16 Luglio 2009

TBILISI – SISIAN

Quando la mattina partiamo diretti al confine con l’Azerbaijan sappiamo già che sarà una giornata campale…..non è facile rassegnarsi alle lungaggini delle frontiere dei paesi caucasici così come ai toni spesso intimidatori degli addetti che vi lavorano. La strada che dalla capitale raggiunge la frontiera è scorrevole e veloce e le poche decine di chilometri di distanza la fanno sembrare quasi dietro l’angolo e così alle 10.30 siamo già sul “ponte rosso” della frontiera georgiana dove pochi camion ed alcune auto sono ferme in attesa sotto il sole già cocente di questa calda mattina di metà luglio. Autisti e passeggeri cercano ristoro all’ombra dei cassoni dei camion ma i visi tirati lasciano intuire che l’espediente non sia sufficiente. Circondati dal paesaggio desolato di questo posto di confine seguiamo anche noi come gli altri le bizzarre indicazioni dei poliziotti di turno che con fare autoritario e la mitragliatrice sempre penzoloni sul ventre, gesticolano ordinando di arretrare tutta la colonna di auto, poi di avanzare e di arretrare ancora in una danza delirante non giustificata da un motivo evidente….perché tutto attorno a noi è immobile. Per farla breve, anche se per noi tanto breve non è stato, rimaniamo più di un’ora in balia dei poliziotti immersi nell’aria soffocante, prima di poter accedere al gate di controllo dove due soli impiegati gestiscono il traffico si in uscita che in entrata. Poco dopo mezzogiorno eccoci fermi al vicinissimo posto di blocco della frontiera azera…in attesa davanti al cancello chiuso ma fortunatamente senza auto a precederci. Questione di pochi minuti ed accediamo al cortile terroso sul quale si affacciano i bassi edifici della dogana e dell’immigrazione….le scritte tutte in caratteri cirillici ed in un primo momento nessuno che capisca una parola del nostro stentato inglese. Entriamo in una piccola stanza dove l’impiegato osserva i nostri passaporti, quindi telefona e mi porge il suo cellulare…..dall’altra parte un signore che parla inglese ma la linea è piuttosto disturbata. Mi spiega che pur avendo noi ottenuto un permesso di transito di cinque giorni, entrando con l’auto italiana possiamo rimanere solo tre giorni….ovvero….noi possiamo rimanere cinque giorni ma l’auto solo tre. Allo scadere dei tre giorni sarà sequestrata a meno che non si provveda a lasciarla in sosta in un portofranco doganale. Quando mentre parla, cerco di fargli delle domande per cercare di capire meglio, mi ordina di stare zitta e di tenere le domande alla fine, e quando poi gli dico che non sono sicura di aver capito bene, vista la linea disturbata ed il suo accento russo nel parlare inglese, mi risponde che questo non è un suo problema, che lui mi ha spiegato quanto doveva e che non ha intenzione di replicare. Ringrazio per la cortesia e rientro nell’ufficio restituendo il cellulare all’impiegato che afferra in malo modo i nostri documenti e si rivolge a Vanni con estrema maleducazione chiedendo in modo incomprensibile la Driver licence. Ma non è finita qui….ci dice di andare in un altro ufficio imprecisato, ma sullo stesso lato del suo. Dopo 15 minuti e dopo aver cercato di chiedere a tutti quale fosse l’ufficio, Vanni conquista il secondo timbro su un documento in cambio di 15 $ che però non si sa perché, controllando il resto, sono diventati 20 $. Intanto è passata un’ora e ancora nessun timbro di ingresso è stato apposto sui nostri passaporti. Dopo altri venti minuti passati a chiedere cosa dobbiamo fare adesso, ma senza ottenere risposta alcuna, si passa al controllo di Asia. Fortunatamente i bagagli non vengono aperti ma la tenda a guscio sopra al tettuccio si….i nostri due visti adesivi del Nagorno sono nascosti tra le pagine del diario chiuso dentro al mio trolley e la guida Lonely Planet, che abbiamo letto viene sistematicamente sequestrata, è nel fondo della scatola portaoggetti sotto il freno a mano….su di essa alcune penne, biscotti ed oggetti vari che la rendono invisibile. La tragedia scoppia quando un militare vede delle carte stradali sul sedile posteriore di Asia….le afferra e le passa al doganiere che le apre e vede che in una di esse ci sono Armenia ed Azerbaijan rappresentate sullo stesso foglio….massimo affronto per loro che per via del Nagorno non sono esattamente in buoni rapporti con l’Armania……ma il problema non è solo questo. Sulla copertina della stessa carta stradale, nella mappa riassuntiva degli stati rappresentati, l’area del Nagorno è colorata di verde come l’Armenia e non in giallo come l’Azerbaijan, riconoscendo in questo modo al piccolo stato indipendente una sorta di ufficialità. Dopo una mezz’ora di attesa nella quale due poliziotti spariscono con la nostra carta stradale, vengo invitata ad entrare con i passaporti nell’ufficio dove i due mi stanno aspettando. Mi restituiscono la cartina della Georgia, ma riguardo all’altra iniziano a commentare, in perfetto inglese, che il Nagorno è azero e non armeno, che per questa occupazione loro sono in guerra con l’Armenia e che questa carta stradale afferma l’illecito. Sfinita per la paternale propongo di tagliare via dalla carta l’Armenia purché lascino integro il loro paese che dobbiamo ancora attraversare. Fanno una leggera piega a triangolo per vedere in che modo si può procedere al taglio, ma poi si soffermano a lungo a cercare ed a mostrarmi sulla carta i luoghi nei quali sono nati, come se questo potesse essere di un qualche interesse per me. Senza fretta, dopo un tempo che sembra interminabile la ripiegano e me la porgono tutta intera raccomandandosi di gettarla via non appena avremo finito di usarla. Che delirio! Segue un discorsino nel quale ribadiscono la loro legittimità sul Nagorno a proposito del quale mi chiedono più volte se siamo stati….come se fosse possibile rispondergli di si! Dopo aver ascoltato i discorsi retorici esco dall’ufficio con le carte ed i passaporti timbrati….siamo finalmente liberi di raggiungere Baku, città che dista 570 km da qui e dalla quale dovremo fuggire a bordo di un ferry entro dopo domani….non male come programma. Sono già le 15 quando usciamo dal cancello della frontiera lanciandoci in una corsa contro il tempo che ci vedrà forse arrivare a Baku entro sera….tutto dipenderà dalle condizioni della strada. Ma ecco che una serie di lavori in corso che si protraggono per i primi 350 km rendono inattuabile l’ambizioso progetto. La strada attraversa un’ampia distesa semi desertica complicata solo da lontani cordoni di basse montagne piatte e grigie come la pianura….il vento forte solleva la polvere dal terreno arido e rallenta Asia nella sua lunga corsa verso il Mar Caspio. In corrispondenza dei centri abitati che attraversiamo senza fermarci, notiamo l’estrema cura dell’arredo urbano e molti edifici nuovissimi realizzati senza badare a spese. Accanto ad essi certo coesistono le abitazioni cadenti o estremamente degradate dal tempo, ma la recente esplosione di ricchezza di questa nazione grazie all’estrazione di petrolio dal Caspio, è stata determinante per lo sviluppo delle infrastrutture del paese, ce ne rendiamo conto attraversandolo in gran fretta….il permesso di tre giorni ci pesa come una spada di Damocle sulla testa. Quando alle 21.30 raggiungiamo la cittadina di Sisian, siamo troppo stanchi per proseguire, quindi non ci resta che cercare un hotel per la notte chiedendo ai passanti. L’unico disponibile è il Kur, ospitato in un vecchio edificio di stampo sovietico, le cui camere sporche odorano di urina e l’asse del water sembra fatto di cartone plastificato…..che dire, non abbiamo alternative e quindi ci addormentiamo cercando di pensare ad altro.

17 Luglio 2009

SISIAN – BAKU

Al risveglio puzziamo esattamente come la camera….partiamo in gran fretta ed alle 9 siamo già a Baku dove raggiungiamo immediatamente la biglietteria del porto nella speranza di trovare un ferry in partenza per il Turkmenistan. Un gruppetto di giovani ragazzi inglesi è fermo fuori dalla porta dell’ufficio, accanto a loro le biciclette con le quali hanno percorso il lungo viaggio dall’Europa. Atletici e simpatici, ci forniscono qualche informazione….c’è un ferry in partenza oggi per Aktau in Kazakistan, quello per il Turkmenistan è partito ieri e non si sa quando sarà la prossima partenza. Non abbiamo scelta, considerando che non vorremmo perdere Asia per strada, acquistiamo due biglietti per il Kazakistan a 130 € l’uno, uno per Asia da 300 € e ci mettiamo con gli altri pochi passeggeri in attesa che il disbrigo delle formalità doganali abbia inizio. Siccome le persone alle quali abbiamo chiesto ci hanno detto che a bordo non c’è il ristorante, vado al negozio più vicino a afre rifornimento di scatolame e frutta, tanto per non morire di fame in mezzo al mare, poi nell’attesa socializziamo con gli inglesi e con due simpatici georgiani che hanno tradotto per noi europei l’incomprensibile idioma della cassiera addetta alla biglietteria. La simpatica signora azera infatti non capiva una sola parola di inglese e la nostra stringata conversazione svoltasi nell’ufficio adiacente bevendo un tè da lei gentilmente offertomi è avvenuta grazie all’uso del nostro vocabolario di russo! Quando verso le quattro del pomeriggio ci imbarchiamo, abbiamo la sorpresa di constatare che a bordo c’è il ristorante e che le cabine non sono poi così terribili come le aveva descritte un viaggiatore letto su internet…probabilmente abbiamo avuto la fortuna di salire su una delle poche navi cargo predisposte per il trasporto dei passeggeri. Il caldo a bordo è quasi insopportabile ed il sistema di ventilazione forzata in cabina non è funzionante….ma una bella doccia calda dopo aver disinfettato con Betadine i sanitari ci da un bel sollievo. Rimaniamo in cabina fino alla partenza delle 17, con porta ed oblò aperti per avere un pò d’aria circolante…è a questo punto che Vanni si accorge che le griglie metalliche di ventilazione poste sulle porte interne sono finte…e se ne accorge per un errore grossolano commesso dal montatore. Quest’ultimo infatti ha fissato il pannello di alluminio a lamelle orizzontali in alto sulla superficie interna della porta ed in basso su quella esterna….un tarocco non ben riuscito insomma….che si tratti di una nave cinese? Appena sentiamo il rombo dei motori usciamo per dare un’occhiata da lontano a questa Baku che non abbiamo avuto il tempo di vedere…..gli alti edifici a formare l’esteso nucleo urbano che vediamo sfuocato per il calore e la leggera foschia. Lasciamo l’inospitale Azerbaijan felici di esserne usciti ma dispiaciuti per non aver potuto vedere la cittadella araba della città né ascoltato il suo famoso Jazz. Un piacevolissimo venticello fresco solletica la nostra pelle sudata mentre il ferry cerca la sua rotta tra la selva dei pozzi di estrazione del greggio….il loro numero è così alto che da lontano sembra una vera e propria città sull’acqua. Per smaltire un pò di scatolame decidiamo di cenare in cabina, poi scendiamo al bar con aria condizionata per una vodka e due chiacchiere con il copilota ancora seduto al tavolo del ristorante. L’argomento spazia dall’Italia, al caviale del quale vogliamo sapere dove sarà possibile assaggiarlo…..non essendo ancora riusciti a trovare il famoso beluga imperial ne abbiamo una voglia matta. Ci spiega che è difficile trovarlo perché costa 2300 $ al chilo ed anche perché i paesi produttori lo esportano tutto….che peccato, ma non demorderemo così facilmente! Sarebbe un pò come essere in Alaska e rassegnarsi al fatto di non poter mangiare l’ottimo king crab! Ci addormentiamo stanchi nella cabina soffocante nonostante l’oblò aperto.


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