28 Novembre 2008

BOLOGNA – BAMAKO

Fin dal risveglio il pensiero va all’aria tiepida nella quale saremo immersi questa sera, tra poche ore ed a migliaia di chilometri da qui, nella ben nota Bamako. La liberazione dal freddo che ci paralizza come in una morsa da qualche giorno, è la consolazione che sempre cerchiamo con l’avanzare dell’autunno, come se questo freddo non facesse parte della nostra storia e non ci avesse accompagnato per quasi tutti gli inverni della nostra vita passata. In taxi raggiungiamo il negozio di nautica per l’acquisto di una ulteriore ricarica del nostro telefono satellitare, per poi proseguire rapidi verso l’aeroporto Marconi, il nostro eterno trampolino di lancio verso il mondo. Al check-in le mie stampelle convincono la hostess a fornirmi l’assistenza dell’accompagnamento su sedia a rotelle nel transito di Parigi….le poche lettere scritte sul biglietto aereo e trasmesse al computer, assicureranno la mia comodità in questa partenza in un certo senso anomala, e mi eviteranno il faticoso arrancare lungo gli infiniti corridoi di collegamento ai gates dello Charles De Gaulle. Vanni è accanto a me, amorevole e premuroso come sempre, mentre silenzioso si occupa del nostro trolley. La gentilezza della signorina che si occupa di me a Parigi quasi mi commuove quando, senza la minima resistenza, decide di assecondare il mio desiderio di deviare verso il duty free a caccia dei profumi da regalare alle tre mogli di Modibo, come ringraziamento per la sosta di Gazelle nel garage di casa loro. Con una certa destrezza spinge la sedia a rotelle tra le vetrinette cariche di flaconi, mentre il commesso che ci precede spruzza sui cartoncini le fragranze tra le quali ricadrà la nostra scelta. L’arrivo all’aeroporto di Bamako ha l’impatto di uno scontro frontale….quasi travolti dalla moltitudine di corpi in movimento di turisti e locali stentiamo a trovare una qualche forma di armonia nel nostro procedere tra gli spazi troppo angusti per contenere tutta questa massa umana che vi circola disordinatamente carica per di più di voluminosi bagagli, compresi gli scatoloni contenenti monitor LCD e tutto quanto la migliore tecnologia occidentale possa far desiderare agli africani benestanti. Bambini sorridenti assicurano la loro incolumità aggrappandosi ai ventri prominenti delle loro madri, treccine di capelli neri incorniciano i loro visi ormai stanchi e sbalorditi nell’osservare tanto caos attorno a loro. Conquistata la porta di uscita cerchiamo tra la folla l’autista di Modibo del quale conosciamo solo il nome…Sekou Doumbia… lo individuiamo subito dopo aver letto sulla lavagnetta scura che tiene in mano, la scritta in gesso “Giovanni e signora”. Siamo salvi. Indossa una giacca a vento arancione ed un sorriso buono, ma è circondato da un gruppetto di giovani sconosciuti che appena vedono i nostri bagagli li afferrano in tutta fretta e senza consenso, imponendosi come portantini. Arrivo alla portiera della Mercedes scassata di Sekou, sempre comodamente seduta, sospinta da un accompagnatore questa volta scurissimo che mi aiuta ad entrare ed a sedermi nell’abitacolo mentre Vanni, che si occupa dei bagagli, lotta con i portantini in difficoltà nel dover ripartire in quattro una banconota da 10 €. Siamo in Africa! Ai lati delle strade buie ed accidentate, che percorriamo diretti a casa Modibo, intravediamo corpi seduti in piccoli gruppi accanto a baracche di lamiera e bastoni di legno. Sono il frutto dell’imprenditorialità spontanea di signore con velleità culinarie che per far quadrare il bilancio familiare offrono pasti caldi in cambio di un equo compenso e di qualche pettegolezzo nelle ore più fresche della giornata….fino a tarda ora. Ma questa notte a noi sembra fin troppo calda. Tra la polvere e l’odore acre delle fogne a cielo aperto procediamo lenti. La luce fioca dei fari e le stelle rischiarano appena la strada sterrata che porta alla reggia di Modibo che raggiungiamo in una ventina di minuti. La mercedes si ferma nei pressi di un alto muro di cinta bianco ed un paio di custodi si affacciano al portone per vedere se gli ospiti sono arrivati….la cautela nelle ore notturne è necessaria non solo per i turisti! Gazelle è esattamente nell’angolo del garage dove l’avevamo lasciata lo scorso marzo, valutiamo velocemente mentre, distratti dalle rane che saltano sul pavimento, ci avviciniamo….a bordo non manca nulla, ma dopo qualche tentativo da parte di Vanni alle prese con l’accensione, ci rendiamo conto che Gazelle non vuole proprio mettersi in moto. Vanni Sekou ed un paio di guardiani armeggiano vicini al cofano aperto, ma è ormai tardi, la casa è immersa nel silenzio e senza morsetti è inutile pensare di poterla riavviare. Accompagnati da Sekou, che Modibo ha gentilmente messo a nostra completa disposizione, raggiungiamo il Gran Hotel Azalai, oltre il ponte sul fiume Niger, dall’altro lato della città, che dalle foto viste in internet non ci era sembrato male….e’ mezzanotte quando entriamo nella nostra camera confortevole e pulita da 100 €….siamo stanchi ed un po’ agitati, esordire con un minimo di confort è necessario.

29 Novembre 2008

BAMAKO

Quando mi sveglio, verso le 8, Vanni è già uscito…..l’idea di dover trovare un rivenditore di batterie nuove aperto il sabato deve averlo fatto stare in apprensione tutta la notte….e del resto lo capisco, rimanere bloccati a Bamako non è proprio il massimo considerando che non c’è poi molto da fare qui e la città è piuttosto bruttina. Poiché l’aria condizionata mi sta uccidendo, decido di alzarmi, almeno per aumentare di qualche grado la temperatura nel termostato. Stranamente sento una sorta di disagio e non ho voglia di lasciare la camera nemmeno per scendere alla colazione….deve essere per via di questo piede che continua a condizionare i miei movimenti rendendoli impacciati se non impossibili….e l’idea piuttosto remota che qualcuno degli inservienti possa sottrarre dal mio bagaglio tutte le preziose creme antirughe che vi sono custodite proprio all’inizio del viaggio. Insomma sono in preda al delirio! Infine mi decido e scendo…anzi, mi viene voglia di andare da sola al famoso Museo Nazionale prendendo un taxi….ma l’indecisione mi fa desistere, afferro un libro e scendo in piscina. All’ombra della vegetazione rigogliosa del giardino, comodamente stesa su un lettino imbottito, leggo godendo della brezza leggera che a tratti interrompe il caldo asciutto di questo primo pomeriggio. Svolazza qualche uccellino, interessante per via dei colori vivaci delle piume, poi arriva qualcuno. Intanto i rumori del traffico attraversano l’alto muro che cinge il giardino, come a ricordare che siamo in una trafficata capitale africana e non nella foresta inviolata delle mie fantasie pomeridiane. Quando Vanni arriva, verso le 17, è stanco ma contento delle riparazioni eseguite su Gazelle….la professionalità dei meccanici locali, ineccepibile per quanto riguarda le vecchie auto, ha risolto il problema del 4×4 che ora funziona senza la sostituzione di tutti i pesanti pezzi di ricambio che abbiamo portato dall’Italia….anzi dal Canada…su consiglio di meccanici italiani. Ciò che rimane di Carolina giacerà d’ora in poi ai piedi del sedile posteriore, come una reliquia. Mi spiega che tra la polvere del bordo strada, senza l’ausilio di una buca o di uno strumento per sollevare l’auto, i meccanici hanno smontato il cambio e reintrodotto il bullone che, uscito dalla sua sede, aveva compromesso il funzionamento del 4×4. Tutto qui! Se penso al viaggio di ritorno da Miami con quel tubo pesante ed ingombrante spedito come collo speciale al ceck-in Lufthansa …..mi chiedo chi ce lo abbia fatto fare. Ma ormai è fatta e qualche pezzo di ricambio potrebbe sempre servire. L’Exodus è un locale fantasma per i taxisti della capitale che pur di non ammettere la loro ignoranza ci dicono che è stato chiuso…..ma Vanni come sempre non demorde e così, pur di andare, chiama in soccorso Abraham ( 76242177 ) un signore presentatogli da Dolo questa mattina in hotel . Il suo aspetto lo rende la copia esatta di Gandhi! La capacità di Vanni di tessere rapporti con i locali, che possano in qualche modo aiutarlo, è una delle qualità che maggiormente gli invidio….Aveva intravisto il signor Dolo ieri sera, nella reception dell’hotel, riconoscendolo come un amico di Ismail che accompagnava un gruppo di turisti italiani…. così mentre io chiedevo la camera lui l’aveva salutato e scambiato qualche parola nella nostra lingua, quindi chiesto se poteva aiutarlo con il problema del meccanico per Gazelle. Dalla breve conversazione era scaturito il numero di telefono di Abraham, immediatamente contattato. Una guida che parla italiano è preziosa quando si deve riparare la macchina ed il sosia di Gandhi lo ha seguito come un’ombra tutta la giornata di oggi. Abraham arriva in nostro soccorso dopo un’oretta che trascorriamo conversando con il portiere originario di Timbuctu, delle meraviglie del deserto a nord della città e di Taoudenni che lui però non ha mai visto….ci infervoriamo per un po’ nei racconti interrotti poi dall’arrivo di un venditore di piccole sculture tradizionali di bronzo. Ci mostra una pinasse di Timbuctu con rematori, una figura femminile Bambara stilizzata in pochi centimetri di metallo ed una figura femminile Dogon accovacciata nell’atto di partorire….le acquistiamo tutte….sono bellissime e non ingombranti, poi finalmente andiamo. Abraham gradisce il drink superalcolico che gli proponiamo mentre seduti attorno ad un basso tavolino all’aperto godiamo del cielo stellato e delle luci colorate dell’Exodus. Il socio di Ismail ci dice che il nostro amico arriverà più tardi….avremo tutto il tempo di cenare e di gustare la magica atmosfera del locale che ci sta trasmettendo un’energia incredibile….sarà per la bella musica anni ’70 ?….o perché questo posto ci riporta indietro nel tempo, quando al termine del nostro primo viaggio attraverso il Mali arrivammo proprio qui a salutare Ismail. Insomma siamo felici, anzi felicissimi e carichi delle energie necessarie per affrontare il nuovo viaggio verso luoghi sconosciuti e le avventure che certamente non mancheranno. Non mi sentivo così bene da giorni, e siccome la gioia del presente è sempre la più intensa, quasi mi stupisco di essere così fortunata. Quando alle 23 il taxi arriva puntuale a riprenderci Ismail non è ancora arrivato. Lasciamo la bottiglia di grappa ed il libro che ci aveva chiesto via email al socio e saliamo sul taxi, felici ed un po’ stanchi.

30 Novembre 2008

BAMAKO

Il piattino di frutta che Vanni appoggia sul mio comodino, dopo aver appoggiato le sue labbra sulle mie, fa parte del nostro rituale di coccole della mattina. Poco dopo parte in missione….Gazelle ha proprio bisogno di un bel lavaggio. Così mentre io nell’attesa godo del tepore di oggi a bordo piscina, leggendo e scrivendo all’ombra del palmeto dell’Azalai, Vanni è attivo per rendere ancora più irresistibile la già bellissima Gazelle che anche il taxista di ieri sera si è proposto di acquistare. Visto che gli impegni di Vanni hanno una battuta di arresto nel primo pomeriggio, si creano le condizioni per la visita al Museo Nazionale che raggiungiamo. Articolato in una serie di edifici color mattone dalle volumetrie morbide tipiche della tradizione sudanese, ospita una ricca mostra di tessuti, tappeti ed abiti così come sculture di legno o bronzo partorite dalla tradizione animista delle etnie saheliane del Mali. Rimaniamo colpiti dai bellissimi tappeti Dogon, così come dai brandelli di tessuto risalenti al II sec. A.c. rinvenuti nei siti archeologici dei Tellem, nella falesia di Bandiagara.  Ma c’è una  maschera che attira particolarmente la nostra attenzione…è a forma di testa animale ed è rivestita da un impasto di terra e sangue proveniente dagli animali sacrificati…..ancora non siamo avvezzi a queste sanguinolente tradizioni animiste, in fondo siamo sempre stati immersi nell’islam!

Nonostante i punti di sutura al piede siano stati rimossi poco fa continuo a camminare zoppicando tra  i percorsi della mostra….avendo una paura folle che la ferita possa riaprirsi per la terza volta ho deciso di non appoggiare l’intera pianta del piede ancora per qualche giorno….in fondo non mi costa molto fare questo piccolo sacrificio. Il chirurgo della clinica, un giovane sorridente di nome Adhaman, nonostante la scarsa luce nell’ambulatorio dove mi ha fatto accomodare, è stato bravissimo e molto delicato….ho pensato di lasciare a lui le mie stampelle affinché le dia a chi ne ha bisogno. Mentre aspettiamo il taxi per raggiungere il ristorante, il venditore di ieri sera ritorna all’attacco proponendoci altri oggetti da acquistare e questa volta ci rifila una mezza fregatura….una piccola figura a cavallo, che spaccia come oggetto antico dell’etnia Lerè di Segou, che ad un attento esame sotto la luce della camera, mostra ancora i segni delle pennellate di colore verde a simulare l’ossidazione del metallo antico. Spinti dalla nostalgia per il nostro caro Hotel Le Rabelais purtroppo senza camere disponibili, del quale conserviamo l’ottimo ricordo delle squisite colazioni, ne raggiungiamo il ristorante appena rimesso a nuovo. Compiaciuti dei risultati della ristrutturazione allora in essere, ci accomodiamo ad un tavolo ben apparecchiato  dove gustiamo i piatti della tradizione francese interpretati in modo sublime dal cuoco di etnia Bambara.  Questi maliani continuano a stupirci per il loro talento culinario….La nostra indivia con roquefort e noci è una squisitezza così come la tartare di carne di Vanni ed il mio filetto di vitello ai funghi. Il servizio impeccabile e l’atmosfera rilassata di questo ristorante decisamente chic per gli standard di Bamako, ne fanno una meta imperdibile ed unica, per il perfetto equilibrio creatosi tra la nazione ospitante e quella colonizzatrice. Si mangia da Dio! Satolli rientriamo in hotel dopo una puntatine all’Exodus in cerca di Ismail del quale anche questa sera non c’è traccia.

01 Dicembre 2008

BAMAKO

Vanni esce presto….l’appuntamento con Abraham, per far eseguire gli ultimi lavoretti all’elettrauto, è alle 8.30. Quando tornano a prendermi è l’ora di pranzo, insieme raggiungiamo l’abitazione di Modibo. La sua seconda moglie, Rukia, ci viene incontro circondata dalle numerose bambine di casa, le tante concepite nella speranza che un maschietto prima o poi sarebbe nato. E’ sorridente ed elegante nel proporsi, lontana da quello che nel nostro immaginario ci aspettiamo recandoci in vista da una signora africana anche se della capitale…con la gentilezza che le è propria ci invita ad accomodarci sui divani del soggiorno e con le mani appoggiate sul tessuto colorato che le copre le ginocchia unite, ci parla del suo amato Modibo, bloccato per un guasto all’auto in Burkina Faso, dove si era recato per lavoro. Al centro della stanza una ciotola di alluminio contiene ancora qualche residuo di cibo, ed il pavimento sul quale è appoggiata porta i segni di un banchetto appena consumato. Sorridente accetta volentieri le confezioni di profumo che abbiamo portato per le tre signore di casa, un piccolo dono rispetto al grande favore che questa famiglia ci ha fatto accettando di tenere al sicuro nel loro garage la nostra mitica Gazelle. Quando decidiamo di lasciare la casa iniziamo a recitare tutta una serie di saluti e di promesse necessarie per non sembrare scortesi a questi esponenti di una delle culture più cerimoniose del pianeta. Con l’augurio di rivederci un giorno in Europa, per un po’ di shopping ed una bella passeggiata tra le viuzze del centro storico di Bologna, usciamo dal salone e conquistiamo il cancello che si apre sulla strada polverosa. Abraham, che era in nostra compagnia nel corso della visita alla favorita di Modibo, ci spiega alcune dinamiche del menage famigliare di una famiglia allargata…..quando le mogli sono più di una queste si alternano, con turni di uno o due giorni, al disbrigo delle faccende domestiche compresa la preparazione del cibo e l’accoglienza degli ospiti. Immersi nel calore del primo pomeriggio raggiungiamo l’ambasciata del Burkina Faso, che sarà la nostra prossima tappa dopo il Mali, per ottenere il visto di ingresso. Riempiamo il modulo, consegnamo due foto e paghiamo circa 80 euro totali….domani alle 11 i nostri visti saranno pronti. Lascio Vanni ed Abraham diretti di nuovo dall’elettrauto ed all’ombra del giardino dell’Azalai mi immergo nuovamente nella lettura godendo di questo rilassante pomeriggio fino al mio rientro in camera dopo qualche ora…. appoggiati sul mio comodino vedo i tre cd di musica maliana che intendevo acquistare già da tempo poi sento la voce di Vanni che mentre è sotto la doccia mi aggiorna sulle news. Ha sentito finalmente Ismail che gli ha dato appuntamento per le 20 al “Bla Bla”, un localino che raggiungiamo puntuali in compagnia dell’inseparabile Abraham. Deve essere tosto per lui rimanere a casa in compagnia della moltitudine di figli…ben 13, in parte acquisiti dalle sorelle. Ismail, il nostro affascinante amico di origine algerina, è seduto al bancone in compagnia di due ragazze, una italiana ed una quebecoise. Il saluto che ci riserva è caloroso e la cena che condividiamo, infarcita dei racconti del nostro vissuto in questi ultimi mesi di viaggi. Il cibo squisito ed i bei quadri di Pierre Nikiema appesi alle pareti del simpatico localino, rendono ancora più preziosa la serata in compagnia del simpatico Ismail. Tra le chiacchiere scruto i grandi pannelli dipinti ad olio dell’artista di Bamako appesi alle pareti…..rappresentano figure sedute o in piedi, dalle chiare valenze tribali, su fondi monocromi. Mi innamoro del “metamorfosi n°11” che è in vendita alla bella cifra di 400.000 Cfa, circa 600 euro che però merita. Ripensando in seguito a quel quadro, mi pentirò amaramente di non averlo acquistato! Dal Bla Bla ci trasferiamo poi alla “Terrasse”, un altro dei locali di moda di questo scatenato quartiere libanese, per un drink ed un gelato. Nel corso della serata, mentre tutti infervorati raccontiamo ad Ismail il nostro progetto di raggiungere Agades e l’Air, un bellissimo massiccio che emerge dalle sabbie del Sahara nel nord del Niger, arriva immediata la delusione. Ismail ci dissuade dall’andare argomentando in modo chiaro che i tuareg nigerini, in ribellione dal 2006 nei confronti dello stato con il quale non hanno ancora trovato un accordo, scoraggiano ogni tipo di intrusione nei loro territori da parte dei turisti stranieri, tant’è che i tour operator hanno cancellato da allora ogni viaggio diretto in quelle sabbie da sogno. Che disastro! Proprio il deserto più bello del Sahara, come dice Ismail, chiuso per sommossa! A costo di farci rapire e depredare di ogni cosa io voglio andare….gli rispondo…. ma Ismail ci consiglia vivamente di evitare e di concentrarci invece su altri obiettivi come il Ghana, il Togo ed il Benin dei quali inizia a suggerire, da guida esperta com’è, eventuali obiettivi da non perdere. Ismail ama il Mali e la sua storia, ce ne rendiamo conto nel corso della serata, mentre ascoltiamo il racconto della storia delle varie etnie che si sono avvicendate nei secoli su questi territori saheliani…dall’XI secolo ai giorni nostri, con tanto di riferimenti e citazioni. Ci consiglia anche di leggere un paio di libri del celebre scrittore Hampaté Ba appartenente alla cultura Peul, la più colta del Sahel, dice….quella dei cantastorie Griot, la prima ad aver tramandato attraverso la scrittura la storia delle genti saheliane. Concentrati nell’ascolto non ci accorgiamo dell’ora tarda….è Abraham a farcelo notare quando raggiungendoci al tavolo, ci dice che è arrivata l’ora di congedarci….domani l’appuntamento è alle 8 in punto. Disturbata dall’interruzione rimugino tra me che il nostro Abraham farebbe meglio a pensare a se stesso, considerando quanto è ubriaco! Prima di lasciare la Terrasse, Ismail lancia un invito per domani sera all’Exodus….ci sarà una bella festa.

02 Dicembre 2008

BAMAKO – SEGOU

Dopo una saldaturina a Gazelle ed il ritiro dei passaporti all’ambasciata siamo pronti per partire…non ha molto senso fermarci un giorno ancora in questa città caotica e poco interessante, quindi dopo una telefonata di commiato ad Ismail, nella quale ci scusiamo di dover declinare l’invito per la festa di questa sera, salutiamo anche Abraham che ci ha nel frattempo scortati fuori città fino al bivio per Segou e diamo così inizio al nostro vero viaggio. Attraversiamo i paesaggi noti della brousse disseminata di villaggi animati dai mercati che trovano spazio tra la bassa vegetazione della savana. Qualche baobab si erge immobile e spelacchiato tra l’erba gialla di questa pianura. Lungo la strada incrociamo un paio di camion cinesi nuovissimi. Sembrano un miraggio considerando i tanti scassati che come contratti dallo sforzo sembrano procedere storti sulla carreggiata rettilinea. Capre e mucche attraversano la strada incuranti del modesto traffico almeno quanto i loro proprietari. Alti dissuasori ci fanno sobbalzare in corrispondenza dei villaggi, a quest’ora animati dalle corse lungo i bordi polverosi della strada dei bambini appena usciti dalle scuole. Altri, troppo piccoli per i libri, giocano trascinando qualche ramo secco nei pressi delle loro case….colori e suoni accompagnano il nostro procedere sulla strada in buone condizioni, verso Segou che raggiungiamo a metà pomeriggio dopo poco più di tre ore di viaggio. Le sue case di fango modellate nelle volumetrie dilavate tipiche dello stile sudanese ci sono note così come l’hotel Dijoliba nel quale prendiamo una camera. Quando poco dopo usciamo per una passeggiata verso il vicino fiume Niger, incontriamo un paio di ragazzi che si ricordano di noi. Uno di loro è l’omonimo di Vanni che si prodiga in un secondo tentativo mirato a venderci una escursione in piroga sulle dolci acque del fiume. Mentre camminiamo riassaporando la discreta vivacità di questo luogo che tanto avevamo amato lo scorso marzo, osserviamo alcune donne che si bagnano in quelle stesse acque dove mesi fa avevamo assistito alle operazioni di scarico delle pinasse gonfie di mercanzie alla luce sempre più fioca dell’imbrunire. La stessa luce fioca di allora accompagna questa sera il bagno di donne e bambini che vediamo immersi nell’acqua bassa vicina alla riva. Altre sono impegnate a lavare pentole ed abiti coloratissimi, altri ancora stanno ad asciugarsi vicino ad un fuoco acceso. Sull’altro lato del piccolo molo alcune persone provenienti da un villaggio diversamente non raggiungibile, stanno scendendo dalla piroga appena ormeggiata mentre altre più lontane circolano sull’acqua immobile, stagliandosi sulle tinte accese di un tramonto appena velato. Mentre percorriamo a ritroso la strada sterrata disseminata di bancarelle che propongono in vendita oggetti artigianali, Vanni vede un ragazzo poliomielitico che si muove a gattoni tra la polvere….abbiamo trovato il nostro uomo! Sistemiamo le stampelle abbassandole al punto giusto e le diamo a Mohamed che subito le prova con un certo sforzo, ma con un sorriso di grande felicità. Il giovane ragazzo potrà finalmente procedere a testa alta lungo la strada anziché trascinarsi con il viso troppo vicino alla polvere. Un gruppetto di persone ora circonda curiosa la scena, una signora si commuove…..che bel momento! La temperatura ora è perfetta….né freddo né caldo, stiamo in perfetto equilibrio termico vestiti solo della nostra maglietta di cotone seduti all’aperto in un tavolino dell’hotel in attesa della cena…..non passa nemmeno un’auto e la luna disegna una falce perfetta mentre noi ci accorgiamo di essere sempre più felici.

03 Dicembre 2008

SEGOU – MOPTI

Il sonno è così profondo e ristoratore qui in Africa, che finiamo col partire solo alle 11, dopo una bella colazione accompagnata dall’ottimo succo d’arancia del Djoliba. Il finestrino di Vanni ora non fa più pernacchie….infastidito dall’imbarazzante rumore, ha provveduto ad incastrare tra il vetro e la guarnizione un pezzo di gommapiuma che però gli impedisce di far scendere il vetro….non si può avere tutto. I 400 km che ci dividono da Mopti scorrono via lenti tra paesaggi sempre leggermente diversi punteggiati da grandi acacie, baobab ed altre varietà a noi sconosciute di alberi enormi. I villaggi costruiti in banco ( fango + paglia + sterco ) sembrano castelli di sabbia, leggeri ed eleganti, fatti della terra che tornerà un giorno ad adagiarsi al suolo…..l’edilizia più sostenibile che abbia mai visto! Essendo da poco terminata la stagione delle piogge la brousse è disseminata di pozze d’acqua limacciosa affollate degli animali che vi si abbevarano in compagnia dei loro proprietari Peul, l’etnia nomade di allevatori per eccellenza riconoscibili dai loro copricapi a cono di cuoio e paglia. La brousse è splendida nei suoi colori resi diafani dalla luce intensa del mezzogiorno. La vivacità, brulicante ad ogni centro abitato che attraversiamo, sembra non arrestarsi nemmeno in queste ore più calde della giornata. Impossibile fermarsi anche solo per scattare una foto. Quando lo facciamo, i bambini circondano immediatamente Gazelle e chiedono urlanti un cadeau, i visi contratti da un’aggressività quasi innaturale. Alcuni di loro prendono a pugni la carrozzeria quando rinunciatari decidiamo di proseguire senza scendere. Verso le 15 arriviamo al “Y a pas de probleme” di Mopti, il nostro hotel preferito di tutto il Sahel, per via della sua bella terrazza sulla città. Appena scendiamo alcuni locali ci riconoscono. Il ragazzo della reception, ed Amadou, l’handicappato su sedia a rotelle che subito lamenta di non aver ricevuto risposta alla sua mail di qualche tempo fa. Subito dopo aver preso possesso della camera usciamo a bordo di Gazelle diretti al Bar Bozo che raggiungiamo a fatica attraversando l’area del mercato Bozo (l’etnia di pescatori del fiume Niger) che si sviluppa sui bordi del porto naturale sul fiume Niger. E’ difficile rendere a parole l’idea del casino che dobbiamo affrontare per raggiungerlo….fatto di corpi, carretti, bancarelle, motorini, animali e cesti gonfi di pesce essiccato. Il paragone con gli esploratori che si fanno strada nella foresta a colpi di machete penso possa rendere l’idea della nostra impresa. Raggiungiamo la punta estrema del porto, affollato di pinasse cariche di mercanzie, dopo un tempo che sembra enorme rispetto alle poche centinaia di metri percorsi, ma finalmente siamo al Bar Bozo, una istituzione qui a Mopti per via della sua terrazza sul fiume e sul porto. Da qui possiamo ammirare, comodamente seduti a bere una bevanda ghiacciata, tutto il trambusto legato all’acquisto ed alla vendita delle mercanzie, lo scarico e carico delle stesse dalle pinasse in sosta e l’andirivieni di passeggeri sulle affusolate piroghe sospinte dai barcaioli nell’incessante movimento della lunga pertica affondata nel letto del fiume.
Dalle acque gonfie del fiume emergono in lontananza piccole isole deserte. Sulla sponda opposta, a qualche centinaia di metri da noi, intravediamo un villaggio dalle inconfondibili capanne circolari di paglia tipiche dei pescatori Bozo che vediamo impegnati nelle operazioni di lancio delle reti dalla prua sottile delle loro piroghe. Essere di nuovo qui è una gioia grande per noi che avevamo lasciato Mopti a malincuore. Immersi nel trambusto del mercato contrapposto al tranquillo fluire del grande fiume alle nostre spalle, osserviamo le pinasse dalle prue disegnate che lo solcano sospinte dal movimento agile di corpi snelli e scuri. Quando al tramonto usciamo dal bar Bozo Vanni si ferma a parlare con un ragazzo che lo aveva agganciato per vendergli il solito giro in pinasse che ormai per partito preso non faremo mai. Si chiama Sidi ed è amico di Abraham, la nostra guida di Bamako, che prontamente chiama per un saluto….La camera dell’hotel è ampia e molto africana, nel senso che le piastrelle del pavimento sono brutte e posate male. Alle pareti sono appesi parei colorati nelle tinte naturali tipiche del luogo, ed i cappelli a cono di cuoio e paglia degli allevatori Peul. La zanzariera appoggiata su un baldacchino di profili di legno grezzo lascia intravedere il colore verde slavato delle lenzuola che coprono il grande e comodo lettone. Tende nere a sgargianti disegni gialli nascondono le finestre mentre le due pale fissate al soffitto sono immobili per via dell’aria fresca di questa sera….il bel tepore serale di Bamako e Segou è ormai solo un ricordo. Il dramma si manifesta in seguito ad una accurata ispezione della mia cicatrice sul piede….vedo un paio di pallini scuri che ahimè non sono crostine come speravo, ma pezzetti di filo che il chirurgo di Bamako si è dormito….per questo mi faceva così male appoggiare il piede. Tragedia! Armato delle pinzette per sopracciglia Vanni con delicatezza estrae il filo più visibile, ma l’altro devo andare a cercarlo tra i tessuti molli, frugando, tremolante, con le pinzette per riuscire ad afferrarlo….vedendomi in difficoltà ed in lamenti è ancora Vanni ad estrarre il secondo pezzetto….che dolore!….ma sono salva. Crolliamo stremati per lo stress.

04 Dicembre 2008

MOPTI

Che freddo che fa oggi! L’Harmattan, il vento che arriva dal deserto, soffia veloce portando con sé polvere e freddo….se il clima non migliorerà rinunceremo all’escursione di domani sul fiume per la quale abbiamo già cambiato idea un paio di volte. Essere qui per soffrire il freddo non fa per noi… figuriamoci cosa sarebbe essere in mezzo all’acqua oggi! Ce la prendiamo con calma…la colazione tardi in terrazza si anima con l’arrivo improvviso di Sidi che non ha intenzione di mollare sulla gita sul fiume. Beve un caffè in nostra compagnia e chiacchiera curioso di sapere chi siamo e cosa facciamo, ma soprattutto vuole garantirsi l’organizzazione del nostro tour in pinasse. sul cui argomento torna in diverse occasioni. Quando rientriamo in camera la temperatura dei nostri piedi gelidi ci convince a tornare sotto le coperte rimandando così di un pò il nostro sopralluogo al mercato tra la polvere ed il casino. Quando finalmente usciamo il cielo è velato e l’aria troppo fresca per i nostri gusti. Ci infiliamo sul taxi familiarizzando subito con il giovane autista…simpatico ed intraprendente….che si propone di accompagnarci in visita a questo mercato settimanale che a differenza di quello Bozo, non abbiamo mai visto. Ci spiega l’origine e l’utilizzo dei tanti prodotti che affollano gli spazi del vivace mercato delle donne del giovedì. Pesci, verdure e spezie, donne e gli immancabili bambini al seguito, tutti accovacciati accanto ai prodotti in vendita in un trionfo di colori sorrisi e odori. Vediamo anche l’angolo dedicato alla colorazione dei tessuti, dove recipienti di alluminio sono pieni del liquidi nei quali i tessuti saranno immersi. I macellai rappresentano una eccezione al tema tutto femminile del mercato…ma l’uccisione degli animali e la vendita della carne è affare da uomini qui. La capretta ancora viva, legata sotto il banco pieno della carne di altre capre già macellate, è un quadretto a dir poco straziante ma emblematico della freschezza del prodotto in vendita. Passeggiando vediamo in un angolo delle signore anziane che non avendo nulla da vendere, offrono in cambio di un modesto compenso, il loro servizio di pulizia dei pesci appena acquistati dai loro clienti. Quando le squame e le viscere sono state tolte,dal pesce, ne incidono i due lati con tagli profondi e paralleli affinché il condimento scenda ad insaporirne in profondità la polpa. A giudicare dallo smercio di pesce fresco visto nei vari mercati, questo fiume Niger deve rappresentare una delle principali risorse alimentari dei paesi che hanno la fortuna di vederlo scorrere sui propri territori. Incuriosita dai minuscoli sacchetti di plastica trasparente pieni di condimenti, finisco col fare anch’io il mio acquisto…..speghettini disidratati da aggiungere alle zuppe, cipolla secca sminuzzata e cipolla in polvere concentrata. chissà che brodini preparerò a Vanni al nostro rientro! Quando ci spostiamo al piano superiore, nello spazio chiuso dei laboratori artigianali degli uomini, tutta la bellezza e la vivacità che ci avevano accompagnati fin qui sparisce di colpo. Nessuno di loro sta lavorando…in realtà si tratta di uno spazio di vendita di prodotti eseguiti da altri e questo toglie ogni interesse al nostro essere qui. Usciamo velocemente incalzati dai richiami dei commercianti che non vogliono lasciarsi sfuggire l’occasione rappresentata da due bianchi di passaggio, gli unici nello spazio del mercato.
La città brulica di sacchi di miglio, alimento base della dieta africana. Deve essere terminata da poco la raccolta ed il prodotto si vede ovunque contenuto in grandi sacchi plastificati…..trasportato su carretti, sulle spalle o sui portapacchi straripanti dei taxi brousse. Vanni si informa sul suo costo…. tanto per avere un termine di paragone e soprattutto per curiosare un pò….che ammonta a 15.000 Cfa, circa 23 €, per un sacco da 100 kg,….e già che ci siamo chiediamo anche del montone, che viene venduto ad un prezzo, variabile per le dimensioni, compreso tra 30.000 e 50.000 Cfa, 45 e 75 €. Ne vediamo a centinaia, trascinati dai loro venditori o, ancora vivi, trasportati sul tetto agli autobus. Parzialmente infilati dentro a sacchi dai quali esce solo la testa cornuta, sono completamente immobilizzati nella loro corsa verso il sacrificio che avverrà l’8 dicembre, in occasione della festa musulmana del Tabaski ….. tra pochi giorni. Tutte le famiglie sgozzeranno quel giorno il loro montone…..ed io rimarrò chiusa in camera per non sentirne i lamenti o peggio vedere spargimenti di sangue. Giorno di festa per loro e di lutto per me che rabbrividisco all’idea di una carneficina. Dal mercato ci trasferiamo all’ombelico di Mopti, l’antichissimo mercato della popolazione Bozo che da secoli si reca qui, sulle sponde del piccolo porto a commerciare, e che noi non ci stanchiamo mai di osservare dalla comoda terrazza….essendo uno degli “spettacoli” più belli visti qui in Mali. Oggi poi l’evento è particolare… trattandosi dell’ultimo mercato prima della grande festa, godiamo dell’apoteosi del traffico di pinasse stracolme ,in partenza dal piccolo porto. Quelle che ieri vedevamo ormeggiate semivuote in fondo al piano inclinato della banchina ora sono colme dei prodotti da portare ai villaggi sul fiume. Letteralmente debordanti di secchi, sacchi, stie, bacinelle,montoni e uomini pronti alla partenza. Le pinasse più grandi appartengono ai commercianti che rivenderanno nei loro villeggi le mercanzie acquistate qui a Mopti. Arrivano fin qui da Timbuctu, Segou e dai villaggi sul grande fiume. Il loro rientro sarà festeggiato con una piccola festa…..del resto qui ogni scusa è buona per festeggiare! Partono poco prima del tramonto cercando di non scontrarsi all’‘interno del bacino del porto, poi sfrecciano lanciando al massimo i loro potenti motori da camion….la linea di galleggiamento bassa per via del peso del carico, sembrano affondare.E’ come assistere ad una grande festa oggi qui a Mopti…e noi finiamo con l’innamorarcene sempre di più…..per la sua vivacità verace e per la gioia che trasmette sentirsene spettatori. Come venti anni fa avevo desiderato di trasferirmi a Marrakesh, ora vorrei rimanere qui, nel cuore pulsante del Mali…..un sogno del quale però mi stancherei dopo pochi giorni, quindi tanto vale partire….anche questa volta vince il nostro spirito nomade. Prima di rientrare in hotel facciamo qualche acquisto preceduto da estenuanti contrattazioni….si tratta di due sculture rappresentanti uomini a cavallo riconducibili per stile alla tradizione dogon. La più grande è di legno chiaro e l’altra di pietra…..praticamente un macigno che porteremo con noi come una palla al piede….ma mi piace molto e l’acquisto è irrinunciabile. Anche Vanni si lancia nell’acquisto del suo oggetto preferito…..i frutti del baobab decorati con forellini circondati da cerchi concentrici leggermente scavati nella superficie della scorza legnosa. Attraverso quei piccoli fori gli artigiani inseriscono dei sassolini che quando agitati all’interno del frutto vuoto, emettono suoni simili a quelli delle maracas. Sono molto carini e lui li impiegherà per creare i suoi famosi tavolini. Nel corso della cena prendiamo la decisione definitiva relativamente all’escursione in pinasse……è troppo da turisti….domani partiremo diretti a Gao, l’unica città del Mali che ancora non abbiamo visitato.

05 Dicembre 2008

MOPTI – HOMBORI

Partiamo dopo aver portato a termine la nostra missione presso il centro handicappati di fronte all’hotel. Li conosciamo bene….i visi di questi ragazzi sono immortalati nelle foto del nostro precedente viaggio qui e notiamo che non sono affatto cambiati in questi pochi mesi. I loro sorrisi li rendono davvero speciali. Hanno predisposto ciò che avevo chiesto, un cartello di ringraziamento a Germana e Giovanna che ci hanno affidato un piccolo gruzzolo da donare in beneficenza a nostra discrezione. Sono pronti per lo scatto, quindi Immortalo il gruppo ed il cartello che renderà un pò felici le nostre vecchiette forlivesi. In primo piano a sostenere il cartello c’è Amadou, il leader del gruppo che ha avuto il coraggio, dopo aver ricevuto l’offerta per il centro, di chiedermi con una certa arroganza dell’altro denaro a titolo personale. Che maleducato! Partiamo immediatamente dopo i saluti, siamo diretti ad Hombori, una tappa intermedia necessaria per raggiungere la lontana Gao. Percorriamo la strada già nota fino a Douenza, ma ci accorgiamo con sorpresa quanto il paesaggio sia cambiato in seguito alle piogge….e soprattutto notiamo, impossibile non farlo, le migliaia di bovini ed ovini che si spostano nella brousse dirigendosi a Ovest. Sono accompagnati dagli allevatori Peul, che camminano al loro fianco. Il capo coperto dagli inconfondibili cappelli, i corpi snelli coperti fino alle caviglie dai loro boubou colorati, si spostano dal Nord verso Mopti in cerca di pascoli sempre più ricchi. Le donne, i bambini ed i pochi beni di proprietà delle famiglie, il pentolame, gli abiti raccolti in fagotti e le canne incurvate che rappresentano la struttura delle loro capanne emisferiche di paglia, viaggiano su carretti di legno a due ruote trainati da muli…..in quella migrazione stagionale che ogni anno li vede attraversare tutto il sahel, dal Niger al Senegal. Il nostro procedere è rallentato, talvolta bruscamente, dall’attraversamento di animali che nascosti dai cespugli sul bordo della strada, compaiono all’improvviso sulla carreggiata…..un paio di volte ci fermiamo a pochi centimetri da loro! Lo spettacolo più sorprendente generato dalle piogge è rappresentato dai tanti laghetti talvolta ricoperti dei fiori bianchi delle ninfee…..che meraviglia! Dopo Douenza il paesaggio pianeggiante si complica di una serie di massicci rocciosi che sorgono isolati nella brousse caratterizzata da una vegetazione di acacie sempre più rarefatta. Altro che Monument Valley! La bellezza ed il numero di questi massicci è sorprendente….e l’assenza di colonne di camper lo rende decisamente più appetibile del famoso parco statunitense. Certo qui mancano le strutture turistiche e le piste per avvicinarsi ai multiformi speroni di roccia e poter apprezzare pienamente questo miracolo naturale…..ma sono così belli e solitari che li preferiamo ai loro gemelli americani. Sono ancora pochi i turisti che si spingono fin qui , nell’area che da un lato è quella paesagisticamente più interessante del Mali, ma che per contro non offre strutture ricettive adeguate al turismo organizzato. Hombori, che raggiungiamo poco dopo, è un piccolo villaggio circondato da picchi rocciosi estremamente pittoreschi, ma dispone di un paio di alberghetti davvero basic, per non dire indecenti e con bagni in comune. Che peccato…..questa sera non sarà semplice addormentarsi col viso appoggiato sui nostri cuscini duri come le rocce là fuori! Siamo al “Campement Hotel Mangou Bagni”. Il nome complicato non deve trarre in inganno, si tratta di una struttura semplicissima costituta da una zona pranzo ospitata sotto ad una tettoia di lamiera ….un paio di tavoli e qualche sedia. Un paio di edifici bassi a stecca ospitano qualche camera spartana e polverosa. L’unica piccola finestra è chiusa con un serramento di alluminio che lascia passare il vento e la polvere. L’arredo spartano è costituito da due letti accostati alle pareti ed un tavolo di legno grezzo sul quale per contrasto le mie creme Praerie sembrano piccoli gioielli. Che spreco! Solo in queste circostanze riesco a percepire l’enormità del nostro spreco, contrapposto all’essenzialità di questo ed altri luoghi africani. La camera non ha pavimento, solo il sottofondo di cemento grezzo…..così almeno non potremo criticare la posa delle piastrelle! Alcune capanne di paglia sono state costruite sul retro, sono emisferiche e terminano in alto con una leggera punta, riproducendo la tipologia tipica della cultura di questa area. Un forno costruito in banco ricorda quelli visti per le strade di Timbouctu ….una signora accovacciata nei pressi sta spennando la gallina troppo magra che mangeremo questa sera, mentre un’altra giovane lavorante sta lavando alcuni indumenti china su un secchio, incurante del figlioletto urlante che come un fagottino è fissato alla sua schiena con un pareo annodato sul davanti. Sono tutti molto gentili qui in Hotel….i loro sorrisi tradiscono la gioia per l’arrivo di qualche turista che si fermerà qui per la notte. Snobbata dai tour turistici tradizionali Hombori stenta a trovare il modo di sopravvivere…..l’allevamento di bestiame e la coltivazione del miglio in modo non intensivo non sono sufficienti a sfamare tutti, soprattutto nei periodi di siccità, ci raccontano. Il turismo potrebbe rappresentare una fonte di guadagno più o meno costante tutto l’anno, se solo non ne fossero così snobbati……ma che dire….mentre mi dicono queste cose lamentandosi, penso alla nostra camera da letto e mi chiedo come potrebbe ad esempio la Franco Rosso proporre ai suoi clienti un posto come questo….nemmeno l’incredibile bellezza del paesaggio circostante potrebbe convincerli a coricarsi in quei letti, sui quali noi abbiamo sistemato i nostri sacchi a pelo, tanto per sentirci almeno avvolti da qualcosa di morbido e pulito. Mi siedo ad un tavolo sotto la tettoia. In compagnia della mia coca cola ghiacciata, scrivo e faccio due chiacchiere con i locali che arrivano numerosi, ma rigorosamente uno alla volta per non affaticarmi. Tutti hanno qualcosa da chiedermi……o da vendermi. Si fa avanti anche un tuareg, che ricopre l’importante ruolo di forgeron del villaggio. Dispone sul tavolino i manufatti artigianali in cuoio tipici della sua etnia….. anche se, a dir la verità, le scatole di cuoio rosso che ho già visto decine di volte, sembrano più di produzione marocchina che non tuareg. Quella del fabbro è nella società dell’Africa occidentale una figura importante, non solo perché guadagnano bene, ma anche perché sono considerate persone d’intelletto dato che per lavorare devono saper fare due calcoli ma soprattutto perché lavorano a contatto con il fuoco, considerato un elemento sacro nella cultura animista africana, anche se islamizzata. Arriva tra gli altri anche un ragazzino, Boureima Maiga, che mostrandomi un quaderno molto ben scritto, sicuramente non suo, mi chiede di sponsorizzargli l’acquisto di un pallone per la sua squadra di calcio …..anzi si stupisce che non ne abbia l’auto piena per poter farne omaggio ai ragazzini africani come lui. Abdou Maiga invece è una guida nata e cresciuta qui. Il suo problema è legato al numero esiguo di turisti che si fermano qui ad Hombori, nonostante lui lo consideri il più bel villaggio del mondo, circondato com’è da questo bel paesaggio roccioso. Già che c’è mi mostra le foto che illustrano il lavoro degli artigiani locali per realizzare i famosi braccialetti di pietra di Hombori. Mi spiega che ogni pezzo presuppone un lavoro di una settimana…..si sa che qui i ritmi non sono certo frenetici, ma comunque trovo l’idea originale e mi faccio rapinare di 30 € acquistandone tre di pietra scura con venature bianche. Sono molto belli ed in qualche modo preziosi per il lavoro che presuppongono….alla fine ne sono fiera! Dopo i due Maiga arriva una guida, il cui viso mi sembra noto, al seguito di un gruppetto di francesi. Parliamo a lungo del Mali ed in particolare di Araouane, nel deserto a nord di Timbuctu…..è sempre bene raccogliere informazioni dalle guide, quando si prestano alle chiacchiere! Stupito dai racconti di quel nostro viaggio verso Taoudenni lo scorso marzo, mi dice che abbiamo avuto fortuna, perché gli risulta che qualche mese fa abbiano rapito, proprio nei pressi di Araouane, due italiani. Il mio pensiero va immediatamente a Paolo e Fausto, i due ingegneri dell’ENI che l’anno scorso ci hanno aiutati ad uscire da una insabbiatura seria arrivando con rinforzi dal loro campo base, poco a nord di quel meraviglioso villaggio. Mi consola il fatto che le notizie qui in Africa arrivano spinte da lunghi passaparola e chissà chi è stato rapito e dove. Prima di cena arriva anche Ousmane Maiga…..dal numero dei questuanti deduco che debba essersi sparsa la voce al villaggio, dell’arrivo in hotel di una assistente sociale! L’uomo estrae dalla sua cartella un quaderno, sempre troppo ben scritto, che mi sottopone. Nella pagina che leggo si chiede, ovviamente, un contributo per la costruzione di una mensa e per l’acquisto di materiale scolastico. Racconta a me e Vanni, che nel frattempo è rientrato dall’officina, di quanto sia dura la vita scolastica degli alunni della scuola di Gallou. Arrivano tutti dai villaggi vicini e quindi devono mangiare presso la scuola che però non ha uno spazio adatto ad ospitarli. Lo stato, dice, non aiuta le scuole che si sostengono attraverso i contributi dei genitori e dei turisti. Strano! Non sappiamo cosa ci sia di vero in ciò che dice, e nemmeno nelle tasche di chi finiranno quei 50 € che lasciamo per il sostegno della scuola. Vanni gli chiede di mostrargli un documento che attesti che lui è un insegnante e che la scuola esista, consapevoli che comunque nemmeno questo salverà quei 50 € dalle sue personalissime tasche. Ci mostra una foto, quella classica che si scatta per immortalare gli alunni, qui estremamente variopinti e disposti su tre file, in compagnia dell’insegnante. Dove finirà il piccolo obolo di Germana e Giovanna non si sa, ma ciò che è certo è che andrà in ogni caso a buon fine, vista la modestia dell’insegnante stesso. La festa del Tabaski rende tutti i musulmani bisognosi del denaro necessario per l’acquisto del montone da sacrificare. I 30.000 Cfa che rappresentano la minima spesa per l’ acquisto non sono una bazzeccola, ecco perché in questo periodo molti venditori propongono i souvenir in vendita a prezzi ribassati. Finalmente la cena viene servita. I locali sono come ipnotizzati di fronte alla televisione, che per l’occasione è stata portata nel cortile. Che buffi. Chissà se la propongono per liberare i turisti della loro presenza almeno durante i pasti. C’è una telenovela su TeleMali alla quale sembra non riescano proprio a resistere…..che meraviglia, così potremo consumare la nostra cena, a base di zuppa di legumi, fagiolini ed omelette ed il polletto rinsecchito per Vanni, con il necessario relax. Dopo aver contemplato per qualche minuto il cielo stellato ci ritiriamo nella nostra camera…..dentro i sacchi a pelo, protetti dalla zanzariera impolverata.

06 Dicembre 2008

HOMBORI – GAO

L’acqua della doccia comune è fredda, quindi ci laviamo sommariamente ed affrontiamo i locali rimasti. Il signore che ieri si era proposto di accompagnare Vanni dal meccanico per sostituire un foglio di balestra rotto, mi confida di non aver ricevuto nulla in cambio…..mentre il signore che gestisce il negozio artigianale cooperativo del villaggio reclama la nostra visita , pronunciando la solita formula rassicurante “ seulement pour le plaisir des yeux”! ….poi è chiaro che la tentazione è forte ed ogni viaggio è in fondo una modalità divertente per aiutare questa povera gente. Esco dal negozio con altri tre braccialetti di pietra che spero piaceranno a Gaia. Poi, prima di lasciare definitivamente il villaggio, la guida locale di nome Abdou ci consiglia di entrare in Burkina Faso attraverso la pista che camion e carretti percorrono ogni martedì per arrivare al mercato di Hombori….se lo facessimo, arriveremmo vicini al famoso mercato domenicale di Gorom Gorom nel nord del Burkina, che vorremmo visitare. Ci penseremo….intanto dopo aver fatto il pieno di gasolio con una pompa a manovella, chiudiamo gli sportelli e partiamo, lasciando il villaggio alle nostre spalle, e con lui anche la bella vista sul Monte Hombori, un enorme panettone di roccia rosata…..il più alto del Mali con i suoi 1.030 metri di altezza. Mentre procediamo verso Gao, facciamo progetti sul nostro prossimo futuro….riflettendo sulle informazioni avute da Kristof, un amico di Ismail, sentito al telefono questa mattina. Il fatto che lavori e viva a Kidal lo rende una preziosa fonte di informazioni per quanto riguarda l’area dell’Adrar des Inforhas poco più a nord, che intendiamo visitare dopo Gao. Ci consiglia di alloggiare al “ Village Tizi Mizi” di Gao e di contattare Joe, una guida con la quale sarà agevole organizzare il tour dell’Adrar a nord di Kidal. Ovviamente, trattandosi di un’area ad alto rischio sicurezza per via dei ribelli tuareg che nel 2006 hanno intrapreso una lotta armata nei confronti dello stato, ancora non del tutto sedata, siamo già decisi ad assoldare per l’occasione una scorta militare che ci protegga durante il viaggio. Mentre ragioniamo sul da farsi, osserviamo le variazioni del paesaggio attorno a noi dove la brousse ha lasciato il posto ad ampie distese semidesertiche libere da vegetazione che ci consentono di vedere molto lontano. All’ingresso di Gao vediamo il lungo ponte sul fiume Niger, che ci consentirà di raggiungere la città senza dover aspettare il traghetto in uso fino a poco tempo fa….. ma ecco che la paletta di un poliziotto ci blocca prima di potervi accedere. Siamo in un posto di blocco della polizia e nascono i problemi di sempre. Chiedono di esibire un documento di revisione dell’auto eseguito qui in Mali, ma sappiamo bene che è solo un tentativo di estorcere qualche CFA a due turisti italiani. Nessuno ci ha mai chiesto nulla di simile, tanto meno al nostro ingresso in frontiera. Mostriamo loro i timbri della revisione dell’auto in Italia, ma il poliziotto insiste per un buon quarto d’ora nella sua richiesta. Spazientita chiedo al capo della combriccola, nel frattempo arrivata a sostenerlo, se è il denaro che desidera veramente da noi. Accenna un sorriso che però si trasforma presto in una smorfia di disgusto….deve aver pensato che non poteva accettare denaro di fronte ai suoi sottoposti. Quindi stizzito ci invita a risalire in auto ed a ripartire….dicendosi offeso per ciò che ho avuto la spudoratezza di dire. Saliamo finalmente sul ponte, ma Vanni è furioso….dice che potevano arrestarmi per offesa a pubblico ufficiale e per tentativo di corruzione….ha sempre paura in questi casi….ma io proprio non sopporto di sentirmi la vittima di chi la legge dovrebbe farla rispettare e non usarla in modo improprio per fini squisitamente personali. L’hotel, che raggiungiamo poco dopo, è costituito da un gruppo di bassi edifici a stecca distribuiti attorno ad una piacevole area comune organizzata con tettoie e piccoli giardini. La camera è scassata quasi quanto quella di ieri, ma ormai siamo rassegnati ed in ogni caso non esistono alternative a questo se non peggiori. Regine, la signora francese che gestisce l’hotel, ci riceve ed ascolta attentamente la nostra richiesta di incontrare Joe per organizzare il nostro tour dell’Adrar. E’ sbalordita che qualcuno voglia affrontare il rischio di una simile impresa, ma manda qualcuno a chiamare Joe che arriva dopo una mezz’ora che trascorriamo a cercare di sopravvivere alla canicola di questo primo pomeriggio bevendo bevande ghiacciate. Stupito, al contrario di Regine, per il nostro timore di un eventuale pericolo rappresentato dai tuareg nell’Adrar, cerca di rassicurarci in tutti i modi ed esclude a priori che si debba ricorrere alla scorta militare. Organizzerà per noi un incontro con il capo dell’agenzia Timitrin Voyages, il signor Badi Faradji, che sarà di ritorno a Gao domani mattina. Ne approfittiamo per andare ad esplorare la città in compagnia di Joe. I bassi edifici di banco alternati a quelli di chiara matrice coloniale, su due o più piani ed articolati in un leggero movimento volumetrico, con porticati e balconi, affacciano sulle strade principali, larghe ed in parte asfaltate della città, percorse soprattutto da motorini e da qualche carretto di legno. In breve raggiungiamo la Tomba Askia, l’edificio storico più famoso di Gao. Si tratta di un edificio a forma piramidale, fatto realizzare nel 1450 dal re Askia di ritorno dall’Egitto. Costruito secondo la tradizione, in banco, il volume della tomba è trafitto dai bastoni di legno che ne sporgono ortogonali secondo i canoni tradizionali degli edifici religiosi ad uso pubblico. Questi bastoni sui quali i locali si arrampicano in occasione del rifacimento annuale del manto esterno, consentono loro di raggiungere anche le parti più alte dell’edificio, agevolando così i lavori senza bisogno di montare delle impalcature. Saliamo anche noi, seguendo però la scala stretta che è stata ricavata sul profilo della piramide a gradoni. Raggiunto il vertice, godiamo di un bel panorama sulla città e sul fiume che scorre a qualche centinaio di metri da qui. Leggermente defilata, la grande duna di sabbia rosa, risalta per contrasto sul verde della vegetazione attorno al fiume….è uno spettacolo davvero suggestivo….soprattutto per via della magnifica duna. Scendiamo per poi entrare all’interno della coeva moschea adiacente, realizzata sobriamente come una grande scatola bassa di banco, senza decori, ai piedi dell’imponente tomba. Entriamo scalzi sul pavimento di sabbia e camminiamo tra i possenti pilastri rastremati che sostengono la copertura e che formano i sette ambienti stretti e lunghi della preghiera. Possono contenere fino a 200 fedeli ognuno, per un totale di 1.400 uomini e 400 donne nella sezione distaccata, sull’altro lato del cortile. Il custode che ci accompagna ci spiega che i muezzin sono più di uno, ma è il capo che officia il rito. La luce ormai debole del tramonto rischiara solo gli ambienti vicini alle porte di ingresso che lasciamo alle nostre spalle mentre ci dirigiamo verso il luogo di preghiera dell’Imam, illuminato da tubi al neon. La porta chiusa che vediamo di fianco alla nicchia si affaccia su un ambiente che accoglie i membri della giustizia islamica che sono interpellati in caso di discordie soprattutto familiari. La giustizia vera è fuori da qui, ci dice, nei tribunali civili. Ascoltiamo la breve spiegazione del custode, poi usciamo nel cortile dove Vanni formula la sua domanda, classica in queste circostanze….chiede se può andare a pregare in moschea con loro più tardi. La risposta è si…purchè sia disposto a rispettare il rito delle abluzioni e dell’inchinarsi al Dio. Sia Joe che il custode condividono con Vanni l’idea che se un Dio esiste è unico e non importa qual’è il suo nome o la modalità della preghiera….che apertura mentale questi ragazzi di Gao!! E‘ un sollievo sapere che l’integralismo non è la prerogativa di tutti i musulmani. Raggiungiamo la riva del fiume affollata delle immancabili piroghe le cui prue affusolate si delineano scure contro la luce rossa del tramonto. Qualche fuoco è acceso qua e la. Asini si muovono lenti cercando qualcosa da mangiare tra la polvere dello spiazzo, mentre qualche avventore raggiunge le signore ai “fornelli” sotto piccole tettoie di lamiera…..sembra impossibile ma illuminato da questo splendido tramonto questo luogo fatto di nulla ha un grande fascino. Poco dopo la visita della città, Vanni telefona ad Abraham, la guida di Bamako, che non è affatto daccordo con l’ottimismo di Joe. Dice che alcuni tuareg che guidano i turisti sono a volte i complici dei briganti che aspettano il momento giusto per tendere l’agguato. Simulano l’aggressione alla guida tuareg compiacente, che cade svenuta al suolo, quindi portano via con sé ogni cosa a parte un paio di bottiglie d’acqua necessarie per sopravvivere almeno un paio di giorni nel deserto. Abraham, che lavora nel settore turistico da decenni, non ha mai sentito nominare questo Mr. Badi di Gao e questo non depone certo a suo favore. Ceniamo in hotel, in preda ai dubbi più atroci…..la cosa che appare certa questa sera è che senza scorta militare non ci muoveremo da qui…..poi arriva all’ultima ora il consiglio sensatissimo di Ismail che propone di lasciare Gazelle al sicuro a Gao e andare con l’auto dell’agenzia a fare il tour.

07 Dicembre 2008

GAO

L’appuntamento con il signor Badi Faradji è alle 8.30. Non so come abbiamo potuto accettare un appuntamento così presto…..ci eravamo illusi di poter partire per l’Adrar oggi stesso? Parlando con il signor Badi ci rendiamo presto conto di quanto questa speranza  sia una pura utopia. La festa del Tabaski di domani è l’equivalente del nostro Natale e nessuno è disposto a rinunciare ai festeggiamenti in famiglia, tanto meno il signor Badi, che, poco dopo la stretta di mano e le poche parole spese per la reciproca conoscenza, mette in chiaro questo punto. E’ un vero tuareg, con tanto di ampio boubou color ocra e turbante bianco. I suoi occhi profondi sono di un colore indefinibile, un melange di azzurro e marrone tipico dei tuareg doc, che rende il suo sguardo penetrante ed il suo viso estremamente affascinante. Mentre aspettava il nostro arrivo sotto il gazebo, in compagnia di Joe, ne aveva approfittato per studiare la nostra Gazelle, la toyota che anche lui preferisce. Complici di questo amore condiviso per le Land Cruiser over 20, proseguiamo la conversazione con la rilassatezza di un sano cameratismo. Espostigli i nostri dubbi circa la sicurezza di Gazelle e del suo contenuto nell’Adrar, è lui il primo a proporci di lasciare l’auto qui a Gao. Potrebbe essere effettivamente rischioso viaggiare con la nostra auto per via delle bande di briganti, ed è lui stesso a non volere complicazioni….meglio andare con una delle sue, naturalmente una Land Cruiser HJ80, un pò più recente di Gazelle.  I tuareg dell’Adrar, riconoscendola come sua, ci  lasceranno viaggiare senza tentativi di ruberie….così saremo tutti più rilassati e sicuri. Il fatto che la proposta di lasciare qui Gazelle, sia partita da lui, ci rassicura sulla sua onestà, ed esclude di essere finiti tra le grinfie di una guida collusa con i tuareg ladroni. Mentre conserviamo è evidente che ci sta studiando…..osserva il mio anello con grande malcelata curiosità, chiede come abbiamo portato Gazelle dall’Italia fin qui, che lavoro facciamo per poter viaggiare tanto a lungo, dove avevamo lasciato l’auto a Bamako  lo scorso marzo. Gli raccontiamo quindi di Modibo, del suo lavoro di rappresentanza per Florgres…..rimugina ma non ne capisco il motivo. Ci hanno parlato tutti così male delle popolazioni tuareg dell’Adrar che immediatamente associo la sua elaborazione delle nostre informazioni, ad una eventuale presa in considerazione di un nostro rapimento. Ciò rende l’idea di quanto ci abbiano spaventati i discorsi fatti con tutte le guide maliane con le quali abbiamo avuto modo di confrontarci in questi ultimi giorni. Badi sa che ovunque in Mali si parla di quei luoghi in questi termini, ma non se ne preoccupa. Da un lato è un pò risentito per il fatto che si parli così male dei luoghi nei quali lui è nato ed ha vissuto fino ad un anno  fa prima di trasferirsi a Gao per motivi di lavoro, dall’altra parte il lavoro non gli manca, ed un minor numero di turisti presuppone una migliore qualità degli stessi. Orgogliosi di appartenere a quella nicchia di viaggiatori impavidi, o meglio non facilmente suggestionabili, prendiamo ancora un pò di coraggio e proseguiamo le trattative e con esse anche le chiacchiere.  Gli racconto del mio precedente viaggio nell’Akakus libico, del quale anche lui considera il più bel luogo del mondo, poi inizia a parlare delle bellezze dell’Adrar, diverso, ma non privo di fascino. Ci sono delle piscine naturali di acqua dolce, i cui invasi si sono scavati nei secoli nella roccia,  dei bei graffiti ed il deserto che tutti noi amiamo. Prima di congedarsi ci invita  a casa sua per il pranzo di domani….sarà un onore per noi prendere parte al grande pranzo in compagnia della sua famiglia. Infine ci congediamo. Dopo circa una mezz’ora Joe bussa alla porta della nostra camera per recapitarci il preventivo dei costi del viaggio di 8 giorni, comprensivo di cibo, gasolio, autista e cuoco.Il costo totale di poco più di 900.000 Cfa, circa 1.400 € ci sembra eccessivo, ma prendiamo il nostro tempo, consapevoli che qui in Africa tutti i prezzi sono trattabili. Quando usciamo dalla camera dopo la doccia, il signor Badi è al tavolino ad aspettarci per discutere il prezzo…..o meglio è Vanni a chiedere un piccolo sconto, ma il fiero tuareg non è disposto a mollare nemmeno un centesimo…..al contrario siamo noi a cedere sul numero dei giorni di viaggio che siamo decisi a ridurre a 7. Il percorso sarà lo stesso, ci rassicura Badi, solo un pò più veloce, così diminuiranno i costi di autista e cuoco, cibo ed acqua, ma non quello del gasolio che ovviamente rimarrà invariato. Siamo tutti felici di quest’ultima stretta di mano che sancisce la nostra prossima partenza. Ci congediamo nuovamente. Poco dopo andiamo in banca a prelevare la metà dell’importo totale da dare a Badi e poi in un emporio per acquistare un profumo da regalare domani alla sua consorte, consciuta ieri pomeriggio in occasione di un insuperabile té trois verre consumato nel cortile di casa loro.

Mai visto un museo più misero  di questo che visitiamo qui a Gao. Tre stanzette aperte in occasione del nostro arrivo, contenenti poche cose impolverate e poco interessanti a parte qualche fotografia. La tomba Askia ed il fiume Niger che scorre lambendo la città sembrano davvero le uniche attrattive di questa città polverosa e semplice, dove quasi tutte le strade sono di terra battuta sconnessa e le case di banco non hanno gli elementi decorativi di pregio tipici dell’architettura sudanese. Polvere e confusione, questo potrebbe essere lo slogan di Gao. Dopo averlo scritto già me ne pento, consapevole di aver espresso un giudizio parziale e superficiale. L’atmosfera che si respirava sul lungo fiume ieri sera al tramonto, era davvero magica. I fuochi accesi a rischiarare i locali vestiti nei colorati abiti tradizionali, la fretta legata agli ultimi momenti di luce. I muli  a passeggio nello spiazzo, le bandiere colorate fissate a bastoni sulle pinasse….gli edifici sempre più rosa di fronte al grande fiume che da questa prospettiva sembra estendersi all’infinito come l’oceano. Il colore intenso del cielo senza più sole sul quale i profili snelli delle pinasse si stagliavano neri, come dipinti. Ma torniamo a noi….dopo il museo, la banca e l’acquisto del profumo, raggiungiamo la casa di Badi per consegnargli i 400.000 CFA dell’anticipo pattuito. La famiglia è raccolta per il pranzo all’ombra del muretto che delimita la concessione. Il contenitore di metallo che contiene il cibo è appoggiato a terra, da esso tutti ne attingono con le mani, e poi lo comprimono per farne palline oblunghe che inseriscono agevolmente in bocca. Protetti dal sole la temperatura è piacevolissima. Consegnamo a Badi il piccolo malloppo e continuiamo la conversazione interrotta poche ore fa. Mentre parla, le sue due figlie piccole gironzolano attorno a lui….è così grande l’amore che leggiamo nei suoi occhi mentre le osserva, che ne siamo quasi commossi. Immediatamente dopo mi chiedo come possa lo stesso padre amorevole consentire che le sue figlie vengano infibulate…..ma poi scopriremo in un secondo momento che questa barbara tradizione non fa parte della cultura tuareg….per fortuna! Mentre sto bevendo il secondo bicchierino di té, Badi  mi chiede perché ho smesso di svolgere l’attività di architetto…..gli rispondo che ho scelto di dedicare il mio tempo ai viaggi in compagnia dell’uomo che amo. Mi dice subito dopo che ha un terreno qui in città e che vorrebbe costruire un hotel, piccolo ma carino. L’idea finisce col conquistarmi, anche se non sarà comodo fare la direzione lavori vista la scarsa professionalità delle maestranze locali. Mando subito un sms ad Elisa e Beppe per coinvolgerli nell’impresa….sarebbe una esperienza interessante per tutti noi! Rientriamo in hotel per un bel relax all’ombra degli alberi dell’ampio giardino…..non proprio come lo intendiamo noi….ma qui il pratino se lo possono scordare.  Liquidiamo Joe fino a domani …ci accompagnerà in centro nella mattinata per vedere i locali vestiti a festa. Prima di addormentarmi, mentre osservo il controsoffitto  della camera scassata e sporca mi torna in mente quello crollato sulla classe in una scuola italiana….che brutti pensieri prima di dormire!

08 Dicembre 2008

GAO

Oggi è il gran giorno del Tabaski, Aidel Kebir in lingua locale. Le prime persone che incontriamo a sedere in un tavolino del giardino sono Joe e suo padre che già alle 10.30 del mattino bevono birra. Ci raccontano di aver già fatto il consueto giro di saluti a casa di parenti e amici e di aver portato loro in dono parte del montone sacrificato come forma di cortesia e di buon auspicio. Tornerà alle 12 a prenderci per portarci da Badi, che lui chiama eccellenza…..ubriaco com’è si è dimenticato del giro in centro che ci aveva promesso, per vedere la gente agghindata a festa. Entriamo nel salone di casa Badi, appoggiando i piedi scalzi sui tappeti stesi a ricoprirne l’intera superficie. Due file di materassi sono appoggiati a terra sui due lati lunghi della sala…..un piccolo tavolino sostiene la tv accesa. Solo Badi è seduto con noi sui tappeti del salone e le bambine arrivano ogni tanto a giocare con il padre sempre paziente ed amorevole. La moglie, Mamo, è in cucina a dirigere le due bellà alle prese con la preparazione del cibo. Le tratta senza rispetto, come fossero le sue schiave…..del resto i bellà sono sempre stati gli schiavi dei tuareg, ed anche ora che la schiavitù è vietata dalla legge, l’antica tradizione sopravvive ed i bellà sono ancora di fatto degli schiavi. Da occidentale vivo il privilegio di poter accedere al salone e, comodamente seduta sui tappeti, di poter partecipare alla piacevole conversazione con Vanni e Badi, spesso in veste di interprete. L’argomento cade ancora sul progetto dell’hotel, per la realizzazione del quale, Badi prevede di dover lavorare ancora 4 o 5 anni. La prima portata del pranzo è un piatto di montone arrostito che Vanni e Badi condividono rimanendo seduti sul tappeto. Badi taglia i pezzetti di carne e porge i bocconi più ghiotti a Vanni. Siccome il montone non è tra gli animali che mangio, raggiungo Mamo in cucina per due chiacchiere, anche se non sembra così ben disposta ad aprirsi. Le chiedo perché non viene anche lei in Europa ogni anno in compagnia di suo marito, si vede che muore dalla voglia di vedere l’Italia. Dopo un paio d’ore di attesa trascorse immersi nelle chiacchiere con Badi e, separatamente, con Mamo, arriva un cous cous buonissimo del quale anch’io mi servo. E’ stato preparato con carne di bue….sono stati davvero gentili a preparare un pranzo accessibile anche a me! Conversiamo ancora un pò, poi Badi ci mostra il resto dell’ampia casa Le ore trascorse in sua compagnia ci hanno consentito di conoscere ancora un pò questo tuareg intelligente ed aperto, che conosce i film di Michel Moore e con essi tutti i loschi intrighi della politica Bush. Fa piacere prendere atto che tutte le persone conosciute nel corso dei nostri viaggi hanno la medesima negativa opinione riguardo alla politica estera statunitense…..si tratti di canadesi, messicani, africani o statunitensi stessi. Verso sera Badi ci fa visita in hotel. Non è molto loquace, ma si confida un pò di più e ci spiega perché rimane in Europa un paio di mesi ogni anno. Un tuareg ama la propria libertà sopra ogni cosa, e così dopo aver lavorato duramente nove mesi prende il suo relax in totale libertà……lasciando la famiglia maliana a Gao e godendosi la sua seconda casa…..l’Europa. Ci dice anche che Gaye, il fratello della moglie, nostra guida ed autista, ha predisposto tutto il necessario per il viaggio. Quando lo avevo visto, accanto a sua sorella, in cucina, mi era sembrato timido e buono….avrei preferito il carismatico Badi, ma non si può avere tutto. Domani, tra le 8 e le 8.30, finalmente partiremo.

09 Dicembre 2008

GAO – KIDAL

La Toyota Land Cruiser, generazione 1986, di colore verde scuro arriva puntuale alle 8.30. Sono a bordo Gaye e Gorghi, quest’ultimo in veste di cuoco, Badi ed infine Joe che anche a quest’ora esala l’inconfondibile odore della birra. Scendono ed iniziano i preparativi di carico del nostro misero bagaglio. Un trolley, due sacchi a pelo ed uno spruzzino a pompa che sarà la nostra doccia. Joe ci prende in disparte e ci chiede un prestito di 2.000 CFA che gli rifiutiamo…..gli alcolisti ci fanno pena ma non ci sentiamo di incoraggiarli. Dopo un saluto caloroso a Badi con la promessa di rivederci l’anno prossimo in Italia, partiamo. L’auto è confortevole e ben molleggiata. Sui sedili sono appoggiate le coperte di lana colorata che serviranno loro per coprirsi durante la notte, Gaye guida a velocità sostenuta sulla pista verso Kidal….qualche buca e molta polvere. Animali, acacie ed i pochi villaggi costruiti in prossimità dei pozzi interrompono il nulla di questo paesaggio sempre più desertico che si perde, perfettamente piatto, verso l’orizzonte. Ci spiegano che i pozzi attingono da falde profonde circa 60 metri, per questo vengono organizzate squadre di animali, dromedari o muli, che legati l’uno all’altro, tirano le lunghe corde calate nel pozzo. Il paesaggio si apre in grandi distese a perdita d’occhio…..ogni tanto, il fenomeno di rifrazione della luce ci illude della presenza di enormi superfici d’acqua. Questi miraggi, per noi comodamente seduti a bordo e dotati di tutta l’acqua da bere che desideriamo, non sono poi così emozionanti….Attorno a noi il paesaggio cambia, rocce scure sostituiscono le acacie i cui frutti, piccoli come olive, avevamo appena imparato ad apprezzare come caramelle dal gusto amaro e consistenza gelatinosa. Gay ci dice che i bambini ne vanno pazzi e ci mostra le piccole pietre usate per farli cadere dai rami spinosi. E’ la stessa cosa che fa lui ad un certo punto, quando recuperando un gesto della sua infanzia lancia il sasso e raccoglie il bon bon che ci offre. Eliminata la buccia sottile e secca, rimane la polpa arancione, una sorta di gelatina soda, dolcissima appena la si assaggia ma che sprigiona poi un gusto amaro e profumato. Potremmo definirla la caramella di rabarbaro del sahara. Le rocce sono scure, dalle superfici arrotondate e raccolte in grandi cumuli. Introducono il tema dell’Adrar , la cui parola significa “roccia” in Tamashek, l’antica lingua tuareg. La sosta del pranzo a mezzogiorno in punto ci ricorda il rituale del pranzo di Lamanà per il quale sembrava aver acquisito una sorta di sacralità….. almeno agli occhi di noi inappetenti. Una volta individuata l’acacia più ombrosa stendiamo le stuoie ed accendono il fuoco per cucinare qualcosa, ma soprattutto per preparare il famoso e squisito tè trois verre. Arriviamo a Kidal nel tardo pomeriggio che precede il tramonto, dopo un accurato controllo dei nostri documenti da parte dei militari ad un posto di blocco di questa cittadina che sembra blindata. Percorriamo la strada, ora rosata, fino a raggiungere la casa della famiglia di Gorghi che ci ospiterà per la notte. Il grande cortile circondato da un alto muro di terra cruda è il fulcro delle attività della famiglia, al suo centro è stata costruita una capanna circolare, fatta di stuoie e bastoni flessi ad arco, nella quale dormiremo io e Vanni. Sul suolo di terra battuta del cortile avvengono tutte le attività legate al cibo, dalla preparazione al consumo, ed alla conversazione sempre vivace degli abitanti raccolti attorno al fuoco di cottura. In uno degli angoli del cortile, addossata al muro di cinta, una microscopica stalla costruita con materiale di fortuna, accoglie un montone sempre belante…..del resto come potrebbe non lamentarsi costretto com’è a vivere in uno spazio poco più grande del suo corpo? Nell’angolo opposto un muro ad elle divide lo spazio del cortile da quello della latrina costituita da un foro nel solaio ai cui lati è stato fatto un gradino per rialzare chi vi si accovaccia. Quella che loro chiamano doccia è un contenitore di plastica, a forma di teiera, da avvicinare al corpo una volta riempito per immersione in un secchio pieno d’acqua…..una tazza sarebbe stata la stessa cosa, ma quest’oggetto è molto di moda e viene usato anche per le abluzioni prima della preghiera, le moschee ne sono piene. Il terzo angolo è occupato da un edificio scatolare che rappresenta l’abitazione vera e propria. La semplicità estrema regna sovrana! Gorghi ci presenta alla famiglia, poi inizia immediatamente il rito del tè al quale prendiamo parte molto volentieri. Nel gruppetto dei presenti spicca un certo Ousmane, tuareg senza casa e senza famiglia, come ama definirsi. Un uomo che ha sempre scelto la propria libertà e con il quale nel corso della serata è un piacere conversare, per l’apertura delle sue opinioni, l’ intelligenza e l’acume. Non è solo un uomo saggio, conosce anche una serie di aneddoti che ci racconta tra una forchettata e l’altra dei nostri spaghetti tuareg che consumiamo seduti attorno al fuoco in cortile, in compagnia della famiglia ospitante. Attingono tutti dalla stessa ciotola piena del cibo che afferrano con le mani facendone piccole polpettine comode da infilare in bocca. Sono tutti seduti sulle stuoie di plastica colorate, le due sedie sono riservate a noi due ospiti, così come i due piatti e le forchette. Quando poi, gustando l’ennesimo bicchierino di tè, ne sottolineo la particolare preparazione dal sapore decisamente rituale, Ousmane se ne esce con una battuta che mi fa sorridere….si chiede come passavano il loro tempo i tuareg prima che i cinesi facessero loro scoprire il tè. Ipercritico nei confronti degli imam, ci racconta un paio di cosette circa il trattamento dei malati di mente da parte dei sacerdoti islamici….roba da non credere, sospesa tra la stregoneria animista e la tortura. Non poteva mancare la storiella tuareg relativa alla costellazione Orione…quando sorge bassa ad Est significa che è giunta l’ora di coprirsi perché arriva il freddo dell’inverno. Dopo la cena andiamo a cercare Kristof all’ “école des jeunes”, un centro per la formazione dei giovani di cui lui è uno dei responsabili. Il centro è in festa….una serie di giovani repper tuareg si stanno esibendo sul palco di fronte al pubblico numeroso di adulti e giovani. Sembrano la fotocopia dei giovani artisti europei ed americani, lo stesso linguaggio gestuale e ritmo musicale per non parlare dei classici pantaloni calati che li rendono del tutto adeguati al modello del repper internazionale. E’ incredibile il potere che ha la musica nell’abbattimento delle frontiere e delle differenze culturali…..ne siamo sinceramente commossi. Gustiamo lo spettacolo fino all’arrivo di Kristof, un ragazzo francese di una trentina d’anni, che salutiamo e col quale condividiamo una birra nella tranquillità di un bar semivuoto, nonché una serie di chiacchiere legate all’Adrar ed al suo soggiorno qui. Non è poi così freddo questa sera… ci infiliamo comunque volentieri nei nostri caldi sacchi a pelo di piuma d’oca. Il montone di casa non la smette mai di belare….che palle….è l’unico a non avere sonno.

10 Dicembre 2008

KIDAL – ESSOUK – ADIEL HOC

E’ ancora presto quando ci congediamo dalla famiglia di Gorghi. Dopo aver consumato una buona colazione, servitaci in un tavolino infilato per l’occasione dentro la nostra capanna, salutiamo la madre Aisha, Ousmane e le due giovani sorelle, quindi partiamo per una breve visita al mercato oggi semi deserto per via degli strascichi della festa del Tabaski. Ci riforniamo velocemente di pane fresco ed acqua, poi arriva l’ora dei saluti dovuti a parenti ed amici da parte dei nostri due accompagnatori. Le formalità, delle popolazioni tuareg sono estenuanti, soprattutto nei periodi di festa….quindi appena liberi dalla morsa dei saluti di circostanza che ripetono formule codificate intercalate da innumerevoli “Ça va?” ci congediamo dalla polverosa cittadina di Kidal per addentrarci nell’Adrar in direzione di Essouk nei pressi del quale arriviamo percorrendo una pista polverosa immersa nella brousse. Giunti in prossimità di una serie di rilievi di roccia e sabbia la toyota inizia ad arrampicarsi sulla pista serpeggiante tra rocce scure di varie dimensioni. Arrivati sulla cima ci fermiamo ad osservare la stretta vallata ora sabbiosa cosparsa dei resti dell’antica città di Essouk. Scendiamo infine nel luogo protetto, dove anticamente si adagiava l’oasi rigogliosa, che ospitò la più fiorente e popolata città commerciale del nord del Mali, ora pressoché scomparsa. In quello che fu un attivo centro commerciale, arabi, cristiani ed ebrei convivevano in pace, occupandone i diversi quartieri dei quali ora rimangono , sparse sulla sabbia, solo le pietre squadrate che formavano i muri degli edifici. Il nuovo villaggio desolato sorto lì accanto è costituito da qualche casa scatolare in ordine sparso attorno al pozzo. Molto lontano scorgiamo un magnifico massiccio roccioso immerso nella sabbia…..vorremmo tanto essere là, anziché in questa pietraia ad arrostirci sotto il sole cocente. Quelle cime aguzze e scure mi riportano all’amato Akakus libico che per il momento rimane un miraggio lontano. Tanto per sedare il nostro entusiasmo Gaye ci comunica immediatamente che quelle rocce laggiù non sono accessibili nemmeno con il 4×4….che peccato, il nostro autista proprio non ha voglia di rischiare e noi certo non saliremo su quelle alte dune a piedi! Poco dopo ci fermiamo per il pranzo al quale i ragazzi non rinuncerebbero per nessun motivo…..devono finire il montone della festa! Al rituale del tè segue la preparazione di una insalata di legumi in scatola per noi, condita con una salsa a base di senape, mostarda, olio ed aceto…squisita. Visto che ormai l’hanno preparata un assaggino lo facciamo. Seduti sulle stuoie, accarezzati dalla brezza fresca che soffia sempre durante il giorno, ci rilassiamo bevendo un bicchierino di tè ed assaporando l’ottima insalata. Siamo all’ombra di una enorme acacia, l’ unico albero che riesce a vivere nel deserto ed i cui rami secchi rappresentano l’unica risorsa per poter accendere un fuoco. Dopo la siesta ripartiamo diretti a Nord,. Siamo immersi nel paesaggio dell’Adrar caratterizzato da ammassi di rocce scure, poste talvolta in equilibrio precario, che segnano il territorio con leggeri movimenti…..come se la brousse piatta si fosse dotata di dune di roccia frammentata in pezzature sempre diverse. Poco prima del tramonto arriviamo nei pressi del villaggio di Adiel – Hoc. Addentrandoci nella brousse alla ricerca di un luogo adatto dove fare il campo, vediamo diversi accampamenti nomadi e gruppi di animali che pascolano nei pressi…..troppa gente per noi che quando siamo nel deserto vogliamo stare soli. Per assecondare il nostro desiderio andiamo ancora oltre, fino a sfiorare un paio di promontori di roccia scura in prossimità dei quali ci fermiamo e predisponiamo il campo scaricando dall’auto il necessario. Gettiamo al suolo le stuoie, i materassini di gommapiuma, i nostri sacchi a pelo….ma poi la sorpresa arriva come una doccia fredda…..il signor Badi ci ha fregati! Non ha dato ai ragazzi la tenda ad igloo che aveva promesso quando gli avevo espresso la mia paura dei serpenti…dovremo dormire all’aperto, sotto le stelle ed in balia degli animali notturni. Vestiti senza molte variazioni rispetto ad oggi, ci infiliamo dentro i nostri sacchi a pelo….ingombrati come siamo dagli abiti non è semplice girarsi però poi ci rilassiamo ed osservando le stelle cadiamo in un sonno profondo dal quale ci destiamo solo all’alba.

11 Dicembre 2008

ADIEL HOC – TASSIGDIMT – IN TEMSE’

Che bella dormita questa notte….senza montoni lamentevoli o il chiacchiericcio di casa Gorghi. La luna piena poi rendeva tutto più affascinante e meno sinistro, rischiarando la notte di un bagliore diffuso….e che emozione sentire gli ululati lontani dei cani, provenienti dagli accampamenti nomadi dislocati nei paraggi. La paura che un animale di passaggio potesse infilarsi nel mio sacco a pelo ha ceduto presto il passo ad una sana spossatezza che mi ha precipitata in un sonno profondo. Mi sveglio alle prime luci dell’aurora, quando ancora il sole non è sorto dall’Est di fronte a noi. Dormono ancora tutti immersi nel silenzio magico del deserto, quindi cedo ad un altro sonnellino. La palla infuocata ora è alta sull’orizzonte ed i nostri due tuareg sono già attivi attorno al fuoco acceso….stanno preparando la colazione. Dopo l’abbraccio del risveglio consumato castamente per via della totale assenza di privacy, ci incamminiamo in compagnia di Gaye verso il vicino sito archeologico. Dopo aver superato il letto di un fiume asciutto e sabbioso, dietro un cespuglio di acacie vediamo l’ ammasso di pietre scure sul quale gli antichi abitanti dell’Adrar lasciarono testimonianza di sé incidendo graffiti sulle superfici piatte di alcune pareti verticali. Dalle immagini che vediamo disegnate, capiamo che un tempo, in quest’area geografica ora desertica, l’uomo viveva in compagnia di giraffe, cavalli e buoi. Uomini armati di lance li cacciavano e poi scrivevano accanto alle immagini che li ritraevano parole ad oggi indecifrabili. I simboli che utilizzarono sono gli stessi dell’alfabeto Tamachek, ma la composizione in parole incomprensibili fa supporre che nei secoli il loro significato si sia modificato. Ci aggiriamo attorno al gruppo di massi scrutando le figure stilizzate e le parole verticali che sembrano ricamate sulla roccia….la temperatura è ancora accettabile e ne approfittiamo per compiere con calma la nostra perlustrazione. Carichiamo di nuovo tutto in macchina e ci dirigiamo verso l’oasi di Tassigdmit, che vediamo prendere forma nella vallata verde e popolata. Non vediamo costruzioni, ma le persone che ci vengono incontro al nostro arrivo e poi dromedari, asini e montoni sempre presenti negli insediamenti. Come in tutte le spedizioni nel deserto che si rispettino, nell’attraversare uno uado, ci insabbiamo. Arrivano in soccorso 4 uomini snelli ma forti che subito iniziano a spingere, le mani ben piazzate sul posteriore della Land Cruiser. Quegli stessi ci raggiungeranno poi all’ombra della vegetazione, per condividere con noi il pranzo. Uno di loro porta in dono un’anguria dolce ed appena rosata. Mentre io e Vanni passiamo il nostro tempo osservando la cartina stradale per cercare di individuare il luogo nel quale ci troviamo, il gruppetto tuareg non la smette più di chiacchierare nell’incomprensibile idioma tamachek. Chissà cosa si raccontano, tutti riuniti attorno all’unica ciotola di cibo alla quale attingono seguendo un ordine rigoroso…..quello del pasto è per loro un rito sacro, anche se consumato all’ombra di un’acacia. Più tardi gli adulti lasciano il posto ad un gruppetto di giovani timidi tuareg vestiti all’occidentale. Non dicono una parola, quindi per rompere il ghiaccio sono io a fare qualche domanda nel francese che loro hanno studiato. Dalla breve conversazione emerge che il gruppetto si occupa della cura degli orti nei quali crescono melanzane, pomodori, carote, patate…insomma un pò tutto ciò che serve. Usciamo dall’oasi dopo un paio d’ore, ancora insabbiandoci nell’uado sul lato opposto dell’oasi. Accorrono ancora ad aiutarci…sono gentili. Proseguiamo lungo la pista che attraversa i lievi pendii rocciosi dell’Adrar…sullo sfondo una catena montuosa color cioccolata, qua e la dune di sabbia sono coperte in cima da rocce sgretolate. Siamo nei pressi del campo notturno, ma Gay vuole fare una deviazione alla ricerca di un accampamento nomade dove poter vedere la festa del Tam Tam, abitualmente messa in atto in questi giorni di festa, dalle popolazioni nomadi di qui. La ricerca ci porta infine nel luogo giusto…a Duissacate la festa sta per iniziare! Un gruppo di ragazze sta trasportando un tamburo cilindrico fissato al centro di due grossi bastoni. Indossano i tradizionali abiti lunghi di cotone color indaco, i capelli coperti da un velo nero. I visi scoperti e sorridenti formano ora un gruppo compatto attorno al tamburo appoggiato a terra. Fanno parte del gruppetto tutto femminile anche bambine più o meno piccole e signore adulte, tutte rigorosamente in blu e nero…..alcune di loro iniziano a percuotere la pelle tesa del tamburo, altre battono le mani seguendo il ritmo ed emettono con la bocca il classico richiamo della donna tuareg, animalesco ed erotico. I maschi sono elegantemente seduti sulle selle dei loro dromedari, riccamente decorate con cuoio tinto di verde e tessuti colorati che terminano con frange legate a pon pon….qualcuno ha un fucile legato sul fianco della sella. Dopo qualche minuto di attesa inizia la sfilata dei dromedari che vede i cavalieri spingersi fino a lambire il gruppo femminile seguendo il ritmo del tamburo, come in una danza. Con eleganza lo sfiorano, ruotano attorno ad esso e poi tornano ad allinearsi nella fila leggermente defilata su un lato. Attorno a noi la brousse si spinge immensa fino all’orizzonte tingendosi delle tinte rosate del sole al tramonto. Non potevamo sperare in uno sfondo migliore di questo ad accompagnare il meraviglioso spettacolo tribale che esalta il nostro piacere di essere qui. Di fronte alla bellezza dell’evento percepiamo il grande privilegio e la fortuna di essere arrivati nell’Adrar proprio nel periodo del Tabaski! Siamo gli unici bianchi presenti….i tour operator non organizzano viaggi qui dallo scoppio della ribellione tuareg nel 2006….qualcuno si avvicina a salutarci ed a rassicurarci dicendo che non corriamo nessun pericolo. Ismail ci aveva detto che i tuareg difficilmente uccidono, piuttosto rubano tutto ciò che hai….certo mi dispiacerebbe perdere la macchina fotografica….ma in fondo nemmeno questo è poi così importante. La festa ad un certo punto si complica dell’arrivo di una giovane sposa proveniente da un accampamento vicino. E’ a bordo della Toyota grigia, identica a Gazelle, che si avvicina seguita da un gruppo di dromedari in corsa bardati a festa, ed un camion sul cui retro un gruppo di donne armate di kalasnikov sparano in aria. Il gruppo si unisce alla festa e noi ce ne andiamo diretti al luogo del bivacco serale….Gaye ha paura che la vista di tutti quei fucili possa turbarci….o forse che qualcosa di spiacevole possa infine succederci. Il tempo di fermare l’auto e già un signore spunta dalla vegetazione…..arriva dall’accampamento vicino, là dove arrivando avevamo visto salire una spira di fumo. Materassini, sacchi a pelo, stuoie e l’unico tegame escono dal bagagliaio, infine il nostro comodo spruzzino a pompa con il quale facciamo una piccola doccia nascosti per non essere visti, dietro un cespuglio nei pressi. Il nostro ospite rimane a cena, così come suo figlio che lo ha raggiunto…..ma, pur estremamente loquaci, non ci rivolgono mai la parola….forse non conoscono il francese. La luna piena è velata da uno strato sottile di nuvole diffuso su tutto il cielo, ma il bagliore è comunque intenso. Quando mi sveglio nel corso della notte, il cielo è completamente sereno, il silenzio totale e la luce della luna rende il paesaggio surreale. Che notte!

12 Dicembre 2008

IN TEMSE’ – ISSAWASSENE – ESSEL

I due ospiti della cena arrivano puntuali anche per la colazione che consumiamo verso le 8. La pentola che sbuffa sulle braci contiene montone con patate, mentre noi, a quest’ora inappetenti, ci accontentiamo di un pezzo di pane con marmellata,  ed un bicchierino del loro tè concentrato e gustoso. Ci prepariamo con molta calma caricando le poche cose in auto, salutiamo brevemente gli ospiti e partiamo. Mentre procediamo verso Issawassene circondati dal paesaggio sassoso, rifletto sui ritmi dilatati della mattina….. Dimostrano che dormire vestiti non riduce affatto  i nostri tempi di preparazione…anzi….doverci svestire per lavarci anche solo sommariamente diventa semmai una complicazione. La temperatura notturna decisamente bassa non offre  però alternative al maglione di lana ed ai pantaloni, nonostante ci avvolgano gli 800 gr di piuma d’oca dei nostri sacchi a pelo. La totale assenza di privacy rende inoltre impossibile denudarsi, e nel caso di un bisognino notturno è meglio uscire dal sacco a pelo con i pantaloni già inseriti….il senso del pudore dei nostri accompagnatori è rigidissimo e l’imbarazzo di Gorghi di questa mattina, quando portandomi un bicchierino di tè mi aveva vista seminuda nascosta dietro l’auto, è significativo del loro cattivo rapporto nei confronti dei corpi altrui. Che tenero Gorghi….perché fosse chiaro a Vanni che non era sua intenzione guardarmi, si è nascosto dietro di lui e gli ha consegnato il bicchierino appiccicoso pieno di tè…..per fortuna avevo già indossato il reggiseno altrimenti chissà…..forse sarebbe svenuto! Attraversiamo nuovi territori dell’Adrar, inospitali per via degli ammassi di rocce scure che   ne ricoprono il suolo ondulato…..ma ecco qualche oasi spuntare tra il paesaggio ad ammorbidirne l’immagine. Arriviamo nei pressi della località di Issawassene verso mezzogiorno. Lasciamo l’auto all’ombra debole di un’acacia e proseguiamo a piedi verso le piscine d’acqua delle quali il signor Badi ci aveva parlato come di un luogo particolarmente suggestivo. Il caldo è soffocante mentre camminiamo salendo tra le pietre fino a raggiungere un piccolo spiazzo sabbioso all’ombra di un’alta parete rocciosa. Sarà il nostro campo base. Ricominciano i rituali legati alla preparazione del fuoco e quindi del tè.

Preparano per noi la solita insalata di verdure in scatola, con sardine marocchine, che assaggeremo appena e per loro il montone accompagnato da pasta. E’ Gorghi ad accompagnarci alle piscine poco più a monte….procediamo a fatica tra le alte rocce granitiche levigate dall’erosione, fino a raggiungere il bellissimo sito delle vasche naturali scavate dall’acqua nella pietra grigia. L’acqua ha un bel colore intenso nelle tonalità del verde, le vasche hanno dimensioni e forme variabili, circondate dalle rocce che le delimitano. E’ davvero spettacolare questo luogo. Le vasche più profonde sarebbero perfette per un bel tuffo, ma le notizie poco rassicuranti raccolte a Kidal l’altra sera, ci impediscono di farlo….che peccato…la temperatura sarebbe perfetta! Kristof ed il suo collega sostenevano che quelle acque  contengono le larve del Verme di Guinea che infestano buona parte delle pozze d’acqua stagnante dell’Africa occidentale. Si tratta di larve visibili solo al microscopio, che entrano nel corpo se ingerite o attraverso la pelle e si sviluppano all’interno dell’organismo fino a raggiungere, nell’arco di circa nove mesi, dimensioni di un paio di metri.  Escono poi attraverso i piedi con grande sofferenza per il soggetto che suo malgrado li ospita. Gaye, quasi risentito per la nostra giustificata reticenza a tuffarci, sostiene che quella delle piscine non è acqua stagnante, ma sgorga da una sorgente a monte, e che il Verme di Guinea si trova solo nelle pozze dove gli animali defecano e bevono. Considerando la gravità dell’effetto, nel dubbio ci asteniamo comunque dal toccare quell’acqua invitante, limitandoci ad osservare la bellezza di questo luogo incantevole. Tornati al campo base, leggiamo sul nostro telefono satellitare le coordinate geografiche di questo paradiso nascosto tra le rocce…..nell’intento di renderlo accessibile anche a chi intenda arrivare senza l’aiuto di una guida. ( Lat. 19°35‘2.57’’ N – Long. 1°05‘49.24’’ E – Altitudine 521 metri slm ). La sosta nel piccolo spiazzo si protrae a lungo, rendendo anche questo pranzo una sorta di banchetto. Per ingannare il tempo Vanni parte a piedi percorrendo a ritroso parte del sentiero tra le rocce…..io invece aggiorno il diario e bevo il tè preparato con l’acqua delle piscine….nella speranza che le larve non siano resistenti alla bollitura!  Dopo un tempo imprecisato speso nel relax, e nel godimento del bel panorama sulla vallata desertica che vediamo leggermente defilata, abbandoniamo lo spiazzo protetto dall’alta parete rocciosa  e scendiamo verso l’auto che raggiungiamo dopo  mezz’ora di cammino. Siamo ancora in compagnia di Bilel, l’amico di Gaye che era spuntato dal nulla poco dopo aver parcheggiato l’auto sotto l’acacia. Alto come un vatusso e molto magro, Bilel ha condiviso con noi l’escursione alle pozze, condendola di sorrisi e parole dette in un idioma a noi incomprensibile. Non avendo nessuna intenzione di lasciarci andare via così presto, sale in auto con noi e insieme raggiungiamo, in località Essel, un meraviglioso gruppo di massi arrotondati dove faremo il nostro bivacco. Mentre arriviamo assistiamo al raro spettacolo naturale del sole che sta tramontando ad Ovest e la luna che, enorme ed ancora grigiastra,  sta sorgendo ad Est. Che meraviglia! Il cielo intanto si colora di rosa e con questa luce le rocce sembrano ancora più belle. Questa sera i nostri cuochi si esibiscono nella preparazione del tradizionale Tagillà ovvero “pain de sable”, per la preparazione del quale avevamo provveduto all’acquisto di un pò di farina presso un accampamento incontrato lungo la pista. Mi piacque molto quando lo assaggiai nell’Akakus libico….. poterlo mangiare di nuovo è un grande regalo che questi ragazzi ci fanno. Bilel inizia ad impastare la farina con l’acqua, questa volta attinta da un pozzo ed assolutamente incontaminata, aggiunge una presa di sale continuando a rigirare l’impasto con le sue dita enormi, fino a renderlo compatto ed omogeneo, quindi allontana le braci dalla sabbia ed appoggia sulla sabbia calda il disco di pasta. Ricopre con un sottile strato di sabbia ed infine con le braci. Dopo mezz’ora di cottura, il disco viene girato e ricoperto di nuovo. Quando dopo un’ora il pane viene estratto definitivamente, è tutto incrostato di sabbia. Viene quindi lavato e pulito bene per eliminare ogni fastidioso granello, poi spezzettato in piccoli pezzi che saranno poi inseriti in una salsa di pomodoro, cipolla, patate e carne. Il pane assorbe il condimento senza però ammorbidirsi troppo e rimanendo anzi in parte croccante….insomma una vera prelibatezza e quasi del tutto priva di sabbia! Siamo già da un pò dentro ai nostri sacchi a pelo quando Bilal, dopo le chiacchiere attorno al fuoco con i ragazzi, si incammina verso il suo  accampamento. Come una inattesa ninna nanna un pò di musica arriva debole dal mangianastri sull’auto…..è musica tradizionale tuareg, melodiosa e ripetitiva come una litania….l’equivalente di un sonnifero. Luna piena e  brezza tiepida rendono la serata perfetta….pian piano sfiliamo i nostri vestiti…ma che delirio….mi torna la paura dei serpenti!

13 Dicembre 2008

ESSEL – TIN FINAGH – ADIEL HOC

A differenza dei miei compagni di viaggio che sembrano aver dormito benissimo, io mi sveglio stordita. Cerco consolazione facendo un giro attorno alle rocce meravigliose di questo sito che, illuminate dalla luce mattutina, sembrano i giochi dimenticati da un gigante. La luce ancora bassa è perfetta per scattare alcune foto e per osservarne le forme. Riconsidero l’idea dei giochi proiettandomi invece sull’immagine del giardino zen. Queste pietre composte in forme armoniose rimandano ad una idea di equilibrio e di progetto. Dopo un bel tè concentrato che finalmente mi fa rinsavire, partiamo immergendoci nel bel paesaggio di dune ocra in parte coperte di pietre scure, che sembrano essere la caratteristica dominante del paesaggio dell’Adrar…una costante nella variabilità delle immagini che ci si propongono. Quello di oggi è il territorio più sabbioso finora attraversato….ed ecco che arriva la sorpresa di una bella ed altissima duna di sabbia immacolata. Avevo così voglia di questo che, appena uscita dall’auto, inizio a fotografare e poi corro sulla sabbia cedevole verso la cresta sinuosa di questo mostro color ocra….la superficie leggermente increspata dalle ondine lasciate dal vento. Dalla cima io e Gay, l’unico ad aver condiviso il mio entusiasmo, godiamo di una magnifica vista sulla distesa enorme sotto di noi, e sul cordone di dune che si susseguono sui due lati in un profilo sinuoso. Vanni scatta qualche fotografia dal basso mentre noi saliamo divertiti…è bello giocare con le dune! Dopo una pausa che a me è sembrata troppo breve, proseguiamo diretti a Tin Finagh dove potremo ammirare altri graffiti. Sembra spuntato dal nulla il signore vestito in abito tradizionale blu e turbante nero che fa cenno a Gaye di fermarsi. Non si vedono da tempo e così inizia la lunga sequenza dei saluti in lingua tamachek, dove parole sempre uguali si ripetono secondo il misterioso cerimoniale tuareg. Cortesemente stringe la mano anche a me e Vanni, poi invita tutti noi nella sua tenda per il tè…..lusingati dalla gentilezza e dal senso di ospitalità di questi tuareg dell’Adrar, accettiamo volentieri. Ci fermeremo quando saremo di ritorno dalla visita ai graffiti. Ripensando allo scorso marzo, quando a poco più di 100 km da qui Lamanà mi aveva avvertita di non porgere mai la mano agli uomini in segno di saluto perché lo avrebbero trovato sconveniente….appare chiaro l’ atteggiamento di disponibilità da parte di questi tuareg nei confronti di una cultura diversa dalla loro. Ci congediamo e raggiungiamo l’agglomerato di rocce sulle quali osserviamo i graffiti che riproducono immagini stilizzate di animali e le scritte del tutto analoghe a quelle già viste, quindi ci fermiamo per il pranzo all’ombra di una enorme acacia cresciuta nei pressi….questo viaggio è proprio all’insegna del relax! Mentre Gorghi accende il fuoco e predispone piatti, scatolette e l’immancabile pentola a pressione per il pranzo, noi ci dedichiamo alla visita dei graffiti, quindi alla nostra insalata di verdure che abbiamo iniziato ad apprezzare. Di ritorno ci fermiamo come promesso alla tenda di Ahmaied per gustare l’ottimo tè all’aroma di cumino….l’ingrediente che i nomadi aggiungono al tè, in mancanza di menta fresca. Alcune coperte di lana disegnate a fiori dai colori sgargianti sono fissate ai bastoni verticali conficcati nella sabbia. Chiudono l’ingresso della caratteristica tenda di tessuto nero. Su un lato è appoggiata a terra la sella di legno decorata in cuoio ed i paramenti….ma del dromedario non c’è traccia….Seduti sulla stuoia stesa all’ombra debole di un’acacia, osserviamo la gestualità sciolta dell’uomo intento a preparare. Ahmaied è un bell’uomo alto e snello…. gli occhi estremamente espressivi, sembra uscito da una vecchia pellicola di Hollywood….come dice Vanni. La moglie decisamente sovrappeso ci raggiunge porgendoci due cuscini e poi si siede leggermente in disparte. Ha un sorriso sgargiante e gli occhi meravigliosi che spiccano sulla pelle resa più scura dal velo tinto senza fissanti. Godiamo dei suoi bei sorrisi smaglianti, forse in segno di cortesia o per la gioia di partecipare ad un evento che rompe la monotonia delle sue giornate nel deserto. Una bambina si avvicina…..è vestita di una tunica nera semplicissima ed anche la sua pelle, come quella della madre ha un riflesso nero innaturale. I suoi capelli impolverati e irti la fanno sembrare una giovane streghetta….ci osserva con occhi impauriti….non deve aver avuto altre occasioni di vedere persone slavate come noi. La coppia conversa amabilmente con Gaye e Gorghi in lingua tamachek….a noi rimane la curiosità di sapere cosa dicono…se non altro per capire se siamo noi due bianchi il soggetto delle loro risatine. Ciò che stupisce qui nell’Adrar è che nessuno ci chiede nulla…..né denaro né indumenti o medicine, e nemmeno si propongono di venderci qualcosa…..forse perché passano direttamente al furto? Ci congediamo dal gruppo familiare per proseguire lungo la pista per Adiel Hoc. Pochi chilometri dopo vediamo un paio di fuori strada fermi vicino all’unico albero presente in zona. Rallentiamo e ci fermiamo. Dopo un minuto Gaye ci invita a scendere ed a raggiungere i tuareg che vediamo raggruppati sotto l’albero. Un ragazzo ci saluta cordialmente e poi ci presenta a due signori sui cinquant’anni. Uno di loro, ci dice mentre traduce dal tamachek al francese, è il boss che ha il controllo del territorio. Un incontro al vertice proprio non ce lo aspettavamo! Eccoci nel bel mezzo della cellula dei ribelli in lotta contro lo stato dal 2006. Hanno voluto incontrarci, unici turisti nell’Adrar, per rassicurarci e garantirci le loro buone intenzioni e la loro protezione durante i nostri spostamenti. Calati nell’ inatteso ruolo di ambasciatori di pace, ascoltiamo ciò che il boss desidera comunicare ai viaggiatori stranieri ed in generale a chiunque abbia delle curiosità nei confronti di quanto succede nell’Adrar. Mentre il signore in boubou azzurro, turbante ed occhiali da sole parla, il ragazzo traduce parola dopo parola il suo comunicato che recita più o meno così…..i ribelli non hanno nulla contro turisti, anzi, lui stesso si fa carico di proteggere chi decidesse di venire in viaggio qui, da eventuali episodi di banditismo. Le ostilità dei tuareg sono rivolte allo stato ed ai militari che ne rappresentano la forza armata, non ai civili né tanto meno ai visitatori che rappresentano invece per loro una fonte di guadagno del tutto gradita…..ma alla richiesta di Vanni di poter entrare nell’Adrar con la nostra Gazelle non viene data risposta. Intanto mentre io ascolto lui va a curiosare nelle auto in sosta….a bordo delle quali i kalasnikov non mancano e nemmeno la mitraglietta installata nel pick up. Ripartiamo. Il paesaggio si fa sempre più pianeggiante e le montagne scompaiono definitivamente. Nell’ampia spianata a perdita d’occhio, solo qualche acacia si alza dall’orizzonte piatto. Ci fermiamo ancora un paio di volte lungo la pista che porta ad Adiel Hoc…..sempre per salutare la miriade di conoscenti di Gorghi e Gaye. Queste sistematiche visite parenti finiscono con l’esaurire noi due che abbiamo sempre accuratamente evitato di fare cose del genere in patria….figuriamoci qui nel deserto! Arriviamo stremati al villaggio che trovo pittoresco per via delle case sorte in ordine sparso sul suolo sabbioso a creare piccole piazzette e strade tortuose. Ci sottoponiamo ai controlli militari in entrata e vediamo numerosi uomini armati a presidiare le strade del villaggio. Hanno tutti la pelle molto scura….nessun tuareg appartiene, per forza di cose, all’esercito. Per sgranchire un pò le gambe, accompagno Vanni a comprare le sigarette in un minuscolo emporio senza luce, ed il cui negoziante usa una torcia per illuminare le scaffalature e la cassa. Intravediamo dei vestiti appesi in alto, a terra sacchi di farina, bottiglie d’acqua e molta polvere, nelle scaffalature biscotti, saponi e di tutto un pò. Raggiungiamo di nuovo l’auto dove un ragazzino sta versando nel serbatoio tre piccole taniche di gasolio con l’aiuto di un grande imbuto munito di uno straccio che funge da filtro…..siamo di fronte al portone di ingresso della casa disabitata della famiglia di Gaye ed ecco che arriva la fregatura. Quando ieri mattina eravamo entrati nella scuola di Marat mi era venuta l’idea di fare una piccola donazione per l’acquisto di materiale scolastico da distribuire a quei bambini sorridenti ed impolverati. Parlandone con Gaye mi aveva risposto che non era il caso di dare nulla agli insegnanti perché la scuola è gestita dalla cooperativa dei genitori che strada facendo avremmo senz’altro incontrato. Ecco che ora, lontani da quel villaggio, Gaye mi chiede di lasciare quei 50 € al suo parente Granpère che non ha certo l’aria del benefattore. Il raggiro è chiaro, ma non ho la forza di sottrarmici e consegno a quell’uomo alto e magro il mio obolo….. Poi mi incazzo, prima di tutto con me stessa, poi con gli africani in generale, per i quali la regola è arraffare il denaro a scapito dei bambini ai quali quel denaro è destinato. Il povero che ruba al povero sembra essere il paradigma della moralità africana. Che schifo! Ci spostiamo dal villaggio alla ricerca di un posto adatto al bivacco….ma alla fine scopriamo che siamo a poche decine di metri dall’accampamento di un parente di Gaye che puntualmente arriva a condividere la cena e le chiacchiere, questa volta per fortuna in lingua francese, alle quali anch’io posso partecipare. Si propone di accompagnarci domani alle dune di sabbia e di riaccompagnarci qui in serata….dopo una rapida occhiata d’intesa a Vanni la decisione è presa…domani torneremo a Gao. Siamo un pò a disagio per via della totale mancanza di privacy di questi ultimi giorni….nei quali anche lavarsi o cambiarsi diventava un problema. Abbiamo deciso che questa sarà la nostra ultima notte nella quale dormiremo vestiti dentro i nostri sacchi a pelo, uno accanto all’altro sotto l’acacia di turno. Dopo la cena i ragazzi ci lasciano soli per andare al villaggio a salutare gli amici….per loro è normale trovarsi soli in mezzo al nulla, ma non per noi che ci sentiamo troppo vulnerabili qui soli in mezzo alla brousse, sotto la luce fioca della luna semi nascosta dalle nuvole. Mentre cerchiamo di prendere sonno, i passi di due dromedari che passano vicinissimi a noi, ci fanno quasi sobbalzare, così come la capretta che avvicina il suo muso vicino al mio naso poco dopo l’alba.

14 Dicembre 2008

ADIEL HOC – GAO

Il cielo nuvoloso di oggi protegge la nostra colazione dai raggi caldi del sole. Quando ci svegliamo sono tutti già raccolti attorno al fuoco a cuocere la carne di montone…Gorghi, Gaye ed il suo parente. Mentre Vanni spalma i formaggini dei quali ora va ghiotto, su una fetta di pane fresco, io bevo il mio Lipton sollevata all’idea che tra non molto mi verrà offerto un bicchierino dell’ottimo tè trois verre. Dopo qualche sorso comunico ai presenti la nostra decisione di rientrare a Gao oggi stesso, anticipando così di un giorno l’ appuntamento con la nostra desideratissima doccia. Più che stupore i loro visi esprimono disappunto….probabilmente temono di rimetterci un giorno di lavoro remunerato, o forse si chiedono cosa hanno sbagliato nel corso del viaggio che possa aver stimolato questa nostra strana decisione. Non rispondono, ma affrettano le operazioni di stivaggio dei bagagli ed alle 8.30 siamo pronti per partire. Nel corso del viaggio fanno discorsi vaghi circa la possibilità di rientrare in giornata, dicono che probabilmente dovremo fermarci per l’ultimo bivacco ad un centinaio di chilometri dalla città. Gaye intanto fa diversi tentativi con il suo telefono Thuraya…..probabilmente cerca di parlare con Badi per sapere come deve comportarsi di fronte alla nostra richiesta….insomma non vuole sbilanciarsi prendendo iniziative prima di aver consultato il capo. Il paesaggio che scorre dietro i finestrini è l’immenso piatto deserto che alterna sabbia a piccoli sassi. Per uno strano effetto ottico, le acacie lontane sembrano carovane infinite di dromedari che si spostano sulla linea dell’orizzonte. Attorno a noi il miraggio dell’acqua ci fa vivere l’illusione di spostarci su un’isola galleggiante che avanza col nostro procedere circondata da un mare piatto e chiaro. Poco oltre, un cordone di dune rappresenta il nostro regalo di oggi. Le raggiungiamo e saliamo fino a raggiungere a piedi la linea sinuosa che ne marca i due fronti. Dall’alto, la spianata di sabbia che si perde all’infinito, ci appare in tutte le sfumature cromatiche degli ocra, mentre le nuvole creano macchie scure sulla superficie assolutamente piatta. Com’è bella la sabbia…..e che senso di grande libertà scaturisce dall’osservazione di un paesaggio senza limiti come questo! ….dove l’occhio si perde senza trovare ostacoli e la mente si solleva in un moto di gioia. Il senso di libertà che esplode nelle nostre anime ogni volta che nel corso dei viaggi ci troviamo di fronte all’infinito, ci rende immensamente felici. A mezzogiorno in punto, con la puntualità di un inglese, Gaye abbandona la pista in cerca di un luogo adatto per la sosta del pranzo. Le caratteristiche imprescindibili del luogo sono la presenza di ombra e di legna secca da ardere. Gorghi ripete meccanicamente le operazioni che anche noi conosciamo a memoria, poi inizia ad impastare la farina per un pain de sable fuori programma, che noi leggiamo come una banale strategia volta a farci perdere tempo prezioso sulla via del ritorno….una stupida cospirazione ai nostri danni. Dopo aver sostato due ore sotto l’ombra debole dell’acacia riprendiamo la corsa verso Gao che raggiungiamo alle 17, dopo sette ore e mezzo di viaggio da Adiel Hoc. Il personale dell’hotel Tizi Mizi ci accoglie con un caloroso bentornato. Issouf e Karim si mettono a nostra disposizione e ci mostrano una camera, scassata come la precedente, ma che ora ci appare come una reggia. Gazelle fa il suo ingresso nel grande cortile dell’hotel poco dopo….Vanni la conduce con un’aria di trionfo dipinta sul viso…..Gaye e Gorghi, che non l’avevano mai vista, abbozzano un sorriso di approvazione. Gazelle è davvero in forma e gioca a suo favore il fatto che da giorni ormai non vediamo un’auto che non sia impolveratissima! Trasferiamo i pochi bagagli in camera e ci tuffiamo sotto la doccia che, per il piacere che ne traiamo, sembra la prima della nostra vita. Le stelle ci mancano, così come i grandi spazi liberi.
( Gaye Oumar, Aguel hoc, Kidal. tel 0022373337889. sat. 008821621242014. Email gayeoumar2006@yahoo.fr)
Ricetta del Tè trois verre per tre persone:
il tè verde non viene sostituito, si aggiungono solo acqua e zucchero, nelle seguenti quantità, per avere i due bicchierini di tè successivi.

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15 Dicembre 2008

GAO

Vanni si sveglia recitando una frase che gli ronza in testa ….. – cento paia di scarpe per camminare nei sentieri della vita, altre cento per inoltrarmi nei percorsi dei sogni – Ho sposato un poeta! Siamo senza programmi oggi….quindi ci prendiamo un giorno di vacanza nel quale abbozziamo un programma di sviluppo del nostro viaggio, valutando dove ci conviene andare uscendo dal Mali del quale conosciamo anche gli angoli più remoti. Solo verso le 16, quando la temperatura si è abbassata abbastanza da consentirci di uscire dall’ombra della tettoia, a bordo di Gazelle raggiungiamo il lungo fiume dove ancora il mercato è in fermento. Sotto le tettoie di bastoni e stuoie si svolge il commercio di Gao….pittoresco, colorato, impolverato e sporco, ma forse anche per questo affascinante. Ceniamo al Tizi Mizi in compagnia dei nostri due ospiti Gaye e Gorghi che stranamente si destreggiano piuttosto bene con le posate. La conversazione talvolta langue un pò, ma non è semplice gestire una intera serata in lingua francese e con pochi argomenti in comune. Dopo lo scambio dei nostri indirizzi raggiungiamo il nostro talamo…dopo sei notti di sacchi a pelo, la nostra intimità ritrovata è decisamente stimolante.

16 Dicembre 2008

GAO – FRONTIERA NIGER – GAO

I saluti a Regine e Miguel, i due gestori dell’Hotel, sono calorosi. E’ stato piacevole conversare con loro nei giorni di permanenza al Tizi Mizi e la loro accoglienza è sempre stata squisita. Lascio a Regine un paio di campioncini di crema Praerie che accetta felice…..dice che qui a Gao non è nemmeno pensabile di trovare prodotti del genere, e nel suo francese perfetto… – questo è un cadeau royale! – Partiamo diretti alla frontiera con il Niger….sono le 8.30 del mattino, avremo tutto il tempo di raggiungere Labbezanga che dista 200 km da qui. Il paesaggio si presenta da subito estremamente piacevole. La strada si snoda tra le dune di sabbia rosata, parallela all’ampio fiume Niger che vediamo pieno di isolette verdeggianti, come se in alcuni tratti si trattasse di una bella palude piuttosto che di un grande fiume. Alcuni rettangoli di erba verdissima potrebbero essere risaie. Le sfumature del verde in primo piano ci incantano, mentre sullo sfondo, al di là del fiume, le dune di sabbia rosa del Burkina Faso fanno da contrappunto in un bel contrasto cromatico. La strada recentemente asfaltata è perfetta ed attraversa i villaggi di pescatori sorti lungo il fiume. Le abitazioni sembrano grandi scatole di terra cruda color crema …. i loro volumi essenziali sono complicati da elementi architettonici nuovi, come le scale a profferlo che salgono accostate alla parete esterna fino al tetto piano, i forni ad ogiva, piccole tettoie addossate e pareti traforate in disegni geometrici. Le tante giare di argilla sparse nei cortili devono contenere i prodotti per la lavorazione e la conservazione del pesce, alimento base nei villaggi lungo il fiume, nonché merce di scambio quando venduto ai mercati, fresco o essiccato. I villaggi sono affollati di bambini vivaci e donne sempre indaffarate nei pressi delle loro case, o in groppa ai muli carichi di taniche di acqua potabile. L’approvvigionamento dell’acqua implica spesso di dover percorrere diversi chilometri per raggiungere il pozzo più vicino, soprattutto nelle aree semidesertiche del sahel….Come uscite da una favola le signore in abiti colorati cavalcano con fierezza i loro muli, in carovana lungo i sentieri di terra battuta, una di seguito all’altra. Una nuvola di bambini a piedi le accompagnano approfittando dell’occasione per fare un pò di confusione. Alcune si girano curiose vedendoci passare ed alzano una mano per salutarci. I pochi uomini che vediamo sono sempre seduti a chiacchierare raccolti in piccoli gruppi all’ombra di un albero o di una tettoia…..del tutto inoperosi. Lingue d’acqua entrano nei villaggi a formare piccole darsene dove alcune piroghe galleggiano sull’acqua limacciosa, allineate lungo la riva. E’ bellissimo questo tratto di Mali! Procediamo verso Est rallentando ad ogni dissuasore, così come al passaggio dei buoi, solitari o in gruppi, che attraversano la carreggiata al ritmo di un treno merci. Arriviamo alla frontiera con il Niger nell’ora più calda, verso mezzogiorno. Un pullman di locali è fermo nel piazzale….alcuni dei passeggeri sono ammassati davanti allo sportello dell’immigrazione in attesa di un timbro, altri pregano Allahà genuflessi su stuoie di fortuna. L’ufficiale di polizia che ci viene incontro appena scendiamo da Gazelle, ci accoglie con un bel sorriso e ci chiede se siamo a posto con i visti, perché qui in frontiera non è possibile farli. Che disastro….fidandoci di quanto ci aveva detto la guida di Mopti, eravamo partiti a cuor sereno, certi che saremmo riusciti a passare….e invece ora dovremo tornare a Gao! Imbestialiti per il contrattempo, torniamo sui nostri passi, ed iniziamo ad elaborare un’alternativa che ci risparmi dal considerare tempo perduto i chilometri percorsi oggi…..non ci è mai piaciuto dover percorrere due volte la stessa strada! Si fa strada l’ipotesi di entrare in Burkina Faso, per il quale abbiamo il visto, attraverso la pista che parte verso la frontiera a pochi chilometri da qui…..ma sarebbe come tuffarsi nel vuoto dato che sulla carta stradale, la pista scompare ad un certo punto sostituita da una linea nera su fondo giallo che significa sabbia, solo sabbia! Dopo qualche ripensamento decidiamo di tornare a Gao per poi scendere ancora verso Mopti ed entrare in Burkina attraverso una strada sicura. Sono tutti allibiti quando ci vedono rientrare al Tizi Mizi….anche Regine che ha il profumo della crema Praerie. Ci assicura che all’ufficio di polizia di Gao potremo prendere il visto senza problemi andando domani mattina di buon’ora….lei lo ha fatto diverse volte….peccato non essere andati sull’argomento ieri sera. Occupiamo ancora la camera 22 che ormai consideriamo nostra….in fondo è stato bello tornare a festeggiare il nostro primo anniversario di matrimonio, nell’ambiente familiare ed avvolgente di questo scassato hotel.

17 Dicembre 2008

GAO – MOPTI

Karim, il giovane garzone dell’hotel, ci accompagna al centro di polizia, dove gli impiegati sono già al lavoro prima delle 8. L’ufficio nel quale entriamo, rischiarato dalla luce fioca di un tubo al neon, è pieno di scartoffie impilate a terra e sulla scrivania. Mi accomodo sulla panca metallica di fronte all’impiegato indaffarato a maneggiare passaporti e certificati, poi Karim spiega il motivo della nostra visita…..l’ottenimento del visto del Niger. L’impiegato risponde che servono due foto e la compilazione del modulo che mi porge e che gli restituisco dopo pochi minuti. Controlla e poi timbra i passaporti che sfoglio per controllare…..del visto non c’è traccia. Gli chiedo di mostrarmelo e lui aprendo la pagina del visto del Burkina mi indica il timbro di uscita dal Mali che ha appena impresso sulla paginetta……il secondo in due giorni! Quando ribadisco che ciò che desideriamo avere è il visto, risponde che solo l’ambasciata di Bamako può rilasciarlo…. Non aveva capito! Gli chiedo di restituirmi almeno le foto che ci serviranno per richiedere altri visti nel corso del nostro lungo viaggio verso il Camerun, ma ormai sono state fagocitate dalla burocrazia maliana. Non rimane che raggiungere al più presto il Burkina, scegliendo per questo la strada più comoda. Rimane da verificare la condizione della strada che da Sevarè arriva a Bandiagara e poi al confine….se asfaltata opteremo per quella ed arriveremo nei pressi di Gorom Gorom nel Nord del Burkina, altrimenti attraverseremo più ad Ovest raggiungendo Bobo Diolasso, il più grande centro urbano del Sud. La strada per Mopti, già percorsa diverse volte, oggi ha un sapore diverso per via della foschia densa che inghiotte il paesaggio rendendolo quasi invisibile. Si tratta della polvere portata dall’Harmattan, il vento stagionale che soffia dal deserto, portando con sé il freddo e la foschia, la sua inconfondibile firma. L’incantevole paesaggio di Hombori, oggi lo spettro di se stesso, rivive ormai solo nei nostri ricordi, mentre sfrecciamo sulla striscia nera dell’asfalto…. annoiati ed un pò giù di corda, stentiamo a ritrovare lo spirito che sempre accompagna i nostri viaggi. Arriviamo al “Y a pas de problème”, la nostra seconda casa in Mali dopo il Tizi Mizi, nel pomeriggio. Il consièrge, riconoscendoci, ci solleva dal compilare il modulo di ingresso e ci allunga la chiave della n°20 al piano terra, ampia e confortevole. Una coca cola ghiacciata consumata nella bella terrazza ombreggiata ed arriva Sidi, la guida che ci aveva dato la falsa informazione riguardo al visto. Gli riservo un’accoglienza glaciale e poi sbotto in un lecito rimprovero che incassa con stile….in fondo cosa vuoi che gliene importi? All’improvviso il cielo nuvoloso lascia cadere una breve pioggia che tutti accolgono con entusiasmo…..è grande l’energia che uno scroscio fuori stagione suscita tra gli abitanti di queste zone! Il lungo fiume alberato ha il grande fascino di sempre e, nonostante la foschia, le pinasse dalle prue colorate fanno sempre la loro bella figura…. qualcuno lava l’auto sulla riva….sono dei precisini questi maliani…. Ceniamo come sempre nella terrazza dell’hotel, dalla quale non ci accorgiamo nemmeno del tramonto nascosto sotto le nuvole. Capitaine fritto e gli immancabili fagiolini lessati, una prelibatezza qui. Concludiamo con una gustosa crèpe al cioccolato.

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