo con Alexey diretti all’ufficio immigrazione dove l’unica lingua parlata è il kazako ed anche i moduli da compilare sono ovviamente nella stessa lingua. Dopo una breve intervista all’addetto Alexey inizia a scrivere qualcosa sui moduli….poi chiede ancora e si torna in hotel…..senza troppe parole di spiegazione perché anche lui non parla inglese. Utilizzando il telefono della reception parla con la sua fidanzata e poi cerca di spedire uno dei moduli via fax. Dopo circa un quarto d’ora entra in camera nostra chiedendoci i passaporti e 150 $ per per la multa che dobbiamo pagare per non esserci registrati entro il quinto giorno. Increduli gli consegnamo ciò che chiede e poi esce blaterando – corruption – quando Vanni cerca inutilmente di seguirlo. Basiti e tediati dalla noia per questa sosta forzata che si protrae già da diversi giorni, usciamo per raggiungere l’hotel Renaissance, ovvero il Marriot, dove Vanni ha un appuntamento per il pedicure. Mentre sorseggio un delizioso tè al gelsomino seduta nella sala da tè dell’hotel, rimugino sulle giornate appena trascorse, tanto per trovare una giustificazione a queste giornate buttate via….avremmo potuto organizzare una escursione di due giorni nel deserto dell’Ustyurt a caccia di moschee ipogee….ma per farlo avremmo dovuto contattare una guida esperta e percorrere decine di chilometri di piste dissestate, inoltre non pensavamo che avremmo dovuto fermarci qui così a lungo. L’incidente della registrazione è una cosa che può succedere nell’ambito della dilagante corruzione delle forze di polizia negli stati della ex unione sovietica, ciò non significa che non ci si rimanga piuttosto delusi quando ciò accade….quasi come spendere 40 € per un frettoloso pedicure. Ormai è andata così e domani lasceremo finalmente Aktay per avvicinarci all’Uzbekistan dove finalmente anche noi percorreremo un tratto della famosa via della seta che fin dal II sec. collegò il lontano oriente al mar Nero ed alle fiorenti città commerciali del mediterraneo. Al nostro rientro in hotel Alexey ci consegna i passaporti timbrati con un comune inchiostro azzurro…visto il costo avremmo sperato almeno in un foglia d’oro eseguita a mano! Trascorriamo la serata nel ristorante sulla spiaggia in stile Cesenatico anni ’60. Le nuvole ci negano quest’ultimo tramonto sul mar Caspio….. mentre ceniamo con spiedini di carne e verdure osserviamo lo spettacolo che si ripete identico tutte le sere ed ascoltiamo una canzone italiana facente parte del repertorio….un tormentone alla Umberto Tozzi le cui uniche parole sono – buonasera signorina, signorina ciao ciao – . Non essendo esattamente il genere di Adriano Celentano che imperversa in tutti i paesi attraversati finora, ne siamo sorpresi. Black-out in hotel.

25 Luglio 2009

AKTAY – BEYNEU

Il paesaggio arido della steppa non è privo di attrattive pensiamo mentre sobbalziamo a bordo di Asia percorrendo la strada sconnessa che porta a Beyneu, unico centro abitato verso il confine uzbeko. Interessanti formazioni rocciose complicano la solitamente piatta distesa di terra ricoperta di ciuffetti di rovi apparentemente privi di vita. Talvolta sfumate nelle cromie dei minerali che vi sono imprigionati o stupendamente a fasce bianche e nere per via degli spessi strati di gesso che contengono, queste montagne di roccia dalla cima piatta non superano quasi mai i 300 metri di quota e si definiscono talvolta a 360° emergendo isolate dalla superficie piatta della steppa che le ha generate. Per quanto possa apparire desolata, la distesa arida che ci circonda contiene inaspettate sorprese che ci distraggono dalla noia. Ogni tanto un polverone lontano sollevato da cammelli in corsa o da gruppi di pecore che sembrano vagare sole nel nulla….o una volpe del deserto dalla pelliccia fulva che attraversa la strada e poi si ferma ad osservarci curiosa sul bordo della carreggiata….e le immancabili necropoli i cui piccoli edifici di pietra dello stesso colore della terra sulla quale sorgono sono spesso coperti da cupole emisferiche o ad imbuto a movimentare la skyline altrimenti piatta. Arriviamo a Beyneu verso le sette di sera dopo un viaggio che sembrava interminabile a causa della scomodità della strada sconnessa per centinaia di chilometri. Le nove ore di sussulti continuano il loro effetto di stordimento anche una volta scesi da Asia…..sembra di essere stati in centrifuga per ore! Il paesino ordinato e dalle cromie vivaci dei suoi bassi edifici sembra piuttosto tipico dei paesi nordici. Ad entrambi tornano alla mente i pochi insediamenti visti in Alaska…sarà anche per la luce livida di questa giornata che sta per terminare. La ricerca di un luogo dove dormire parte senza troppe speranze dato che sia Alexey che altri ci hanno detto che questa isolata cittadina nel cuore della steppa non offre strutture di questo tipo….ma la nostra tenacia alla fine ci premia con la scoperta di un hotel color rosa, pulito e con camere dotate di bagno. Lo troviamo facendo leggere ad un paio di persone la parola albergo indicata col dito sul nostro dizionario di russo, indispensabile per comunicare qualsiasi cosa. Una signora gentilissima, profumata e che indossa un bell’abito, viola come l’ombretto sulle sue palpebre, sale a bordo per accompagnarci indicando le strette strade sterrate che conducono all’ Apha Kohal Yni. La gentilezza di queste persone è davvero squisita! L’anziana signora in bianco che mi accoglie alla reception mi mostra la camera n°6 che raggiungiamo attraverso un largo corridoio coperto di tessuto bianco. Il prezzo di 7000 tenge è una cifra del tutto equa per l’insperata camera con bagno ed aria condizionata…..ed il ristorante comodamente accessibile sullo stesso piano. Vi mangiamo qualcosa, non certo tutto quello che vorremmo, ma il limite della lingua incomprensibile nonostante l’uso del vocabolario, ci consente di avere due minestroni, una insalata di pomodori e cetrioli e tre uova fritte anziché la frittata richiesta. La cosa più straordinaria del ristorante dove il colore rosa domina sovrano, sono le tende in tinta con ridondanti drappi viola che fanno pensare alla Cina. La signora in bianco torna a bussare alla porta della camera subito dopo la cena….vuole altre 3000 tenge perché il prezzo per due persone è di 10000 circa 45 €…..inizia a diventare caruccio questo hotel sperduto nella steppa!


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